10
L’attenzione, dopo una elencazione e spiegazione sintetica dei vari metodi
utilizzati nella pratica aziendale, si concentra sull’analisi dei brevetti, che attualmente
assumono un’importanza preminente. Del brevetto verranno evidenziati gli aspetti
positivi e quelli negativi, nonché le problematiche legate al brevetto che sorgono
durante la fase di allocazione tra i partner dell’alleanza dei diritti di proprietà
intellettuale dell’innovazione sviluppata.
Si proporrà infine un’analisi empirica che evidenzierà le caratteristiche delle
aggregazioni e le particolarità rilevate all’interno di un settore, quello biomedico, che è
stato oggetto di studio.
Verranno illustrate le caratteristiche del settore e poi, attraverso l’analisi dei dati,
si rileveranno le caratteristiche principali dei brevetti utilizzati, la loro qualità e con
questa la proficuità dell’attività di collaborazione dalla quale è scaturito. Sarà poi
analizzato anche il comportamento dei soggetti che hanno concorso all’innovazione e le
preferenze che questi esprimono in merito ad un partner piuttosto che un altro.
11
2. Le alleanze per l’innovazione
Storicamente, le imprese hanno puntato ad organizzare l’attività di ricerca e
sviluppo internamente ed hanno optato per il ricorso all’esterno solo per progetti di
scarsa rilevanza strategica. I benefici potenziali derivanti dalla scelta d’investire
sull’accrescimento interno ed esclusivo delle competenze, necessarie all’attività
innovativa, sono stati messi in relazione all’esigenza di eliminare il rischio di
comportamenti opportunistici di eventuali partner, ed alla necessità di costruire
competenze e conoscenze tacite interne all’impresa.
Tuttavia sulla base di valutazioni opposte, l’impresa può ritenere utile acquisire
tecnologia esternamente, sul mercato, attraverso differenti percorsi quali, ad esempio,
l’acquisto di una concessione o di un brevetto, l’assunzione di personale specializzato e
formato presso altre entità, l’acquisizione di un’impresa o di parte di essa, la
collaborazione con enti di ricerca o Università.
Mentre nel passato la scelta tra strategie innovative volte a privilegiare lo
sviluppo all’interno delle conoscenze specialistiche necessarie all’innovazione (make), e
strategie innovative volte a privilegiarne l’acquisizione sul mercato (buy), sono state
percepite come alternative (make or buy), le dinamiche competitive in atto hanno
portato, nel corso degli anni, alla valorizzazione di forme ibride d’integrazione. Da una
parte, infatti, si sta sempre più evidenziando il ruolo delle fonti esterne di conoscenza
nell’ideazione e nello sviluppo di processi innovativi d’impresa e, dall’altra parte, si
rileva la criticità dell’internalizzazione da parte dell’impresa di tale conoscenza
“diffusa”. In altri termini, le scelte se sviluppare all’interno o acquistare all’esterno le
competenze necessarie ad attivare processi innovativi sono sempre più percepite come
scelte complementari, ovvero scelte di make and buy, che, se adeguatamente integrate e
combinate, incrementano le possibilità di successo delle imprese (Cassiman e
Veugelers, 20061).
Lungo questa prospettiva, l’innovazione è sempre più un processo aperto,
definito open innovation, che si arricchisce e si fonda su di una complessa
combinazione di conoscenze e competenze sia di provenienza interna che esterna alla
singola impresa (Chesbrough, 20032).
In un passato non troppo remoto la logica della closed innovation era
tacitamente ritenuta la via migliore per acquisire le nuove idee dal mercato. Le imprese
che investivano più intensamente nella ricerca e sviluppo rispetto ai concorrenti
avevano maggiori possibilità di scoprire un più grande numero di idee e introdurle sul
mercato per primi. Il ciclo dell’innovazione si basava quindi quasi esclusivamente sulla
ricerca interna.
1
Cassiman B., Veugelers R. - In search of complementarity in innovation strategy: Internal R&D,
cooperation in R&D and external technology acquisition - Management Science; 2006; 52; 1
2
Chesbrough Henry – Open Innovation: The !ew Imperative for Creating and Profiting from Technology
– Harward Business School Press: Boston, MA, 2003
12
Il paradigma della open innovation assume invece che le imprese possano e
debbano utilizzare le idee esterne così come si servono di quelle interne e debbano fare
propri sia percorsi interni che esterni di mercato. Solo in questo modo possono vedere
avanzare la loro tecnologia. Seguendo questa disposizione le idee possono essere prese
dal mercato attraverso canali esterni, al di fuori del business caratteristico delle imprese,
per la creazione di valore aggiunto. Da questa affermazione di Chesbrough (20033) non
è difficile immaginare che open innovation significhi apertura verso l’esterno, verso i
concorrenti e i clienti, verso le istituzioni pubbliche e private che operano nello stesso
mercato di riferimento dell’impresa e nei mercati a questo affini. Ammettendo risorse di
tecnologia esterne all’interno del processo innovativo delle imprese si incrementa il
numero di possibili fonti dell’innovazione e, conseguentemente, crescono le possibilità
di sviluppo per l’impresa stessa.
