4
vari organi amministrativi con particolare attenzione alle dinamiche dell’Assemblea
Elettiva.
Ma forse il movente principale che mi ha spinto a trattare delle elezioni amministrative del
2004 è stato il fatto di poter analizzare le tappe di avvicinamento alle elezioni in tempo
reale, descrivendo e narrando gli eventi politici che si succedevano senza possedere
ancora i risultati elettorali.
L’intento è proprio quello di leggere ed interpretare gli avvenimenti politici che sono
accaduti a partire dall’ottobre del 2003, mese in cui ho incominciato le mie ricerche,
proprio mentre questi si susseguono e cercare di fornirne possibili interpretazioni in chiave
elettorale ed infine di confrontarle con i risultati delle elezioni del 12 e 13 giugno.
Si è trattato di una sfida con me stesso o almeno con le mie capacità di analisi politica; per
fare questo oltre a studiare le fonti ufficiali e quelle scritte, di cui ho fatto ampio uso e che
ho riportato nella loro quasi totalità, mi sono rivolto ed ho intervistato moltissimi
protagonisti della vita politica varazzina: Sindaci, Consiglieri Comunali, Segretari di Partito
ed altri protagonisti della vita politica locale.
Questo mio lavoro si suddivide essenzialmente in tre parti: una prima parte in cui mi
occupo della Legge 81 in generale e dei suoi effetti sul sistema amministrativo italiano,
una seconda in cui racconto e confronto le legislature varazzine del 1985 e del 1990 con
quelle del 1995 e del 1999 le cui Amministrazioni sono state elette con il nuovo sistema
elettorale e sono disciplinate dalle norme delle Leggi 142/90 e 241/90 ed infine una terza
parte in cui descrivo il clima politico, gli avvenimenti amministrativi e la campagna
elettorale del 2004 con conseguente analisi dei risultati di quest’ultima tornata elettorale.
Un altro obbiettivo che mi sono posto è stato quello di cercare di fare un’analisi della vita
politica ed elettorale di un Comune partendo da un punto di vista interno, dal particolare al
generale, cercando di reperire quelle caratteristiche che fanno di Varazze un tipica realtà
locale italiana e quelle che la rendono invece particolare ed unica.
***
Ringrazio l’Amministrazione, nelle persone dei Sindaci Busso e Ghigliazza ed in
particolare l’Assessore Elsa Roncallo, il dott. Antonio Delfino e la sig.ra Alba Damele per la
completa disponibilità. Un grazie particolare al dott. Paolo Calcagno per l’aiuto che mi ha
dato nella rilettura del testo.
5
Parte prima
LA RIFORMA ELETTORALE DEL 1993
6
Capitolo primo
LA RIFORMA DEGLI ENTI LOCALI E L’ELEZIONE DIRETTA DEL SINDACO
La Legge 81 del 1993 segna indubbiamente uno spartiacque nella vita politica italiana non
solo a livello locale ma anche in ambito nazionale. Si può addirittura affermare che tale
normativa ha modificato anche l’approccio sociale dei cittadini alla vita e ai problemi
amministrativi, suscitando, in sede istituzionale, un dibattito sulla necessità di una riforma
elettorale a livello nazionale sulla scia di quella provinciale e comunale qui citata.
Gli eventi del periodo storico, in cui è maturata la riforma, sono stati un importante volano
per l’accelerazione delle istanze riformiste, che dopo i fatti inerenti al fenomeno di “Mani
Pulite” e la caduta della Prima Repubblica, hanno subito nuovi inputs, provenienti spesso
dallo stesso tessuto sociale del Paese.
La legge 81 è stata il risultato di un processo di modernizzazione dei sistemi amministrativi
locali, iniziato con la Legge “Bassanini” 142 del 1990, la Legge 241 del 1990 e la Legge
182 del 1991.
La legge 81 ha il merito di aver rivitalizzato la dimensione locale della politica, di aver
restituito alle Città il ruolo di soggetto politico autonomo e di aver dato nuova linfa al
dibattito sul modo di fare politica nelle democrazie rappresentative, sia a livello teorico sia
a livello mediatico e di diffusione delle notizie.
La novità più importante ed evidente di questa Legge, ma non certo la sola, è l’elezione
diretta del Sindaco che ha permesso -per la prima volta nel 1993- ai cittadini Italiani di
esprimere direttamente il Primo Cittadino del loro Comune.
Dopo dieci anni dall’introduzione, tuttavia, tale sistema elettorale può essere ancora
considerato in una fase di “rodaggio istituzionale”, tenendo presente il fatto che solo nel
1997 le Amministrazioni Pubbliche elette con il nuovo sistema si sono confrontate per la
seconda volta con le nuove regole.
Molti autori, i media e spesso anche i cittadini stessi hanno individuato in questa Legge
non una mera riforma elettorale, ma un importante strumento di rinnovamento politico e
sociale, che ha introdotto nel nostro Paese, che all’epoca attraversava una profonda crisi
politico-istituzionale, una nuova forma di governo inedita, che prevede contestualmente
all’elezione del Premier, quella dell’Assemblea e che modifica ed amplifica il rapporto
fiduciario tra le due parti, accrescendo i poteri e le prerogative dei Sindaci e dei Presidenti
di Provincia e riequilibrando quindi i rapporti tra questi ed il Consiglio Comunale o
Provinciale con l’introduzione del meccanismo di scioglimento degli organi elettivi ed il
rinvio a nuove elezioni in caso di mozione di sfiducia per la revoca del mandato
governativo, senza possibilità di sostituzione del Gabinetto.
