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Lo scopo di questa tesi é investigare se esiste una correlazione tra il benessere individuale e il
lavoro atipico (ad esempio le forme “non standardizzate” di lavoro come i contratti a tempo
determinato, il lavoro somministrato e l’apprendistato) nei paesi Europei. Al fine di descrivere il
rapporto tra la salute e le condizioni lavorative useremo i dati della Quarta Indagine sulle
Condizioni Europee di Lavoro (realizzata nel 2005), un campione di circa 30000 lavoratori
intervistati sulle loro condizioni di lavoro. La variabile salute usata in questa analisi é misurata sulla
base di due aspetti – mentale e fisico – basati su quattro indicatori soggettivi derivati dal
Questionario Generale sulla Salute: stress, problemi del sonno, ansietà, irritabilità della salute
mentale; malattie del cuore, difficoltà respiratorie, problemi allo stomaco e alla pelle. Per valutare la
correlazione sono stati utilizzati dei modelli integri.
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CAPITOLO 1: lavoro atipico, flessibilità e impatto sulla
salute.
1.1 Forme atipiche di impiego
L’impiego atipico si riferisce ai rapporti di lavoro non conformi al modello standard o tipico di
lavoro full time, regolare, a tempo indeterminato con un singolo lavoratore in un arco di tempo
molto lungo. La concettualizzazione e la tipologia dell’impiego atipico, anche definito non standard
é estremamente problematica, almeno per due ragioni: ogni paese usa le sue definizioni di impiego
non standard, considerevolmente diverse tra loro, forme individuali di impiego non standard si
sovrappongono dando luogo a grandi difficoltà nella loro stretta differenziazione (il lavoro
temporaneo può essere part time o notturno o a turni nello stesso momento). Esistono due approcci
di concettualizzazione dell’impiego non standard nella letteratura internazionale. Il primo si basa
sull’applicazione di tre criteri differenti:
i) stabilità del rapporto di lavoro per es. lavoro permanente contro temporaneo;
ii) durata del regime lavorativo ad es. full time contro part time;
iii) il livello di titolarità di un lavoratore ai diritti sociali in base ai regimi lavorativi
1
.
Il secondo approccio si basa sul significato linguistico dell’espressione non standard, che significa
deviazione da ciò che é standard, tipico, regolare o normale. L’impiego non standard é
ordinariamente definito con riferimento all’impiego standard, che é fondato su un contratto legale,
permanente, full time e subordinato ad un datore di lavoro; un contratto di tale tipo assicura una
serie di garanzie sociali basate sull’anzianità di servizio in un’azienda, mentre l’impiego non
standard abbraccia una vasta gamma di lavori a causa della durata del lavoro o dell’assenza di
subordinazione. In genere, vi sono quattro categorie di lavoro non temporaneo: a tempo
determinato, part time, somministrato e autonomo. Ciascuna di queste categorie fornisce condizioni
legali e contrattuali molto specifiche.
1
Tronti L., Ceccato F., Cimino E.: Measuring Atypical Employment: Levels and Changes, OECD Statistics Working Paper, 2004
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ξ Contratti a tempo determinato: una comparazione dei contratti a tempo determinato negli
Stati Membri Europei permette alcune conclusioni generali sulle loro regolamentazioni
(Schomann, Rogowski, and Kruppe 1998). Nella maggior parte dei paesi UE, i contratti a
tempo determinato sono regolati dalla legge, tranne che nei paesi Nordici, nei quali tali
forme di impiego sono governate da accordi collettivi a livello nazionale, di settore e di
industria. Di rado la legislazione riduce i salari o i benefit sociali. La definizione
dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) sul lavoro part time specifica che le
ore di lavoro siano distribuite durante la settimana (orizzontale) o concentrate solo in alcuni
giorni (verticale) o periodo del mese o dell’anno. L’ultima parte della definizione riflette la
stretta connessione ai tentativi da parte dell’impiego serale a tempo determinato di giungere
ad una definizione generale. La combinazione del lavoro a tempo determinato e del lavoro
part time é, infatti, comunemente combinata nell’impiego non standard. A scopi statistici e
comparazioni tra stati, l’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo
(OECD) definisce il lavoro part time come orario lavorativo ordinario al di sotto delle 30 ore
settimanali.