Lo stesso Chesbrough (20034) ha individuato alcuni fattori che sono stati alla
base dell’abbandono del vecchio paradigma in favore del nuovo. La sua analisi è stata
effettuata sul mercato americano ma, con qualche distinguo, può essere adattata anche a
quello europeo. È messa in evidenza la rapida crescita del numero dei knowledge
workers e la loro crescente mobilità nel mercato. Ciò rende difficile per le imprese
controllare le loro idee e il loro bagaglio di esperienza, i quali inevitabilmente
appartengono, in quanto condivisi, anche al portatore di conoscenza che abbandona
l’impresa. Il secondo fattore determinante che ha portato allo sviluppo della open
innovation è la crescita esponenziale delle imprese che fanno ricorso al capitale di
rischio e più precisamente alle private venture capital, le quali forniscono alle imprese,
soprattutto le medio-piccole, i capitali sufficienti per sostenere i loro sforzi di
investimento e commercializzazione delle idee che provengono dai loro laboratori di
ricerca. Le idee vengono necessariamente sottoposte alla valutazione degli investitori in
capitale di rischio e il loro finanziamento dipende dalla loro validità.
Un progetto innovativo è un progetto nel quale ci si prefigge di realizzare nuova
conoscenza. L’essenza dell’innovazione è la realizzazione della conoscenza (Samid,
2003)5.
Una tra le maggiori differenze tra la closed e la open innovation sta nel come le
imprese analizzano le loro idee e dalla provenienza di tali idee.
La open innovation dispone che ci sia una continua valutazione e test delle idee
e dei progetti (sia interni che esterni). Queste vengono identificate, monitorate, valutate
in ogni aspetto (punti di forza, debolezze opportunità, minacce) finché l’impresa non ne
giudichi il suo destino, ossia decida di svilupparli, rigettarli o mandarli all’esterno.
La potenziale idea innovativa è testata seguendo il metodo di analisi delle 5C6:
- Context (Contesto): valutazione della catena del valore, del mercato,
dell’attrattività, della condotta, delle dinamiche e del valore aggiunto;
3
Chesbrough Henry – Open Innovation: The !ew Imperative for Creating and Profiting from Technology
– Harward Business School Press: Boston, MA, 2003
4
Chesbrough Henry – The era of open innovation – MIT Sloan Management Review, Spring 2003
5
Samid Gideon – The cost of Kowledge Acquisition - AACE International Transactions; 2003
6
Kirschbaum R. – Open Innovation in Practice – Research Technology Management, July-August 2005
13
- Customers (Clienti): monitoraggio e osservazione dei segmenti, dei
consumatori chiave, dei loro bisogni e dei loro valori;
- Competitors (Concorrenti): analisi della loro posizione competitiva;
- Company (Impresa): analisi delle sinergie tra il mercato, i clienti e materie
prime, valutazione delle tecnologie, delle competenze e delle strategie,
determinazione dei fattori chiave del successo:
- Costs (Costi): analisi del sistema e della struttura dei costi e analisi delle
performance finanziarie del progetto.
Figura 1: Processo di Open Innovation. Fonte: Research Technology Management, Luglio–Agosto 2005
pag. 26
La creazione di un nuovo business è un processo dinamico che ha inizio dalle
idee più promettenti. Dopo che si è svolto il processo di valutazione e analisi delle 5C
viene presa da parte dell’impresa una decisione di proseguire con il progetto,
abbandonarlo od offrirlo ad altre parti.
Teece e Pisano (19947) facevano notare come la capacità tecnologica delle
imprese (interna) fosse legata alle opportunità esterne del mercato le quali spesso
cambiano rapidamente con il mutamento delle condizioni ambientali. Achrol e Kotler
(19998) hanno verificato che l’organizzazione in network è un metodo di lavoro
particolarmente efficiente in ambienti altamente specializzati e in presenza di condizioni
ambientali in continua evoluzione. È importante quindi il ruolo del management
aziendale, sia nella creazione di un sistema di governo, sia quando deve prendere le
7
Teece D. & Pisano G. – The Dynamic Capabilities of the Firm: an introduction – Industrial and
Corporate Change n. 3, 1994
8
Achrol R.S., Kotler P. – Marketing in the network economy – Journal of Marketing, 63, 1999; 146–163
14
decisioni circa le strategie da adottare da parte dell’impresa, nella scelta delle strade da
percorrere e dei partner ai quali affiancarsi.
Docherty (20069), a seguito di un’indagine condotta tra i CEO delle maggiori
imprese (Nokia, Spalding, Procter & Gamble ed altre), ha individuato quattro fattori
chiave per l’implementazione della open innovation. Si fa riferimento all’ampliamento
della visione, non più ristretta ai confini aziendali, ma andare oltre nel mercato, è
necessario creare un allineamento attraverso l’innovazione dell’ecosistema, è utile
adottare un approccio al rischio più tollerante e meno avverso ed è indispensabile porre
l’attenzione sul processo, non solo sui risultati.
Sia nella closed che nella open innovation è possibile che si verifichi il
fenomeno dei falsi positivi e dei falsi negativi (Kirschbaum, 2005; Chesbrough, 2003).