La Legge 81 sostanzialmente modifica in senso “dualistico” la precedente normativa
espressa dalla Legge 142 del 1990: il ruolo politico ed amministrativo del Sindaco è
notevolmente accresciuto e la preminenza del Consiglio è ridimensionata a favore di un
Esecutivo più stabile e capace di decidere con maggiore autonomia, in quanto
espressione diretta del corpo elettorale e non, come in precedenza, emanazione dei
delicati e spesso mutevoli equilibri politici dell’Assemblea.
L‘applicazione di una riforma di così vasta portata sia politica sia sociale ha aperto,
soprattutto all’indomani della tornata elettorale del 1997, numerosi interrogativi sugli effetti
che tali mutamenti hanno prodotto: i fenomeni d’astensione, l’accresciuto Partito delle
schede bianche e di quello delle schede nulle, la proliferazione dei Partiti e la contrazione
delle candidature a Sindaco, la forza delle ricandidature dei Sindaci uscenti (incumbecy),
la duplice tendenza a pratiche elettorali di tipo maggioritario per l’elezione dei Premiers e
7
di tipo proporzionale per quella delle Assemblee, l’introduzione del voto disgiunto e le sue
conseguenze più imprevedibili e particolari, la nascita dei Partiti dei Sindaci e delle Liste
Civiche slegate dal panorama politico nazionale con conseguente perdita del ruolo
d’intermediazione politica dei Partiti ridotti al rango di “macchine elettorali”, il fenomeno del
voto strategico, la frammentazione dell’offerta elettorale, la progressiva personalizzazione
della campagna elettorale e delle alleanze elettorali difformi rispetto alle linee guida
nazionali.
Queste constatazioni hanno dato, e danno tuttora, adito a dibattiti ed hanno sollevano la
questione dei correttivi necessari a questo Testo di Legge, ma hanno prodotto anche
ricerche e studi sul mutamento delle abitudini e della cultura elettorale, legata
all’assimilazione delle nuove regole sia da parte degli attori politici che da parte degli
elettori.
Nelle pagine successive si affronteranno in dettaglio la legge stessa e i suoi effetti nelle
prime tornate elettorali in cui è stata applicata.
8
Capitolo secondo
LEGGE N. 81 DEL 25 MARZO 1993
La Legge n. 81 del 25 marzo 1993 nasce, su un disegno di Legge presentato alla Camera
dei Deputati (atto 72) dall’Onorevole Achille Occhetto e da Altri, il 23 aprile 1992.
La discussione ed elaborazione del progetto di Legge fu assegnato alla 1° (prima)
Commissione (Affari Costituzionali), in sede referente, il 4 luglio 1992 ed esaminata in più
sessioni nel corso dei mesi d’ottobre e novembre dello stesso anno.
La relazione scritta fu presentata all’Assemblea dal relatore On. Adriano Ciaffi il 20
novembre 1992 (atto 72/A) e la Camera dei Deputati, dopo numerose modifiche ed atti
(18), la ha approvata in un Testo Unificato il 28 gennaio 1993.
A questo punto l’iter legislativo ha portato il Progetto di Legge all’esame del Senato della
Repubblica come Atto 940 ed ha assegnato alla Commissione Affari Costituzionali, in
sede referente, il Testo Unificato approvato dalla Camera il 2 febbraio 1993, con pareri
delle Commissioni 2°, 5°, 8°, per le questioni regionali.
Il testo esaminato in aula nei primi 15 giorni di marzo fu approvato, con modifiche, il 16
marzo 1993.
Ritornato alla Camera dei Deputati fu assegnato lo stesso giorno alla 1° Commissione
Affari Costituzionali (atto 72/B) in sede referente.
La relazione scritta fu annunciata il 23 marzo dal relatore On. Ciaffi (atto72/C) ed
esaminata ed approvata con ulteriori modifiche, il giorno seguente.
Il Senato della Repubblica (atto 840/B), dopo l’esame della 1° Commissione, approvò il
testo definitivo il 25 marzo del 1993.
La legge consta di 36 articoli suddivisi in quattro capi:
Capo I: elezione degli organi comunali e provinciali
In questa prima parte la Legge stabilisce la nuova composizione dei Consigli Comunali in
base alle dimensioni demografiche delle Città, introducendo una sostanziale riduzione
degli effettivi dei Consigli e il principio -nuovo per il sistema italiano- della disparità dei
membri dell’Assemblea Consigliare.
Fissa la durata del mandato del Sindaco, del Presidente Provinciale, dei Consigli ed i limiti
di tali mandati.
Poi vengono fissati i criteri per la sottoscrizione delle Liste e le date di svolgimento delle
elezioni.
Nell’articolo 5 vengono sanciti i criteri per l’elezione del Sindaco e del Consiglio Comunale
nei Comuni con meno di 15.000: l’elezione dei Consiglieri Comunali avviene con sistema
maggioritario, contestualmente all’elezione del Sindaco che avviene a turno unico.
Ogni candidatura alla carica di Sindaco deve essere collegata ad una Lista, e una sola, di
candidati alla carica di Consigliere Comunale, comprendente un numero di candidati non
superiore al numero di Consiglieri da eleggere e non inferiore ai tre quarti ed in cui
nessuno dei due sessi di norma è rappresentato in misura superiore ai due terzi.
