3
nazionale avrebbe significato lasciare mano libera al grande padronato ed alle società
multinazionali sui temi dell’uso e della dislocazione delle risorse economiche ed umane
su scala mondiale
1
.
Le Acli assumevano in tal modo il ruolo di organizzazione di rappresentanza dei
lavoratori emigrati nei confronti delle autorità locali e di quelle consolari italiane. Per
questo aspetto, come per l’attività di formazione e di assistenza sociale, furono utili gli
accordi di collaborazione conclusi, per la Rft, con il KAB (Movimento Cattolico dei
Lavoratori tedeschi) ed il Werkovolk
2
, come nel caso del Comitato d’Intesa costituito
sulla base del rapporto stabilito tra Acli Germania e KAB, specificamente per quanto
riguardava l’attività ENAIP e ACLI CASA. La realtà dell’emigrazione, infatti, non
doveva essere indirizzata ed affrontata in termini settoriali e corporativi, ma inserita nel
più generale disegno di rinnovamento della società a livello nazionale ed internazionale.
L’importanza del lavoro delle Acli ha rappresentato il frutto di una loro capillare
presenza di base, legata ai problemi reali dei lavoratori, che contribuì a consolidare i
vincoli tra l’associazionismo democratico operante nell’emigrazione ed i sindacati, e a
diffondere la presa di coscienza nel nostro paese sul problema dell’emigrazione,
premessa indispensabile per ogni reale impegno di cambiamento.
Il settore emigrazione ha visto momenti di particolare collaborazione con altri settori del
movimento e dei servizi. L’impegno delle Acli, spesso in veste di promotori, si è inoltre
manifestato con la partecipazione attiva di consultazione in sede di comitato Esteri-
sindacati o Esteri-associazioni o con la presentazione di problemi specifici alla
commissione Lavoro del Senato-sottocommissione per l’emigrazione o del comitato
permanente per l’emigrazione della Camera dei Deputati. La finalità era quella di
costituire un sistema adeguato di tutela ed assistenza in grado di dare risposta ai
problemi degli emigranti in tema di lavoro, di assistenza-previdenza, del
ricongiungimento famigliare, della scuola, e della creazione di rapporti sociali e umani e
di relazioni che non facessero più sentire la solitudine e l’isolamento.
Interventi che portavano le Acli ad essere un Patronato di Assistenza, ed allo stesso
tempo un Sindacato di difesa, un punto di incontro dei lavoratori italiani della zona ed
un centro propulsore di iniziative e solidarietà, mantenendo sempre come fine principale
la tutela e la difesa del lavoratore nel campo dei suoi diritti assicurativi e previdenziali;
ambiti nei quali era necessaria una specifica competenza. Diveniva così settore di
attività pure la difesa sindacale, in quanto spesso molti aspetti della tutela del lavoratore
che rientravano nella competenza delle organizzazioni sindacali non sempre venivano o
potevano essere adempiuti da queste ultime e, di conseguenza, spettava al Patronato
sostituirsi ad esse. L’inserimento del Patronato, in questi casi, comprendeva anche
iniziative culturali, ricreative ed assistenziali, volte non solo alla difesa dei diritti delle
persone ma anche ad un aspetto molto importante e spesso volutamente trascurato dalle
autorità: la maggiore coesione sociale tra i nostri emigrati e tra essi e la popolazione
locale. Venivano così diffuse pubblicazioni a carattere specializzato comprendenti
notizie ed informazioni sociali, lavorative, assicurative, della vita e dei problemi delle
comunità italiane, e notizie dall' Italia che potevano in tal modo essere utilmente portate
a conoscenza dei lavoratori. Fatto importante questo della stampa, considerato che gli
organi di informazione, dalle grandi testate nazionali italiane alla radio, dalle prime
trasmissioni radiotelevisive alla Gazzetta Ufficiale della CEE, continuavano a
1
L’esecutivo delle Acli su emigrazione e sviluppo, Comunicato Stampa del 4 febbraio 1975
2
Relazione Generale della Presidenza Centrale, X Congresso Nazionale Acli, Roma, 3-6 novembre
1966, Industria Grafica Moderna, Roma.
4
privilegiare l'informazione economica e quella socio-politica, e non contribuivano in
alcun modo "all'affermazione sociale e politica delle esigenze degli emigranti, come
sarebbe giusto che fosse, visto che l'emigrazione è fatta quasi tutta di operai"3.