Per falsi positivi si intendono le idee che inizialmente sembravano buone e che sono
state portate avanti nel loro sviluppo, ma che in seguito si sono rivelate, per diverse
ragioni, un cattivo investimento. Sono falsi negativi i progetti che inizialmente
sembravano lasciar cadere ogni speranza di un loro sviluppo e che per questo sono stati
abbandonati, ma che poi sono sorprendentemente risultati essere validi. Dickson
suggeriva come attraverso le alleanze fosse possibile ridurre i rischi inerenti i rapidi
cambiamenti dell’ambiente tecnologico, dell’incertezza politica e dell’economia di
mercato (Dickson et al., 2003)10 e quindi ridurre il problema dei falsi positivi e dei falsi
negativi.
Tale definizione ci aiuta a capire come l’applicazione di un metodo di lavoro
basato sulla open innovation possa essere utile per ovviare ai problemi di gestione dei
falsi negativi e positivi, derivanti dalle complessità ambientali e dal rapido mutamento
delle condizioni.
2.1 Le caratteristiche delle alleanze
Individuare le caratteristiche delle alleanze significa analizzarne la loro
formazione e il mantenimento, il comportamento dei soggetti che vi prendono parte e la
loro spontaneità nell’intraprendere un rapporto di collaborazione, evidenziare le
distinzioni che tra le alleanze vengono fatte in base alla loro struttura di governance, il
loro livello di strutturazione e il grado di equità tra i partner.
9
Docherty M. – Primer on Open Innovation: Principles and Practice. Product Development and
Management Association Vision – Research-Technology Management April, 2006
10
Dickson K. & Lawton Smith H. – Geo-cultural influences and critical factors in inter-firm
collaboration – International Journal of Technology Management, Vol. 25, Numbers 1-2 / 2003.
15
2.1.1 Alcune considerazioni generali
Le alleanze intra-imprese possono essere definite come una collaborazione tra
imprese indipendenti su un dato spazio economico e in un dato periodo di tempo per
l’adempimento di mutuali obiettivi definiti (Glaister e Buckley, 199211). Diversi sono i
rapporti di collaborazione che vengono instaurati tra le imprese. A seconda degli
obiettivi che si intende raggiungere e i motivi per i quali si pongono in essere delle
alleanze, i manager intraprendono strade diverse e instaurano diversi rapporti con i
soggetti terzi con i quali si intende portare avanti un progetto innovativo.
Anzitutto è necessario scegliere tra acquisizione o alleanza12 (Nooteboom,
200313).
Le forme collaborative vengono poste in essere dalle imprese per acquisire delle
conoscenze e delle risorse delle quali altrimenti non si sarebbe potuto usufruire se non
con l’acquisto presso il mercato. A fronte di tali vantaggi molto spesso le imprese, che
convengono volontariamente di collaborare, scelgono di rinunciare parzialmente e
temporaneamente alla propria libertà decisionale in vista del raggiungimento dei
reciproci vantaggi conseguenti all’integrazione. Esiste infatti una forma di controllo
della collaborazione che può avere un carattere contrattuale, finanziario o
semplicemente basato sul prestigio o sulle capacità di una impresa rispetto alle altre. Il
controllo della relazione viene esercitato dall’impresa che viene individuata dalle altre
quale leader, o perché detiene quel bagaglio di conoscenze superiore che ne fa la
candidata ideale alla guida del gruppo, o perché è quella che ha investito nel progetto
innovativo la quantità maggiore di risorse (es. joint venture non paritaria) o perché
detiene un maggior potere contrattuale nel mercato.
Il governo delle relazioni è affidato ad accordi, formali o informali, che vengono
stipulati dai manager delle imprese partecipanti all’accordo di collaborazione. Accordi
nei quali vengono identificati tutti i termini del contratto, l’oggetto per il quale è posta
in essere la collaborazione, la durata, la ripartizione dei benefici e dei costi degli
investimenti, le modalità di risoluzione di eventuali controversie, le penali da pagare in
caso in cui l’accordo non venga rispettato, ed altri aspetti di minore importanza.
Normalmente la struttura di governance delle relazioni viene preventivamente
negoziata e formalizzata dalle parti, le quali raggiungono un accordo, oltre che
sull’oggetto della relazione, anche sul suo governo e la sua gestione.
Le integrazioni possono avvenire su due diversi livelli (Sobrero, 199614):
11
Glaister K.W. e Buckley P.J. – Strategic Motives for International Alliance Formation – Journal of
Management Studies. Num. 33; 1992
12
Apparentemente le fusioni e le acquisizioni non possono essere catalogate tra le alleanze in quanto una
impresa assume il pieno controllo delle altre coinvolte, facendo venir meno il presupposto della
indipendenza. Questa è una scelta difficile perché si tratta di scegliere tra la propria indipendenza e la
completa integrazione con le strutture di un’altra impresa
13
Nooteboom B. – Inter-firm Collaboration, !etworks and Strategy: An Integrated Approach – The
Hague, May 2003
14
Sobrero M. – Innovazione Tecnologica e Relazioni tra Imprese: Teoria e Prassi – Roma: NIS, 1996
16
- Integrazioni orizzontali: tra imprese che appartengono allo stesso settore e
che svolgono la medesima attività;
- Integrazioni verticali: tra imprese, che operano nello stesso settore ma in
punti della filiera differenti o in differenti settori di attività, e che svolgono
attività di impresa diverse.