Questa norma relativa alla rappresentanza per sessi è stata successivamente abrogata
perché ritenuta anticostituzionale dalla Corte Costituzionale e si è tuttora in attesa di una
di una nuova normativa che disciplini questa materia anche in ambito locale dopo
l’approvazione delle modifiche alle Leggi elettorali che concernono le elezioni europee e
nazionali.
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Ogni elettore può esprimere, oltre al voto per il candidato Sindaco, una preferenza per un
candidato alla carica di Consigliere Comunale compreso nella Lista collegata al candidato
prescelto.
E’ proclamato eletto Sindaco il candidato che ha ottenuto il maggior numero di voti. Alla
Lista collegata al Sindaco vincente sono attribuiti due terzi dei seggi in Consiglio
Comunale, I restanti seggi sono ripartiti proporzionalmente fra le altre Liste. Nell'ambito
d’ogni Lista, i candidati sono proclamati eletti Consiglieri Comunali secondo l'ordine delle
rispettive cifre individuali, Il primo seggio spettante a ciascuna Lista di minoranza è
attribuito al candidato alla carica di Sindaco della Lista medesima.
Nell’articolo 6, si passa alla definizione delle regole per elezione del Sindaco nei Comuni
con popolazione superiore a 15.000 abitanti.
Contrariamente alle elezioni in Comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti, nelle
Città di taglia superiore ciascun candidato alla carica di Sindaco deve dichiarare all'atto
della presentazione della candidatura, il collegamento con una o più Liste presentate per
l'elezione del Consiglio Comunale.
La dichiarazione ha efficacia solo se convergente con analoga dichiarazione resa dai
delegati delle Liste interessate.
La scheda elettorale reca i nomi e cognomi dei candidati a Sindaci e al loro fianco i
contrassegni delle Liste con cui i vari candidati sono collegati.
E’ proclamato eletto Sindaco il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti
validi. Qualora nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta, si procede ad un
secondo turno elettorale che ha luogo la seconda domenica successiva a quella del primo.
Sono ammessi al secondo turno i due candidati alla carica di Sindaco che hanno ottenuto
al primo turno il maggior numero di voti.
I candidati ammessi al ballottaggio hanno facoltà, entro sette giorni dalla prima votazione,
di dichiarare il collegamento con ulteriori Liste rispetto a quelle con cui era stato effettuato
il collegamento nel primo turno.
Dopo il secondo turno è proclamato eletto Sindaco il candidato che ha ottenuto il maggior
numero di voti validi.
L’elezione del Consiglio Comunale nei comuni con popolazione superiore a 15.000
abitanti, è disciplinata dall’articolo 7: Il voto alla Lista viene espresso, tracciando un segno
sul contrassegno della Lista prescelta. Ciascun elettore può esprimere inoltre, un voto di
preferenza per un candidato della Lista da lui votata, scrivendone il cognome sull'apposita
riga posta a fianco del contrassegno.
Qualora un candidato alla carica di Sindaco sia proclamato eletto al primo turno, alla Lista
o al gruppo di Liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, almeno il 60% dei
seggi del Consiglio ma abbia superato il 50% dei voti validi, viene assegnato il 60% dei
seggi. Qualora un candidato alla carica di Sindaco sia proclamato eletto al secondo turno,
alla Lista o al gruppo di Liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, almeno il
60% dei seggi del Consiglio, viene assegnato il 60% dei seggi, semprechè nessun’altra
Lista o altro gruppo di Liste collegate abbia già superato nel primo turno il 50% dei voti
validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre Liste o gruppi di Liste collegate con
criterio proporzionale.
Una volta determinato il numero dei seggi spettanti a ciascuna Lista o gruppo di Liste
collegate, sono in primo luogo proclamati eletti alla carica di Consigliere i candidati alla
carica di Sindaco, non risultati eletti, collegati a ciascuna Lista che abbia ottenuto almeno
un seggio. In caso di collegamento di più Liste al medesimo candidato alla carica di
Sindaco risultato non eletto, il seggio spettante a quest'ultimo è detratto dai seggi
complessivamente attribuiti al gruppo di Liste collegate; sono proclamati eletti Consiglieri
Comunali i candidati di ciascuna Lista secondo l'ordine delle rispettive cifre individuali.
10
A questo punto si procede ad enumerare le norme e le modalità d’elezione del Presidente
della Provincia; l’articolo 8 recita che Il Presidente della Provincia è eletto a suffragio
universale e diretto, contestualmente all’elezione del Consiglio Provinciale.
La circoscrizione per l'elezione del Presidente della Provincia coincide con il territorio
provinciale.
La normativa fissa, poi, i criteri per la presentazione delle Liste dei candidati al Consiglio
Provinciale ed i collegamenti tra i candidati alla Presidenza e le Liste stesse.
La scheda per l'elezione del Presidente della Provincia è quella stessa utilizzata per
l'elezione del Consiglio e reca, alla destra del nome e cognome di ciascun candidato alla
carica di Presidente, il contrassegno o i contrassegni del gruppo o dei gruppi di candidati
al Consiglio cui il candidato ha dichiarato di collegarsi. Alla destra di ciascun contrassegno
è riportato il nome e cognome del candidato al Consiglio Provinciale facente parte del
gruppo di candidati contraddistinto da quel contrassegno.
