2
sviluppo non traumatico del settore commerciale, regolando e
controllando la crescita delle forme distributive moderne e tutelando,
di conseguenza, il commercio tradizionale esistente nei confronti del
rischio di un repentino mutamento del contesto competitivo. Si tratta
in sostanza dello strumento di una politica commerciale che
presentava il grande vantaggio di essere a costo zero, mentre una
politica di sostegno diretto ( credito, formazione professionale,
assistenza tecnica, etc.) del commercio tradizionale e di indirizzo dello
stesso verso un processo di modernizzazione, avrebbe comportato un
massiccio impegno finanziario. Al tempo stesso venivano nelle
intenzioni garantiti i margini di sviluppo della distribuzione moderna,
in quanto erano assegnati ad essa gli incrementi di domanda, che
all’epoca di promulgazione della legge mostrava trend di crescita
considerevoli.
I cardini sui quali la 426 è stata costruita , iscrizione al Rec per tutti gli
operatori commerciali, pianificazione territoriale e regime delle
autorizzazioni amministrative, sembravano adatti al raggiungimento
degli obiettivi preposti, ma il calo inatteso della domanda e la delega
alle amministrazioni locali (i Comuni) dei compiti di pianificazione
commerciale e della gestione della potestà autorizzativa, hanno reso la
426 inadeguata ed inoltre disattesa. Infatti a livello locale, dove le
3
associazioni di categoria sono maggiormente in grado di influenzare
l’operato degli amministratori pubblici, sono stati recepiti
essenzialmente i contenuti protezionistici della legge, penalizzando lo
sviluppo del commercio moderno ed in particolar modo quello della
grande distribuzione. Al contrario la distribuzione organizzata ha
trovato, in questo contesto economico e politico, condizioni migliori
per il proprio sviluppo.
In definitiva, comunque, queste due circostanze non hanno permesso
alla Legge 426 di raggiungere l’obiettivo di avviare un processo di
modernizzazione controllata del settore distributivo, dato che lo
sviluppo delle grandi catene è stato bloccato ed in questa situazione di
limitata competitività, gli operatori tradizionali hanno trovato scarsi
stimoli alla crescita.
4
1.2 Evoluzione normativa
Alla luce di queste considerazioni vanno valutati i successivi
interventi normativi che rappresentano un tentativo di continuo
aggiustamento della legge fondamentale al fine di recuperarne le
capacità di regolamentazione e soprattutto di stimolo allo sviluppo del
settore
2
. Tali interventi, presentandosi sotto forma di decreti
ministeriali d’attuazione e di decreti legge hanno progressivamente
aperto la strada alla liberalizzazione del settore distributivo pur
mantenendo inalterati nella forma, ma anche nella sostanza, i principi
ispiratori della 426. L’applicazione eccessivamente restrittiva della
Legge 426 da parte delle amministrazioni locali aveva già reso
necessario un processo di revisione della legge, attuato nel corso degli
anni attraverso l’introduzione di alcuni automatismi relativi
all’ampliamento delle superfici di vendita e delle tabelle
merceologiche (art. 29 D.M. 28.4.1976, L.887 29.11.1982, L. 121
27.3.1987). Il D.M. 375/88 ha raccolto e sistematizzato in un unico
testo oltre quindici anni di deroghe al testo originario, apportando un
proprio contributo al lento processo di liberalizzazione del settore.
Sul piano strutturale, è opinione comune che la Legge 426 abbia avuto
l’effetto di frenare lo sviluppo delle grandi superfici di vendita a causa
2
Cfr. Zaninotto Commercio-Rivista di Economia e Politica Commerciale 22 1986
5
del rigido contingentamento operato dalle amministrazioni locali in
sede pianificatoria e quindi nel rilascio delle autorizzazioni
amministrative. La conseguenza è stata la polverizzazione del settore
distributivo italiano.
Dal punto di vista della struttura competitiva, la 426 ha fatto del
settore commerciale un mercato protetto non solo per gli operatori
tradizionali, ma anche per i negozi con grandi superfici di vendita già
esistenti, preservando così anche i punti vendita della grande
distribuzione dalle minacce di entrata sul mercato in proporzioni
massicce da parte di catene concorrenti. Tutto ciò in un settore in cui
lo stesso fattore di localizzazione funge spesso da barriera all’entrata.
Tale protezione è stata pagata a caro prezzo dalla grande distribuzione
che, per poter sviluppare la propria rete di vendita, ha dovuto accettare
soluzioni localizzative antieconomiche, le quali hanno inoltre
influenzato le condizioni di economicità della loro gestione. Anche in
questi termini si spiega il ritardo del processo di modernizzazione del
commercio italiano rispetto ai paesi di riferimento. Infatti, le stesse
unità di vendita moderne del nostro paese mostrano, in un confronto a
livello continentale, differenziali negativi di dimensione e di
efficienza gestionale.