Diverse sono anche le dinamiche attraverso le quali sorgono le alleanze. Come
ha notato Adobor (200615) queste possono essere classificate in quattro diverse
configurazioni sulla base della loro origine:
- Alleanze spontanee
- Alleanze “spinte” dalle imprese
- Alleanze orchestrate
- Alleanze imposte
Un importante criterio che i ricercatori possono utilizzare per identificare le
alleanze e la loro configurazione riguarda il grado di coinvolgimento di una terza parte
nella formazione dell’alleanza.
Sono alleanze spontanee quelle che emergono naturalmente tra le imprese che
volontariamente e simultaneamente intraprendono una collaborazione. Preesistenti
condizioni trasformano le motivazioni strategiche individuali degli attori in un
fenomeno di gruppo (Adobor, 2006). Tali preesistenti condizioni sono rappresentate
dalla limitatezza geografica nella quale operano gli attori e che li spinge all’integrazione
(Saxenian, 199416), una comune percezione delle minacce o la realizzazione comune di
interessi condivisi (Sabel, 199317), norme sociali condivise e preesistenti nella struttura
sociale nella quale agiscono (Dore, 198318).
Le alleanze spinte dalle imprese sono tali in quanto, seppur attuate
spontaneamente dalle imprese, sono giustificate da una motivazione strategica. Queste
corrispondono ai già citati mutui benefici della riduzione dei costi e dell’incertezza, allo
scambio delle conoscenze. Questo tipo di alleanza si caratterizza rispetto alle altre per la
sua maggiore stabilità. La decisione iniziale delle imprese di intraprendere
volontariamente un rapporto di collaborazione e le ripetute interazioni tra i partner può
portare allo sviluppo di un clima di fiducia superiore e sempre crescente (Rousseau et
al., 199819).
Le alleanze orchestrate sono facilitate dalla presenza di una terza parte che aiuta
le imprese ad allearsi e collaborare. La collaborazione in questo tipo di network è
15
Adobor H. – Inter-Firm Collaboration: Configurations and Dynamics – Competitiveness Review;
2006; 16, 2
16
Saxenian A. – Regional Advantage, Culture and Competition in Silicon Valley and Route 128 –
Cambridge, MA; Harvard University Press; 1994
17
Sabel C.F. – Studied Trust: Building !ew Forms of Cooperation in a Volatile Economy – Human
Relations, 46; 1993; 1113-1170
18
Dore R. – Goodwill and the Spirit of Market Capitalism – The British Journal of Sociology, 34; 1983;
459-482
19
Rousseau D.M., Sitkin S.B., Burt R.S. e Camerer C. – !ot so Different After All: A Cross-Discipline
View of Trust – Academy of Management Review; 23; 1998
17
difficile perché non tutti i membri sono convinti dell’alleanza e non tutti si impegnano
nella stessa come dovrebbero. Ciò porta alla nascita di conflitti tra le parti i quali
crescono maggiormente all’aumentare del numero delle imprese coinvolte (Oye,
198620), mentre è sempre più difficile controllare i soggetti che tengono comportamenti
opportunistici, stimolati da tale situazione di conflitto (Coleman, 199021).
Ad un grado ancora inferiore di autonomia decisionale in merito all’intrapresa di
una collaborazione ci sono le alleanze imposte, alle quali partecipano le imprese che vi
sono state spinte o costrette da soggetti terzi i quali hanno così disposto. Spesso è lo
Stato che prende una tale decisione con lo scopo di dare alle imprese locali l’opportunità
di imparare dalle imprese straniere e per ragioni strategiche di carattere politico. Esempi
di tal fatto sono riscontrabili tra imprese cinesi ed europee (Jaslow, 198322), tra imprese
israeliane ed americane (The I!PACT Program) (Merrifield, 199423). Nonostante
questo tipo di alleanze nascano come una imposizione, non è detto che non si
trasformino in alleanze di successo. Pur avendo un livello di fiducia molto basso
(McKnight et al., 199824) l’interazione tra i partner può portare all’aumento della stessa,
anche se, come ha spiegato Kollock (199425), la presenza di un formale sistema di
regolamentazione delle relazioni svolge un ruolo contrario alla formazione di un clima
di fiducia o, peggio ancora, può portare alla distruzione di quella che inizialmente già
c’era.
Una caratteristica essenziale delle collaborazioni riguarda il loro modo di
operare per la costruzione di un processo organico. È possibile individuare a questo
proposito delle collaborazioni strutturate e non strutturate (Shah, 200226).
Le collaborazioni non strutturate si focalizzano sulla promozione della creatività
attraverso la costruzione di team ingegneristici che permettono agli ingegneri di
cambiare le loro idee in continuazione. Questo metodo si serve di strumenti di lavoro
non convenzionali quali le e-mail, le video conferenze e tutti quei metodi che
permettono ai soggetti di lavorare simultaneamente pur non essendo fisicamente nello
stesso spazio fisico.
Le collaborazioni strutturate al contrario si servono di procedure che necessitano
della collaborazione tra i soggetti in ordine alla esecuzione del piano di design. Il focus
è posto su come gli ingegneri cercano i dati, le informazioni sono condivise tra i partner
e come queste sono gestite lungo la catena. Una collaborazione strutturata si supporta
con l’utilizzo di tecnologie informatiche (CAD, CAE).
