imprenditori e le concrete opportunità di sviluppo che il sistema finanziario
nazionale offre loro.
Per cercare di rispondere a questa domanda è stata analizzata un’imponente mole
di dati, sia riguardanti pubblicazioni di importanti centri di ricerca sia analizzando
i dati dei bilanci societari delle aziende esaminate, per conoscere le caratteristiche
economiche e finanziarie delle principali imprese italiane, con riferimento alla
loro struttura del capitale, alla struttura reddituale, alla forma societaria e alla
governance. Questi dati sono stati a loro volta confrontati con un’indagine sul
campo realizzata tramite interviste a specialisti del settore finanziario e bancario,
ed a manager e/o proprietari di alcune importanti aziende non quotate.
Quest’ultimo punto si è reso necessario per conoscere i motivi ed il peso che le
principali aziende italiane assegnano alla quotazione nei loro programmi di
sviluppo industriale.
Gli imprenditori che hanno testimoniato la propria esperienza aziendale offrono
un quadro assai interessante della natura e delle modalità operative delle imprese
sul versante della politica di copertura dei fabbisogni rivenienti da piani di
sviluppo. Si tratta di imprese di successo che si misurano quotidianamente su
mercati sempre più aperti e globalizzati e sempre più contesi da competitor che
non provengono necessariamente dai Paesi in via di sviluppo, ma che sovente
includono grandi multinazionali.
In definitiva, pur utilizzando quale linea di demarcazione la struttura di
governance e patrimoniale, il lavoro che si presenta assegna al ruolo della singola
azienda, e al settore di appartenenza, un peso considerevole. Inoltre, rispetto agli
studi in essere, da cui in ogni caso prende spunto, è stato utilizzato un livello di
analisi per alcuni versi più mirato – attraverso un target dimensionale delle
aziende più elevato (cfr. Sezione “Dati”) - e più diretto, avvalendosi di una ricerca
motivazionale, tramite l’utilizzazione di un questionario, per giungere, secondo lo
strumento dell’analisi Delphi, a risultati ragionati sul mancato ingresso di gran
parte delle aziende “quotabili” sul mercato azionario.
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Metodologicamente l’indagine ha avuto un’articolazione che può essere così
riassumibile:
1. Costruzione di un database, nominale, su dati Mediobanca e Banca
d’Italia, contenente tutte le aziende italiane non quotate che possono
essere comprese tra le imprese di media
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e grande dimensione;
2. Evidenziazione dei principali indici reddituali (Margine Operativo Lordo
Reddito Operativo Netto, Utile netto…) e dimensionali (Fatturato, Valore
aggiunto, n° dipendenti) al fine di costruire aggregati per livello
dimensionale utili ai fini della ricerca
La successiva fase di lavoro ha riguardato lo studio della pubblicistica esistente in
materia, soprattutto le analisi compiute da Banca d’Italia, Borsa Italiana e da
alcuni ricercatori sulle aziende non quotate.
L’analisi di tale documentazione, unitamente alla lettura delle principali
pubblicazioni economiche e dei principali aggregati macroeconomici, mi ha
consentito di avere un esatto quadro di riferimento, sia quantitativo sia qualitativo,
sulle caratteristiche del nostro sistema industriale, sul funzionamento dei mercati
e sulle cause che limitano lo sviluppo dimensionale del nostro sistema produttivo
e, per certi versi, spiegano il declino dell’industria italiana.
Argomenti questi che, ovviamente, meriterebbero ognuno una trattazione
separata, ma senza la conoscenza dei quali, anche se non in maniera puntuale e
approfondita, sarebbe risultato arduo inquadrare le problematiche connesse
all’argomento da analizzare, che è, e resta, quello di definire le motivazioni che
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Per essere riconosciuta come PMI l'impresa deve rispettare le soglie relative agli effettivi, in
termini occupazionali e quelle relative al totale di bilancio oppure al volume d'affari. Le medie
imprese hanno effettivi compresi tra 50 e 249 persone. La soglia relativa al volume d'affari è pari a
50 milioni di euro e quella relativa al totale di bilancio a 43 milioni di euro. Le piccole imprese
hanno effettivi compresi tra 10 e 49 persone. La soglia relativa al volume d'affari e al totale di
bilancio deve essere pari a 10 milioni di euro.