6
Attualmente il sistema distributivo italiano si caratterizza per un
rilevante gap che lo divide dalla distribuzione europea sia in termini
qualitativi, di servizio al consumatore, sia quantitativi in termini di
efficienza
3
. In particolare si differenzia per i seguenti aspetti:
-un numero eccessivo di punti vendita ( 47 punti vendita per
10.000 abitanti, contro i 21 della Spagna, i 13 della Gran
Bretagna, i 19 della Germania e della Francia);
-una scarsa presenza della distribuzione moderna (140 mq. Per
1000 abitanti, contro i 175 della della Spagna, i 205 della
Germania ed i 240 della Francia);
Questi ultimi due aspetti sono evidenziati nel grafico che segue.
3
Cfr. Notizie Faid 124 1998
7
Grafico 1- Il gap fra il sistema distributivo italiano e quello europeo.
8 = 1 punto vendita di piccolo dettaglio per 1000 abitanti
8 =10 mq. di superficie di grande dettaglio per 1000 abitanti
-una scarsa concentrazione delle imprese distributive che hanno
fatturati enormemente inferiori a quelli delle multinazionali
europee ( nel 1996 13.300 miliardi Coop, 5.400 Rinascente
alimentare, 5.050 Gruppo G.S. contro i 91.972 della Metro, i
8
FATTURATO DEI PRINCIPALI GRUPPI
ITALIANI ED EUROPEI
0
10.000
20.000
30.000
40.000
50.000
60.000
70.000
80.000
90.000
100.000
C
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Italia
Europa
60.525 di Edeka ed i 56.798 di Tengelmann). Le prime tre
aziende italiane hanno una quota di mercato del 17,4% dei
consumi di grocery, contro il 43,3% della Francia, il 42,2%
della Germania ed il 35,8% della Gran Bretagna;
Grafico 2
- uno sbilanciamento verso le piccole medie superfici ( il 35%
delle superfici moderne appartiene alle superettes e solo il 10%
agli ipermercati, mentre in Francia il 40% di superficie moderna
è degli ipermercati e solo il 5% appartiene alle superettes).
Oggi grazie al Trattato di Maastricht queste realtà ci interessano in
maniera molto più concreta, e non come semplice esempio estero; gli
9
Amministratori pubblici e gli operatori economici devono far fronte
alla sfida di efficienza e competitività che l’Unione monetaria pone.
Se siamo meno competitivi, ci sarà più mercato per gli altri, questo ci
porterebbe ad affrontare difficoltà maggiori di quelle che attualmente
stiamo affrontando.
Sicuramente non è superfluo sottolineare che l’Unione toglie ai singoli
Paesi la possibilità di usare le variazioni del cambio. Sparisce la
moneta nazionale e con essa la possibilità di usare la variazione del
cambio a fini competitivi.
Questo cambiamento è per noi molto rilevante. Nei 25 anni passati
siamo cresciuti più o meno come gli altri Paesi europei, ma
generando più inflazione. Dobbiamo imparare ad usare questa regola
del gioco, come hanno già fatto gli altri Paesi, cioè crescere senza
dover ricorrere periodicamente allo stimolo dell’inflazione e della
svalutazione.
Questo è il primo elemento che caratterizza L’Unione monetaria.
Il secondo elemento è che l’Unione monetaria, nel creare questo
grande spazio economico, valido anche per i prezzi e per i valori,
diventa un enorme acceleratore dei processi concorrenziali.
I prezzi diventano sempre più trasparenti sia che vengano fatti a Lione
piuttosto che a Stoccarda o in Italia e il confronto diventa immediato.
10
Dalla necessità di affrontare in modo rigoroso e sistematico questa
situazione, ha preso le mosse l’approvazione di un decreto che ormai
da anni veniva chiesto a più voci e che ormai si mostrava
indispensabile.
Dunque finalmente è arrivata la riforma del commercio attuata con il
decreto 114 del 31 1998, il c.d. decreto Bersani.
4
4
NUOVI NEGOZI DI VICINATO ( dal 25 aprile 1999 )
Per l’apertura di nuovi negozi di vicinato l’esercente è tenuto a una semplice comunicazione al comune
competente per territorio. Trascorsi 30 giorni si può procedere . Per negozi di vicinato si intendono quelli con
una superficie massima di 250 mq. Nei comuni con più di 10mila abitanti e 150 mq. In quelli con meno di
10mila.
TRASFERIMENTO DI NEGOZI DI VICINATO ( dal 9 maggio 1998 )
I titolari di qualsiasi settore possono trasferire l’attività in un’altra sede o possono ampliare la superficie di
vendita ( fino a 150/250 mq. ) purché ne dianocomunicazione al comune. Devono ovviamente rispettare i
vincoli urbanistici e igienico-sanitari.