20
Oye K.A. – Cooperation Under Anarchy – Princeton: Princeton University Press; 1986
21
Coleman J.S. – Foundations of Social Theory – Cambridge, MA: The Belknap Press of Harvard
University Press; 1990
22
Jaslow C.A. – Pratical Considerations in Drafting a Joint Venture Agreement in China – The
American Journal of Comparative Law; 1983; 31; 2
23
Merrifiels D.B. – A Modern Marshall Plan for Developing Economies – Journal of Business Venturing;
1994; 6; 4
24
McKnight D.H., Cummings L.L. e Chervany N.L. – Initial Trust Formation in !ew Organizational
Relationship – Academy of Management Review; 1999; 23; 3
25
Kollock P. – The Emergence of Exchange Structures: An Experimental Study of Uncertainly,
Commitment and Trust – American Journal of Sociology; 1999; 100
26
Shah J.B. – Can Design Collaboration Work? Standard Organizations May Hold Key to Efficient
Communication – EBN Jan 21; 2002
18
In pratica l’esecuzione di un progetto innovativo si serve di entrambi i tipi di
attività collaborativa. Una collaborazione non strutturata promuove la creatività, mentre
quella strutturata promuove l’efficienza (Swink, 200627).
Secondo quanto affermato da Rometty (200728), che in un suo articolo di analisi
del fenomeno collaborativo ha riportato le voci dei top CEO delle migliori imprese
americane, esistono dei limiti oggettivi alle alleanze. Il pensiero condiviso è riassunto
nell’affermazione che collaborazione e parternariato sono teoricamente semplici, ma
praticamente difficili da realizzare. Avere pochi interessi in comune non è
collaborazione, ci devono essere chiari intenti. Collaborazione è disciplina.
Il limite maggiore delle imprese riconosciuto dai manager consiste nella
mancanza di competenze ed esperienza necessaria a collaborare con l’esterno,
nonostante la domanda di collaborazione stia crescendo lentamente, forzando le imprese
stesse ad allearsi.
Circa la classificazione delle alleanze queste possono essere suddivise tra
formali e informali, a seconda che la relazione tra i soggetti coinvolti sia formalizzata o
meno da un contratto avente forma scritta tra le parti. Le alleanze informali sono spesso
riferite ad una struttura di network caratterizzata da una evidente coordinazione
attraverso informali sistemi sociali piuttosto che formali arrangiamenti contrattuali tra le
parti (Gittell e Weiss, 200429), cosi come avviene nelle alleanze formali.
Le alleanze possono anche svilupparsi tra le imprese secondo un criterio di
equità o non equità nella partecipazione all’attività (Hagedoorn, 199330). Le equity
alliances differiscono dalle non-equity alliances in termini di capitale conferito. Le
prime sono coinvolte in una prospettiva di lungo termine, si caratterizzano per l’equità
degli investimenti da parte dei partner, si servono spesso del controllo degli input e di
metodi di valutazione delle performance e sono più costose da amministrare in
confronto alle non-equity alliances, le quali si caratterizzano per la disparità degli
apporti di capitale dei partner e richiedono un minore controllo e coordinazione.
Il principio che sta dietro alla costruzione delle alleanze strategiche è che ogni
partner contribuisce al successo dell’alleanza con la propria esperienza e con le proprie
risorse (Wang e Miao, 200531). Strategicamente possono essere classificate in joint
ventures, non-equity alliances e minority-equity alliances in senso lato. Di questi tre
tipi, solo la joint venture implica la creazione di una stabile entità formale. La minority-
equity permette ai partner di condividere equamente il controllo e la partecipazione
comune è spesso espressa da comuni investimenti (Hennart, 199132), mentre nel caso
della non-equity né il controllo è suddiviso equamente né viene creata una entità stabile.
27
Swink M. – Building Collaborative Innovation Capability – Research Technology Management;
Mar/Apr 2006; 49, 2
28
Rometty G. – Collaboration – Leadership Excellence; Feb 2007; 24, 2
29
Gittell J.H. e Weiss L. – Coordination !etworks Within and Across Organizations: a Multi-Level
Framework – Journal of Management Studies; 2004;41; 1
30
Hagedoorn J. – Understanding the Rationale of Strategic Technology Alliances on Company
Performance – Strategic Management Journal; 1993; 15
31
Wang Ya-Hui e Miao Der-Jin – Using Strategic Alliances to Make Decisions about Investing in
Technological Innovations – International Journal of Management; Dec 2005; 22, 4
32
Hennart J.F. – The Transaction Cost Theory of Joint Ventures – Management Science; 1991; 3
19
Le alleanze possono anche essere classificate in termini geografici. Si parla a
proposito di alleanze domestiche, quando hanno luogo tra imprese dello stesso paese, e
di alleanze internazionali, quando coinvolgono imprese di paesi diversi (Adobor,
200633).
Gli studiosi hanno posto l’attenzione anche sui diversi aspetti delle
collaborazioni quali i motivi dell’alleanza (Steinhubl, 199734) già sopra descritti, le
diverse forme contrattuali utilizzate (Gulati, 199935; Shilling, 200536), l’ampiezza delle
collaborazioni intesa come numero di imprese coinvolte nel progetto (Hitt et al.,
199637), la loro durata (per tutti si veda Kogut, 198938) e i soggetti coinvolti (Piccaluga,
200139).
Il tipo di alleanza dipende dalla natura del legame con il partner (Park e Russo
199640). Questa è differente quando le alleanze sono formate tra concorrenti (alleanze
orizzontali) o tra imprese che tra loro non competono (alleanze verticali).
