13
INTRODUZIONE
Il miglioramento continuo della qualità della vita è l‟obiettivo che ogni individuo cerca
di raggiungere: l'uomo è soprattutto alla ricerca di quelle sensazioni ed emozioni che lo
facciano star bene e lo appaghino, in una parola è alla ricerca di quello stato emotivo di
benessere chiamato felicità.
L‟aspirazione verso più alti livelli di benessere è avvertita, naturalmente, anche a livello
di collettività, ma non è sempre facile fornire una precisa e condivisa definizione di
benessere, che possa essere utilizzata per costruire un indicatore in grado indirizzare con
chiarezza le politiche economiche e istituzionali di una comunità.
Il PIL (Prodotto Interno Lordo) è stato considerato per molto tempo l‟indice di misura
adeguato per la valutazione di questa grandezza. In molti casi tuttavia, le statistiche sul
PIL sembravano suggerire che la situazione economica fosse in condizione nettamente
migliore rispetto a quella percepita dai singoli cittadini e queste discrepanze hanno fatto
sorgere giustificati dubbi sull‟effettiva adeguatezza del PIL. Nonostante ora sia
universalmente riconosciuto che esso non costituisce un valido indicatore degli standard
di vita, in modo paradossale viene utilizzato in tal senso dalla maggior parte degli
economisti. Il persistere di questa prassi, nonostante il PIL sia stato concepito solo come
indicatore della crescita economica di una comunità, fa sì che lo scopo della politica sia
quello di far crescere in modo continuato e smisurato l‟economia di mercato, portando il
sistema alla cosiddetta “massimizzazione del benessere”. Questo comporta però gravi e
rilevanti conseguenze per la politica di una nazione e per la vita dell‟intera comunità.
Nel 2008 il presidente francese Nicolas Sarkozy, insoddisfatto dell‟attuale stato delle
informazioni statistiche riguardanti l‟economia, ha istituito la Commission on the
Measurement of Economic Performance and Social Progress, coordinata da Joseph
Stiglitz e Amartya Sen, entrambi Premi Nobel per l‟economia. La Commissione ha
concordato sulla necessità di introdurre, nella misurazione del benessere collettivo,
indicatori più significativi del PIL, che pongano l'accento non tanto sulla mera
produzione economica quanto sui fattori reali che determinano la “felicità pubblica”.
14
Quando parliamo di benessere, nel linguaggio comune esso è associato alla concezione
di possesso materiale. In realtà il “ben essere” è qualcosa di molto diverso dal “ben
avere”: esso dipende dal grado di soddisfazione degli infiniti bisogni che caratterizzano
l‟uomo, materiali ed immateriali.
Secondo il rapporto della Commissione, il “ben essere” è il risultato della combinazione
di diverse dimensioni, che devono essere considerate simultaneamente:
Il tenore di vita materiale, in cui vengono considerati il reddito, il
consumo e la ricchezza;
La salute;
L‟educazione;
Le attività personali incluso il lavoro;
Il livello di partecipazione politica;
Le relazioni sociali;
L‟ambiente, nella sua condizione presente e futura;
L‟insicurezza, sia di natura economica che di natura psicologica.
Questa nuova consapevolezza ha portato gli studiosi ad individuare un indice che possa
sostituire il reddito come indicatore standard di benessere e che tenga conto di tutti i
fattori che concorrono nel determinare la qualità di vita di una persona: nasce in questo
modo il BIL (Benessere Interno Lordo).
Il mio lavoro parte da questa tesi: il benessere non coincide con la ricchezza, è
necessario andare più a fondo e dare importanza ad altri fattori che, quotidianamente,
incidono sul nostro tenore di vita. In particolare, desidero mettere in rilievo l‟importanza
degli stati d'animo: se sono positivi, possono influire in modo considerevole sia sul
comportamento sia sui processi di pensiero delle persone, rendendoli maggiormente
adeguati e funzionali alle situazioni di vita di ogni persona. E' poi ovvio che tutto questo
si ripercuota positivamente sullo star bene dell'individuo con se stesso e con gli altri.