Ciascun elettore può esprimere un unico voto per un candidato alla carica di Presidente
della Provincia e per uno dei candidati al Consiglio Provinciale ad esso collegato,
tracciando un segno sul relativo contrassegno.
E' proclamato eletto Presidente della Provincia il candidato che ottiene la maggioranza
assoluta dei voti validi.
Qualora nessun candidato ottenga la maggioranza assoluta dei voti, si procede ad un
secondo turno elettorale che ha luogo la seconda domenica successiva a quella del primo.
Sono ammessi al secondo turno i due candidati alla carica di Presidente della Provincia
che hanno ottenuto al primo turno il maggior numero di voti validi.
Come per l’elezione del Sindaco anche i candidati a Presidente della Provincia al secondo
turno possono collegarsi con ulteriori gruppi di candidati rispetto a quelli con cui è stato
effettuato il collegamento al primo turno, tali collegamenti sono validi solo se convergenti
con analoga dichiarazione resa dai delegati dei gruppi interessati.
Dopo il secondo turno è proclamato eletto Presidente della Provincia il candidato che ha
ottenuto il maggior numero di voti validi, in caso di parità di voti, come per la carica di
Sindaco anche per le elezioni provinciali, è proclamato eletto Presidente della Provincia il
candidato collegato con il gruppo o i gruppi di candidati per il Consiglio Provinciale che
abbiano conseguito la maggiore cifra elettorale complessiva. A parità di cifra elettorale, è
proclamato eletto il candidato più anziano d’età.
Per quanto riguarda il Consiglio Provinciale, l’elezione dei Consiglieri Provinciali è
effettuata sulla base di collegi uninominali. Per l'assegnazione dei seggi a ciascun gruppo
di candidati collegati, si divide la cifra elettorale conseguita da ciascun gruppo di candidati
successivamente per 1, 2, 3, 4, .. sino a concorrenza del numero di Consiglieri da
eleggere. Quindi tra i quozienti cosi ottenuti si scelgono i più alti, in numero eguale a
quello dei Consiglieri da eleggere, disponendoli in una graduatoria decrescente.
A ciascun gruppo di candidati sono assegnati tanti rappresentanti quanti sono i quozienti
ad esso appartenenti compresi nella graduatoria.
Qualora il gruppo o i gruppi di candidati collegati al candidato proclamato eletto Presidente
della Provincia non abbiano conseguito almeno il 60% dei seggi assegnati al Consiglio
Provinciale, a tale gruppo o gruppi di candidati viene assegnato il 60% dei seggi.
I restanti seggi sono attribuiti agli altri gruppi di candidati con criterio proporzionale.
Una volta determinato il numero dei seggi spettanti a ciascun gruppo di candidati, sono in
primo luogo proclamati eletti alla carica di Consigliere i candidati alla carica di Presidente
della Provincia non risultati eletti, collegati a ciascun gruppo di candidati che abbia
ottenuto almeno un seggio. Sono proclamati eletti Consiglieri Provinciali i candidati di
ciascun gruppo secondo l'ordine delle rispettive cifre individuali.
11
La Legge procede fissando le norme per l’elezione dei Consigli Circoscrizionali e quelle
che fissano la durata dello svolgimento delle elezioni che viene ridotta ad un solo giorno,
di domenica, dalle ore 7 alle ore 22.
Capo II: competenze degli organi comunali e provinciali
Il secondo capo della Legge fissa i nuovi poteri e le prerogative degli amministratori
comunali e provinciali estendendo, soprattutto ai Sindaci ed ai Presidenti della Provincia,
capacità decisionali e d’azione prima sconosciute, accentuandone le responsabilità e i
poteri di controllo sugli altri organi sia politici sia amministrativi.
Gli articoli di questo capo spesso sostituiscono o integrano le disposizioni in materia della
Legge 142 dell’8 giugno 1990.
L’articolo 12 recita che Il Sindaco e il Presidente della Provincia sono gli organi
responsabili dell'amministrazione del Comune e della Provincia, rappresentano l’Ente,
convocano e presiedono la Giunta, ed il Consiglio laddove non è previsto per legge il
Presidente del Consiglio e soprintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici ed
all’esecuzione degli atti.
Nei Comuni con più di 15.000 e nelle Province la Legge prevede che il Consiglio elegga
un Presidente dell’Assemblea che la riunisce e la presiede.
Nei Comuni con meno di 15.000 abitanti è il Sindaco che presiede il Consiglio Comunale
ma il Testo Unico sulle Autonomie Locali
prevede la facoltà per questi Comuni di inserire
nel proprio Statuto la figura del Presidente del Consiglio.
Il Sindaco ed il Presidente della Provincia nomina, designa e revoca, sulla base degli
indirizzi del Consiglio, i rappresentati del Comune e della Provincia presso i vari enti, le
istituzioni e le aziende, tali nomine devono avvenire entro 45 giorni dall’insediamento,
ovvero entro la scadenza del precedente mandato. Nominano, anche i responsabili degli
uffici e dei servizi, definiscono gli incarichi dirigenziali e quelli di collaborazione esterna
(art. 13).
La prima seduta del Consiglio Comunale e Provinciale deve essere convocata entro il
termine di dieci giorni dalla proclamazione e deve tenersi entro il termine di dieci giorni
dalla convocazione (art. 40.T.U. decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000).