Yoshino e Rangan (199541) hanno affermato che una alleanza deve
simultaneamente possedere le seguenti necessarie e sufficienti caratteristiche:
- Due o più imprese che unite perseguono un insieme di obiettivi condivisi
ma che anche in seguito alla formazione dell’alleanza rimangono
indipendenti;
- I partner dell’alleanza ne condividono i benefici e il controllo delle
performance attraverso ruoli loro assegnati;
- Le imprese partner contribuiscono continuamente allo sviluppo di una o più
aree strategiche.
Lo sviluppo tecnologico è reso possibile, secondo un contributo dato da
Vergragt (199242), attraverso la creazione di coalizioni interne o network, e per mezzo
dell’estensione di questi network è possibile includere altre organizzazioni
nell’ambiente. Ford e Thomas (199743) evidenziano a questo proposito che il fattore
33
Adobor H. – Inter-Firm Collaboration: Configurations and Dynamics – Competitiveness Review;
2006; 16, 2
34
Steinhubl A. – Mapping alliance types – Oil & Gas Investor; Jul 1997; 17, 7
35
Gulati R. – !etwork Location and Learning: The Influence of !etwork Resources and Firm
Capabilities on Alliance Formation – Strategic Management Journal; 1999; 20
36
Shilling M. - Gestione dell'innovazione - Milano : McGraw-Hill, 2005
37
Hitt M.A., Ireland R.D., Hoskisson R.E. – Strategic Management: Competitiveness and Globalization,
Concepts and Cases – South Western Educational Publishing; 6th edition, 1996
38
Kogut B. – The Stability of Joint Ventures: Reciprocity and Competitive Rivalry – Journal of Industrial
Economics; 1989; 38;2
39
Piccaluga A. – La valorizzazione della ricerca scientifica – Franco Angeli, Milano, 2001
40
Park S.H. e Russo M.V. – When Competition Eclipses Cooperation: An Event History Analysis of Joint
Venture Failure – Management Science; 1996; 42
41
Yoshino M.Y. e Rangan U.S. – Strategic Alliances: An Entrepreneurial Approach to Globalization –
Boston, MA: Harvard School Press; 1995
42
Vergragt P.J., Groenewegen P., Mulder K.F. – Industrial Technological Innovation: Interrelation
Between Technological, Economic and Sociological Analysis – Academic Press, London, 1992
43
Ford D. & Thomas R. – Technology Strategy in !etworks – International Journal of Technology
Management, n. 14, 1997
20
chiave delle strategie tecnologiche è capire la relativa importanza e la localizzazione del
grado di tecnologia interna ed esterna che può essere impiegata.
L’intrattenere relazioni con imprese esterne, spesso piccole, con le quali
collaborare al fine di testare un’idea è un metodo per prevenire la creazione di falsi
positivi e falsi negativi. Dopo una prima fase generale e sommaria di valutazione di un
progetto o di una idea, il management aziendale deve prendere una decisioni in merito
alla prosecuzione dell’investimento o al suo abbandono. La possibilità di poter usufruire
di un prezioso contributo di partner che affiancano l’impresa e sperimentano per questa
le condizioni di mercato e l’affidabilità di un progetto, permettono all’impresa stessa di
non incorrere in errori grossolani in merito alla scelta di un investimento. In seguito alla
fase “sperimentale”, qualora il progetto si sia dimostrato valido, questo verrà portato
avanti e continuato a sviluppare dall’impresa, mentre nel caso in cui questo non abbia
raggiunto condizioni soddisfacenti per uno sviluppo successivo verrà abbandonato
senza nessuna conseguenza per l’impresa stessa.
Non si prescinde a questo punto dal fatto che, come anche Hislop (199744) ha
affermato, le strategie effettive per lo sviluppo di un buon prodotto della collaborazione
non può che basarsi su una buona comunicazione tra network esterni e interni.
Emerge incontrovertibile un dato: per ottenere dei risultati innovativi
apprezzabili è utile impostare una strategia collaborativa con entità esterne. Diverse
sono le strategie di collaborazione che possono essere sviluppate ed i metodi di governo
delle alleanze, diversi sono anche gli obiettivi. La collaborazione, oltre ad apportare
indubbi benefici, è anche portatrice di problemi tecnici di governo della relazione e
dell’incertezza del mercato. Una buona comunicazione tra le parti è in grado di ridurre
questi problemi e dare al management la possibilità di gestirli al meglio.
Alcuni studiosi (Rindfleish e Moorman, 200145) evidenziano che l’acquisizione
e l’utilizzazione delle informazioni sono diverse a seconda che l’alleanza sia di tipo
orizzontale o verticale. Altri (Sivadas e Dwayer, 200046; Mowery, 199847) mettono in
risalto la figura del manager e la sua abilità nel recupero delle informazioni dai partner
dell’alleanza e il loro utilizzo per il raggiungimento dei risultati attesi dell’alleanza.
Occorre in ogni caso fare attenzione affinché il processo informativo sia ben
strutturato e prevenga la possibilità di una informazione ridondante (Granovetter,
1973)48. Ciò è più probabile che si verifichi maggiormente al crescere del numero di
partner coinvolti nell’accordo di alleanza.
