8
“Nello stesso tempo in cui si rinuncia al dubbio, si rinuncia
all’affermazione di un’esteriorità assoluta”, afferma Merleau-Ponty, ma
l’impossibilità del linguaggio (e della critica stessa) di carpire e definire
l’ambiguità non verbale di ogni opera viene rovesciato nella prospettiva di
un discorrere “nuovo ed aperto”, anche alle opposizioni inconciliabili:
“Perché non ammettere che, al pari della musica, il linguaggio può
sostenere un senso con il proprio assetto, captarlo nelle proprie maglie, che
esso lo fa senza eccezioni ogniqualvolta è linguaggio conquistatore, attivo,
creatore, ogniqualvolta qualcosa, nel senso forte, è detto”.
9
LE AFFINITÀ CINETICHE
ESPERIENZE IN MOVIMENTO
<<Conoscevo di nome Delaunay, niente di più. Ma attenzione, la
simultaneità non è il movimento o, almeno, non il movimento come io lo
intendevo. Nessuno si occupava in realtà dell’idea di movimento, neppure i
futuristi.>>
1
.
Il più affascinante e sconcertante inventore dell’arte contemporanea
puntualizza così a Pierre Cabanne il giovanile abbandono della pittura
“retinica” e della sua concezione.
Il percorso di Duchamp non può prescindere dall’influenza dei
molteplici e paralleli movimenti (“ismi”) che incontra e attraversa
(naturalismo, impressionismo, fauvismo, cubismo, futurismo) con il
caratteristico distacco da ogni forma di “sistematizzazione” estetica o
ideologica .
Agli inizi del Novecento il movimento e la sua espressione sono
argomento di grande attualità e diffusione-confusione, dalle speculazioni
filosofiche alle avanguardie artistiche. La nascita del cinema è il risultato e
l’indice della varietà di studi scientifici applicati al movimento e alla sua
rappresentazione oggettiva- fotografica.
1
Cabanne Pierre. Ingegnere del tempo perduto. Multhipla Edizioni. Milano. 1979. p39.
10
Il Nudo che scende le scale, escluso dal Salon des Independants del
1912 ed esposto all’Armory Show di New York del 1913 è un’astrazione
di movimento, come le ricerche crono-fotografiche di Muybridge e Marey.
<<Volevo liberarmi dell’aspetto fisico della pittura. Volevo rimettere la
pittura al servizio della mente>>
2
afferma Duchamp. A New York, dove
giungerà nel 1915, abbandonerà definitivamente la pittura ed i suoi mezzi
estrinseci per affrontare soltanto il suo significato.
Come lo stesso Duchamp confessò a Katherine Dreier il Nudo avrebbe
spezzato le catene che legavano l’arte al naturalismo, l’idea e la concezione
al mimetismo rappresentativo.
E’ proprio lo studio del movimento (come concetto) ad innescare un
processo che porterà Duchamp ad aprire nuove strade rinnovando l’arte
nel suo linguaggio e nel suo proprio significato.
Dal Nudo nascono direttamente, con uno scarto per lo più umoristico, la
Macinatrice di Cioccolato e il Re e la Regina circondati da nudi veloci,
esempi della svolta concettuale di Duchamp: la sua ricerca non si pone più
come obiettivo la rappresentazione fisica e mimetica del movimento reale
dei corpi -qui vede il limite del Futurismo e del Cubismo, nella sostanziale
continuità con le forme espressive tradizionali- trattando invece la velocità,
il movimento e la simultaneità come caratteristiche strutturali di quella
realtà che il cieco naturalismo crede di imitare.
2
Zevi Adachiara. Arte U.S.A del xx secolo .Carocci. Roma. 2001.p42.
