inizialmente aveva per estremi un minimo dell0 0,5% ed un massimo
dell’1% e in seguito al D. Lgs. 18 febbraio 2000, n. 56, art. 3, con effetto
immediato, gli estremi sono stati incrementati rispettivamente allo 0,9 e
1,4%.
L’addizionale regionale si determina applicando l’aliquota, fissata dalla
Regione in cui il contribuente ha la residenza alla data del 31 dicembre
dell’anno cui l’addizionale si riferisce, al reddito complessivo determinato
seguendo i criteri di determinazione del reddito imponibile per l’Irpef al
netto degli oneri deducibili.
Pertanto è evidente che l’addizionale è vincolata alla determinazione
dell’imponibile Irpef sia a livello delle singole categorie di reddito sia a
livello del reddito complessivo, non essendo in alcun modo intaccata dalle
variazioni dell’imposta principale conseguente alle detrazioni o ai crediti
d’imposta, purché l’obbligo contributivo permanga.
La quota dovuta per il tributo regionale va versata in un’unica soluzione al
momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.
Per i redditi da lavoro dipendente, e ad essi assimilati, l’addizionale
regionale determinata dai sostituti d’imposta all’atto delle operazioni di
conguaglio relative a detti redditi.
In questo caso l’aliquota vigente è quella della regione di residenza del
sostituto e non del contribuente che potrebbe essere anche non residente nel
territorio dello Stato.
L’importo così calcolato è trattenuto in rate di numero non superiore ad 11
partendo dal periodo successivo a quello in cui le stesse sono effettuate e
non oltre quello in cui le stesse sono effettuate e non oltre quello
relativamente al quale le ritenute sono versate nel mese di dicembre, mentre
in caso di cessazione del rapporto, l’importo è trattenuto in un’unica
soluzione nel periodo di paga in cui sono svolte le operazioni di conguaglio.
Il D. Lgs 360 del 28 settembre 1998 rappresenta il quadro normativo di
riferimento per l’addizionale comunale all’Irpef, la istituisce e ne regola il
funzionamento.
Analogamente a quanto detto per l’addizionale regionale, anche per
l’addizionale comunale, sorge l’obbligo contributivo solo se sussiste
l’obbligo di pagare l’imposta sul reddito delle persone fisiche alla quale
l’addizionale è ancorata, dopo aver calcolato il reddito complessivo
imponibile al netto degli oneri deducibili e di eventuali crediti d’imposta.
Ai comuni è data possibilità di variare l’aliquota di compartecipazione
dell’addizionale, da applicare a partire dall’anno successivo, con una
deliberazione da pubblicare su un sito informatico a cura del Ministero
dell’economia e delle finanze, www.finanze.gov.it, individuato in un
decreto emanato dal Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con
il Ministro della giustizia.
Dalla pubblicazione sul sito informatico dipendono strettamente l’efficacia
della deliberazione e la sua decorrenza.
Anche qui le aliquote deliberate non possono eccedere l’aliquota massima
prevista dal decreto in parola, dello 0,5%, successivamente incrementato
all’8%, ma con un incremento annuo non superiore allo 0,2%.
Nel percorso di acquisizione della propria autonomia impositiva, i Comuni
hanno incontrato una serie di difficoltà, una di esse è rappresentata dal
blocco dell’efficacia delle deliberazioni concernenti proprio l’aumento
dell’aliquota di compartecipazione, introdotto dalla lettera a), comma 1,
dell’art. 3 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (finanziaria 2003).
Essa stabiliva, infatti, che gli aumenti delle addizionali all’irpef per i
Comuni e le Regioni, deliberati successivamente al 29 settembre 2002, che
non siano confermativi delle aliquote in vigore per il 2002, devono ritenersi
sospesi fino a quando non sarebbe stato raggiunto un accordo in sede di
Conferenza unificata tra Stato, Regioni ed enti locali sui meccanismi
strutturali del federalismo, ai sensi del D. Lgs. 281/1997.
Tale provvedimento ha sollevato non pochi problemi, tra cui il dubbio se i
Comuni avessero o meno la possibilità di deliberare per la prima volta
l’istituzione di un’addizionale in pendenza del blocco.
L’ufficio per il federalismo fiscale è intervenuto sulla questione con la
circolare n. 1/DPF/UFF dell’11 del 11 febbraio 2003 in cui ha affermato che
se il Comune istituisse per la prima volta l’addizionale comunale all’Irpef, si
assisterebbe comunque ad una variazione dell’assetto delle aliquote che
prima era caratterizzato da un’aliquota pari a zero.
Il blocco che doveva avere breve durata, è stato di anno in anno prorogato
fino all’approvazione della L. 27 dicembre 2006, n. 296, DPEF 2007, che
oltre a sospendere il blocco ha introdotto una serie di novità per il 2007.
