6
Tutto questo materiale costruisce la leña, in altre parole il combustibile
accumulato (cartone, legname di costruzione, eccetera) per i
giganteschi falò purificatori che ardono durante la notte di San
Giuseppe.
Foto 1: Falla 2001 (www.fallas.com)
Questo fuoco è una festa, l’apoteosi allegra e travolgente di tutte le
altre feste che la precedono durante quella che oggi viene chiamata
Semana fallera (Settimana delle fallas), capace di coinvolgere tutta
la città e, direttamente o indirettamente, tutte le classi e i ceti sociali
della popolazione
3
.
La parola falla
4
(plurale fallas in lingua castigliana, falles in quella
catalana/valenciana) appartiene alla lingua parlata in Catalogna e
nella Regione di Valencia e va sempre unita all’idea del fuoco.
3
Así son las fallas: antología histórica, Bayarri, Valencia, 2000; Soler i Godes, E., Las
fallas de Valencia: 1849-1877, Semana Gráfica, Valencia, 1978
4
Casanova, E., “Evolución de la palabra falla”, in Historia de las Fallas, Levante-El
Mercantil Valenciano, Pagg. 15-19
7
Però una cosa è la falla intesa come luminaria, ovvero fiaccola, per
trasmettere qualche segnale, o festeggiare qualche avvenimento o
commemorazione e un’altra ben distinta è quella intesa come
manifestazione di giubilo, sottoforma di grandi falò, come sono
effettivamente le Falles de Sant Josep (Fallas di San Giuseppe)
5
.
Questi fuochi cittadini, liturgici, rituali o di giubilo, così diffusi in
Catalogna, sempre denominati con il termine locale falla – passato al
castigliano e al suo “Diccionario de la Real Academia de la Lengua”
6
– hanno avuto a Valencia il centro più costante e splendente del loro
culto, sino al punto che il termine fallas è diventato tutt’uno con il
nome di Valencia.
Dall’atmosfera propizia, dall’ambiente luminoso di un clima mite, da
una città di associazioni artigiane non feudale, da un popolo allegro e
signore della città, sorse dunque la falla
7
.
5
Ariño, A., “El lenguaje del fuego en la cultura popular valenciana”, in AA. VV., Los
ritos del fuego de la Corona de Aragón, Zaragoza, 1990, pagg. 231-303; Hernández i
Martí, G. M., “Las fallas valencianas: una fiesta de la modernidad”, in Primer
congreso de las fiestas tradicionales de la Comunidad Valenciana, Gráficas
Paterna, Paterna (Valencia), 1997
6
Dizionario della lingua spagnola ufficiale, redatto dall’Accademia Reale della
Lingua Spagnola
7
Domínguez Barberà, M., Las fallas, pag. 43
8
1.2. La storia delle fallas. Il parot
Ci sono diverse opinioni e interpretazioni sull’origine delle fallas, anche
se poche si basano su dati certi
8
, giacché non si dispone di testimoni
documentali che possano datare il momento originario della festa
fallera. Solo a partire dalla seconda metà del XVIII secolo
9
si può
contare su sporadiche notizie che permettono di abbozzare il profilo e
le caratteristiche della celebrazione. La teoria più in auge vede le
fallas come nate da un antico costume dei falegnami e delle piccole
botteghe artigiane di bruciare i resti del lavoro invernale in strada
all’arrivo della primavera
10
.
Quando giungeva l’autunno e la luce diurna durava sempre meno, in
non poche botteghe artigiane si prolungava la giornata lavorativa
fino alle prime ore della sera. Per far luce si usava una rozza lampada
da terra, generalmente di legno: il parot, consistente in un bastone
verticale collocato su un tripode provvisto di uno o vari bracci per
appendervi lucerne o per sostenere dei vasi o recipienti metallici dove
ardere le fiaccole di legno resinoso. Alcuni mesi dopo, alla vigilia della
primavera, quando le giornate cominciavano ad allungarsi, si
prescindeva dal lavoro serale e si bruciava sulla soglia di ogni bottega
il rustico parot, tra il vocio degli operai, dei bambini e degli abitanti più
giovani del rione.
Quella rozza lampada da terra, il parot, era anche conosciuta con
altri nomi: estai, pagés, pelmodo o permidol, ciascuno con dei
significati diversi, salvo un’accezione coincidente nei quattro termini,
ovvero come sinonimo di oggetto ingombrante per illuminare.
