CAPITOLO I
Introduzione 1.1 Oggetto della tesi Questi tesi propone come oggetto principale la tematica dei lavoratori senior e le strategie attuabili
sotto i punti di vista aziendale, organizzativo e legislativo per poter sfruttare al meglio questa
particolare tipologia di risorsa, potendo così ottenere considerevoli vantaggi sia per quanto riguarda
il risultato economico aziendale che per il benessere di tutte le categorie di lavoratori.
Il tema in questione è relativamente recente, in quanto la letteratura e i dettati normativi sulla
materia cominciano ad emergere e a diventare estremamente rilevanti solamente verso la fine del
secolo scorso, dettando perciò una sorta di inversione di tendenza rispetto al consolidarsi di una
cultura aziendale che spingeva a senso unico verso la valorizzazione delle risorse junior.
La parte sperimentale di questo scritto analizza la realtà di un'azienda che si occupa di impiantistica
energetica su scala internazionale e già da diversi anni si è trovata a dover affrontare questa
particolare criticità.
Lo strumento utilizzato per implementare l'analisi è quello del questionario esplorativo, grazie al
quale è stato possibile intervenire, in particolare, sul tema della gestione del cambiamento
demografico e dell'invecchiamento attivo, col principale intento di sperimentare strategie innovative
che possano incentivare la permanenza sul posto di lavoro del soggetto cosiddetto anziano,
ponendone così in evidenza le spiccate competenze di tipo esperienziale e conoscitivo, le quali sono
arduamente reperibili all'interno del mercato del lavoro e agevolando, al contempo, il trasferimento
efficiente di tali abilità ai lavoratori giovani.
Attraverso l'attuazione di politiche aziendali maggiormente flessibili è possibile valorizzare la
risorsa senior già presente e mantenere alta la competitività dell'impresa. Queste particolari azioni
di riorganizzazione aziendale sono note con il nome di “strategie di invecchiamento lavorativo
motivato e attivo”. La tesi si propone anche l'obiettivo di contrastare in un certo modo le rigidità di
tipo socio-culturale e la scarsa sensibilità delle organizzazioni aziendali verso la tematica dei
lavoratori non giovani. Così facendo si potrà dimostrare come le nuove pratiche organizzative di
gestione della rivoluzione demografica, come ad esempio la conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro, possano rivelarsi degli strumenti economicamente vantaggiosi ed utili per tutta la società.
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1.2 Struttura dell'elaborato e finalità perseguite Questa tesi propone un percorso che vuole portare all'individuazione di soluzioni organizzative che
possano risultare idonee alla reale valorizzazione del contributo che i lavoratori senior apportano al
patrimonio aziendale. Dopo il primo capitolo introduttivo, nel secondo capitolo vengono esposti gli
eventi demografici e sociali che hanno condotto all'invecchiamento generalizzato e progressivo
della popolazione e le pronunce in ambito comunitario relative a tale fenomeno. La necessità di un
intervento in questa direzione infatti è dettato e imposto da un contesto demografico e socio-
economico che continua ad evolversi ed evidenzia come in Italia e nella maggior parte dei paesi
europei stia avvenendo un declino della popolazione in età lavorativa conseguente
all'invecchiamento della forza lavoro, provocando ingenti effetti sulla sostenibilità dei sistemi di
protezione sociale e sulla crescita economica. Nel terzo capitolo sono esposte le soluzioni proposte
in ambito di invecchiamento attivo e di prolungamento della vita lavorativa sia per quanto riguarda
il mondo organizzativo che per quanto riguarda quello dei regimi pensionistici. Il quarto capitolo,
alla luce dei più recenti studi in materia, espone le dinamiche del rapporto tra il progredire dell'età
di un lavoratore e la sua relativa produttività, cercando così di sfatare tutti gli stereotipi che si
stanno consolidando a livello aziendale e sociale riguardo alla tematica dei lavoratori senior. Il
quinto e ultimo capitolo riporta la parte sperimentale di questo studio esponendo il questionario
presentato in azienda e la relativa analisi dei rischi e delle soluzioni attuabili all'interno della stessa.
Proseguendo per questa strada si tenterà di arrivare all'ideazione di pratiche innovative di gestione
della forza lavoro senior, basate principalmente sulla gestione flessibile della stessa, le quali
possano condurre ad una concreta valorizzazione del ruolo del lavoratore anziano, prolungandone
così la permanenza in azienda e consolidandone il ruolo di guida e di leader in virtù delle abilità e
dell'expertise accumulate nel corso degli anni e facilitandone la relativa trasmissione ai lavoratori
più giovani.