Infatti il comma 142 prevede che i comuni possono istituire una nuova
addizionale o variarne l’aliquota, laddove già presente, fino ad un massimo
che la stessa legge ha incrementato allo 0,8%.
L’istituzione o la variazione può essere operata mediante l’emanazione di un
regolamento che deve essere approvato con una delibera consiliare.
Ulteriore novità è rappresentata dalla lettera b) del comma 142, in cui è
prevista la possibilità per i Comuni di determinare una soglia di esenzione in
ragione del possesso di specifici requisiti reddituali.
Nuova è anche la modalità di versamento del tributo, infatti il nuovo art. 1
del D. Lgs. 360/1998 prevede che ciò avvenga in due tranche, acconto e
saldo, l’acconto deve essere versato entro il termine di versamento del saldo
relativo al periodo d’imposta precedente, unitamente al saldo dell’imposta
sul reddito delle persone fisiche.
La misura dell’acconto è stabilita nel 30% dell’addizionale ottenuta
applicando le rispettive aliquote di addizionale deliberate entro il 15
febbraio per l’anno in corso, al reddito imponibile dell’anno precedente.
Appare evidente che i contribuenti che rientrano nella soglia di esenzione
per l’anno precedente, non sono tenuti al versamento dell’acconto, ma
qualora il reddito per l’anno in corso non risulti compreso nella fascia di
esenzione, il contribuente verserà l’intero importo in un’unica soluzione non
dovendo sopportare alcun aggravio da interessi.
La novità dell’acconto investe anche la sfera dei sostituti d’imposta che lo
determinano utilizzando l’aliquota fissata dal Comune in cui il dipendente
ha il domicilio fiscale al 1° gennaio 2007, non più 31 dicembre 2006,
trattenendo i relativi importi in un numero massimo di nove rate mensili a
partire dal mese di marzo, tenendo conto delle esenzioni deliberate dallo
stesso Comune.
L’esenzione viene direttamente applicata dai sostituti d’imposta, anche in
assenza di specifica richiesta del contribuente, se il reddito imponibile
dell’anno precedente rientra nella fascia di esenzione deliberata dal Comune
per il 2007.
In caso di cessazione del rapporto di lavoro nel corso del 2007, il sostituto
d’imposta dovrà indicare nel CUD che non sono state operate ritenute in
acconto dell’addizionale comunale in applicazione dell’automatica
esenzione, qualora ciò sia avvenuto, sorge l’obbligo a carico del sostituto, di
restituire i relativi importi nelle mensilità successive o comunque in sede di
conguaglio.
Il saldo sarà poi determinato dagli stessi sostituti all’atto delle operazioni di
conguaglio, fine anno o fine rapporto, e il relativo importo verrà trattenuto
in un numero massimo di undici rate mensili a partire dal periodo di paga
successivo a quello in cui le stesse sono effettuate e non oltre il mese di
novembre.
In caso di cessazione del rapporto di lavoro, l’addizionale residua deve
essere prelevata in un’unica soluzione.
Osserviamo poi come Regioni e Comuni hanno utilizzato lo strumento
dell’addizionale nelle diverse aree del territorio nazionale.
La Regione Lombardia, con legge regionale 18 dicembre 2001, n. 27, ha
stabilito le aliquote dell’addizionale regionale all’Irpef in forma progressiva,
partendo dalla minima dello 0,9% da applicare ai redditi costituiti
esclusivamente da pensioni di ogni genere ed eventualmente dal reddito
derivante dall’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle sue
pertinenze, che non superino i 10.329,14 euro.
Si passa poi all’1,2% da applicare alla fascia di reddito compresa tra
10.329,14 e 15.493,71 euro; ai redditi compresi tra i 15.493,71 e 30.987,41
si applica l’1,3% e oltre i 30.987,41 la massima aliquota di 1,4%.
La Regione Veneto ha deliberato diverse rimodulazioni delle aliquote
dell’addizionale regionale all’Irpef, la prima, con legge regionale 24
dicembre 2001, n. 40 e successivamente con legge 22 novembre 2002, n. 34.
La prima delibera stabiliva, come per la Lombardia, una struttura di aliquote
progressive partendo allo 0,9% da applicare solo alle famiglie con disabile a
carico e con un reddito non superiore ai 30.987,41 euro; per le famiglie con
reddito, seppur inferiore, di 10.329,14 euro, ma che non hanno disabili a
carico, l’aliquota minima da applicare è dell’ 1,2%.
Per i redditi compresi tra i 10.329,14 e 15.493,71 euro, l’aliquota è 1,3%, da
15.493,71 a 69.721,68 euro si applica la massima aliquota dell’1,4%.