8
Esteve Victoria, J.M., “El Micalet fa l’explicació i relació de lo que ha de ser falla”, in
Pensat i Fet, Valencia, 1930
9
Ariño, A., “L’origen de las fallas”, in Historia de las fallas, pag. 72
10
Ariño, A., “Dal naiximent a la consolidació”, in La festa de les falles, Associació
d’estudis fallers, Generalitat Valenciana, 1996, pag. 15
9
È facile capire che per preparare il falò – la falla – o per alimentarlo,
gli stessi artigiani e falegnami ammucchiassero trucioli o pezzi di legno
inservibili, aiutati dai bambini del vicinato che apportavano cose
vecchie lesinate in casa come combustibile
11
.
Inoltre la verticalità e i bracci dell’estai o pagés, si prestavano a essere
animati con stracci e vestiti vecchi, dando loro un aspetto umano,
insieme a qualche barret (cappello) che lo dotava di una ipotetica
testa. Il falò, così preparato, non bruciava solamente dei pezzi di
legno, bruciava una persona. E se quel goffo tentativo figurativo
aveva la parvenza di un qualsiasi personaggio conosciuto nel rione
che meritasse la satira e il fuoco, tanto di guadagnato. Così nacque il
fantoccio, il ninot. Un misto di spauracchio sempre più umano, sino a
giungere ai capolavori di questo genere artistico. Facendo coincidere
due o più ninots e ambientandoli con qualche elemento decorativo,
comincia già ad essere possibile abbozzare non solo dei personaggi,
bensì un fatto, un argomento, una storiella maliziosa, un pettegolezzo.
Manca solo che questi fantocci, protagonisti di un qualsiasi sainete
12
del quartiere, della città, della nazione o del mondo, vengano messi in
alto, su un piedistallo o palco, affinché la gente li possa vedere meglio
e riderci sopra. Quando tutto questo si verifica combinandosi, si ha la
vera falla valenciana. Il parot funzionale da San Michele a San
Giuseppe è diventato, nel corso dei secoli, quell’originalissima satira
scenica così mediterranea che è la falla; ciò non si verifica fino al XVIII
secolo
13
. Nata in panni umili e in rioni popolari, la falla si sviluppa e si
perfeziona diventando mestiere, bellezza, intenzione, perfezione
plastica e ornamentale, fino a giungere alla monumentalità
11
Soler, E., Las fallas: notas para su historia, Albatros, Valencia, 2000/2001
12
Opera teatrale di breve durata dal contenuto ironico o satirico, solitamente di
origine popolare; diffuso in tutta la Spagna dal XVI al XIX secolo.
13
Ariño, A., La ciudad ritual. La fiesta de las fallas, Anthropos, Barcelona, 1992, pagg.
55-68
10
splendente e policromatica, perfettamente rifinita della falla del XX
secolo
14
.
Le prime e rudimentali fallas ottocentesche non potevano esprimere
l’argomento in modo evidente al primo sguardo; lo esprimevano in
modo velato; e per farlo capire ai visitatori si fece ricorso a un testo
contenente alcune spiegazioni che avrebbe reso possibile la
comprensione del soggetto della falla in tutti i suoi particolari.
Nacquero così i versos falleros (versi della falla) e il llibret (libretto)
15
,
che conteneva in versi la relazione e spiegazione della falla, sempre in
lingua valenciana e con strofe pungenti e comiche. Oltre ai llibrets, il
marzo valenciano vede la pubblicazione di altre pagine dedicate alle
fallas, le riviste falleras, pubblicazioni generalmente molto curate, dal
divertente contenuto letterario e grafico, con informazioni su quello
che sarà il programma delle feste falleras di quell’anno, e con delle
pagine interamente dedicate alle riproduzioni dei disegni di ogni falla,
raggruppate secondo le relative sezioni e categorie e suddivise
secondo il nome della strada, piazza o rione cittadino a cui
appartengono
16
. Con questo si rende evidente la presenza nelle fallas
di un elemento di grande tradizione valenciana festaiola: la stampa.
Insieme ai mortaretti, alla musica, ai fuochi d’artificio, agli stendardi, ai
vari comitati organizzatori, ai falleros vestiti con i costumi tipici della
tradizione valenciana, ai buñuelos (frittelle), ai fiori, alle sfilate
sontuose, eccetera, le tipografie di illustre tradizione sono presenti
come una componente rituale della miglior essenza fallera.