Diventano quindi essenziali sentimenti come la tranquillità, la sicurezza e il senso di
appartenenza, così come diventano causa di malessere stati d‟animo come la paura,
l‟insicurezza, il timore, la solitudine, l‟ansia.
In una società complessa come la nostra, ogni giorno veniamo bombardati da stimoli di
ogni genere, che possono influenzare le nostre giornate. La maggior parte delle volte
non sono fatti eccezionali ma eventi quotidiani, legati alla vita di tutti i giorni:
15
l‟insicurezza economica, l‟ansia di dover fare qualcosa, la paura di sbagliare, il sentirsi
soli di fronte ad un problema. Le variabili sono davvero tante, ma altrettanti sono gli
strumenti attraverso i quali possiamo trasformare il nostro malessere in benessere.
Il seguente elaborato cercherà di spiegare come le Acli, Associazioni Cristiane
Lavoratori Italiani, possano dare un concreto contributo alla formazione del benessere
per la comunità, sia dal punto di vista economico che da quello psicologico.
Dopo un capitolo introduttivo in cui verrà spiegata l‟evoluzione storica delle Acli,
partendo dal contesto socio-politico che ha portato alla creazione di un‟associazione di
questo tipo, verrà spiegata la struttura del sistema aclista, scendendo nello specifico dei
vari servizi erogati.
La seconda parte della tesi si occuperà invece della realtà trevigiana. Dopo una breve
parentesi sulla nascita delle Acli, verrà affrontato nello specifico il tema del benessere,
nel tentativo di capire se e come le Acli possano contribuire alla “felicità” delle persone.
La mia ricerca si basa su alcune interviste ai responsabili dei servizi Acli, con cui ho
cercato di approfondire questa tematica. Alla luce delle risposte ottenute, cercherò di
valutare l‟effettiva efficacia del sistema aclista nella risoluzione di problematiche sociali
che sono causa di malessere e quindi la sua concreta capacità di produrre felicità.
16
17
Capitolo 1
NASCITA E SVILUPPO DELLE ACLI IN ITALIA
1.1 Il movimento sociale cattolico
Prima di inoltrarci nella storia vera e propria delle Acli, mi sembra opportuno
richiamare alcune linee che hanno caratterizzato la tradizione sociale cristiana, e che
hanno avuto un influsso nella storia del movimento aclista.
Il movimento sociale cattolico italiano si sviluppò in ritardo rispetto a movimenti
cristiano-sociali organizzati in altri paesi e la spiegazione di questo ritardo va ricercata,
innanzitutto, nella situazione particolare della Chiesa italiana. Essa si sentiva defraudata
dei suoi beni e colpita in quelli che considerava suoi legittimi diritti, perciò considerò
per decenni lo Stato Italiano come stato nemico, a cui i cattolici dovevano rifiutare ogni
collaborazione.
Non va poi trascurata come causa del ritardo nell‟impegno sociale, la resistenza al
cambiamento opposta da una certa visione religiosa della vita, presente in larghi strati
del clero e del popolo. Secondo questa visione, la modifica dei mali sociali, scaturita
dalle logiche con le quali in progresso si era imposto, non andava operata attraverso una
mobilitazione collettiva ma mediante un miglioramento spirituale degli individui. Si
arrivava addirittura a considerare “la povertà come elemento indispensabile di una
società cristiana; presupposto perché gli uni dessero prova di pazienza, e gli altri di
carità”.
1
In una tale concezione religiosa della vita, l‟esercizio dell‟amore verso il
prossimo mal si conciliava con un‟accettazione del rapporto dialettico tra le classi, con
la conseguenza che, secondo l‟ideale cattolico, tutti conflitti che sorgevano tra capitale e
lavoro dovessero essere risolti senza ricorrere a “armi, sciopero e serrata”.
2
1
A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Einaudi, Torino 1949, cit., p.437.
2
Ibidem, cit., p.61.
18
Si spiega allora come un vero e proprio movimento sindacale cristiano sia sorto
solo molto tardi,
3
e non tanto per una convinzione maturata all‟interno del mondo
cattolico, quanto per ostacolare il sindacalismo rosso.