Le finalità prioritarie di questo lavoro sono quindi molteplici e consistono nel proporre interventi in
diversi ambiti come: l'ideazione di strategie di sviluppo della risorsa umana basate sul
prolungamento della vita lavorativa e sull'invecchiamento attivo della popolazione; la
sperimentazione di forme innovative e alternative di organizzazione del lavoro per incentivare il
coinvolgimento attivo della risorsa senior preservandone le competenze distintive, che possano
rivelarsi utili per il superamento dei periodi di crisi aziendale; la creazione di un sistema consolidato
per la trasmissione intergenerazionale delle competenze, per accrescere quello specifico bagaglio di
competenze e abilità sul quale deve porre fondamento la creazione di valore aggiunto; l'importanza
di arrivare ad una generalizzata sensibilizzazione del management e delle compagini proprietarie
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aziendali riguardo alla crucialità del fattore età come elemento strategico rilevante per la continuità
e la sopravvivenza dell'azienda, per poter così indurre un cambiamento culturale che conduca ad
approcci innovativi nella gestione delle risorse umane.
I benefici ottenibili dal raggiungimento dei suddetti obiettivi sono anch'essi articolabili su diversi
aspetti: per quanto riguarda le aziende, questi possono condurre ad un incremento di efficienza,
efficacia, produttività e competitività sul mercato, esse potranno sfruttare la permanenza all'interno
del sistema produttivo dei lavoratori senior e il consolidarsi di metodi funzionali ad un efficace
passaggio di competenze permetterà loro di accrescere il bagaglio di conoscenze specialistiche che
assicuri la competitività sui mercati internazionali; per quanto riguarda i lavoratori senior, essi
potranno beneficare della propria valorizzazione professionale e personale, conseguenza di
un'accresciuta consapevolezza riguardo all'importanza del proprio ruolo in azienda e ad un
miglioramento generalizzato del clima lavorativo, indotto dalla formazione lungo tutto il corso della
vita, dalla collaborazione con i soggetti più giovani, dai servizi offerti dalle organizzazioni come
ambienti di lavoro più adatti alle loro esigenze e possibilità personali; per quanto riguarda i
lavoratori junior, essi potranno apprendere le competenze che sono ritenute distintive del settore
attraverso un continuo sviluppo e una costante qualificazione delle proprie abilità lavorative.
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CAPITOLO II La problematica dell'età nel contesto
lavorativo 2.1 Andamento demografico e orientamento della Comunità Europea A partire dalla fine degli anni '80 fino ad oggi, la maggior parte dei Paesi occidentali stanno
andando incontro ad un rapido e progressivo cambiamento demografico, che consiste in un
generalizzato invecchiamento della popolazione. Questo trend è dettato in parte dalla riduzione del
tasso di fertilità, e in parte dai progressi medici, scientifici e tecnologici che hanno spostato in
avanti le prospettive di vita della popolazione.
Si tratta di cambiamenti molto intensi e avvenuti nel giro di due decenni, a seguito della spinta
scaturita dall'evolversi di scienza e tecnologia, le quali hanno prodotto grandi miglioramenti nella
cura della salute. Essi si accompagnano a tensioni e squilibri generati dai forti flussi migratori,
provenienti dai paesi meno sviluppati, la cui popolazione è fortemente aumentata nello stesso
periodo di tempo.
Tutto questo sconvolge molti aspetti della vita sociale, ma soprattutto incrina la sostenibilità dei
sistemi del welfare e della previdenza in particolare, dato che il numero delle persone nelle classi di
età oltre i 60 anni si avvia a superare quello delle fasce di età più giovani, sotto i 25 anni.
Nei prossimi 50 anni, la maggior parte dei paesi industrializzati dovrà fronteggiare un aumento
della popolazione anziana senza precedenti nella storia, insieme ad un progressivo declino della
popolazione in età lavorativa Il contesto europeo risulta altamente modificato dalla suddetta transazione demografica, la quale,
tramite l'azione combinata di quattro fattori principali, sta creando un costante aumento dell'età
media della popolazione.
1. il numero medio di figli per donna non raggiunge il tasso di sostituzione necessario per
stabilizzare la popolazione in assenza di immigrazione;
2.le nuove generazioni non potranno sostenere finanziariamente le generazioni precedenti,
figlie del boom demografico del dopoguerra;
3. la speranza di vita è aumentata di 5 anni dal 1960 ad oggi;
4. sebbene i flussi migratori tendano a ringiovanire la popolazione, nel lungo termine non
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possono compensare gli effetti della bassa fecondità e dell'aumento della speranza di
vita.