Mancava sopratutto una testata a grossa tiratura che fosse in grado di coinvolgere tanto
la collettività italiana all’estero quanto quella in Italia; la stampa all’estero invero non
arrivava in Italia, «al massimo arrivava alla Direzione Generale dell’Emigrazione, che
la valutava sulla base dei rapporti e delle informazioni ricevute dalle rappresentanze
diplomatiche e consolari, e sui tavoli degli uffici stampa delle Regioni»
3
, ed inoltre gli
articoli sugli emigrati che in Germania stavano in prima pagina, in Italia finivano
sempre nelle pagine interne.
Da una fase iniziale di intervento pressoché esclusivo volto ad assicurare un’efficace
assistenza sociale ai lavoratori emigrati attraverso i Segretariati e il Patronato, le Acli
passarono così ad una fase di vero e proprio impianto associativo. In un costante
sviluppo organizzativo che ha visto aumentare i tesserati in Germania dai 173 del 1960
ai 2.016 del 1966, ed i circoli dai 2 del 1960 ai 29 del 1966
4
.
Un intenso programma di attività, che rivolse particolare attenzione alla formazione
sindacale per favorire la partecipazione dei lavoratori emigrati alla vita del sindacato e
la loro assunzione a posti di responsabilità. Infatti, la mancanza di adeguamento della
politica per l’emigrazione alle dimensioni del fenomeno migratorio, e del
riconoscimento effettivo del principio di piena uguaglianza del cittadino italiano
all’estero non consentivano che i nostri connazionali si sentissero effettivamente liberi
cittadini portatori di diritti e di doveri. Continuavano a non essere rispettati i loro diritti
costituzionali al voto e i diritti sociali all’istruzione, alle prestazioni di sicurezza sociale
e all’abitazione
5
. Punto questo della formazione, fondamentale, non solo al fine del
collocamento in Germania, ma in particolare anche per un eventuale rientro in patria. Si
rendeva così sempre più necessaria la promozione della classe lavoratrice ed il suo
inserimento nella nuova società europea, in un’integrazione tanto economica quanto e
sopratutto sociale. La formazione sociale e politica era il mezzo per crescere ed essere
partecipi della società civile ed allo stesso tempo per potenziare la capacità politica ed
organizzativa e, come tale, doveva essere valorizzata nel e per il rispetto dei lavoratori
emigranti.
Interessante a questo proposito è uno stralcio dell’intervista rilasciata dal Presidente
Nazionale delle Acli, Emilio Gabaglio alla radio tedesca nel 1969: « … Non più sola
assistenza e tutela verso gli emigrati, ma garanzia, sviluppo e promozione dei diritti
umani, sociali, previdenziali e, sopratutto deve essere posto su basi nuove il diritto
della partecipazione dei lavoratori emigrati sia alla comunità estera in cui vivono e
lavorano, sia nei confronti della realtà italiana. Nel primo caso essi devono
raccogliersi nelle organizzazioni sindacali, partecipare alle attività sociali e sindacali
di fabbrica di categoria, devono iscriversi al sindacato, diventarne membri attivi e
3
Mauro G., op. cit.
5
GERMANIA 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966
Tesserati 173 348 457 1011 1113 1527 2016
Circoli 2 9 6 9 14 22 29
Dati tratti da:, X Congresso Nazionale Acli, Roma 3-6/11/1966, Industria Tipografica Moderna, Roma, (1966)?
5
“Le condizioni di una politica sociale europea nella risoluzione dell’Assemblea dei Dirigenti ACLI in Europa”,
Bruxelles, 5-6/06/1965, in Studi Emigrazione, N. 4, Ottobre 1965.
5
militanti, contare dall’interno e chiedere anche al sindacato un atteggiamento di
maggiore disponibilità per la tutela del lavoro degli emigrati. […]…per organizzare un
forte movimento d’opinione, un forte movimento di massa che possa imporre le
soluzioni ai problemi economici, sociali della loro condizione di lavoratori
all’estero…»
6
.