1.2 La creazione delle Acli: 1944-1946
1.2.1 Le radici
Le radici del movimento aclista risalgono al 1891, quando papa Leone XIII
emanò l‟enciclica Rerum Novarum con la quale, per la prima volta, la Chiesa cattolica
prese posizione in ordine alle questioni sociali e fondò la moderna dottrina sociale
cristiana. Il movimento cattolico era infatti diviso sull‟atteggiamento da tenere nei
confronti del capitalismo avanzante: c‟era chi voleva un avvicinamento al movimento
socialista, mentre altri auspicavano una benedizione del progresso, secondo la logica del
“laissez faire”.
4
L‟originalità di questa enciclica risiede nella sua mediazione: il Papa,
ponendosi esattamente a metà strada fra le parti, ammonisce la classe operaia di non dar
sfogo alla propria rabbia attraverso le idee di rivoluzione, di invidia ed odio verso i più
ricchi e, allo stesso tempo, chiede ai padroni di mitigare gli atteggiamenti verso i
dipendenti e di abbandonare lo schiavismo cui erano sottoposti gli operai. Il Papa
auspica che fra le parti sociali possa nascere armonia e accordo nella questione sociale,
sostenendo che il rimedio è dato dall‟ “unione delle associazioni”: “anche se non è
possibile trovare una risoluzione che valga senza ricorrere alla religione e alla Chiesa” è
necessario che “le forze di tutte le classi sociali si colleghino e vengano convogliate
insieme al fine di provvedere meglio che sia possibile agli interessi degli operai; e crede
che, entro i debiti termini, debbano volgersi a questo scopo le stesse leggi e l'autorità
dello Stato”.
5
Questa autorizzazione all‟associazione sindacale verrà poi confermata da altre due
encicliche: la Singulari Quadam di Pio X (1912) e la Quadragesimo Anno di Pio XI
(1931), che stabiliva la liceità per i lavoratori cattolici di aderire ai sindacati, purché
accanto ad essi ci fossero “altri sodalizi i quali si adoperassero con diligenza ad educare
3
I primi sindacati cattolici nascono solo verso il 1900.
4
A. Boschini, Momenti di storia del movimento operaio, Edizioni Acli, Roma 1963, cit., pp.222-226.
5
Cfr. Papa Leone XIII, Enciclica Rerum Novarum, 15 maggio 1891.
19
i loro soci sulla parte religiosa e morale” e ad insegnare ad essi come “comportarsi nel
sindacato secondo il diritto naturale ed i principi della dottrina sociale cristiana”.
1.2.2 La situazione italiana nel secondo dopoguerra
Le Acli nascono in uno dei periodi più difficili della storia italiana: il secondo
dopoguerra. Dopo l‟esperienza fascista, la nuova società italiana, rivelava profondi
segni di spaccature e, insieme, una precisa volontà unitaria.
6
Il Nord conobbe la sofferenze dell‟occupazione tedesca, le deportazioni, le rivolte
armate e maturò una profonda disistima verso le istituzioni che avevano permesso tutte
quelle ingiustizie e la volontà di costruire una nuova Italia. Il Sud, al contrario, non
conobbe le lotte della resistenza e passò in modo indolore il salto dal regime fascista al
regime di occupazione alleata, conservando fiducia verso le istituzioni e la monarchia.
Queste opposte esperienze della guerra contribuirono a generare ostilità tra le parti del
paese, che si sommarono a differenze già radicate nella storia.
Contemporaneamente a queste lacerazioni troviamo però anche una forte volontà
comune di ricostruire il Paese e lo Stato, con un volto nuovo e con programmi che
tenessero presente gli errori passati.
Dal punto di vista economico, all‟interno del Paese scarseggiavano il cibo e le
materie prime fondamentali. L‟agricoltura era in piena crisi: il patrimonio agricolo era
diminuito notevolmente, vi era carenza di concimi chimici e le zone paludose,
bonificate durante il fascismo, erano minacciate dalle devastazioni e dalla carenza di
manutenzione. L‟industria era in settore meno danneggiato, in quanto la maggior parte
degli impianti era stata salvata dalla politica tedesca della “terra bruciata”, grazie
soprattutto alla difesa operaia delle fabbriche. Nel frattempo si profilava lo spettro della
disoccupazione per milioni di lavoratori. Gran parte della rete dei trasporti e delle
comunicazioni erano distrutte e abitazioni, ospedali e servizi pubblici richiedevano
enormi capitali per essere rimessi in efficienza.