Ecco elencate, in estrema sintesi, quali sono le principali cause che hanno portato ad un progressivo
invecchiamento della popolazione europea. Questa situazione ha provocato negli anni un
cambiamento nella composizione demografica della forza lavoro, con conseguenze inevitabili sulle
strategie economiche, lavorative e previdenziali.
Secondo i dati elaborati dall'Istat, riportati graficamente in figura 2.1, la popolazione nel 2050 sarà
composta per il 33,6% da anziani di 65 anni e più, e soltanto per il 12,7% da giovani fino a 14 anni
di età, i quali recuperano peso in questa seconda fase anche grazie ad una fecondità che si avvicina
gradualmente a 1,6 figli per donna.
In questo quadro, l’indice di vecchiaia, che misura appunto il rapporto numerico tra anziani e
giovani, cresce costantemente per tutto il periodo considerato, passando da 138 anziani per 100
giovani nel 2005, a 222 nel 2030, fino a raggiungere i 264 anziani per 100 giovani nel 2050.
Figura 2.1, fonte: Istat 5
Questa previsione richiama con urgenza la necessità di considerare con attenzione la problematica
della valorizzazione del potenziale lavorativo delle persone anziane, in considerazione del fatto che
la soglia della vecchiaia reale, caratterizzata da disabilità importanti e incompatibili con l’attività
produttiva, si sta spostando sempre più avanti e dunque ciò permette di trattenere nel mondo del
lavoro una fascia di popolazione sempre più consistente che altrimenti, dal punto di vista
previdenziale, soffocherebbe con il suo peso quelle più giovani.
Il cammino demografico della popolazione italiana è fatto di profondi e persistenti mutamenti che
non si sono conclusi e anzi, secondo le proiezioni degli istituti di statistica nazionale e di quelli di
ricerca, nei prossimi venti anni sono destinati ad accentuarsi ancora di più, soprattutto per quanto
concerne lo sconvolgimento nella composizione per età della popolazione italiana.
Alla base delle moderne trasformazioni demografiche delle popolazioni c’è l’accresciuta capacità
da parte dell’uomo di controllare due eventi fondamentali della vita umana: la nascita indesiderata e
la morte precoce.
Proprio questa capacità, che corre in parallelo con il processo di modernizzazione, determina a
livello collettivo la riduzione dei tassi di fecondità e di mortalità e contribuisce, nel corso del tempo,
a ridurre il numero delle nascite e ad aumentare la probabilità che i nati restino in vita sempre più a
lungo.
L’invecchiamento è quindi un processo demograficamente inevitabile e per molti aspetti positivo,
ma allo stesso tempo ingannevole poiché si insinua nel tessuto sociale e demografico della
popolazione ed essendo una novità nella storia dell’umanità non sempre viene percepito e compreso
da tutti - in particolare dall’opinione pubblica e dalla classe politica - con la tempestività e la
consapevolezza necessarie.
L'Unione Europea, nel consiglio di Stoccolma del 2001, si era posta come obiettivo per il 2010 di
portare al 50% il tasso di occupazione media dei 55-64enni. La situazione di quell'anno vedeva in
testa la Svezia con un tasso d'occupazione del 72%, la Danimarca con il 62% e il Regno Unito con
il 53%. La media dell'Europa con 15 Paesi era del 48% e l'Italia con il 28% era tra i Paesi in coda,
seguita da Lussemburgo (23%) e Belgio (22%).
E' Possibile individuare, a livello globale, quattro gruppi principali di Paesi che sono capaci di
resistere a questo fenomeno. Il primo è costituito da Giappone, Svezia, Stati Uniti, Portogallo e
Irlanda, in cui i 55-64enni hanno conservato un tasso di occupazione superiore al 60% e tuttavia si è
assistito a una lieve riduzione nel periodo 1971-2001. Il secondo gruppo, composto da Canada,
Regno Unito e Danimarca, non ha ridotto il tasso di occupazione a meno del 50%. Il terzo gruppo,
al quale appartengono Spania e Germania, è sceso rapidamente sotto il 50% nell'ultimo trentennio.
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L'ultimo gruppo è formato da quei Paesi che sono o erano sotto al 40% di tasso d'occupazione dei
senior e che hanno fatto poi registrare le diminuzioni più forti come Italia, Austria, Francia, Belgio,
Paesi Bassi e Finlandia.