Le proposte delle Acli e del Movimento operaio in quest’ambito trovarono la loro
concretizzazione anche nella linea formativa dell’ENAIP
7
. I suoi principali fini erano,
infatti, la promozione dell'integrazione di giovani ed adulti italiani nella società tedesca
e nel mondo del lavoro tedesco, la promozione della lingua e della cultura italiana, corsi
di lingua tedesca per migranti e attività di sostegno, recupero e reinserimento nel
mercato del lavoro per i disoccupati. L’intervento che è stato sviluppato per la Germania
aveva l’obiettivo di dare alla mobilità il significato di una scelta quanto più possibile
«libera» del lavoro, della professionalità, e della promozione sociale
8
. La situazione
economica generale, caratterizzata da un forte squilibrio interno, determinava la
necessità di un maggiore intervento del sindacato e di un’iniziativa unitaria per poter
intervenire alla guida dei processi di sviluppo e nella gestione delle politiche
occupazionali. Nuovi strumenti culturali e professionali dovevano realizzare
un’integrazione attiva, fondata non sulla perdita della propria identità culturale e sociale
ma sulla valorizzazione delle proprie capacità, nel rifiuto dell’emarginazione.
Questo ha permesso che i Gastarbeiter diventassero lavoratori inseriti nelle dinamiche
economiche e sociali della Germania pur senza mai perdere la propria identità perché
come ha riassunto con una osservazione esemplare Max Frisch, l’accordo bilaterale
Italia-RFT per il reclutamento di manodopera, l’«Anwerbervertrag», del 1955,
richiedeva braccia ma dall’Italia, così come dagli altri paesi poco sviluppati
dell’Europa, arrivarono invece uomini con le loro storie, i loro problemi ma anche le
loro capacità, le loro risorse e anche i loro sogni. Questo insegnamento è sempre attuale.
6
Gabaglio E., Intervista rilasciata alla radio tedesca, in Emigrazione, N. 6, novembre- dicembre 1969.
7
Corso di Formazione Enaip, Revisondoli (L’Aquila) luglio 1978, in Formazione e Lavoro, N. 87-88,
luglio-dicembre 1978, Enaip, Grafiroma, Roma, 1979, p. 94.
8
De Falchi F., La presenza Enaip in emigrazione, in Formazione e Lavoro, N. 87-88, luglio-dicembre
1978, Enaip, Grafiroma, Roma, 1979,p. 88.
6
1 L’emigrazione italiana nel secondo dopoguerra
... Avevamo bisogno di braccia, e sono arrivati uomini
9
…,
Quanti significati e verità dietro ad una semplice frase. La storia dell’emigrazione nel
nostro paese è una questione molto complessa che affonda le sue radici in un passato
che troppo spesso ridiventa per noi presente. Il compito della storia è principalmente
quello di insegnare, di far capire, di far conoscere, con la speranza che errori, spesso
tragici, e scelte sbagliate del passato non abbiano più a ripetersi. Ma questo non sempre
avviene.
La storia della nostra emigrazione è un continuo ripetersi di situazioni già vissute in
tempi passati, di condizioni interne al nostro paese già conosciute ma mai risolte, di
cause e conseguenze che nemmeno il trascorrere del tempo ha potuto cambiare.
E’ molto difficile iniziare un discorso su questo argomento, dati, statistiche, vicende
politiche, sentimenti, tutto si affolla e si confonde.
1.1 Ragioni economiche e sociali
Cosa o chi ha spinto un tal numero di persone ad abbandonare la propria terra, la propria
famiglia per avventurarsi in luoghi a molti sconosciuti e per tutti lontani? Cause e
responsabilità.
Sovrappopolazione, povertà di risorse, limiti del territorio, sono tra le principali cause
che vengono adotte per cercare di spiegare il fenomeno emigrazione in Italia. Ma le
analisi negli anni hanno dimostrato come queste siano giustificazioni determinate da
una politica dei governi succedutisi nel tempo, incapace di affrontare una realtà
complessa e problematica quale quella del Mezzogiorno. Non è proprio corretto parlare
solo di incapacità, in quanto spesso sembra invece trattarsi di vera e propria volontà di
mantenere la situazione in determinate condizioni, rivelatesi negli anni di “utilità” alla
politica economica ed estera italiana.
Quante volte ci troviamo a discutere di emigrazione e clandestinità con i nostri colleghi
e amici, dando le nostre soluzioni, senza considerare quello che essa significa realmente
per noi. Anni di sfruttamento e nient’altro, braccia e non uomini, questa e nessun’altra è
la considerazione che ancor oggi sentiamo fare di migliaia di persone che chiedono
soltanto di riavere quanto il nostro “moderno” modo di vita toglie loro quotidianamente.