Anche la situazione politica era instabile: le forse politiche che si presentano nel
dopoguerra sono diverse per estrazione sociale, tradizione e obiettivi. Le loro differenze,
non essendo ancora stata verificata elettoralmente la consistenza numerica, era valutata
sulla base dell‟efficienza e dei meriti acquisiti nel periodo della resistenza.
6
G. Pasini, Le Acli delle origini. 1944-1948., Coines Edizioni, Roma 1974, cit., p.29.
20
Per la ripresa si fede affidamento sulla relativa salvezza dell‟industria e sulla
capacità degli italiani di lavorare duramente ma va aggiunto che l‟Italia non avrebbe
potuto assolutamente sollevarsi dalla crisi economica senza i sostanziosi e continuativi
aiuti esterni da parte, soprattutto, degli Stati Uniti.
1.2.3 La giustificazione delle Acli
L‟idea di un‟organizzazione come le Acli nacque nella mente di Achille Grandi in
contemporanea con la formazione dell‟unità sindacale, se non come conseguenza
dell‟unità sindacale stessa.
Il 3 giugno 1944 veniva firmato a Roma un patto sindacale, con il quale la CGIL
veniva riconosciuta come sindacato unico: firmatari del patto erano Giuseppe di
Vittorio, per il partito comunista, Achille Grandi per il partito democristiano e Emilio
Canevari per il partito socialista.
Grandi si era trovato pienamente d‟accordo sul fatto che il partito dovesse essere
unitario: il regime fascista aveva inciso particolarmente sulla situazione dei lavoratori
anche a causa della loro disunione e la ricostruzione prevedeva obiettivi che andavano
al di là delle ideologie politiche.
Secondo l‟intenzione di Grandi, le Acli dovevano svolgere una duplice funzione:
formativa e pre-sindacale. L‟unità sindacale infatti, lasciava scoperto tutto lo spazio
della formazione dei lavoratori cristiani, che non doveva limitarsi alla dimensione
interiore ma essere invece una formazione incarnata nei problemi concreti, capace di
attuare la dottrina sociale della Chiesa nel mondo del lavoro. Il compito delle Acli si
specificava quindi nella preparazione di tutti i lavoratori cattolici ad agire nella vita
sindacale, affinché potessero operare coerentemente alla loro visione cristiana della vita
e dell‟impegno sociale, portando nella CGIL il contributo sociale cristiano predicato
dalla Chiesa.
Grandi inoltre, pur credendo fermamente nell‟unità sindacale, aveva anche molti
timori: sapeva che la corrente cristiana era in minoranza e che poteva rischiare di venir
schiacciata dalle forze socialiste e comuniste. L‟obiettivo delle Acli era quindi anche
quello di assicurare nel sindacato unitario, una presenza efficace dei cattolici e, in caso
di fallimento, le associazioni dei lavoratori cristiani avrebbero costituito il primo nucleo
per la formazione di un sindacato cristiano.
21
1.2.4 La nascita delle Acli
Tra il 14 giugno e il 5 luglio dello stesso anno, sette persone, che possiamo
considerare i fondatori delle Acli, tennero quattro incontri per delineare fisionomia e
scopi dell‟associazione.
Erano: Achille Grandi, sindacalista cristiano; Vittorino Veronese, direttore
dell‟INCAS; Giulio Pastore, che rappresentava in quel momento l‟interesse della DC;
Lamberto Giannitelli, sindacalista che, come Pastore, rappresentava la DC; Piercostante
Righini, delegato della gioventù italiana di AC e segretario nazionale della GIOC
(Gioventù Italiana Operaia Cristiana); Silvestra Tea Sesini, in rappresentanza
dell‟Unione donne di AC e per il settore femminile della DC; Luigi Palma, dirigente
ACI per gli uomini ma presente soprattutto per la sua esperienza nei problemi del lavoro
e dell‟orientamento professionale.
7
I problemi che i fondatori si trovarono ad affrontare furono diversi.