ξ Lavoro somministrato: il lavoro somministrato rappresenta una relazione di lavoro
“triangolare” che coinvolge un lavoratore, un’azienda che funge da agenzia di lavoro
temporaneo e un’azienda fruitrice. L’agenzia assume il lavoratore e lo colloca a disposizione
dell’azienda fruitrice. Al di là di questa definizione di base, la realtà del lavoro
somministrato differisce enormemente negli Stati Membri della UE. Per esempio, in
Danimarca e nel Regno Unito, il lavoro somministrato non è regolato come forma di lavoro
a sé stante. Inoltre alcuni paesi si focalizzano sul rapporto tra l’agenzia, il fruitore e il
lavoratore, come in Germania. In Spagna e Svezia, così come in altri paesi cioè Francia ed
Italia, il lavoro somministrato trova una definizione legale. La maggioranza degli stati hanno
quanto meno un insieme di leggi relativamente esaustivo sul lavoro somministrato. In
termini di regolamentazione, emergono due distinti gruppi di stati: quelli con una
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regolamentazione estesa (come Francia, Germania, Italia e Spagna) e quelli con una
regolamentazione minima o inesistente (come Danimarca, Svezia e Regno Unito).
ξ Lavoro autonomo: il lavoro autonomo può essere definito come una forma di impiego in
cui una persona si assume responsabilità come titolare di un business, senza dover riportare
a persone gerarchicamente sovraordinate, al fine di sviluppare e portare avanti un’impresa
(Pfeiffer 1994). Esistono differenti categorie di lavoro autonomo, incluse quelle in cui si
opera come impiegati dipendenti, a conduzione familiare, e il lavoro autonomo nel senso
originale del termine (Kruppe, Oschmiansky e Schomann 199). Le differenze originate dalla
natura del rapporto di lavoro (paragonate al lavoro dipendente) determinano il trattamento
sociale e fisico delle persone coinvolte. I diritti sociali, individuali e collettivi di un rapporto
di lavoro dipendente qui non esistono. Inoltre gli oneri sociali e fiscali che offrono
protezione sociale dipendono dalla volontà e disponibilità del proprietario e dalla salute
dell’impresa. Nella Comunità Europea si possono distinguere due tendenze per quanto
riguarda la regolamentazione del lavoro autonomo. Una guarda ad esso come ad una sorta di
ponte tra la disoccupazione e il lavoro. Il lavoro autonomo é inteso come una politica del
mercato del lavoro in cui le iniziative private possono creare opportunità lavorative. La
seconda tendenza é rappresentata dall’approccio legale che guarda al lavoro autonomo in
maniera più restrittiva e che tende a ridurlo per evitare abusi della protezione dei diritti
sociali e l’evasione dei contributi di sicurezza sociale.
1.2 Flessibilità del lavoro vs [in]sicurezza del lavoro
La flessibilità é un termine ampiamente utilizzato e multidimensionale che può avere impatto su
diverse aree delle relazioni di lavoro, come la mobilità tra e all’interno delle aziende, l’
assegnazione delle mansioni, l’adeguamento dell’orario di lavoro e dei salari, così come su
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differenti stadi delle carriere nel mercato del lavoro (Golsch 2003). In linea con Atkinson (1984)
si possono differenziare quattro diversi tipi di flessibilità del lavoro:
1. flessibilità numerica (adattamento del numero dei dipendenti alla domanda del
lavoro attraverso contratti a breve termine e sospensioni);
2. flessibilità funzionale (trasferibilità tra diverse posizioni di lavoro);
3. flessibilità temporale (adattamento dell’orario lavorativo);
4. flessibilità dei salari (adattamenti salariali).