In una prima tappa la falla è un fuoco rituale notturno, però, dal
momento in cui vengono lanciati ninots al fuoco e si brucia gente, la
falla passa a essere una pratica simbolica di carattere irriverente.
14
Ariño, A., “Dal naiximent a la consolidació”, in La festa de les falles, pag. 19
15
Marín, J., “El suport literari de les falles”, in La festa de les falles, pagg. 125-144
16
El Turista fallero, núm. 62, marzo 2003, Publicaciones Bayarri, Valencia
11
L’origine delle fallas, finché non avremo documenti affidabili, resterà
un’incognita
17
; si tratta chiaramente di una festa popolare, anche se
questo non toglie importanza ai falegnami, sia come abitanti di un
determinato quartiere, che come esperti che potevano dirigere la
costruzione dell’impalcatura, specialmente se includeva figure con
movimento. Le fallas sembrano, dal primo momento, una festa
organizzata e celebrata dalle classi popolari
18
.
17
Soler i Godes, E., “Teorías sobre el origen de las fallas”, in Historia de las fallas,
pagg. 61-70
18
Domínguez Barberà, M., Las fallas, pagg. 44-45
12
1.3. La rivalità fallera
Verso la metà del XVIII secolo, una volta sorta la falla nel suo
significato attuale, comincia il rapido processo della sua diffusione e
la lenta evoluzione del perfezionamento della sua plasticità.
Nel 1751 – secondo quanto risulta chiaramente nella documentazione
raccolta da Almela i Vives
19
– nella città vennero collocate sette fallas,
alcune con ninots ben eseguiti e versi in lingua locale. Si hanno notizie
circa le fallas del 1783, 1789 (una di esse dotata di movimento), 1792 e
1796, sempre accompagnate da molta animazione cittadina.
Sappiamo che nel 1820, nella Calle Zaragoza, venne collocata una
falla che venne considerata “monumentale”.
Il “motore” di questo processo fu quello di sempre: la concorrenza tra i
vari rioni popolari. La falla era essenzialmente opera degli abitanti di
un quartiere che operavano in comune accordo; il soggetto veniva
mantenuto segreto. Si provvedeva al suo finanziamento con
modestissime quote settimanali o mensili e si giungeva alla sua
realizzazione materiale in poco tempo, in quell'epoca di povera,
schematica e goffa fabbricazione casalinga.
All’inizio ad attivarsi furono pochi quartieri del vecchio centro
cittadino, ai quali ogni anno se ne aggiungeva qualcuno di nuovo; e
mentre si stuzzicavano l’un l’altro per vedere chi avrebbe messo in
piedi la falla migliore, al momento stesso aumentava la rivalità, dando
inizio a una “lotta” che si faceva sempre più accesa. Ogni rione
voleva che la sua falla fosse non solo la migliore e più ben riuscita, ma
anche la più artistica. E allora apparve l’artista fallero
20
.
In ogni quartiere, strada o distretto fallero esisteva sin dall’inizio un
gruppo di entusiasti famosi per la loro capacità di organizzare tutto: la
19
Almela i Vives, F., Las fallas, Argos, Barcelona, 1949
20
Ariño, A., “Dal naiximent a la consolidació”, in La festa de les falles, pag. 19
13
contrattazione della banda musicale proveniente da qualche paese
vicino al capoluogo, o quella del coheter o pirotecnico, che doveva
preparare le tracas (serie di petardi e razzi matti disposti lungo una
corda, che scoppiano in successione), le mascletaes (esplosioni di
petardi e mortaretti), e i fuochi d’artificio; designare le falleras e
allestire programmi di manifestazioni e festeggiamenti.
Con questo gruppo si costituisce la Comissió (comitato organizzatore
della falla), con i principali organi direttivi: presidente, segretario,
tesoriere, eccetera.
I comissionats (componenti del comitato organizzatore), a causa delle
esigenze artistiche e della rivalità fallera, che hanno portato a
realizzazioni sempre più perfette di ninots, soggetti, scenografia e
montaggio, si vedono obbligati a scegliere un artista che, oltre ad
eseguire la falla, proponga il soggetto e ne esegua il bozzetto. Si va
verso la “monumentalità” della festa e delle fallas.
