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Introduzione
La presente tesi di laurea ha l'obiettivo di presentare le tipologie di attività con l'ausilio di animali
che un educatore, insieme agli altri membri dell'équipe educativa, può prendere in considerazione
per sviluppare un PEI, sfatando false credenze che si sono formate sulla pratica di pet therapy.
Queste attività, che normalmente vengono indicate con il nome di pet therapy, oltre che vere e
proprie terapie (fisiche, psicologiche o psichiatriche) possono essere attività educative o attività
assistite/mediate dall'animale.
Ciò che mi ha spinto a voler approfondire l'argomento è la passione che da sempre provo nei
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confronti degli animali; infatti, già dalla più tenera età, sono sempre stata attratta dai cani a
passeggio, dai gatti di vicini e parenti e da altre specie presenti in alcuni parchi cittadini (capre,
anatre e conigli) e ho sempre desiderato avere un animale da compagnia che rallegrasse le mie
giornate. Inoltre, ho sempre avuto la convinzione che il rapporto tra questi e gli esseri umani possa
essere d'aiuto per risolvere alcuni dei problemi che si possono presentare nella vita di una persona,
dalla mancanza di motivazione a difficoltà comunicative e/o relazionali. Durante il tirocinio
universitario curriculare, che ho svolto al Charitas asp di Modena tra i mesi di giugno e settembre
2014, ho avuto l'occasione di toccare con mano cosa significhi far entrare in contatto una persona
con disabilità psico-fisiche medio-gravi con i cani e i cavalli in attività appositamente studiate e
strutturate: la scintilla che mi ha permesso di scegliere l'argomento della mia tesi di laurea.
Ho suddiviso l'elaborato in due parti. La prima, teorica, è suddivisa a sua volta in due
capitoli. Nel primo, scritto grazie ai manuali pubblicati da Marchesini (2015) e Pergolini e
Reginella (2009), l'obiettivo è spiegare cosa è la pet therapy: inizialmente ne ripercorro brevemente
la storia, dalle origini alla nascita della pratica vera e propria, ponendo attenzione al suo sviluppo in
Italia. Poi, ne spiego le tre principali declinazioni, ovvero le AAA (Attività Assistite con gli
Animali), la AAE (Educazione Assistita con gli Animali) e le AAT (Terapie Assistite con gli
Animali), con le varie differenze e somiglianze che le caratterizzano. In seguito, illustro come
impostare un progetto di pet therapy, specificando le fasi della progettazione, cioè la
programmazione, la prescrizione, la pianificazione, l'attuazione e la valutazione, e analizzando le
dimensioni di relazione, vale a dire le modalità con cui un essere umano entra in contatto con l'altro
di specie. Infine, concludo il capitolo sfatando i vari miti sulla pet therapy che hanno portato a
banalizzare la pratica e ritenerla uno specchietto per le allodole. Il secondo capitolo è stato scritto
grazie sempre al manuale di Marchesini (2015) e a una serie di articoli scientifici che ho reperito
on-line, grazie al motore di ricerca Google Scholar, utilizzando come parole chiave pet therapy,
autism, disability, AAA, AAE e AAT, in quanto l'esperienza che ho vissuto è stata in un istituto per
disabili. Di questi articoli, ho selezionato le pubblicazioni a partire dall'anno 2009 (vecchie non più
di 5 anni al momento della mia ricerca), al fine di fornire un quadro abbastanza aggiornato della
situazione. Inizio il capitolo presentando gli studi che sono stati fatti sul rapporto uomo-animale,
ovvero gli studi di antrozoologia, gli animal studies, gli studi antropologia, di etologia, di
zooantropologia e la teoria della zootropia. In seguito, presento una rassegna delle ricerche su cui
mi sono documentata, specificando la tipologia di utenti su cui si è lavorato, le metodologie
utilizzate (gli animali impiegati, il canale utilizzato per diffondere i risultati, il setting, il numero e
la durata degli incontri, le attività svolte e i mezzi usati per raccogliere e registrare i dati), i risultati
raggiunti (ponendo attenzione all'interazione sociale, il linguaggio e comunicazione, la gravità dei
disturbi autistici, i comportamenti problema e i livelli di stress e benessere), lo stato attuale in cui si
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trova la ricerca sulla pet therapy e le prospettive future; termino il capitolo proponendo un possibile
schema di codifica impiegabile per raccogliere i dati durante un percorso di AAA con persone con
disabilità psico-fisiche (tra cui i disturbi dello spettro autistico), costruito da me stessa basandomi
sui possibili obiettivi indicati nei manuali di Marchesini (2015) e Pergolini e Reginella (2009) e nei
progetti gentilmente messimi a disposizione dall'educatrice professionale responsabile delle attività
del Charitas.