L’acquisizione dell’informazione e della conoscenza non è una operazione
semplice e soprattutto gratuita. Come dimostrato in uno studio di qualche anno fa
44
Hislop D., Newell S., Scarborough H., Swann J. – Innovation and !etworks – Paper given at British
Academy of Management Conference: London, September 1997
45
Rindfleisch A. e Moorman C. - The acquisition and utilization of information in new product alliances:
A strength-of-ties perspective - Journal of Marketing; Apr 2001; 65, 2
46
Sivadas E. e Dwyer F.R. – An examination of organizational factors influencing new product success in
internal and alliance-based processes - Journal of Marketing; January 2000; 64, 31-49
47
Mowery D.C. – Collaborative R&D: How effective is it? – Issues in Science e Technology;1998; 15
(fall), 37-44
48
Granovetter M. – The Strength of Weak Ties – American Journal of Sociology; 1973; 78; 6 (1360-80)
21
(Samid, 200349), la knowledge acquisition sopporta dei costi dovuti all’ottenimento
delle informazioni e delle conoscenze necessarie per la realizzazione di un progetto,
informazioni e conoscenze che è necessario acquisire dall’esterno in quanto non già
disponibili all’interno dell’impresa. Viene ancora una volta posto in risalto il ruolo della
open innovation e la sua utilità in questo difficile compito di ricerca delle competenze
necessarie.
Proseguendo nella individuazione delle caratteristiche generali delle alleanze,
ancora Chersbrough (200350) individua tre differenti modelli di imprese che svolgono la
loro attività in rapporto all’innovazione e in base a questa definiscono una loro strategia
di open innovation. Si tratta di una classificazione che l’autore fa seguendo le tre aree
primarie, ricerca, generazione e commercializzazione dell’innovazione, all’interno delle
quali vengono fatte delle ulteriori distinzioni in base all’attività e alle caratteristiche
delle imprese stesse.
Tra le imprese founding, ossia coloro che vanno alla ricerca di innovazione, si
distinguono le investors e le benefactors. Le prime sono quelle che forniscono il
capitale ad imprese terze affinché possano svolgere la loro attività di ricerca e sviluppo
e con il loro capitale aiutano le imprese e le università a spingere le loro idee nel
mercato, tipicamente attraverso la creazione di startup. Le seconde, diversamente dalle
prime, focalizzano i loro investimenti in alcuni stadi specifici della ricerca.
La seconda classificazione comprende le imprese generating innovation,
all’interno della quale è possibile ritrovare, sempre secondo l’analisi condotta da
Chersbrough, altre quattro sottocategorie. Imprese innovation explorer sono quelle
specializzate nella funzione di ricerca e scoperta delle invenzioni che vengono
approntate all’interno di laboratori di R&S. Le innovation merchants focalizzano la loro
attività in un ristretto settore tecnologico e acquistano o vendono la proprietà
intellettuale già codificata. Le innovation architects creano valore per i loro clienti
sviluppando sistemi che semplifichino la complessità della tecnologia ponendo in
condizione altre imprese affinché possano sviluppare parti del sistema. Le innovation
missionaries forniscono e creano avanzate tecnologie ai loro clienti in modo del tutto
gratuito.
Terza classe di imprese individuata è quella delle commercializing innovation.
Al suo interno si distinguono le innovation marketers, specializzate nell’ottenere un
profitto dalle idee sviluppandole, proponendole ai consumatori e creando un nuovo
mercato e le one-stop centers, le quali selezionano le migliori idee, da qualunque fonte
queste provengano, e le offrono ai consumatori a prezzi di mercato competitivi.
Diverse si è visto sono le definizioni di innovazione e diversa è la percezione
che i diversi studiosi hanno del fenomeno innovativo. Le alleanze strategiche hanno
avuto un’importanza sempre crescente e in seguito all’assunzione della open innovation
quale paradigma di riferimento per l’organizzazione strategica e dell’attività di ricerca e
49
Samid G. - The cost of knowledge acquisition - AACE International Transactions; 2003; pg. ES261
50
Chesbrough Henry – The era of open innovation – MIT Sloan Management Review, Spring 2003
22
sviluppo è certo che il fenomeno sia diventato un aspetto stabile per le strategie di
innovazione delle imprese (Dodgson, 199351; Schill et al., 199452).
Non è possibile avere dei dati certi circa lo sviluppo del fenomeno nei vari
settori, ma non si incorre in errore se vengono individuati quali campi maggiormente
attenti verso la open innovation quelli delle biotecnologie, dell’informatica, dei
semiconduttori, il settore farmaceutico e delle telecomunicazioni. È in questi settori che
gli studiosi stanno focalizzando le loro ricerche per la comprensione del fenomeno
(Sakkab, 200753; Cassivi, 200654; Tatum, 200755; Shan et al., 199456) attraverso studi
effettuati direttamente presso le grandi imprese coinvolte e conducendo interviste agli
stessi manager (Sakkab, 200757, Salz, 200658, Docherty, 200659).
Non mancano gli esempi di collaborazione tra imprese, sia orizzontalmente che
verticalmente lungo la catena del valore.
Tra gli esempi spesso citati figurano i casi GM-Suzuki e GM-Toyota nel campo
dei motori, Siemens-Corning nel campo della telefonia, Intel-AMD in quello
dell’informatica, Fuji-Xeros (Adobor, 200660; Amaldoss et al., 200061), Nissan-Renault
(Korine et al., 200262).