Il Sindaco ed il Presidente della Provincia nominano i componenti della Giunta, tra cui un
Vicesindaco ed un Vicepresidente, che sono comunicati al Consiglio durante la prima
seduta e stabiliscono gli indirizzi generali di governo che sono successivamente discussi
ed approvati in sede di Consiglio.
Il Sindaco può revocare uno o più Assessori dandone motivata comunicazione al Consiglio
(art. 16).
Il Consiglio Comunale è presieduto, nei Comuni con più di 15.000 abitanti, da un
Presidente del Consiglio eletto dai Consiglieri stessi, mentre in quelli più piccoli, è
presieduto dal Sindaco o da un Presidente nei casi in cui lo Statuto Comunale lo prevede
(art. 39.T.U. decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000).
In seduta ordinaria, Il Consiglio Comunale è riunito dal Presidente del Consiglio entro e
non oltre 20 giorni, qualora lo richiedano un quinto dei Consiglieri, o il Sindaco stesso e ne
redige l’ordine del giorno in base alle questioni richieste (art. 14).
Dopo aver fissato le competenze delle Giunte, la Legge introduce con l’Articolo 18 una
delle novità più importanti e significative di questo testo: la mozione di sfiducia risolutiva.
La mozione di sfiducia assume dunque un valore risolutivo rispetto alla legislazione
precedente e la legge mira a generare un uso più accorto e cosciente di tale strumento.
12
La mozione di sfiducia deve essere presentata, motivata e sottoscritta da almeno due
quinti dei Consiglieri e deve essere discussa non prima di dieci e non oltre trenta giorni
dalla sua presentazione, deve essere votata per appello nominale dalla maggioranza
assoluta dei componenti del Consiglio.
Se la mozione viene approvata il Sindaco, il Presidente della Provincia e le rispettive
Giunte cessano dalla carica ed automaticamente si procede allo scioglimento del
Consiglio stesso e alla nomina di un Commissario che ha il cui compito di pilotare
l’Amministrazione a nuove elezioni nel primo turno elettorale amministrativo utile previsto
dalla Legge.
Tale procedura si segue anche nei casi di cessazione dalla carica per dimissioni
contestuali, ovvero rese anche con atti separati, purché contemporaneamente presentati
al protocollo dell'Ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine
il Sindaco o il Presidente della Provincia, nei casi d’impossibilità di surroga della metà dei
componenti del Consiglio e quando non sia approvato nei termini il bilancio, in questa
ipotesi, trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia
stato predisposto dalla Giunta il relativo schema, l'Organo Regionale di Controllo nomina
un Commissario affinché lo predisponga d'ufficio per sottoporlo al Consiglio. In tal caso, e
comunque quando il Consiglio non abbia approvato nei termini di Legge lo schema di
bilancio predisposto dalla Giunta, l'Organo Regionale di Controllo assegna al Consiglio,
con lettera notificata ai singoli Consiglieri, un termine non superiore a 20 giorni per la sua
approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito Commissario,
all'Amministrazione inadempiente.
Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al Prefetto che inizia la procedura per
lo scioglimento del Consiglio (art. 141.T.U. decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000).
In caso di dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso del
Sindaco o del Presidente della Provincia, la Giunta decade e si procede allo scioglimento
del Consiglio che tuttavia rimangono in carica espletando funzioni di sola ordinaria
amministrazione fino alla prima tornata elettorale utile.
Sino alle predette elezioni, le funzioni del Sindaco e del Presidente della Provincia sono
svolte, rispettivamente, dal Vicesindaco e dal Vicepresidente, i quali le svolgono anche in
caso d’assenza o d’impedimento temporaneo.
Le dimissioni del Sindaco o del Presidente della Provincia diventano irrevocabili dopo venti
giorni dalla loro presentazione in Consiglio (art 20).
Nei Consigli Provinciali, Comunali e Circoscrizionali il seggio che durante il quadriennio
rimanga vacante, anche temporaneamente, per qualsiasi causa, anche se sopravvenuta,
è attribuito al candidato che nella medesima Lista segue immediatamente l'ultimo eletto
(art 22).
L’articolo 23, poi, fissa la composizione delle Giunte a seconda della taglia elettorale dei
Comuni.
La Giunta è sempre composta da un numero pari d’Assessori più il Sindaco o il Presidente
della Provincia, che ne sono anche i Presidenti.
Il Sindaco ed il Presidente della Provincia hanno facoltà di nominare gli Assessori anche al
di fuori dei membri del Consiglio.
Nei Comuni con più di 15.000 abitanti e nelle Province le cariche d’Assessore e di
Consigliere Comunale o Provinciale sono incompatibili. Qualora un Consigliere Comunale
o Provinciale assuma la carica d’Assessore nella rispettiva Giunta, cessa dalla carica di
Consigliere all'atto dell'accettazione della nomina ed al suo posto subentra il primo dei non
eletti.
Il capo II termina sancendo i divieti al Sindaco e al Presidente della Provincia, nonché agli
Assessori e ai Consiglieri Comunali e Provinciali di ricoprire incarichi e assumere
13
consulenze presso enti ed istituzioni dipendenti o comunque sottoposti al controllo e alla
vigilanza dei relativi Comuni e Province (art 26).
L’articolo 27 ricorda che gli Statuti Comunali e Provinciali possono stabilire norme per
assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e per promuovere la presenza
di entrambi i sessi nelle Giunte e negli organi collegiali del Comune e della Provincia,
nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti.