Questi diversi tipi di flessibilità portano ad una crescente proporzione di lavoratori in diversi
rapporti di lavoro non standard. Tuttavia, non si guarda alle forme di flessibilità come se tutte
conducessero in ugual misura all’insicurezza; piuttosto alcune di esse possono introdurre
l’insicurezza nelle carriere lavorative degli individui, mentre altre possono esercitare un ruolo
cruciale nell’associare le esigenze dei lavoratori. Mentre la flessibilità temporanea è stata
principalmente e rapidamente indicata in termini di diffusione del part time, la parte del leone in
questo dibattito è stata fatta dal trade off tra flessibilità numerica e flessibilità funzionale;
produzioni diversificate di qualità in piccole e medie imprese altamente innovative richiedono
forme di flessibilità funzionali alla loro forza lavoro abilitata. L’ultimo punto: la flessibilità
salariale, trascurata a lungo dalla ricerca sociologica, viene ora analizzata come parte del trade off
tra salario e sicurezza del lavoro come due diverse, e plausibilmente sostituibili, leve per le imprese
e l’adattamento del mercato del lavoro. Nel loro documento, Maurin e Postel-Vinay (2005) trovano
che virtualmente in tutti gli stati europei i lavoratori meno capaci percepiscono salari più bassi e
ricoprono posizioni meno sicure rispetto ai lavoratori più qualificati. A dispetto di una significativa
diversità nell’importanza di questi gap relativi alle abilità professionali, ciononostante gli autori
trovano che i gap dei salari più elevati sono associati ai gap relativi alla minore sicurezza del lavoro.
Come scrivono: “I paesi dell’Europa continentale, come Germania o Francia, non tollerano
disuguaglianze salariali nella stessa estensione del Regno Unito e dell’Irlanda; tuttavia, tollerano
ineguaglianze molto più sostanziali nella sicurezza del lavoro. I paesi mediterranei, come Italia e
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Grecia, non accettano tante disuguaglianze quanto Germania o Francia, ma nonostante ciò accettano
disuguaglianze anche maggiori attinenti alla sicurezza del lavoro” (Maurin e Postel-Vinay 2005).
Questo risultato si basa principalmente sul rilevato campione dell’ondata Euro del 1995, che
potrebbe creare problemi al posizionamento di specifici stati – l’Italia per esempio – dove la
deregolamentazione é iniziata sostanzialmente in ritardo. E’ interessante notare che per gli autori a
livello statale la tendenza nel gap relativo all’insicurezza del lavoro é più spesso significativa della
tendenza nel gap salariale. Ciò é coerente con la loro affermazione secondo la quale la sicurezza del
lavoro rappresenta il primo canale di adattamento agli shock macroeconomici in Europa. Un
processo di convergenza sembra ormai avviato, etichettato come quello che colpirà i lavoratori
particolarmente poco qualificati: tanto meno evidente tra le abilità professionali il gap del 1995
relativo alla sicurezza del lavoro, tanto più evidente sarà la sua crescita nel periodo 1995-2001.
Negli anni recenti, dal mondo imprenditoriale così come dal Libro Verde dell’Unione
Europea, la flessibilità del lavoro é stata promossa come elemento necessario per migliorare la
performance della popolazione lavorativa e rendere più agevole l’adattamento ai cambiamenti
tecnologici e ad un mondo quanto mai globalizzato, senza considerare l’impatto negativo di tale
flessibilità sulla società, la salute e il benessere della popolazione lavorativa stessa. L’insicurezza
del lavoro non é un effetto collaterale, un prezzo parallelo da pagare per la crescita economica, ma
un aspetto fondamentale e condizionante dello stesso tipo di crescita. Esso é strutturale, cronico in
natura, ed é una causa determinante di deregolazione e di deterioramento del lavoro e di
disintegrazione sociale; l’insicurezza del lavoro viene sperimentata come instabilità lavorativa,
incertezza del futuro, carenza di autonomia e di capacità di pianificazione della propria vita, come
una causa di incidenti sul lavoro, instabilità emotiva, dipendenza dalla famiglia, perdita di diritti e
mancanza di risorse durevoli.