11
Gli anni dal 1910 al ’13 sono per Duchamp fecondi di esperienze che
segneranno il suo percorso, come la visione della piecé Impressions
d’Afrique di R.Roussell- del quale ammira soprattutto il disinteresse per il
simbolismo, il coraggio artistico e la portata rivoluzionaria del suo teatro- o
la veloce corsa in automobile sui monti del Giura in compagnia di
Apollinaire, Picabia e Gabrielle Buffet- il cui risultato sarà una fantasia in
prosa sui mezzi grafici per rappresentare l’oggetto meccanomorfo nello
spazio unidimensionale illimitato.
<<Duchamp cerca il luogo puramente matematico della quarta
dimensione, uno spazio mentale irrappresentabile visivamente[…] E’ il
mondo del cronotropo, dove la spazialità è indissolubilmente legata alla
temporalità>>
3
. “Ogni oggetto a tre dimensioni che osserviamo
freddamente è una cosa a quattro dimensioni che noi non conosciamo”
afferma lo stesso Duchamp.
Un’alchemica coincidenza di fattori- il rifiuto del Salon del 1912, il caso
suscitato a New York dal Nudo, il fervore con cui tra Monaco e Herne Bay
lavora alla Vergine-Sposa e lo scoppio della 1° Guerra Mondiale, spinge
il ventinovenne Duchamp verso New York, dove è già famoso per il Nudo
e verso l’incontro con Walter e Luise Arensberg, promotori e sostenitori
del rinnovamento artistico in chiave moderna.
Con l’abbandono della pittura retinica- già affermato con il Nudo- e
della pittura come forma di espressione,“arte in sanscrito significa fare”,
3
A cura di Grazioli Elio. Marcel Duchamp. marcos y marcos. Milano. 1991.p245.
12
Duchamp inaugura un nuovo corso dell’arte moderna ed un percorso
individuale all’interno di un sistema autonomo e autoreferenziale,
caratterizzato dalla molteplicità e dall’ambiguità del segno espressivo,
dall’Ironia e dallo slittamento semantico dell’Arte in arte, dalla visione
romantica alla perdita dell’aura.
<<Fece del lavorare manualmente la sua occupazione e fu grazie a
questo approccio artigianale che la sua mente si liberò fino a raggiungere
vette assolute, mentre le sue realizzazioni restavano oggetti
meravigliosamente semplici>>
4
.
Il Grande Vetro, la Sposa messa a nudo dai suoi Celibi, anche
rappresenta l’impresa assoluta ed eroica dell’arte moderna. E’ proprio
questa ad essere considerata la sua opera summa,anche se nota è la volontà
di Duchamp di abbandonare l’Arte e le Opere comunemente intese, che
convoglia tutte le esperienze precedenti ponendosi come contenitore-
espositore di una rivoluzione in nuce.
Se l’idea del vetro come supporto germoglia in Duchamp dall’abitudine
di usarlo come tavolozza per i colori, la sua scelta dipende dalla
convergenza di fattori tecnici ed estetici: infatti oltre a proteggere il
pigmento dall’ossidazione, il vetro, con la sua trasparenza, avrebbe fornito
uno sfondo sempre diverso. Se “il Vetro” è per D. uno spazio illimitato per
la fantasia, la sua realizzazione comportò notevoli problemi di natura
tecnica all’ingegnere del tempo perduto. Abolito il “gusto” come criterio di
4
Cabanne Pierre. Ingegnere del tempo perduto. Multhipla Edizioni. Milano. 1979.p81.
13
scelta e selezione per l’artista, Duchamp decise di tracciare le sue figure
con l’ausilio di tecniche assolutamente impersonali: dopo il tentativo fallito
di incidere il vetro con dell’acido fluoridrico, decise di servirsi del
malleabile filo di piombo per seguire i contorni del disegno posto a
rovescio sul vetro, fissandolo con il mastice; il colore fu sigillato tra una
lamina di piombo ed il vetro stesso.
<<2 elementi principali: 1-la Sposa. 2-i Celibi/disposizione grafica/una
lunga tela in senso verticale/Sposa, in alto/Celibi, in basso […] il regno
della Sposa è rigorosamente separato da quello dei Celibi da un
“raffreddatore”.[…] la Sposa, “un’apoteosi di verginità” che ha raggiunto
lo “scopo del suo desiderio” ed emette una “fioritura cinematica […]>>
5
.