Una monumentalità e una ricchezza che, in parte, possono aver tolto
alla falla spontaneità popolare, trasformandola sempre più nel
risultato di un’attività professionale, privandola altresì del suo spirito
originario, della sua natura di “confabulazione” di quartiere, e della
sua chiara intenzionalità satirica. Ma in ogni caso non poche fallas,
comprese quelle più ricche e colossali, conservano gran parte dello
spirito originario, provocando le risate del pubblico, oltre
all’animazione, e alla tristezza suscitata dal fatto che tutto sarà presto
dato alle fiamme.
I grandi falò notturni in onore del santo patrono (Sant’Antonio Abate,
San Giovanni Battista, San Pietro, San Giuseppe) ardono
tradizionalmente la vigilia delle rispettive festività.
Questo succedeva anche con le fallas durante i secoli XVIII e XIX,
epoca in cui venivano bruciate la notte del 18 marzo.
14
Ma già nel XX secolo, dovuto al numero sempre maggiore di fallas ed
essendo queste sempre migliori delle precedenti, si volle approfittare
della festività di San Giuseppe affinché la popolazione e i forestieri
potessero disporre di un giorno in più per visitarle, e si spostò la cremà
alla notte del 19 marzo. Allo stesso modo, poiché i festeggiamenti
crescevano in numero e sontuosità, erano necessari più giorni di festa.
Nacque così la settimana fallera, che ha finito per durare molto più di
sette giorni
21
.
21
Domínguez Barberà, M., Las fallas, pag. 46
15
1.4. San Giuseppe
La festività del Santo Patriarca è una cosa e le fallas un’altra. Il fatto
che vi sia una coincidenza nel calendario si deve a ragioni non
precisamente religiose, ma perché la data del 19 marzo segna
praticamente l’inizio della primavera, ovvero delle giornate più
lunghe, quando si bruciava il parot. Curiosamente è la festa dei
falegnami, il cui patrono è appunto San Giuseppe, festeggiato in
passato insieme a San Luca, essendo quest’ultimo il santo degli artisti:
intagliatori, scultori o pittori di immagini sacre, decoratori, eccetera,
tutti appartenenti alla corporazione del legno
22
.
Nel vecchio calendario della cristianità, nel vasto territorio europeo, le
festività di alcuni santi venivano fissate come date per l’adempimento
di certi obblighi di tipo contrattuale-economico; generalmente si
contavano quattro feste, una per ogni trimestre: gli affitti rustici
venivano pagati verso San Giovanni o Ognissanti.
San Giuseppe significava la fine dell’inverno e rappresentava un
momento molto importante nel calendario lavorativo; e il Natale, la
fine dell’anno.
Tutto ciò non senza considerare che quella coincidenza di date non
spoglia affatto il 19 marzo del profondo significato religioso che la
grande e antica devozione valenciana ha per lo sposo di Maria. I
patroni di Valencia sono San Vicenzo Martire, San Vincenzo Ferrer
23
e
la Virgen de los Desamparados
24
. Ma di San Giuseppe si può
affermare che è il patrono del popolo valenciano, anche se si tratta
di una devozione piuttosto recente.
22
Ariño, A., “Dal naiximent a la consolidació”, in La festa de les falles, pag. 16
23
San Vincenzo Martire viene festeggiato nella città di Valencia, mentre San
Vincenzo Ferrer nell’intera regione
24
Madonna degli indifesi
16
Le varie fallas che rallegrano Valencia celebrano messe e cerimonie
di culto, ciascuna nella parrocchia del proprio rione, in onore del
Santo Patriarca. E il 19 marzo, a mezzogiorno, la Junta Central Fallera
(Giunta Centrale Fallera, formata dai rappresentanti dei vari comitati
organizzatori delle fallas) si reca al ponte di San Giuseppe con la
Fallera Mayor (rappresentante delle falleras, cioè delle partecipanti
alle fallas), e la sua corte per adornare di fiori il piedistallo della statua
del santo. Il Gremio de los carpinteros (Associazione dei falegnami),
celebra solenni culti religiosi con messa in onore dell’associazione e
processioni. Questa festa religiosa e l’altra, di strada e cittadina delle
fallas, dalle radici così diverse, si sono intrecciate a poco a poco; lo
stesso nome rituale delle ultime fallas, denominate appunto Falles de
San Josep (Fallas di San Giuseppe), lo indica
25
.