La seconda parte è volta a presentare la mia esperienza pratica di tirocinio ed è anch'essa
suddivisa in due capitoli. Il primo (capitolo 3) l'ho inserito per inquadrare il contesto in cui ho
operato: presento brevemente la storia di Charitas asp, poi ne riporto la carta dei servizi (la mission
dell'istituto, come è organizzato, le modalità per accedervi e venire dimessi, i servizi che offre, la
composizione dell'équipe, l'assistenza religiosa e i servizi di temporaneità ed emergenza). Nel
secondo capitolo (capitolo 4), invece, riporto i due progetti di attività con gli animali che Charitas
asp propone ai suoi utenti: ippica e attività ludico/educativa mediata da cane. Lo schema utilizzato è
lo stesso per entrambe le attività: inizio presentando il progetto, poi ne descrivo gli obiettivi, i tempi
e i luoghi in cui l'attività si svolge, spiego il motivo per cui sono stati scelti tali animali e, infine,
riporto un'intervista che ho condotto a un'utente, nel caso dell'ippica, e all'esperto, nel caso
dell'attività ludico/educativa mediata da cane, specificando le difficoltà che ho incontrato durante
l'incontro e nella fase di stesura. Alla fine del paragrafo sull'equinoterapia indico anche gli spunti di
riflessione che l'intervista all'utente mi ha suggerito.
Spero che con questa tesi abbia raggiunto lo scopo di presentare cosa è la pet therapy e
cosa non è, sfatando le varie false credenze sulla pratica e presentando cosa effettivamente
può essere raggiunto e come raggiungerlo tramite un percorso che pian piano potrà arrivare a
godere di una propria dignità scientifica.
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Capitolo 1
Pet therapy: che cos'è?
Quando si parla di intervento di pet therapy non si intende un intervento terapeutico vero e proprio,
ma un'azione coterapeutica volta a facilitare l'efficacia degli interventi progettati, che renda gli
obiettivi da raggiungere più radicali, ampi, articolati ed efficaci e più efficace ed efficiente il
percorso terapeutico in atto nel suo insieme.
Secondo Marchesini (2015, p. 51), con azione di pet therapy "si [intende] un intervento di
sussidiarietà, volto ad accrescere le possibilità di miglioramento della persona e a diminuirne la
medicalizzazione". Spesso altri scopi sono il miglioramento del benessere in generale del paziente e
la facilitazione del percorso riabilitativo, altre volte il fornire un senso emozionale e
rappresentazionale diverso a ciò che il paziente sta vivendo nell'hic et nunc. Inoltre, altri benefici
possono essere apportati alle attività di riabilitazione fisica, grazie all'incremento del
coinvolgimento e della collaborazione del paziente. Anche i caregivers possono trarre vantaggi dalle
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attività con gli animali, soprattutto in aree d'intervento particolari, tramite un miglioramento del
tono emozionale del malato che arriva a rinforzare tutta la rete familiare, che solitamente deve
sopportare un grande carico emotivo per assistere il parente infermo.
1.1 Breve storia
1.1.1 Le origini
Gli animali venivano accostati alle pratiche mediche già nell'antico Egitto e nell'antica Grecia, ma è
grazie allo psicologo infantile William Turke, che dal 1792 spinse i suoi pazienti con patologie
psichiatriche a prendersi cura di animali e iniziò a utilizzare piccoli animali con i bambini, se oggi
siamo a conoscenza dell'importanza terapeutica della relazione uomo-animale. (Budstad, 1980)
Sulla sua scia, l'infermiera e benefattrice britannica Nightingale introdusse nel 1859
l'utilizzo di piccoli animali negli ospedali come compagni per i malati cronici. (Reginella e
Pergolini, 2009)
Altro passo importante è la fondazione nel 1867 del Bethel Hospital, a Bielefeld, in
Germania, centro di accoglienza per persone disabili che prevedeva la cura con l'ausilio di animali.
(Reginella e Pergolini, 2009)
In Francia, il medico Chessinge sperimentò l'ippoterapia su pazienti con problemi
neurologici, al fine di migliorarne l'equilibrio e il controllo posturale. (Fossati, 2003)
Terminata la Prima Guerra Mondiale, prima in Francia e poi negli USA, furono impiegati
animali a scopo assistenziale per far ritrovare serenità e affetto ai reduci che avevano riportato
scompensi psichici dalla guerra. (Reginella e Pergolini, 2009)
1.1.2 La nascita della pet therapy
Quelle appena citate sono tappe importanti nello sviluppo dell'idea di animale come
terapia/terapista, ma il primo ad aver esposto la teoria della pet therapy fu il neuropsichiatra
infantile statunitense Boris Levinson, che nel 1953 accidentalmente si dimenticò di far uscire il
proprio cocker Jingles durante una seduta con un suo paziente, un bambino affetto da una grave
forma di autismo. Il cane, alla vista del bambino, si alzò e iniziò a leccarlo; il piccolo si lasciò
annusare e toccò l'animale. Al termine della seduta, il giovane paziente manifestò il desiderio di
tornare dal medico per giocare con il cane, cosa che continuò ad avvenire durante gli incontri
successivi, con l'inserimento graduale dello psichiatra nei giochi del bambino con l'animale