MEDIE STRUTTURE (dal 25 aprile 1999 )
Sono soggette ad autorizzazione del comune competente che, verificati i requisiti esentite le organizzazioni di
consumatori e commercianti, può comunicare per iscritto, entro 90 giorni, l’eventuale diniego oppure
affidarsi al principio del silenzio assenso.
Nei comuni con più di 10mila residenti la media distribuzione non può superare i 2.500 mq. mentre nelle città
più piccole il tetto è stabilito a 1.500 mq.
GRANDI STRUTTURE (dal 25 aprile 1999 )
Anche in questo caso l’autorizzazione per nuove aperture è affidata al comune, che convoca, entro 60 giorni
dalla domanda, una conferenza di servizi. E comunque decisivo il parere espresso dal rappresentante della
regione. Qualora non venisse comunicato il diniego entro i 120giorni dalla data di convocazione della
conferenza,le domande devono ritenersi accolte. Pertanto è automatico che per almeno 18 mesi, fino alla
definizione dei criteri di programmazione regionale e alla maturazione dei
tempi tecnici di rilascio, non saranno concesse nuove licenze.
BLOCCO DELLE LICENZE E FASE TRANSITORIA (fino al 25 aprile 1999)
Dalla pubblicazione del decreto ( 24 aprile 1998 ) e per i 12 mesi successivi è sospeso il rilascio di licenze di
tutti i tipi. L’apertura di nuovi negozi di vicinato potrà avvenire solo per subentro a un altro commerciante. Il
subentrante deve essere iscritto al registro delle imprese. E’ però possibile avviare nuove attività qualora più
negozi di vicinato decidano di concentrarsi in uno più grande dello stesso comune. Per questo tipo di
operazioni, la superficie non deve superare i 1.500 mq.L’autorizzazione comporta la revoca delle
autorizzazioni preesistenti.
INDENNIZZI ( dal 25 aprile 1999 al 25 aprile 2001 )
I titolari di negozi di vicinato, iscritti da almeno 5 anni all’Inps, che cessano l’attività e restituiscono la
licenza possono usufruire di un indennizzo teso a favorire il ricollocamento professionale. Lo Stato stanzia
100 miliardi per il triennio 1998-2000.
ABOLIZIONE TABELLE MERCEOLOGICHE ( DAL 9 MAGGIO 1998 )
Gli esercenti si dividono tra chi vende prodotti alimentari ( ammessi tutti ) e chi vende prodotti non alimentari
( tutti, eccetto farmaci, carburanti, tabacchi e giornali).Vengono abolite le disposizioni concernenti il Registro
esercenti il commercio
( Rec), relativamente all’attività di somministrazione di alimenti e bevande.
REQUISITI DI ACCESSO ( dal 25aprile 1999 )
11
L’approvazione del provvedimento dopo venti anni di progetti apre
alla concorrenza e libera il commercio dalle gabbie burocratiche e
amministrative. Si tratta di un passaggio verso la liberalizzazione. In
sostanza spariscono le licenze per gli esercizi fino a 250 mq. di
superficie. Chiunque potrà aprire un negozio e potrà vendere cioè che
vorrà. Spariscono infatti anche le 14 tabelle merceologiche e restano
solo due settori: alimentare e non alimentare. Per quanto riguarda
invece gli esercizi commerciali di dimensioni superiori ai 250 mq.
sono previste “ regole più severe”. Sarà infatti necessaria
l’autorizzazione dei Comuni per i negozi di superficie compresa tra i
250 ed i 2.500 mq., e del parere vincolante delle Regioni per quelli di
superficie superiore ai 2.500 mq. Inoltre il decreto per facilitare
l’accesso al settore, sopprime il Registro Esercenti del Commercio
L’esercizio dell’attività commerciale è consentito a coloro che abbiano frequentato con esito positivo un
corso professionale o abbiano esercitato l’attività ( al dettaglio o all’ingrosso ) per almeno due anell’ultimo
quinquennio. Le regioni definiscono i corsi per l’accesso all’esercizio della professione commerciale.
ORARI DI VENDITA ( dal 25 aprile 1999 )
Gli esercizi di vendita al dettaglio possono restare aperti al pubblico per un massimo di 13 ore, nella fascia
compresa tra le 7 e le 22. Le giornate di chiusura sono fissate alla domenica e nei giorni festivi, tranne che in
dicembre e per 8 domeniche o festività l’anno. Spetta alle regioni stabilire l’eventuale mezza giornata di
chiusura infrasettimanale.
VENDITA SOTTOCOSTO (dopo la sottoscrizione del codice di autodisciplina)
Per la prima volta si definisce il concetto di vendita sottocosto, che si produce quando il prezzo di vendita è
inferiore a quello risultante dalle fatture di acquistomaggiorato delle imposte. Il ministero dell’Industria
promuove la sottoscrizione di codici di autoregolamentazione delle vendite che saranno messi a punto nei
prossimi mesi.