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spingono alla non quotazione molte imprese che presentano indici e performance
di sicuro interesse per gli investitori.
A tal fine il terzo passo della ricerca è stato quello di individuare, all’interno del
database precedente di 2013 aziende non quotate, le aziende che, in base ad alcuni
parametri di performance reddituale, sarebbero pronte alla quotazione anche nel
breve periodo. I parametri utilizzati, come si dirà in seguito (cfr. sezione “Dati”),
sono stati scelti in modo tale da individuare le imprese italiane più performanti, al
fine di indagarne in modo puntuale e dettagliato le motivazioni alla base della loro
mancata propensione all’ingresso sul mercato azionario.
3. Creazione ed analisi di un database contenente le aziende “quotabili” nel
panorama italiano
Riguardo a quest’ultimo punto vi è da sottolineare come tutti gli studi in materia
abbiano affrontato l’argomento monitorando unicamente le aziende con limite
dimensionale non inferiore a 50 milioni di euro.
Limite questo, però, che mi è apparso alquanto piccolo, proprio per le motivazioni
innanzi accennate, ed anche perché i principali investitori istituzionali nonché le
principali banche d’affari considerano loro potenziale target unicamente le
aziende con fatturato superiore ai 100 milioni di euro.
L’aver constatato, attraverso l’analisi dei dati macro, che il sistema di imprese
italiano si caratterizza non solo per la piccola dimensione media , per il peso delle
aziende familiari, per la scarsa ricerca, e per il basso livello di investimenti
immateriali, cause queste della perdurante perdita di competitività e di quota di
mercato, ma anche per una certa elevata maturità dei settori in cui operano , mi ha
spinto ad indagare sia il “funzionamento” del mercato finanziario, sia il livello di
concentrazione dei settori in cui operano le cosiddette imprese quotabili.
Quest’ulteriore analisi è stata compiuta per verificare se uno dei problemi, in
verità alquanto sottaciuti, del mancato decollo del finanziamento tramite ricorso al
mercato mobiliare, non sia dovuto proprio alla scarsa esigenza di finanziamento di
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piani di sviluppo e da politiche aziendali in gran parte orientate al mantenimento
dello status quo.
Il lavoro è stato infine accompagnato da una ricerca field intervistando alcuni
operatori e specialisti del settore, nonché i responsabili finanziari di un campione
scelto tra le 58 imprese da me definite “potenzialmente quotabili”.
Il metodo di analisi utilizzato, Delphi, è come noto utile per estrapolare dal
complesso di conoscenze possedute da un gruppo di esperti quelle informazioni
utili per completare il quadro di dati necessari alla definizione di una tesi, e
verificare il livello di uniformità delle risposte dei partecipanti alle asserzioni
desunte dallo studio desk.
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II. Review della letteratura rilevante
La presente ricerca si inserisce sulla scia di quegli studi che hanno indagato nel
corso degli anni il delicato processo di ingresso sul mercato azionario di
un’azienda privata. Differentemente dalla prevalenza della pubblicistica esistente,
l’oggetto principale del lavoro non è stato l’indagine del processo e delle
motivazioni che spingono un’azienda a quotarsi in borsa, bensì l’analisi di quei
fattori che limitano o ne rallentano l’ingresso sul mercato mobiliare, indagando
una realtà economica come quella italiana, tradizionalmente avversa all’apertura
del capitale di rischio.
La domanda di ricerca cui si è cercato di rispondere potrebbe essere sintetizzata
nel modo seguente: “Perché le imprese italiane che presentano caratteristiche
tali da presupporre una quotazione in borsa nel breve termine, preferiscono
rimanere private ?”