Capo III: norme sulla campagna elettorale
Dall’articolo 28 vengono regolate le modalità d’accesso alla stampa ed ai mezzi
d’informazione radiotelevisiva nei trenta giorni antecedenti alla tornata elettorale da parte
dei candidati a tutte le cariche e degli appartenenti a tutte le Liste.
Gli editori di giornali e di periodici, i concessionari ed i titolari d’autorizzazioni esercenti
attività di diffusione radiotelevisiva che intendano diffondere a mezzo stampa o
trasmettere a qualsiasi titolo propaganda elettorale nei Comuni e nelle Province
interessate alla consultazione elettorale devono riconoscere a tutti i candidati ed a tutte le
Liste partecipanti alla consultazione elettorale, l'accesso agli spazi di propaganda in
condizioni di parità tra loro, sia in termini di modi, tempi e tariffe.
L’articolo 29 fissa le norme per la propaganda elettorale in tema d’affissioni a mezzo di
manifesti e scritti murali, stampati murali e giornali murali, è invece vietata la propaganda
elettorale a mezzo d’inserzioni pubblicitarie su quotidiani o periodici, spot pubblicitari e
ogni altra forma di trasmissioni pubblicitarie radiotelevisive.
Sono esclusi da tale divieto gli annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze, discorsi o
interventi comunque denominati, le pubblicazioni di presentazione dei candidati alla carica
di Sindaco o di Presidente della Provincia e delle Liste partecipanti alla consultazione
elettorale, la presentazione ed illustrazione dei loro programmi elettorali.
Tutte le pubblicazioni di propaganda elettorale devono, comunque, indicare il nome del
committente responsabile.
L’articolo 30 fissa le regole inerenti la pubblicità delle spese elettorali, fissando, per i
Comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, l’obbligo statutario e le modalità
regolamentari per presentare una dichiarazione preventiva ed un rendiconto delle spese
per la campagna elettorale dei candidati e delle Liste alle elezioni locali.
Nei Comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti, il deposito delle Liste o delle
candidature deve comunque essere accompagnato dalla presentazione di un bilancio
preventivo di spesa cui le Liste ed i candidati intendono vincolarsi. Tale documento deve
essere reso pubblico tramite affissione all'Albo Pretorio del Comune.
Allo stesso modo deve essere altresì reso pubblico, entro trenta giorni dal termine della
campagna elettorale, il rendiconto delle spese dei candidati e delle Liste.
14
Capo IV: norme transitorie e finali
Questi articoli fissano le indennità degli amministratori locali e sanciscono la facoltà dei
Consigli Comunali e Provinciali di deliberare l’aumento e l’adeguamento di tali indennizzi
fino al doppio di quelli previsti dalle tabelle della legge 816 del 27 dicembre 1985.
Le indennità di presenza dei Consiglieri Comunali e Provinciali determinate ai sensi della
citata Legge possono essere aumentate fino al 50%.
Le norme contenute nel capo due di questa Legge si applicano a partire dalle prime
elezioni effettuate ai sensi della presente Legge (art. 32).
I Comuni e le Province adeguano il proprio Statuto alle nuove disposizioni entro dodici
mesi dalla data d’entrata in vigore della presente Legge. Decorso tale periodo, le norme
statutarie in contrasto con la presente Legge sono da considerarsi prive d’ogni effetto (art.
33).
Tutte le norme di questa Legge sono da ritenersi applicabili alle Regioni a statuto speciale
ed alle Province di Trento e Bolzano (art. 35).
La Legge 81 fu successivamente modificata dalla Legge 120 del 30 aprile 1999
allungando il mandato del Presidenti delle Province e dei Sindaci da quattro a cinque anni
1
e consentendo un terzo mandato consecutivo se uno dei due mandati precedenti ha avuto
durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni
volontarie
2
.
La Legge 120 ha anche modificato gli articoli sette e sette bis riducendo dal 50% al 40%
dei voti validi il limite al di sopra del quale, per quanto riguarda le Liste vincenti al primo
turno, viene assegnato il 60% dei seggi, sempreché nessuna altra Lista o altro gruppo di
Liste collegate abbia superato il 50% dei voti validi
3
ed escludendo dall’assegnazione dei
seggi le Liste che al primo turno abbia ottenuto meno del 3% dei voti validi
4
sia per quanto
riguarda le elezioni Comunali sia per le elezioni Provinciali.
La Legge fu successivamente integrate dal Regolamento Attuativo D.P.R. numero 132 del
1993 e inserita nel Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali, Decreto
Legislativo 267 del 2000, attribuendo agli amministratori quella potestà e quella libertà di
azione che mancavano nel precedente sistema.
1
Comma modificato dall'Articolo 7, comma 1, L. 30/4/99 n. 120
2
Comma modificato dall'Articolo 2 L.30/4/99 n. 120
3
Modificato dall'Articolo 1, comma 1 L. 30/4/99 n. 120;
4
Articolo aggiunto dall'Articolo 5 L. 30/4/99 n. 120
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Capitolo terzo
LA PROVA DELLE URNE
La prima applicazione pratica della Legge 81 del 1993 ebbe luogo nella tornata elettorale
della primavera del medesimo anno ed interessò una consistente fetta dell’elettorato
italiano e numerosi grandi centri tra cui Roma, Milano, Genova, Napoli, Venezia e
Palermo.