Ciò che sorprende è la successiva aliquota prevista, infatti per i redditi
superiori ai 69.721,68 euro è prevista l’aliquota dell’1,9%, in deroga a
quella massima prevista dal D. Lgs. 446/1997.
Tale previsione è suffragata dalla legge 16 novembre 2001, n. 405 che ha
convertito il D. L. 347/2001, che prevedeva “interventi urgenti in materia di
spesa sanitaria”.
La 405 prevedeva, al art. 4 comma 3-bis che limitatamente all’anno 2002 e
in deroga ai termini e alle modalità previste dall’art. 50, comma 3 del D.
Lgs. 446/97, le Regioni possono maggiorare l’aliquota dell’addizionale
regionale con propri provvedimenti da pubblicare sulla G. U. entro il 31
dicembre 2001.
La successiva delibera prevede una diversa distribuzione di aliquote che
parte dallo 0,9% per tutti i possessori di reddito imponibile non superiore a
10.400 euro; fino ai 15.000 euro si passa al 1,2%; ai redditi compresi tra
15.000 e 29.000 si applica 1,3% e oltre i 29.000 si applica la massima
dell’1,4%.
Ai disabili con reddito imponibile non superiore ai 32.600 euro e ai soggetti
con a carico fiscalmente un disabile e aventi reddito non superiore a 32.600
euro si applica l’aliquota dello 0,9%. Per l’anno 2006, la Regione Veneto, con
L.R. 26.11.2005, n. 19, ha fissato l'aliquota dell'addizionale regionale
all'imposta sul reddito delle persone fisiche, nella misura dello 0,9% per i
soggetti aventi un reddito imponibile, ai fini dell’addizionale regionale
IRPEF, non superiore a euro 29.000,00.
Per i soggetti aventi un reddito imponibile superiore ad euro 29.000,00,
l'aliquota è stata stabilita nella misura dell’1,4 per cento.
Per i soggetti aventi un reddito imponibile ai fini dell'addizionale regionale
IRPEF, compreso tra euro 29.001,00 ed euro 29.147,00, l’aliquota è
determinata in termini percentuali, sottraendo al coefficiente 1 il rapporto tra
l’ammontare di euro 28.739,00 e il reddito imponibile ai fini
dell’addizionale regionale IRPEF del soggetto stesso.
L’aliquota dell’addizionale regionale IRPEF resta altresì fissata nella
percentuale dello 0,9 per cento per i soggetti con reddito imponibile ai fini
dell’addizionale regionale IRPEF non superiore ad euro 50.000,00 ed aventi
fiscalmente a carico tre figli.
Qualora i figli siano a carico di più soggetti, l’aliquota dello 0,9 per cento si
applica solo nel caso in cui la somma dei redditi imponibili non sia
superiore ad euro 50.000,00.
La soglia di reddito imponibile è innalzata di euro 10.000,00 per ogni figlio
a carico oltre il terzo.
E’ prevista l’applicazione dell’aliquota agevolata dello 0,9 per cento per i
disabili con reddito imponibile, ai fini dell'addizionale regionale IRPEF, non
superiore ad euro 45.000,00 e per i soggetti con a carico fiscalmente un
disabile e aventi un reddito imponibile non superiore ad euro 45.000,00.
Qualora il disabile sia a carico di più soggetti, l’aliquota dello 0,9 per cento
si applica solo nel caso in cui la somma dei redditi imponibili, non sia
superiore ad euro 45.000,00.
Per l’anno 2007, la Regione Veneto con L.R. 21.12.2006, n. 27, ha
sostanzialmente confermato le disposizioni in materia di addizionale
regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche, previste per l’anno
2006, rimodulando le fasce di reddito stabilite per ciascuna aliquota in
conseguenza delle modifiche apportate in sede nazionale, aliquota dello 0,9
per cento per i soggetti aventi un reddito imponibile ai fini dell’addizionale
regionale IRPEF non superiore ad euro 28.000,00; aliquota dell’1,4 per
cento per i soggetti aventi un reddito imponibile, ai fini dell'addizionale
regionale IRPEF, superiore ad euro 28.000,00, (l’aliquota si applica
sull’intero ammontare del reddito e non solo sulla parte che eccede euro
28.000,00).
Per i soggetti aventi un reddito imponibile ai fini dell'addizionale regionale
IRPEF, compreso tra euro 28.001,00 ed euro 28.142,00, l’aliquota è
determinata in termini percentuali, sottraendo al coefficiente 1 il rapporto tra
l’ammontare di euro 27.748,00 e il reddito imponibile ai fini
dell’addizionale regionale IRPEF del soggetto stesso.