L’analisi della letteratura esistente mi ha consentito di stabilire un punto di
partenza e, allo stesso tempo, di individuare eventuali lacune bibliografiche da
colmare.
Un importante studio compiuto in passato (Pagano, Panetta e Zingales, 1998)
arriva alla conclusione che le aziende italiane fanno il loro ingresso in borsa solo
conseguentemente ad ingenti investimenti effettuati, e non per finanziare future
strategie di crescita. Il principale limite di questa ricerca è, a mio avviso, quello di
utilizzare come base di dati l’intero campione delle aziende italiane e non solo
quelle da me definite “potenzialmente quotabili” e, a non prendere in esame un
altro importante elemento insito nella funzione di intermediario finanziario del
sistema bancario. Per molte imprese il costo del finanziamento risulta essere più
basso di un’eventuale quotazione, e quindi da preferire in quanto privo delle
indirette limitazioni, sotto il loro punto di vista, di perdita del controllo. Ciò mi ha
spinto, da un lato, a restringere il campo di ricerca delle aziende da analizzare, e
dall’altro ad indagare se, effettivamente, nel campione da me costruito fosse vera
la conclusione cui sono giunti i citati autori.
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Altri studi si pongono domande complementari a quella da me individuata e sono
stati da supporto per definire l’ambito bibliografico di riferimento.
L’analisi della fase di vita di un azienda più adatta per una quotazione in borsa
(Chemmanur, Fulghieri, 1999), l’approfondimento delle decisioni aziendali in
merito alla scelta tra ingresso sul mercato azionario (IPO) e acquisizione privata
(Brau, Francis, Kohers, 2003) e lo studio del ruolo di un IPO nel massimizzare il
benessere dei proprietari di un azienda (Zingales, 1995), sono solo alcuni degli
argomenti che mi hanno aiutato a comprendere meglio il percorso strategico e
psicologico precedente la decisione di quotazione sul mercato azionario.
Dall’analisi della principale letteratura di riferimento, ho notato che una questione
solo marginalmente indagata è quella relativa al ruolo del settore di appartenenza
di un’azienda. Il principale studio in materia (Akhigbe, Borde, Whyte, 2003),
soffermandosi essenzialmente sulle conseguenze che un IPO può generare nel
settore di appartenenza dell’azienda “quotanda”, non analizza la questione che qui
ci interessa. Nel prosieguo della trattazione si cercherà di dare una risposta
adeguata anche a questo quesito.
Un campo di ricerca, invece, adeguatamente indagato dalla letteratura esistente
può essere considerato quello del ruolo dei “venture capitalist” e dei fondi di
“private equity” nelle scelte di quotazione (Jain, Bharat, .J.., Omesh K., 2000;
Lerner J., 1994; Wright M., Robbie K. 1998). Per tale motivo non è stato oggetto
di ulteriore approfondimento.
Come già evidenziato in precedenza la presente ricerca ha una forte connotazione
geografica analizzando in dettaglio le motivazioni che limitano o rallentano la
quotazione delle aziende italiane. Per questa ragione ci si è avvalso del contributo
fornito da altri autori per comprendere meglio la realtà del sistema industriale
italiano.
L’analisi di alcuni casi studio di successo di aziende italiane familiari quotate
negli ultimi anni (Marchisio, Ravasi, 2001) e la lettura di recenti analisi compiute
da importanti centri di ricerca nazionali (Giacomelli, Trento, 2005; Franzoni,
Pellizzari, 2003), sono stati propedeutici al mio successivo lavoro di indagine sui
database creati (cfr. sezione “Dati”), oggetto principale della ricerca.
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La consultazione delle ricerche condotte da altri importanti ricercatori (Musolino,
2004) mi ha infine concesso di meglio affrontare, con un approccio sistemico, la
parte field del lavoro con interviste e somministrazione di un questionario a
specialisti della finanza e a manager di imprese italiane.
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