La storia della nostra emigrazione in Germania può essere, oggi, la dimostrazione che
ancora sussiste nelle mentalità di politici, economisti, imprenditori, e gente comune la
distinzione degli esseri umani in due categorie. Quelli che appartengono alla prima
devono godere di tutti i diritti e sopratutto del diritto di vivere una vita degna di questo
nome, quelli che appartengono alla seconda devono invece essere il mezzo affinché
questo possa avvenire. Un’opportuna diffidenza viene poi diffusa nell’opinione
pubblica così da evitare che eventualmente qualcuno possa porsi qualche perché di una
tale situazione. L’obiettivo è sempre quello di mantenere ben divise e in contrasto le due
realtà, evitare quanto più possibile che esse vengano in contatto, che esse acquisiscano
9
Max Frisch
7
una coscienza di classe. Non si spiegherebbe altrimenti l’insuccesso delle politiche a
favore del mezzogiorno e in particolar modo la difficoltà di giungere, nel momento in
cui si scelse questa come via migliore, ad una seria politica dell’emigrazione.
Tra il 1949 ed il 1950 la Riforma Agraria aveva due obiettivi, uno politico che si
prefiggeva di conquistare al sistema democratico la popolazione agricola sopratutto
meridionale, ed uno economico che vedeva nella valorizzazione del latifondo la
possibilità di aumentare la produzione agricola e da questo giungere a redditi più elevati
e ad una maggiore occupazione. Entrambi però fallirono, non mutò l’atteggiamento
politico dei contadini e l’eccessivo frazionamento dei terreni espropriati non consentì il
raggruppamento delle piccole unità produttive in aziende di proporzione grande e
media; continuava, inoltre, a mancare un’adeguata educazione tecnica e civica e gli enti
di riforma e le loro dirigenze cominciavano a trasformarsi in centri d’influenza politica,
alterando le finalità e l’operato degli enti stessi. Anche l’azione della Cassa per il
Mezzogiorno non riuscì a mutare la situazione. Uno dei maggiori errori di questa
politica fu quello di aver puntato sopratutto sulla creazione delle infrastrutture
tralasciando il sostegno all’iniziativa privata. Si manteneva e si ponevano così le basi di
un ulteriore sottosviluppo umano, sociale ed economico delle regioni meridionali che
sarebbe andato ad alimentare un fenomeno migratorio dequalificato professionalmente e
pertanto sottoposto alla concorrenza di altre correnti migratorie.
Il fallimento delle iniziative a favore del Mezzogiorno, secondo molti studiosi, è insito
negli stessi squilibri endemici che caratterizzano la situazione italiana, per cui:
- la sovrappopolazione associata ai limiti del territorio che «per oltre metà è
improduttivo o inabitabile per le caratteristiche orografiche»
10
,
- la sovrappopolazione associata ad un sottosviluppo come quello del Mezzogiorno
che ha in sé tutte le caratteristiche storiche, politiche, sociali ed economiche per
essere inserito nelle aree geografiche della fame e che grazie all’analfabetismo, alla
disoccupazione, alla permanenza del latifondo, ad una concezione mafiosa della
vita, lo rendono un serbatoio permanente di manodopera disoccupata e con scarse
prospettive di recupero
11
,
- la sovrappopolazione associata alla caratterizzazione prevalentemente agricola
dell’Italia che non le ha consentito il superamento delle dicotomie tradizionali
settoriali e territoriali tra agricoltura-industria e Mezzogiorno-Nord, aggravando la
sproporzione tra pressione demografica e disponibilità delle risorse, determinando
condizioni di vita insostenibili ed alti tassi di disoccupazione e sottoccupazione, fino
a portare gli individui all’emigrazione
12
.
Certamente tutti questi fattori hanno un’influenza notevole sullo sviluppo che si avrà
dell’emigrazione, ma non si può non tenere in considerazione il fatto che «l’espansione
della popolazione in un’economia dinamica, agile e moderna, è un fattore
indispensabile di progresso»
13
, l’errore fondamentale è stato, e continua ad essere, il
non aver puntato su questa fonte di ricchezza e di progresso rappresentata dalla forza
lavoro, su uno sviluppo economico non arretrato rispetto a quello demografico, in grado
di consentire il progredire dei suoi rapporti di produzione parallelo a quello della
popolazione. D’altronde gli esempi che il nostro stesso paese ci offre sono
sufficientemente esaustivi se pensiamo che regioni densamente popolate e a parità di
10
Del Mare A., cit. in La Redazione, Le cause del perdurante fenomeno dell’emigrazione, Studi
Emigrazione N. 30, 1973, p. 194.