Rimane confermata l’applicazione delle misure agevolative, previste per
l’anno 2006, a sostegno delle famiglie numerose e dei soggetti disabili o
delle persone aventi a carico soggetti disabili.
Al centro-Italia le due regioni prese in considerazione hanno adottato
politiche fiscali differenti; la Regione Lazio ha deliberato un’aliquota unica
pari alla massima consentita dal D. Lgs. 446/97, mentre la Regione Marche
ha adottato una politica ben più articolata.
Ha infatti adottato una struttura di aliquote progressive per scaglioni di
reddito, partendo dal primo, per redditi fino a 15.493,71 euro, si applica la
minima aliquota dello 0,9%; avvalendosi della potestà di deroga al comma 3
dell’art. 50, D. Lgs. 446/97, consentita dalla già citata legge 405/2002, per i
redditi compresi tra 15.493,71 e 30.987,41 l’aliquota era fissata all’1,91%
arrivando poi all’aliquota del 3,6% da applicare a redditi compresi tra
30.987,41 e 69.721,68, oltre al quale si applica il 4%.
Dal 2003 la Regione ha poi provveduto a ridurre le aliquote per rientrare nei
limiti del comma 3, art. 50 D. Lgs. 446/97.
La Regione Puglia ha inizialmente adottato per il 2002 la massima aliquota,
poi nel 2003 ha operato una riduzione per i residenti, al 31 dicembre 2002,
nelle zone terremotate (delibera Giunta n. 2230 del 23/12/2002) prevedendo
un’aliquota dell’1,2% e dal 2004 ha ridotto l’aliquota per tutto il territorio
prevedendola al 1,10%.
La Regione Calabria ha introdotto l’addizionale regionale all’Irpef dal 1°
gennaio 2003 con aliquota massima.
Molte regioni hanno adottato una politica tributaria ad aliquote progressive
per l’addizionale regionale all’Irpef, ciò ha destato non poche perplessità in
quanto il dettato dell’art. 50 del D. Lgs. 446/97, al comma secondo
recita:”L’addizionale regionale è determinata applicando l’aliquota, fissata
dalla regione, in cui il contribuente ha la residenza”.
Utilizzando, quindi, il singolare, ciò farebbe presupporre una mera potestà a
deliberare solo sull’entità di un’unica aliquota, cosicché le Leggi Regionali,
che prevedono aliquote differenziate per scaglioni di reddito, si pongono in
contrasto con la legge statale.
La tesi dominante, in materia, è quella sostenuta dalla Corte Costituzionale
nella Sentenza n. 2 del 2006, sentenza in cui si dibatte su questioni di
legittimità costituzionale, in merito all’art. 1, comma 7, della L. R. Marche
19 dicembre 2001, n. 35, titolata:”Provvedimenti tributari in materia di
addizionale regionale all’Irpef” e dell’annessa tabella A, aventi per parti
Amilcare Brugni, l’Ufficio di Ascoli Piceno dell’Agenzia delle entrate e la
Regione Marche.
Nella specie, la tabella A, annessa alla denunciata legge, determina la
misura dell’addizionale regionale all’Irpef, non in ragione di un’aliquota
unica, ma di quattro aliquote modulate in ordine crescente per scaglioni di
reddito.
L’accusa promossa dal denunciante è di disparità di trattamento tributario a
danno di ogni cittadino perché ostacola sia la libertà di fissare il domicilio
(art. 16 Cost.) o l’impresa (art. 41 Cost.).
La difesa ha dichiarato che, contrariamente a quanto affermato dal
denunciate, la progressività di un tributo non viola il principio di
uguaglianza, ma, al contrario, valorizza la differenza di capacità contributiva
tra i diversi soggetti passivi d’imposta, basandosi sull’applicazione di una
“disciplina diseguale a situazioni diseguali”.
La Regione si difende dall’accusa di violazione delle libertà anzidette,
dichiarando che, come dettato degli articoli 117, 118, 119 Cost., come
modificati dalla riforma del Titolo V, le regioni misurano il proprio gettito
tributario sulla base delle politiche di spesa intraprese, quindi ai servizi
erogati al cittadino.
Inoltre , fa sapere la regione, la progressività delle aliquote permette di
applicare la massima solo sull’ultimo scaglione di reddito, colpendo quindi
solo le fasce più alte consentendo di mantenerne una inferiore ai redditi più
bassi.
In fine, la Corte Costituzionale ha emesso la sentenza negando la fondatezza
delle questioni sollevate dal proponente, dichiarando errati gli assunti
dell’accusa e non ravvisando violazioni dei citati articoli 117, 118, 119
Cost., avallando così le assunzioni della difesa.