Innanzitutto il nome da dare alla nuova organizzazione. Optarono per
“Associazioni”, in quanto lo statuto prevedeva, sotto la medesima organizzazione, la
presenza di diverse forme associative, circoli di lavoratori e nuclei aziendali e quindi il
plurale sembrò più appropriato.
Il secondo problema da chiarire era il fine delle Acli. Venne steso uno statuto
provvisorio, che fissava i principi già affermati precedentemente, precisando, nell‟art.1,
che le Acli:
“raggruppano coloro che nell‟applicazione della dottrina del cristianesimo
secondo l‟insegnamento della Chiesa ravvisano il fondamento per la
condizione di un rinnovato ordine sociale”.
Nell‟art.2 scende poi nel dettaglio, stabilendo che:
“scopi principali delle Associazioni sono: svolgere opera di educazione e di
elevazione religiosa, morale, culturale e sociale a favore dei soci;
salvaguardare la franca e pratica professione della fede e della morale
cattolica negli ambienti di lavoro da parte dei soci; avviare i lavoratori a
conoscere i loro problemi e interessi e ad impostarne la soluzione secondo i
7
G. Pasini, Le Acli delle origini. 1944-1948, cit., p.47.
22
principi cristiani […]; concorrere allo studio in genere di tutti i problemi del
lavoro, tanto per la parte dottrinale, che per l‟applicazione pratica, al fine di
migliorare le condizioni dei lavoratori; promuovere ogni opportuna iniziativa
per la partecipazione dei soci alle attività previdenziali, cooperativistiche e
ricreative e per l‟assistenza nel campo dell‟emigrazione; curare la
partecipazione attiva dei soci alla vita del sindacato unitario”.
8
Il terzo problema da affrontare riguardava invece l‟assistenza religiosa. La
presenza del sacerdote all‟interno delle Associazioni fu unanimemente riconosciuta
come indispensabile. Era però necessario combinare insieme il carattere laicale
dell‟Associazione ed un efficace esercizio ministeriale. Riguardo al sacerdote, lo statuto
provvisorio si esprimeva così: “Circoli, sezioni e presidenza centrale proporranno alle
competenti autorità ecclesiastiche la nomina di un sacerdote i qualità di assistente delle
Associazioni”. Precisava inoltre il dovere di “far ricadere la scelta su un sacerdote che
conosca i problemi sociali e che si distingua per eccezionale zelo ed attività”.
9
1.2.5 I rapporti con la Chiesa
Le Acli, definite le basi, si misero in cammino per diffondersi tra i cattolici. A tal
proposito fu importante il contributo della Santa Sede, da cui avevano già avuto un
tacito consenso al momento della loro costituzione, che diede loro un‟investitura
ufficiale. Esse trovarono appoggio non solo in papa Pio XII ma anche in Monsignor
Montini, vero sostenitore delle Acli. Nel ‟46, a nome del papa, egli inviò a tutti i
vescovi d‟Italia un importante documento che contribuì a dare nuovo impulso al
movimento. Nel comunicato il pontefice esprimeva il desiderio che le Acli sorgessero
ovunque, creando così una presenza attiva dei cattolici nel sindacato ed esortava il clero
a prestare aiuto ed assistenza al laicato cattolico.
La Chiesa chiese ai vescovi di incrementare la nascita della Acli, operando però
attenzione nel reclutamento affinché non entrassero elementi discordanti con i principi
del cattolicesimo. Le Acli erano infatti fuori dall‟influenza di qualsiasi partito politico
ma non potevano non agire “in concordanza di intenti” con quello che mostrava essere
maggiormente fedele i principi cristiani. Subito dopo la guerra, i partiti di ispirazione
8
Cfr. Statuto provvisorio delle Acli, art.1 e art.2.
9
Promemoria Righini, cit., p.4.
23
cristiana risultavano tre: la democrazia cristiana, il più numeroso, il partito sociale e il
partito della sinistra cristiana. Questi partiti però tendevano ad avere il monopolio delle
Acli ed ad accusarsi vicendevolmente, così si decise di escludere dalle Acli ogni
rappresentante di partito.