VENDITE DI GIORNALI ( dal 25 aprile 1999 )
A partire dal ’99 le edicole perderanno il monopolio della vendita di quotidiani e periodici. Anche per la
vendita di giornali si applicheranno le norme previste per i
prodotti non food.
12
( Rec ). Sono invece previsti indennizzi per la ricollocazione
professionale degli imprenditori che cessano l’attività. Non sorprende
che il decreto legislativo del Governo Prodi sulla liberalizzazione del
commercio abbia avuto l’effetto di una bomba. Da anni il commercio
italiano è ingessato da mille vincoli burocratici che ne hanno fatto uno
dei più polverizzati e uno dei meno aperti d’Europa. Peraltro la
deregulation arriva in uno dei momenti di maggiore debolezza delle
piccole aziende: la forte crescita della grande distribuzione moderna (
super e ipermercati) iniziata dagli anni 80, e che ha raggiunto
concentrazioni di livello europeo nel Nord del paese, ha compresso
fortemente i margini commerciali
5
. Alla fine sul mercato sono rimaste
le imprese più efficienti. Difatti dopo aver raggiunto negli anni 80 il
picco di espansione con circa 800mila negozi 3,5 milioni di addetti, la
crisi del piccolo commercio si manifesta con un inarrestabile declino
che ha colpito i punti vendita e gli occupati. Nel periodo 1981-1994,
oltre 64mila esercenti, secondo dati Cescom-Istat, hanno abbassato la
saracinesca, mentre il ministero dell’Industria calcola che nel
quinquennio 91-97 le chiusure siano state superiori alle 240mila.
In controtendenza rispetto al piccolo commercio si sono mosse le
catene commerciali che, nel periodo 91-96, hanno vissuto una fase di
5
Cfr. La Repubblica 16/01/98
13
espansione senza precedenti: super, ipermercati, grandi magazzini e
cash&carry sono passati da 4.500 a 6.600. Mentre solo nel ’97 sono
sorti 454 fra supermercati ed ipermercati.
Quali saranno gli effetti della riforma sul sistema distributivo?
La riforma tende a creare un sistema moderno di distribuzione e a
qualificare il piccolo commercio, togliendo vincoli burocratici e
decentrando; il Governo dunque punta sulla piccola distribuzione,
mentre il trend internazionale del settore va verso le concentrazioni.
La possibilità di accorpamento dei piccoli esercizi per costruirne di
medie dimensioni favorisce questi ultimi rispetto ai grandi, anche
indirettamente poiché i primi finiranno con il saturare le superfici rese
disponibili.
Inoltre l’iter di autorizzazione favorisce le medie superfici perché
coinvolge solo il livello comunale, perché si svolge in un tempo più
breve ( 90 giorni contro i 180 ) e perché nell’adozione dei criteri di
rilascio hanno un ruolo più diretto le associazioni dei consumatori che
possono riequilibrare i meccanismi di lobby tipici del livello locale. Si
potrebbe quindi consolidare un “modello italiano” fatto più di
supermercati che di iper con effetti anche sul rapporto di forza tra la
grande distribuzione e la distribuzione organizzata. Se così sarà
potrebbe anche ridursi l’interesse dei gruppi esteri, o per lo meno di
14
quelli francesi, che operano prevalentemente con l’ipermercato, per la
distribuzione italiana.
Chiaramente la riforma sarà raggiunta con gradualità, rispettando delle
scadenze che la legge ha previsto in modo preciso e dettagliato.
15
1.3 Gli scenari della moderna distribuzione alimentare
Per superare la difficile fase che sta attraversando il settore, sia dal
punto di vista della domanda che della offerta, le imprese della
distribuzione hanno messo in atto una serie di strategie
6
. I primi
interventi sono stati indirizzati ad aumentare la competitività,
soprattutto attraverso la riduzione dei costi e l’aumento dei livelli di
efficienza. A questi obiettivi rispondono la diffusione delle
supercentrali di acquisto, l’aumento della concentrazione delle
imprese, la razionalizzazione organizzativa, lo sviluppo dei prodotti a
marca privata.
Un secondo gruppo di strategie ha cercato di aumentare la quota di
mercato con l’acquisto di nuovi clienti ed il consolidamento di quelli
esistenti. L’espansione dei contratti di franchising, l’aumento della
capacità produttiva e il maggiore impiego delle carte fedeltà,
rispondono a questi obiettivi.
Alcune aziende, infine, hanno ravvisato la necessità di interventi
strategici a tutto campo, cercando alleanze strategiche con imprese
internazionali che siano in grado di trasferire competenze e quindi
accelerare lo sviluppo.
6
Cifr. Fornari Commercio-Rivista di Economia e Politica Commerciale 32 1989