11
Ufficio Studi del Centro di Orientamento Immigrati (COI) di Milano, cit. in La Redazione, op. cit.
12
Marselli G. A., in La redazione, Le cause del perdurante fenomeno dell’emigrazione, op. cit.
13
Prof. Otto d’Asburgo, cit. in Cinanni P., «Il Globo», 29.3.1967, in La Redazione, Le cause del
perdurante fenomeno dell’emigrazione op. cit., p. 198.
8
superficie non sono paesi esportatori di manodopera, e invece regioni come la Sardegna
che ha una densità bassissima di popolazione rispetto alla superficie è invece una delle
regioni ad alta esportazione di forza-lavoro.
La teoria della sovrappopolazione come fattore principale dei problemi del Meridione
sembra più che altro una giustificazione di un’inadeguata politica migratoria che ha
mirato principalmente non solo all’esportazione dei capitali, ma anche all’esportazione
di manodopera, non cercando invece un maggiore e migliore investimento di entrambi
sul proprio territorio. Per dirla con Sergio Greco: « … non esistono paesi poveri …
esistono invece paesi poveri di idee, incapaci di modificare sovrastrutture parassitarie,
di modificare politiche stolide… in favore di interventi massicci di risanamento
economico, civile e quindi sociale»
14
. Una precisa determinazione a mantenere una
massa di persone in perenne attesa di un intervento dello Stato, di lavori di
miglioramento a favore della collettività, in uno stallo che non porta ad alcuna
promozione sociale, culturale ed economica dell’iniziativa privata. Sembra molto più
corretto parlare di mancanza di risorse culturali piuttosto che naturali, sia da parte della
classe politica che di quegli strati della società che un ruolo importante hanno avuto nel
sottosviluppo del Sud; ne è un esempio la borghesia, che, mentre in Europa e nel nord
Italia si faceva promotrice del nuovo sviluppo economico, nel Sud Italia ereditava il
parassitismo e la mancanza generale di volontà di elevare le popolazioni, caratteri che
per anni avevano caratterizzato la vecchia nobiltà. Parassitismo, fatalità e
provvidenzialismo sono le linee guida per il vivere quotidiano che vengono instaurate,
per una cultura emarginata e repressa alla quale viene presentato come unico sbocco
l’alternativa tra rassegnazione, fuga o violenza. In effetti, la scelta che fu fatta per
riequilibrare lo squilibrio tra l’aumento della popolazione e l’arretratezza della struttura
produttiva si risolse nell’emigrazione, vista come unica possibilità per eliminare buona
parte delle richieste che allo Stato giungevano dal Sud. Una decisione che però non
teneva conto del fatto che in questo modo ci si stava avviando verso una piena
dipendenza dalle congiunture del mercato internazionale, dai suoi momenti di sviluppo
e dalle sue recessioni, e che non comportava una partecipazione popolare
all’applicazione di questo modello alle varie realtà regionali. Si preferì una dipendenza
dall’economia, dalle leggi dell’accumulazione e dello sviluppo per poli, che col tempo
si manifestarono come ulteriori cause dello squilibrio nel rapporto popolazione- risorse,
con una « egemonizzazione dello scarno tessuto economico delle zone di spopolamento
da parte d’ imprese agricole o industriali esterne e capital- intensive che hanno
politiche di investimento di segno negativo per l’ambiente in cui operano»
15
.
Non si tendeva all’organizzazione di una crescita coordinata del paese, allo sviluppo ed
alla diffusione capillare sia dell’istruzione, con provvedimenti continuativi e legati tra
loro, sia della formazione professionale; mancanze che andranno poi ad incidere
pesantemente sulla vita dei nostri connazionali all’estero, la cui scarsa preparazione
professionale comporterà l’impossibilità, per molti, di raggiungere l’obiettivo ultimo
dell’emigrare: l’effettivo miglioramento delle proprie condizioni di vita.
14
cit. in La Redazione, op. cit., p. 200.
15
Martelletti M., cit. in La Redazione, op. cit., p. 204.