I risultati elettorali di quella consultazione ed ancora più evidentemente quelli del 1997, in
cui le Città sopraccitate si presentarono alle urne per la seconda volta con le nuove regole
elettorali, generarono dibattiti e studi sugli effetti di tale riforma, non senza destare alcune
sorprese e risvolti imprevisti di cui tratterò in seguito.
Gli scopi della riforma elettorale
Come abbiamo già accennato, la riforma elettorale locale è intervenuta in una fase storica
di particolare delicatezza per l’intero sistema politico nazionale ed ha fornito, fin dalla sua
prima applicazione nel 1993, una nuova e decisiva prospettiva alla crisi dei Partiti che
drammaticamente si era manifestata nelle varie consultazioni elettorali e referendarie del
biennio 90-92, ed in seguito alle vicende giudiziarie di “tangentopoli”.
Uno degli aspetti più significativi emersi dalla prima prova elettorale è l’accento posto sulla
personalizzazione della competizione tra i Sindaci ed i Presidenti della Provincia ed il
processo di ricollocazione dei Partiti in un sistema tendenzialmente maggioritario e
bipolare.
La legge 81 del 25 marzo del 1993 fu utilizzata come una risorsa istituzionale, che non
solo andava a colmare le lacune di un sistema amministrativo in evidente stato di impasse
ed inefficace sul piano funzionale, ormai incapace di fare fronte alle crescenti richieste
provenienti dal tessuto sociale locale, ma anche come strumento di soluzione ad
un’evidente crisi di legittimazione del ceto politico sia locale sia soprattutto nazionale.
La riforma ha introdotto nel sistema amministrativo italiano una nuova forma di governo
che potremmo definire dualistica, ha accresciuto la stabilità degli esecutivi, garantendo
maggioranze consiliari più sicure, ha aumentato prerogative e responsabilità dei Sindaci e
dei Presidenti della Provincia.
Ha spostato la struttura dell’Amministrazione locale, che si fondava sulla preminenza
istituzionale del Consiglio, verso una forma neoparlamentare che si basa sull’elezione
diretta del Premier (modello presidenziale) contestuale a quella dell’Assemblea (modello
parlamentare tradizionale) e sulla permanenza del rapporto fiduciario tra Istituzione
rappresentativa e Governo, ma con possibilità di approvazione di una mozione di sfiducia
per la revoca del mandato governativo, senza sostituzione del Gabinetto, ma con
conseguente scioglimento automatico degli organi elettivi e rinvio a nuove elezioni.
Il mandato popolare dunque è rimesso nelle mani di due soggetti, il Sindaco ed il Consiglio
Comunale che seppur con prerogative differenti, concorrono all’elaborazione della politica
amministrativa. La funzione propositiva spetta al Sindaco, mentre le concrete proposte di
governo devono ottenere l’approvazione dell’Assemblea ma dissensi tra i due organi non
comportano la caduta della Giunta che può avvenire solo con esplicita votazione per
appello nominale ed a maggioranza assoluta di una mozione di sfiducia.
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Nell’ordinamento precedente l’operato del Sindaco era condizionato da molteplici elementi
di incertezza primo fra tutti la facilità con cui potevano mutare le Maggioranze Consiliari
anche per effetto dello spostamento di un solo voto, che poteva risultare determinante per
la caduta di una Giunta; crisi che spesso si risolvevano all’interno della Maggioranza
stessa non per motivi di mutamento di indirizzo politico ma semplicemente per logiche di
rimpasto della Giunta con assegnazioni delle cariche di Assessore e Sindaco a compagini
politiche differenti o addirittura all’interno di differenti correnti del medesimo Partito.
Inoltre gli Assessori, eletti in seno all’Assemblea, avevano un potere politico pari a quello
del Sindaco, al quale potevano imporre le loro scelte che sarebbero state prerogativa del
solo Sindaco e rispetto alle quali era anche responsabile giuridicamente.
Altro rischio a cui erano sottoposte le Giunte consisteva nelle pressioni esterne provenienti
dalle Segreterie dei Partiti, nell’ottica di “equilibri” a livello provinciale, regionale o
addirittura nazionale nel caso di Comuni di grandi dimensioni.
Il pregio della riforma del 1993 è stato quello di svincolare e rendere indipendenti le
Amministrazioni Locali, per l’intera durate del mandato, dalle incertezze e dalle instabilità
sia interne che esterne e di affidare completamente al giudizio popolare la designazione
del responsabile dell’esecutivo.
Tale rafforzamento della stabilità amministrativa ha così contribuito ad accrescere la forza
delle Autonomie Locali e a rendere più coerente al programma elettorale l’esercizio del
potere locale e l’operato degli Esecutivi sia Comunali che Provinciali.
Contemporaneamente tale mutamento ha incrementato la visibilità personale dei Sindaci e
dei Presidenti delle Province e li ha resi maggiormente responsabili, di fronte all’opinione
pubblica ed all’elettorato, delle loro scelte politiche ed amministrative.
L’elezione diretta del Sindaco ne ha fatto un soggetto politico forte, anche se in un’ottica
nazionale molto accentratrice si rivela ancora debole amministrativamente, soprattutto in
funzione della limitata capacita fiscale e finanziaria delle Amministrazioni Locali in esame.
Il punto focale del nuovo modello istituzionale è dunque l’investitura diretta del Capo del
governo locale, ma in sede di elaborazione della Legge le proposte furono le più disparate
e numerose; vennero presentate all’esame della Commissione Parlamentare addirittura 19
proposte di legge.