Questa decisone creò però non pochi problemi per Grandi, che era dirigente
nazionale della DC: vedendo un‟incompatibilità morale tra le due cariche, il 14 febbraio
1945 rinunciò alla presidenza delle Acli sostenendo che “la rinunzia […] era necessaria
nell‟interesse delle Acli medesime, che avrebbero acquistato maggiore libertà di
movimento di fronte al sindacato unico”.
10
Grandi venne sostituito con Ferdinando Storchi, giornalista de “L‟osservatore
romano”. Il primo impegno operativo di Storchi fu un convegno nazionale delle Acli
alla cui fine era prevista un‟udienza del papa. In quell‟occasione Papa Pio XII diede al
movimento la sua approvazione ufficiale, definendo le Acli “cellule dell‟apostolato
cristiano moderno” in quanto esse “mantengono, coltivano e custodiscono nel mondo
del lavoro il fattore morale e religioso della vita […]”.
Nel primo congresso nazionale delle Acli, tenutosi a Roma nel settembre del ‟46,
Papa Pio XII diede alle Acli una triplice consegna: la “fedeltà a Dio”, la “fedeltà alla
Chiesa” e la “fedeltà alla Patria”.
11
1.2.6 Il rapporto con la DC
Inizialmente i rapporti tra le Acli e la Democrazia Cristiana furono buoni. Fu
proprio la DC che attraverso la persona di Grandi condusse le trattative per il Patto di
unità sindacale e svolse la prima propaganda per l‟entrata dei cristiani nel sindacato
unitario, istituendo a tale scopo degli uffici sindacali.
Storchi, nella visita alle provincie per fondare le Acli, insieme alla collaborazione
ecclesiastica e dell‟Azione Cattolica, si proponeva sempre di assicurarsi l‟appoggio
della sezione locale del partito.
12
Le vere difficoltà nacquero con il progetto del partito democristiano di creare
propri uffici sindacali, con lo scopo di controbilanciare analoghe “sezioni sindacali” di
PCI e PSI. Andava a crearsi quindi un contrasto di fondo tra il progetto della DC si
10
Cfr. Intervista con l‟onorevole Giuseppe Rapelli, novembre 1971.
11
G. Pasini, Le Acli delle origini. 1944-1948, cit., p.134.
12
Ibidem, cit., p.111.
24
essere presente tra i lavoratori con una sua presenza specifica e la pretesa delle Acli di
essere loro a rappresentare la corrente cristiana in questo ambito. In questo dibattito ci
furono anche momenti di serenità e collaborazione, come nel ‟45, quando il consiglio
della DC deliberò di dare massimo appoggio alle Acli, definendole “espressione della
corrente cristiana in campo sindacale e strumento per la formazione morale e sociale dei
lavoratori”.
13
C‟erano due vie d‟uscita a questo antagonismo: realizzare una “sudditanza” delle
Acli alla DC oppure un‟alleanza tra le due. la prima ipotesi era insostenibile per le Acli,
che dovevano mantenere la loro caratteristica di indipendenza dai partiti politici. Anche
l‟altra soluzione era di difficile realizzazione, data la non possibile identificazione di un
partito interclassista come la DC e un organizzazione di classe come le Acli. Si pensò
allora ad un coordinamento di tutte le organizzazioni cattoliche che si occupavano di
attività sociali e sindacali e si creò un apposito Comitato di Intesa Sindacale (CIS).
1.2.7 L‟opera principale: il Patronato Acli
Tra tutte le opere messe in cantiere negli anni delle origini, la più importante e
durevole è stata sicuramente quella del Patronato Acli per i servizi sociali dei lavoratori.
L‟assistenza sociale dei servizi giuridici, che costituiscono l‟essenza di una
struttura di Patronato, pongono il lavoratore nella piena capacità giuridica di
salvaguardare le proprie conquiste sociali e di svolgere azioni amministrative e
giudiziarie, per ottenere quanto gli è dovuto in base a legge o a contratto. Senza di ciò
egli non esce da uno stato di inferiorità.