25
Domínguez Barberà, M., Las fallas, pag. 47
17
1.5. L’altro “motore”
La rivalità fallera aumentò ulteriormente da quando, nel 1901, il
Comune cominciò ad assegnare dei premi alle fallas più belle e
meritevoli, ma oltre a questo c’è stato un altro importante “motore”
per lo sviluppo di questa festa: la politica locale, nazionale e
internazionale; perché i ninots, riproducendo l’umanità ed essendo
“vera effige” di personaggi internazionali famosi e criticati,
costituiscono un successo sicuro e alla portata di tutti, popolazione
locale e stranieri.
Nella prima metà del XIX secolo, precisamente dal 1812 al 1843,
decenni carichi politicamente di passioni e lotte nazionali
26
, le fallas
ricevettero il “fertilizzante” dai tanti sommovimenti e fazioni che
sconvolsero il paese.
Poi, in fasi successive, le fallas sono passate a rappresentare una
cronaca tragicomica e uno sfogo civile di fronte alla tensione
asfissiante della delicata situazione politica interna. A quello che si
intende per politica in genere, bisogna associare i settori prossimi
all’attualità mondana, per cui si appassiona il grande pubblico: il
cinema e le sue stelle, lo sport e i suoi campioni, i concorsi di bellezza
e le loro miss, il crimine dell’anno, le nozze del secolo...
Mentre la rivalità fra rioni fu il motore che fece evolvere le fallas verso
costruzioni monumentali di notevole dimensione ornamentale, vero e
proprio vanto di plastica decorativa, coloristica, sontuosa e satirica,
l’introduzione della politica e dell’attualità nei soggetti falleros operò
come una forza e al tempo stesso come stimolo per migliorare la
personalità dei ninots, fino al punto che, per eseguire la testa di noti
personaggi nazionali o internazionalmente famosi, si utilizzò la cera,
con cui si ottennero fisionomie prodigiose di personaggi molto
26
Ariño, A., La ciudad ritual. La fiesta de las fallas, pagg. 84-86
18
conosciuti che destavano l’ammirazione e l’ilarità unanime perché,
alla sorprendente somiglianza, si univa la comicità della scena in cui si
inseriva quella presenza illustre. La cera, tuttavia, non era la materia
prima ortodossa delle fallas. Lo era, invece, il cartone, che veniva
inumidito, modellato e variamente colorato, ed era facile preda delle
fiamme.
Il cartone si è imposto quindi durante gli ultimi lustri, dando vita a
espressioni e fisionomie incredibilmente individuali dei vari ninot, che
vengono collocati nelle più delle trecento fallas di Valencia, senza
contare quelle di tutta la regione. Non deve stupire, quindi, che la
prima manifestazione che apre la settimana fallera sia la Cabalgada
del ninot (sfilata del ninot)
27
.
27
Domínguez Barberà, M., Las fallas, pag. 48.
19
1.6. Il corteo buffo che apre la festa
Il programma dei festeggiamenti della settimana fallera si è formato
dall’interno stesso della festa; cioè sin dall’inizio del processo interno di
formazione delle fallas, ad esempio, quando l’evoluzione delle fallas
fece apparire ninots magistrali, molti si chiedevano con una certa
tristezza se qualcuno di essi poteva essere salvato dalle fiamme...
Allora si decise di esporre i migliori ninots – uno per ogni falla –
nell’enorme salone della Lonja de la seda (Loggia della seta)
28
. Così si
sarebbe scelto quello che sarebbe stato poi risparmiato dal fuoco, e
per questa importante decisione non si ricorre a una giuria: è il
pubblico stesso a decidere quale sarà il ninot indultat (ninot
risparmiato)
29
.
L’esposizione resta aperta otto/nove giorni, e la sera dell’ultimo ha
luogo un favoloso corteo, la Cabalgada del ninot, che sfila per le vie
del centro e che viene seguito da una numerosa e gioiosa folla: ogni
ninot viene accompagnato da figuranti che rappresentano in modo
vivace o ieratico qualche tema buffo relazionato con l’argomento
della rispettiva falla.
Giunta alla fine del suo percorso, la sfilata si sposta per restituire ogni
ninot alla rispettiva falla di provenienza.
28
Ariño, A., “Del naiximent a la consolidació”, in La festa de les falles, pag 28
29
L'indult del foc: catàleg raonat de la col·leció de ninots indultats del Museu faller,
Ajuntament de Valencia, Delegació de Festes, Valencia, 2002; Gayano Lluch, R.,
Ninots Indultats, Valencia, 1946