Alcune prevedevano una soluzione di tipo “presidenzialistico” con una scelta del Primo
Cittadino parallela e svincolata rispetto alla competizione elettorale tra le Liste per
l’assegnazione dei seggi in Consiglio Comunale.
Altre, al contrario, attribuivano all’elettorato solo la designazione iniziale del vertice di
governo, prevedendo l’investitura a Sindaco per il Capolista del gruppo risultato vincente.
Ma tale sistema avrebbe ancora sottoposto il Sindaco e la Giunta al giudizio
dell’Assemblea ed alla spada di Damocle della sfiducia costruttiva.
Così tra le varie possibilità si è cercato di elaborare un sistema che garantisse, attraverso
premi di maggioranza, lo scrutinio maggioritario di Lista e l’introduzione di soglie di
sbarramento esplicite, stabilità e governabilità all’esecutivo nominato dal Premier eletto
con il suffragio popolare.
Oltre tutto questa riforma elettorale di tipo maggioritario si rifaceva ad esperienze passate
del sistema elettorale locale italiano e più precisamente alle Leggi approvate, nel 1951, su
proposta del ministro degl’Interni Scelba, per l’elezione dei Consigli Comunali e Provinciali.
Tale proposta si riconduceva al criterio dualistico che prevedeva un sistema strettamente
proporzionale per gli organi elettivi nazionali e un sistema maggioritario per le
amministrazioni locali.
Il sistema del 1951 prevedeva, per i Consigli dei Comuni con oltre 10.000 abitanti, un
premio di maggioranza da suddividersi tra le Liste collegate, che avessero raggiunto la
maggioranza relativa dei voti.
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La Legge 81 del 1993 ha realizzato un dualismo “attenuato e convergente” rispetto a
quello “conflittuale” del sistema elettorale Siciliano del 1992.
Per i Consigli Provinciali e per quelli dei Comuni di minori dimensioni demografiche si
attua pienamente il principio maggioritario: la maggioranza dei seggi in Assemblea spetta
alla Lista o ai gruppi di candidati nei collegi uninominali per le Province, collegati al
Sindaco o al Presidente eletto. In entrambi i casi l’elettore ha a disposizione un unico voto,
con duplice effetto: valevole sia per il Sindaco che per la Lista che lo sostiene e nel caso
dell’elezioni provinciali il voto per i candidati dei collegi uninominali viene automaticamente
riversato sul candidato alla presidenza ad essi collegato.
Nei Comuni fino a 15.000 abitanti è eletto Sindaco il candidato più votato con semplice
maggioranza dei voti validamente espressi, alla Lista collegata vanno i due terzi dei seggi,
il restante terzo viene riPartito proporzionalmente fra tutte le altre Liste applicando la
formula di Hondt o metodo del divisore.
Per l’elezione del Presidente della Provincia è necessario, invece, il conseguimento della
maggioranza assoluta dei voti validi, qualora questa non sia raggiunta si procede ad un
turno di ballottaggio tra i due candidati maggiormente votati.
Alle Liste collegate al candidato vincente vengono attribuiti i tre quinti dei seggi, da
suddividersi successivamente col metodo d’Hondt tra i diversi gruppi della coalizione.
La graduatoria degli eletti all’interno di ciascun gruppo segue l’ordine delle cifre individuali.
Nei Comuni con più di 15.000 abitanti, invece, è consentito all’elettore di esprimere un
doppio voto, per il Sindaco e per il Consiglio Comunale, potendosi, quindi produrre un
risultato differenziato con una maggioranza consigliare difforme dall’orientamento politico
del Sindaco eletto.
L’elettore dispone di una sola scheda elettorale in cui sono indicati, oltre al nome del
candidato a Sindaco, i simboli delle che lo sostengono. Ogni voto espresso
esclusivamente per una Lista, senza indicazione della scelta per il Sindaco, si considera
automaticamente attribuito al candidato Sindaco ad essa collegato. Tuttavia è data facoltà
all’elettore di differenziare il proprio voto indicando una preferenza per il Consiglio
Comunale ed un candidato a Sindaco appartenenti a schieramenti contrapposti (voto
disgiunto), o indicare solamente la scelta del candidato Sindaco senza esprimersi per
l’Assemblea (voto parziale).
In questi Comuni, il Sindaco è eletto a maggioranza assoluta dei voti con eventuale turno
di ballottaggio tra i due candidati più votati.
Il voto per il Consiglio Comunale si svolge invece in un turno unico, ed ai gruppi che
sostengono il candidato Sindaco eletto spettano i tre quinti dei seggi disponibili da ripartirsi
con il metodo del divisore.
Il premio di maggioranza non viene attribuito se, al primo turno, nessuna Lista o coalizione
di Liste abbia ottenuto la maggioranza dei voti validi, e si procede alla ripartizione
proporzionale dei seggi.
La ripartizione proporzionale dei seggi avviene anche nel caso dell’elezione del Sindaco al
primo turno qualora, nell’elezione del Consiglio Comunale, la Lista o le Liste ad esso
collegate non abbiano raggiunto la maggioranza assoluta dei voti. Tale manifesta
espressione del dissenso verso le Liste sostenitrici del candidato Sindaco eletto, secondo
il Legislatore, le priva del diritto di ottenere il premio di maggioranza, secondo la volontà
popolare espressa con il cosiddetto “voto disgiunto”.