14
Questo è quanto le Acli intuirono quando, alla fine del ‟44, costituirono il
Patronato, considerato “l‟organo con cui le Acli provvedono ai servizi sociali dei
lavoratori”. Gli uomini che inizialmente sostennero il peso dell‟organizzazione furono
Giulio Pastore e Virginio Savoini. Essi ebbero la soddisfazione di veder crescere in
breve tempo il nuovo organismo, tanto che alla fine del ‟45 il Patronato aveva proprie
sedi nella maggior parte delle provincie e in moltissime parrocchie.
Inizialmente il Patronato figurava come ente di fatto: non aveva nessun
riconoscimento giuridico né finanziamento pubblico. Il riconoscimento tardò ad arrivare
13
Righini P.C., Acli anno 1, in “Studi Sociali”, marzo 1969, cit., p.215.
14
G. Pasini, Le Acli delle origini. 1944-1948, cit., p.94.
25
in quanto in Parlamento si era aperto un dibattito: da un lato si schierarono i
“monopolisti”, secondo i quali l‟attività di Patronato era attività esclusiva dei sindacati,
dall‟altro i “liberisti”, tra cui i cattolici e quindi gli aclisti, secondo cui l‟attività di
Patronato era “facoltativa ma non esclusiva” del sindacato. Il riconoscimento giuridico
arrivò il 29 luglio 1947 con un decreto legislativo che dettava le regole per il
funzionamento dei patronati, fondandosi sul principio della “libertà dell‟assistenza”.
Pur tra le difficoltà comunque, il Patronato registrò un crescendo notevole di
attività: i segretariati del popolo erano 3.468 nel 1946 e 4.247 nel 1947. L‟azione fu
estesa anche in campo internazionale, a favore degli emigranti: alla fine del ‟47 c‟erano
segretariati locali sparsi in Belgio, Francia; Svizzera, Argentina e Africa, pronti ad
aiutare i lavoratori italiani.
1.3 Le Acli e la vicenda sindacale: 1947-1948
1.3.1 Verso la rottura dell‟unità sindacale
Il patto di Roma, con cui era stata sancita l‟unità sindacale, cominciò presto a
vacillare. Questa crisi fu conseguenza di diversi fattori, riguardanti sia lo scenario
italiano che quello internazionale.
Alla fine del ‟46, buona parte della spinta politica della lotta di liberazione appare
esaurita: le difficoltà oggettive della ricostruzione si impongono sugli impulsi di chi
vive il dopoguerra come una grande opportunità di rinnovamento, se non di rivoluzione
sociale. In Italia era sempre più evidente la necessità di ricorrere agli aiuti degli Stati
uniti per superare la crisi: l‟aiuto americano arrivò ma assieme ad una forte pressione
per allontanare i comunisti dal governo. A livello internazionale infatti era esplosa la
guerra fredda che, anche nel nostro Paese, causò la spaccatura tra comunismo e
anticomunismo.
All‟inizio del 1947 Giuseppe Saragat rompe l‟unità socialista e fonda il Partito
Socialdemocratico (PSLI poi PSDI) e nel maggio dello stesso anno De Gasperi
estromette dal governo i socialisti e i comunisti, dando così inizio alla fase dei governo
centristi.
E‟ in questo clima che nel giugno 1947 si svolge a Firenze il Congresso nazionale
della CGIL, che costituisce anche la prima prova dell‟efficacia politica delle Acli. La
26
corrente cristiana si presenta al congresso con solo il 13%dei delegati, contro il 58% dei
comunisti ed il 22% dei socialisti. Le critiche per la mancata adesione sono rivolte
principalmente alle Acli. Queste ultime, finito il Congresso, rispondono rafforzando le
loro basi organizzative: irrobustiscono e diffondono le loro iniziative, diffondono la
“Gioventù aclista”, aggiungono altri servizi al Patronato. Alla fine del 1947 i tesserati
dichiarati sono 563.449 e i circoli di base 3.118.
15
Da questo momento la permanenza nella CGIL cominciava ad essere considerata
da parte aclista come una questione temporanea La rottura dell‟unità sindacale era ormai
imminente: giunse nel 1948 per effetto congiunto dei risultai delle elezioni elettorali del
18 aprile, che vede la sconfitta delle sinistre, e dell‟attentato a Togliatti del 4 luglio.