Ciascun elemento costituente ha una sua denominazione, una funzione ed
una prestabilita interazione con il resto.
In queste poche righe è racchiuso il significato del gesto di Duchamp, la
minuziosa ed accuratissima stratificazione delle esperienze precedenti -
ogni dettaglio che compone il Vetro è stato appositamente pensato
da Duchamp- in un vetro che sembra “abitato” dalle figure che lo
compongono: figure che vivono infatti, non solo per la tridimensionalità
conferitagli dal supporto, la cui esistenza e le cui passioni animeranno lo
“schermo”dello spettatore, così come previsto nella Scatola Verde- una
raccolta di appunti che funge da compendio al Vetro, una sorta di istruzioni
5
A cura di Grazioli Elio. Marcel Duchamp. marcos y marcos. Milano. 1991. p106.
14
per l’uso con la descrizione ed il funzionamento del “congegno” così come
ideato, nel tempo, da Duchamp. Una storia quindi, una trama ben
congegnata per svelare l’umoristica condizione dell’uomo-livrea che
“meccanicamente eccitato” innesca un meccanismo di cui sarà vittima con
la privazione (le forbici) dell’oggetto stesso del desiderio (la Sposa); e con
un esplicito riferimento allo spettatore-guardone (i testimoni oculari)
relegato a rivivere la “scena” dell’inganno delle illusioni- che è prima di
tutto inganno dello sguardo. Ricordando che lo stesso Duchamp lo ha
definito un “ritardo” in vetro sembra evidente che l’ideazione di questo
oggetto-macchina faccia chiaro riferimento al cinema ed ai suoi specifici
meccanismi: il realismo fotografico delle figure ed il rapporto “strutturale”
(Barthes) che hanno con il titolo-didascalia permettono un’analisi del
Vetro attraverso sistemi propri della fotografia e del cinema muto.
La progettazione di un movimento inesistente- ma concettualmente
previsto- è l’idea alla base del meccanismo cinematografico: l’illusione
del movimento nel cinema non è dovuta infatti alla persistenza
dell’immagine sulla retina ma all’effetto phi, un inganno della mente
veicolato dallo sguardo. Così i “testimoni” che assistono impotenti alla
scena rappresentano la condizione dello spettatore cinematografico che,
durante il film, regredisce ad uno stato infantile ed indistinto dell’Io
(dell’Immaginario). Ambiguità sistematica in Mar-Cel Duchamp, che
15
costruì con l’alter ego di Rrose Selavy un’immagine sussistente, un
fantasma fotografico, reale eppure “apparente”.
Inoltre la Sposa “protagonista” è ideata come un essere
quadridimensionale, immersa cioè nella dimensione aggiunta del tempo e
della durata, rappresentabile graficamente solo per mezzo dell’istantanea di
Duchamp. Il Vetro andrebbe “letto” o cinematograficamente “visto”,
utilizzando così il tempo e la durata stessi come elementi centrali
nell’ideazione e nella fruizione dell’opera.
Molteplici sono le interpretazione che l’enigmatico “Vetro” può
supportare- molte delle quali per altro deducibili dagli scritti che
compongono la “Scatola”- ma prima di tutto resta questo enigmatico
progetto-oggetto, un vetro che congela e sospende le figure arrecandogli
una sussistenza ontologico- visiva, l’incipit di un non-discorso che si
concluderà col testamento artistico: “Dati”.
Questo tentativo di ripercorrere l’evoluzione artistica di Duchamp non
può certamente escludere “Anemic Cinema”, la sua unica esperienza
“puramente” cinematografica, la magnifica e “nuda” rappresentazione del
cinema come meccanismo erotico ed autoreferenziale: l’esperimento,
ideato e realizzato insieme all’amico-fotografo Man Ray, inaugura il film
pornografico, innestando un bricolage sessuale astratto, con l’alternanza di
movimenti suggeriti dalla rotazione delle spirali in rotorilievo.