Questi ultimi due Paesi, con l'Irlanda, il Portogallo e la Grecia stanno avendo dal 1995
un'espansione dell'attività degli ultracinquantenni grazie alle politiche innovative, economiche e
legislative attuate dai loro governi a partire dagli anni Novanta. In Portogallo e in Grecia si è poi
aggiunta, come concausa di quest'inversione di tendenza, la necessità per i pensionati di trovare
altre fonti d'assistenza. Gli esempi delle best practices vengono dall'Irlanda, che ha già realizzato da
molto tempo leggi antidiscriminazione e ha istituito numerosi dispositivi per la riconversione
professionale e il sostegno economico dei lavoratori anziani, gestiti dai sindacati e dalle comunità
locali. Altri esempi vengono dalla Danimarca e dalla Svezia, che si sono preoccupate
dell'accompagnamento alla fine della carriera e del miglioramento dell'organizzazione del lavoro,
uniti alla formazione continua, o dalla Finlandia, la quale sta organizzando un piano organico che
prevede interventi differenziati su più fronti.
In Italia, ormai da oltre 25 anni, tale fenomeno è caratterizzato da una particolare velocità e intensità
e ha determinato un capovolgimento della struttura per età della popolazione. Quasi il 19% della
popolazione ha superato i 65 anni, e in una prospettiva di medio-lungo periodo questa percentuale
potrebbe toccare quota 35, dato che al contempo la proporzione di individui con meno di 15 anni è
pari al solo 14% del totale.
L’invecchiamento coinvolge oltre alla popolazione nel complesso anche i suoi diversi segmenti,
come quello costituito dalle persone in età lavorativa e conseguentemente della forza lavoro. Tale
fenomeno nel breve-medio periodo si traduce in un aumento della popolazione lavorativa composta
da 40-65enni e in una riduzione della popolazione in età lavorativa sotto i 40 anni e quindi in un
progressivo minor peso dei giovani all'interno della forza lavoro.
Infatti la popolazione in età lavorativa (20-64 anni), nei prossimi venti anni in Italia, subirà una
ulteriore diminuzione e invecchiamento: tra il 2001 ed il 2021 si registrerà un calo molto intenso
nella fascia 20-39 anni (4,5 milioni, con una riduzione percentuale del 26,7%) e dall’altro un
aumento meno che proporzionale della fascia 40-64 anni (più di 3 milioni, con un incremento del
17%). In pratica si avrà un completo stravolgimento della popolazione in età lavorativa e quindi
della forza lavoro che metterà a dura prova la capacità di reazione al cambiamento da parte
dell’intero sistema-paese, ed in particolare di quello produttivo, se consideriamo inoltre che gli
abitanti dell’UE vanno in pensione molto prima degli abitanti di altri paesi sviluppati.
Questa combinazione, tipicamente europea, di invecchiamento della popolazione e collocamento a
riposo precoce, con una pensione moderatamente elevata, pone numerosi e consistenti dubbi sulle
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capacità dei paesi europei di gestire gli anziani nel futuro, considerando anche le naturali pressioni
che questi cambiamenti stanno cominciando ad avere, e avranno sempre maggiormente, sul sistema
di sicurezza sociale e sul sistema di welfare [A. Börsch-Supan, H. Jürges & O. Lipps, 2003].
Il progressivo invecchiamento della popolazione in Europa porterà gravi conseguenze negli anni a
venire, tra le quali emergono per importanza, gravità ed impellenza, la crisi nei sistemi previdenziali
pubblici e la possibile carenza cronica di forza-lavoro.
Per far fronte a questi cambiamenti si dovrebbe agire contemporaneamente attraverso il
prolungamento della vita lavorativa, che contribuirebbe a ridurre la pressione su entrambi i fronti, e
attraverso la programmata accettazione dei flussi migratori, che dovrebbero contribuire a ristabilire
un accettabile equilibrio demografico e occupazionale.
Gli Stati dell’UE, per cercare di contenere l’incremento della spesa pensionistica, hanno dichiarato
il loro impegno a ritardare l’andare in pensione e stanno riformando i sistemi di pensionamento
anticipato e le politiche per il mercato del lavoro. Il ritmo delle riforme è però più lento di quello
necessario per realizzare gli obiettivi di Stoccolma e Barcellona in merito al tasso di occupazione
dei lavoratori anziani e all’innalzamento dell’età di pensionamento effettiva [European
Commission, 2003].
Al 2002, i tassi di partecipazione della popolazione in età da 50 a 69 anni risultano ridottissimi,
tanto della forza lavoro quanto degli occupati. Merita inoltre di essere sottolineato che i tassi di
occupazione in età 50-69 anni sono addirittura inferiori a quelli relativi al totale della popolazione
che comprende i ragazzi fino a 15 anni, che non possono lavorare per legge e i vecchi di 75 anni e
più, che normalmente non se la sentono di lavorare per l’età.