1.3.2 L‟anno di svolta: il 1948
Il 1948 è un anno cruciale per le Acli, perché con la rottura dell‟unità sindacale
esse rischiarono di scomparire.
La rottura dell‟unità sindacale avvenne in seguito all‟attentato a Palmiro Togliatti,
avvenuto il 14 luglio ad opera di uno studente fanatico di destra. Saputo dell‟attentato,
la CGIL si riunì d‟urgenza e proclamò uno sciopero generale, esteso a tutta l‟Italia. Lo
sciopero, dichiarato “ad oltranza”, era ovviamente di carattere politico. La minoranza
cristiana, guidata da Pastore, si oppose allo sciopero, sostenendo che c‟era bisogno “di
invitare i lavoratori alla distensione e non già di alimentare ulteriormente l‟odio con
azioni di forza” e formulò un ultimatum per la cessazione dello sciopero. Alla scadenza,
Pastore dichiarò la propria separazione dalla CGIL ed invitò i lavoratori
«democristiani» a riprendere il lavoro. Il 22 luglio le Acli convocarono quindi un
Consiglio nazionale straordinario a Roma, inteso come raduno della corrente cristiana,
durante il quale formalizzarono l‟avvenuta scissione: “Il recente sciopero generale,
avendo infranto l‟essenza del patto di Roma […], ha prodotto una definitiva ed
irreparabile rottura dell‟unità sindacale”. Quanto alle prospettive, il Consiglio auspicava
la nascita “di una nuova organizzazione aperta a tutti i lavoratori italiani che intendano
mantenere l‟azione del sindacato effettivamente estranea ad ogni e qualsiasi influenza di
partito”.
15
D. Rosati, L’incudine e la croce, Edizioni Sonda, Torino 1994, cit., p.39.
27
Convenendo sulla necessità di creare un sindacato autonomo e democratico,
libero da ogni influenza di partito, si dichiarò che tale progetto poteva venire realizzato
solo mediante la creazione di un una nuova organizzazione, aperta a tutti gli italiani che
intendessero mantenere l‟azione di sindacato. Gli aclisti convocarono un congresso, al
termine del quale prendeva il via il nuovo sindacato, denominato inizialmente LCGIL
(Libera Confederazione Generale Italiana del Lavoro). Esso si fondava su tre principi:
l‟assoluta indipendenza da ogni partito politico; l‟unità d‟azione con gli altri sindacati, e
in particolare con la CGIL; il metodo democratico.
16
La LCGIL poteva , almeno
inizialmente, contare sull‟appoggio delle Acli, di tutto il mondo cattolico e della DC:
all‟inizio del 1949 Pastore, segretario della LCGIL, annunciava che il nuovo sindacato
contava già 600.000 iscritti che erano, quasi nella totalità, di estrazione aclista
Il 1 maggio 1950 la LCGIL darà vita alla CISL (Confederazione Italiana
Sindacati Lavoratori).
1.4 Le Acli e l‟unità politica dei cattolici
Se l‟impegno formativo delle Acli sul piano sindacale si scontrava con questi
problemi, l‟impegno sul piano della formazione politica incrociava la questione
dell‟unità politica dei cattolici.
La DC si poneva al tempo come l‟aggregazione politica in cui la gran parte dei
cattolici si riconosceva politicamente, anche se essa intendeva essere un partito non
confessionale e laico. Di fronte al grande appello dell‟unità dei cattolici in politica le
Acli, si a livello nazionale che provinciale, orientavano i propri iscritti a votare per la Dc
per l‟opportunità che il partito offriva ai cattolici lavoratori di far avanzare socialmente
la classe lavoratrice. Il dialogo politico tra Acli e DC e all‟interno del movimento aclista
tra dirigenti ed iscritti non era facile, in quanto connotato dal continuo bisogno di
giudicare l‟operato del partito democristiano alla luce dell‟obiettivo di giustizia sociale.
Di fronte alle insufficienze della DC, le Acli reagivano con due modalità
d‟intervento, oltre che, ovviamente, con l‟attività formativa: l‟«azione sociale» e
l‟inserimento di uomini da esse preparati della DC.
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G. Pasini, Le Acli delle origini. 1944-1948, cit., p.213.