16
Se già Dalì e Bunuel hanno sperimentato il linguaggio cinematografico
coniugandolo alla visionarietà surrealista, nettamente distinto sembra
essere il tentativo di Duchamp: Anemic Cinema non è un film nel senso
comune del termine, non è una rappresentazione fotografica di una storia,
non ci sono personaggi sullo schermo, è il cinema come protagonista di se
stesso, il movimento come unico soggetto “apparente”.
Un duplice inganno per lo sguardo dello spettatore-voyeur, ipnotizzato
dal nudo erotismo della “scena” che non può non essere (già dal titolo-
didascalia) realistica illusione.
Realismo ed astrazione, movimento ed illusione, un mito che si esplicita
attraverso il proprio rito.
Anemic Cinema, derivato direttamente dall’esperienza pratica dei
rotorilievi, incarna direttamente l’essenza del Cinema ponendosi come
metafilm piuttosto che come film-narrazione.
17
MOVING PICTURES
<< Superando il cinema superficiale e delle superfici , 2001 apriva nella
superficie dello schermo una profondità assoluta, quella del puro nero
spaziale; e in esso ridava allo spettatore il piacere filmico “primigenio” di
seguire il muoversi di cose e oggetti, il farsi fisico del meccanismo, più che
una storia precisa: o meglio, di vedere la storia costruirsi e svolgersi come
fatto fisico, mutamento di immagini e degli oggetti in esse. >>
6
.
Le parole di Ghezzi si riferiscono al valzer “spaziale” di 2001: Odissea
nello spazio in cui Kubrick mette in scena il meccanismo fisico del cinema,
la rotazione di oggetti nel “nero spaziale”, creando, insieme alla musica di
Strauss, la “rappresentazione” del cinema come audio-visione.
Kubrick, che con 2001 compirà un salto evolutivo nella propria carriera
di cineasta, ha una visione del cinema come arte “totale”, che possa cioè
ricongiungere (in sé) la forma al contenuto, l’ideale al sensibile, il mito al
rito (ciò che secondo Hegel è stato scisso dalla cultura post ellenica).
Il Cinema sopravvive alla morte dell’arte proprio grazie al suo
“specifico” carattere di meccanismo riproduttivo- narrante. E ciò che
distingue Kubrick da ogni altro cineasta è la sua logica progettuale-
(estetica) che oscilla “necessariamente” tra i due poli estremi del Cinema
(realismo e astrazione), facendo di ogni film un possibile meta-testo
6
Ghezzi Enrico. Stanley Kubrick. Il Castoro. Milano. 2002. p78.
18
(l’estetica di K non prescinde mai dal carattere audio-visivo del mezzo). Ed
è ciò che avvicina due artisti “lontani”come Duchamp e Kubrick, la
straordinaria evidenza dell’affinità metodologica e concettuale attraverso la
quale ambedue giungono al “controllo totale” dell’opera e
all’assimilazione, nell’ambito di ruoli differenti, del significato stesso
dell’Arte: fare (al meglio il proprio mestiere).
<< 2001 è stato soprattutto un esperienza sensoriale (non solo visiva) del
tutto nuova, la percezione di uno “spazio” inedito, con dentro un seguito di
eventi straordinariamente semplici contrappuntati dall’apparizione di una
forma “semplice” (il monolito) e definita nelle sue funzioni (far compiere
un salto alla Storia e quindi alla storia) ma incomprensibile e misteriosa
quanto alla provenienza e al senso. >>
7
Uno spazio nuovo, forme e meccanismi semplici contrapposti ad una
forma ben distinta e definita, misteriosa e necessaria all’evoluzione di una
“storia”. A prima “vista” si cela tra le due opere una “curiosa”
coincidenza da analizzare e approfondire soprattutto in considerazione
delle peculiarità di artisti tout court dei due.