Google, Apple e 3M sono invece le imprese maggiormente innovative (Mc
Gregor, 200663)
Come dimostrato anche dagli esempi, l’apertura dell’impresa e la sua proiezione
e promozione nel mercato oltre i suoi confini, nonché l’instaurazione di relazioni con gli
altri attori del mercato, apporta dei benefici al ciclo dell’innovazione.
Del resto, come affermava Chesbrough, è necessario un nuovo approccio nella
gestione della proprietà intellettuale, del licensing, degli spin-off e degli altri metodi
51
Dodgson M. – Technological Collaboration in Industry – Routledge, London, 1993
52
Schill R.L., Bertodo G., McArthur D.N. – Achieving Success in Technology Alliances: The Rover-
Honda Strategic Collaboration – R&D Management, 4, 1994
53
Sakkab N.Y. – Growing Throught Innovation – Research Technology Management, Nov.-Dec. 2007,
0895-6308/07
54
Cassivi L. - Collaboration planning in a supply chain – Supply Chain Management: An International
Journal 11/3 (2006) 249–258
55
Tatum D. – Innovation The Development of Innovation – Research Technology Management; May/Jun
2007; 50, 3
56
Shan W., Walker G., Kogut B. – Interfirm cooperation and startup innovation in the biotechnology
industry - Strategic Management Journal; Jun 1994; 15, 5
57
Sakkab N.Y. – Implementing Open Innovation – Research Technology Management; Mar/Apr 2007;
50, 2
58
Salz P.A. – Collaboration Rules – Econtent, Nov. 2006
59
Docherty M. – Primer on Open Innovation: Principles and Practice – Product Development and
Management Association Vision, Research-Technology Management April, 2006
60
Adobor H. – Inter-Firm Collaboration: Configurations and Dynamics – Competitiveness Review;
2006; 16, 2
61
Amaldoss W., Meyer R.J., Raju J.S., Rapoport A. – Collaborating to Compete – Marketing Science;
Spring 2000; 19, 2
62
Korine H., Asakawa K. e Gomez P.Y. – Partnering With the Unfamiliar: Lessons From The Case of
Renault and !issan – Business Strategy Review; 2002; 13; 2
63
Mc Gregor J. – The World’s Most Innovative Companies – Business Week; 2006; April 24
23
utili per assorbire più idee esterne all’interno dell’impresa e per creare più vie praticabili
alle idee da introdurre nel mercato64.
Le alleanze strategiche appaiono al momento la strada privilegiata dalle imprese
che intendono ampliare i loro orizzonti. Numerosi sono i casi in cui si assiste a tali
accordi e numerosi sono i tipi di contratto ai quali si affida la gestione del rapporto
collaborativo.
2.1.2 I differenti obiettivi strategici delle alleanze
Organizzazioni diverse, indipendentemente dal loro settore di riferimento,
possono, nel corso della loro attività, sentire l’esigenza di un confronto con altre entità
esterne con le quali intrattengono dei rapporti più o meno occasionali e con le quali può
maturare l’esigenza di intraprendere e portare avanti un’alleanza per il raggiungimento
di obiettivi comuni e condivisi.
Attraverso l’instaurazione di un tale tipo di rapporto è scontato che tutte le parti
siano interessate a trarne vantaggio e per tale motivo organizzano la loro attività
attraverso la predisposizione di un’azione congiunta e coordinata
Riguardo i benefici che ne derivano per ogni singola impresa, si è a lungo
dibattuto, e ancora gli studiosi propongono i loro sforzi per una maggiore comprensione
del fenomeno, circa i metodi e le strategie migliori per ottenere i risultati sperati.
Bleeke e Ernst (199165) sostengono che la formazione delle alleanze è motivata
primariamente dal raggiungimento di un vantaggio competitivo nel mercato.
Altri (per tutti si veda Teece, 198666) sostengono che i benefici a seguito
dell’ingresso in un’alleanza per motivi innovativi includono l’accesso ad asset
complementari e la riduzione dei rischi e dell’incertezza. Una alleanza da anche la
possibilità di accesso a nuove tecnologie, competenze tecniche e mercati, mette in
condizione anche di fornire maggiori prodotti o servizi, comporta il raggiungimento di
economie di scala (Powell, 199067) o ancora la possibilità di acquisire conoscenze e
informazioni oltre i confini dell’impresa per una migliore comprensione dell’ambiente
operativo (Spekman, 199468, Grant et al., 199569), di incrementare i ritorni dell’attività
64
Chesbrough H. – Open Business Models: How to Thrive in the !ew Innovation Landscape – Harward
Business School Press, 2006
65
Bleeke J. e Ernst D. – The Way to Win in Cross-Border Alliances – Harward Business Review, Nov-
Dec 1991
66
Teece D. – Profiting from Technological Innovation: Implication for Integration, Collaboration,
Licensing and Public Policy – Research Policy, 15, 1986
67
Powell W. – !either Market nor Hierarchy – Research in Organizational Behavior; 12, 1990
68
Mohr J., Spekman R. – Characteristics of Partnership Success: Partnership Attributes,
Communication, Behavior and Conflict Resolution Techniques – Strategic Management Journal; Feb
1994; 15, 2
69
Grant R.M., Baden-Fuller C. – A knowledge-based theory of inter-firm collaboration – Academy of
Management Journal; 1995