Negli ultimi anni, i livelli di occupazione degli ultracinquantenni hanno visto un leggero
incremento, sostenuto da una crescita dei livelli di partecipazione al lavoro, suffragato anche da una
progressiva apertura di nuovi sbocchi occupazionali, o quantomeno dal venir meno delle difficoltà
esistenti, il tasso di disoccupazione è infatti passato dal 4,7% al 3,8% .
Nonostante le positive dinamiche riscontratesi in questi ultimi quattro anni però non sembra
attenuarsi il primato negativo che il nostro Paese detiene, a livello internazionale, sul versante
occupazionale. La quota di occupazione anziana sull’occupazione totale vede l’Italia ancora al di
sotto della media europea, ulteriore conseguenza dell’espulsione prematura di molti anziani -
quarantenni e cinquantenni - a seguito dei processi di ristrutturazione aziendale, avvenuti dagli anni
Ottanta in poi, gestiti con provvedimenti di pensionamento anticipato, mobilità lunga, tutti in larga
misura a carico dello Stato [Contini, 2003]. Con 40,2 persone attive ogni 100 abitanti di età
compresa tra i 50 e 64 anni, il nostro era nel 2000 il paese con la più bassa partecipazione al lavoro,
preceduto di pochissimo solo da Ungheria (40,6%), Belgio (42,1%) e Lussemburgo (43%), e
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distante di ben 40-50 punti percentuali dai paesi a più alto tasso di attività, come Islanda, dove la
partecipazione al lavoro in questa fascia d’età si attesta sull’89,9%, Svezia (76,1%), Norvegia
(73,7%) e Svizzera (72,5%).
Si tratta di un dato che trova solo parzialmente conferma in un’uscita anticipata dal mercato dei
lavoratori italiani rispetto a quelli europei e che conferma al contrario, come quello della bassa
partecipazione al lavoro sia da tempo un problema strutturale nel nostro Paese, decisamente più
accentuato nelle classi d’età mature.
Come rilevato anche nella Relazione congiunta della Commissione e del Consiglio in materia di
pensioni adeguate e sostenibili, la maggior parte degli europei si ritira dal lavoro prima di
raggiungere l’età di pensionamento obbligatoria [European Commission, marzo 2003].
L’Italia si posiziona oggi agli ultimi posti per quanto riguarda i tassi di attività degli
ultracinquantenni. Dall’indagine trimestrale sulle forze lavoro emerge che anche a luglio 2003 sono
attivi, nella fascia d’età 55-64 anni, soltanto 44 maschi e 20 femmine ogni 100 persone dello stesso
sesso e classe di età. Il tasso di partecipazione nella fascia d’età 55-64 non raggiunge il 30%, contro
una media europea di oltre il 40% ed in lieve aumento, mentre in Italia prosegue un declino iniziato
negli anni Sessanta quando l’agricoltura pesava ancora per oltre un quarto dell’occupazione
complessiva.
Per far fronte alla situazione, il Consiglio europeo di Stoccolma ha recentemente fissato per il tasso
di occupazione (occupazione/popolazione) nella fascia 55-64 anni il 50% come obiettivo per il
2010. Rispetto a tale obiettivo la posizione dell’Italia è ulteriormente peggiorata dal 1990: oggi il
Paese occupa il penultimo posto rispetto a tutti gli altri stati membri.
Per quanto concerne gli ultra-sessantacinquenni è atteso un considerevole aumento nel loro
ammontare totale, accompagnato da un forte invecchiamento al loro interno, causato da un
incremento più che proporzionale degli ultraottantenni: gli over-65, dunque, dovrebbero aumentare
di oltre il 30% nel prossimo ventennio, pari a oltre 3 milioni. L’aumentare della proporzione e del
numero assoluto della popolazione anziana porrà problemi di assistenza e di spesa del tutto nuovi
per i Paesi del vecchio continente.
La coincidenza tra crescita della popolazione anziana, maggiormente bisognosa di assistenza, e la
riduzione di quella in età lavorativa, fornitrice della maggior parte dei flussi finanziari ed erogatrice
di cure, testimonia l’impellenza di una ristrutturazione del sistema previdenziale e più in generale
dell’intero sistema di welfare, ma non va tuttavia trascurata l’esigenza di pensare a nuovi rapporti di
solidarietà intergenerazionali e, soprattutto, intra-generazionali sempre più necessari per la
sostenibilità dell'evoluzione demografica.
Ulteriori difficoltà saranno prodotte dalla diversa intensità con cui tale fenomeno si verificherà nelle
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