Il monolito- che da 2001 in poi tornerà nei film di Kubrick con diverse
sembianze ma sempre con la stessa funzione- interpretato come principio
d’azione della storia si presta allora al confronto-incontro con il suo
doppio, il “motore” del congegno duchampiano per eccellenza, la Sposa.
7
Ghezzi Enrico. Stanley Kubrick. Il Castoro. Milano. 2002. p78.
19
Non è infatti questa forma superiore (la Sposa non è un corpo quanto un
entità immersa nello spazio-tempo) ad innescare il meccanicistico
movimento dei Celibi, così come è l’apparizione del monolito a permettere
l’evoluzione degli ominidi e della Storia?.
È lo stesso Duchamp - nella Scatola Verde- a definire la Sposa
“un’apoteosi di verginità”, facendo della sua raffigurazione (in prospettiva
anamorfica) il corrispettivo della sua essenza.
Vergine è il monolito (una tabula rasa) e la sua forma primitiva (il
parallelepipedo) richiama al suo significato di principio. Il “raffreddatore”
di cui parla Duchamp, che separa “nettamente” il mondo dei Celibi dalla
Sposa, non è il cut cinematografico che in Kubrick (a partire da 2001)
cancella la memoria dell’immagine precedente senza anticipare la
successiva secondo il principio di costruzione modulare?.
Così i due “regni” del Grande Vetro sono doppiamente separati:
fisicamente (dal raffreddatore) e concettualmente (le due “scene” sono
infatti eseguite seguendo principi costruttivi diversi).
L’attenta analisi alla concezione del montaggio in Kubrick (sviluppata
da Chion) e alle ripercussioni dirette sulla ricezione e la fruizione del film
non sembra affatto allontanare le due opere ma avvicinare
sorprendentemente le due operazioni e i due “operatori”.
Come Duchamp sopravvive alla morte stessa dell’Arte- nell’accezione
hegeliana- incorporando in sé alcuni aspetti specifici del Cinema (interesse
20
per il movimento, fruizione diacronica dell’opera, realismo fotografico
degli elementi) così Kubrick, superando la dicotomia intrinseca all’Arte
Cinematografica, (ri)lancia ed impone il Cinema come unica Arte possibile
del‘900.
21
SCACCO ALL’ARTE
<<I giocatori di scacchi si fronteggiano reggendo sopra le teste i
rispettivi pensieri pensanti talmente aggrovigliati che sembrano i fili di una
matassa informe. In quelle due nuvolette rabbiose di ragionamento allo
stato puro c’è tutta la partita: mosse, contromosse, contro-contromosse>>
1
.
<<La partita sui tetti di Parigi fra Marcel Duchamp e Man Ray in Entr’acte
di René Clair (1924) inaugura la carriera cinematografica degli scacchi,
gioco preferito di Stanley Kubrick>>
2
.
La passione degli scacchi ci offre un interessante e fertile punto di
contatto fra due dei più grandi e misteriosi artefici dell’arte del Novecento.
Quello che cercheremo di far affiorare all’interno dei singoli corpus
artistici è l’aspetto propriamente “scacchistico” che sottende la concezione
e la realizzazione dell’opera in Duchamp e Kubrick.
Che tutta la filmografia kubrickiana sia contrassegnata da continui
riferimenti al gioco degli scacchi ( la pavimentazione a scacchiera in Il
bacio dell’assassino, lo scacchista Boris in Rapina a mano armata, ancora
la pavimentazione nel processo marziale di Orizzonti di gloria; Lolita
presenta fisicamente la scacchiera, così come si vede in 2001 nella partita
fra i due astronauti mentre Arancia meccanica ripropone scenografie a
scacchiera come il Korova milk bar e l’anticamera dello scrittore
1
A cura di Grazioli Elio. Marcel Duchamp. marcos y marcos. Milano. 1991. p15
2
Walter Bruno Marcello. Stanley Kubrick. Gremese. Roma. 1991. p61.