3
Introduzione
Da spettatore cinematografico prima e da studente di cinema poi ho sempre provato un gran-
de interesse per il genere della commedia, intesa in modo particolare nella sua accezione piø
comica e satirica: mi riferisco per esempio ai film interpretati e diretti da Charlie Chaplin,
come Tempi moderni, o Il grande dittatore. Mi sono sempre piaciuti anche i fratelli Marx,
protagonisti dei film La Guerra lampo dei fratelli Marx, I fratelli Marx al college, Servizio in
camera. Recentemente ho scoperto le opere di Ernst Lubitsch, regista tedesco famoso per le
sue commedie sofisticate come: Ninotchka, Scrivimi fermo posta , Vogliamo vivere!.
Addentrandomi sempre di piø nei vari generi e sottogeneri filmici mi sono imbattuto
in un film dei fratelli Coen, Ladykillers, definito però da molti critici come un’opera minore e
un remake mal riuscito del film La signora omicidi di Alexander Mackendrick, definito co-
me:“[…] commedia Ealing in bilico tra satira e parodia[…]”
1
.
Queste due opere mi hanno particolarmente interessato, entusiasmato e incuriosito,
tanto da introdurmi nel vivo del sottogenere della black comedy e da spingermi ad occupar-
mene seriamente. Nell’ambito dei miei studi di cinema il mio interesse si è trasformato, dando
origine a diversi interrogativi che mi ponevo e che mi hanno stimolato ad approfondire criti-
camente la materia. In primo luogo, mi è parso necessario approfondire la questione posta dal-
la critica: Mi sono domandato, infatti, se Ladykillers fosse soltanto un remake de La signora
omicidi. In altre parole se fosse soltanto un omaggio dei due cineasti statunitensi verso la
commedia inglese nella sua stagione d’oro. O, piø semplicemente: se i Coen avessero voluto
raccontarci la loro versione della storia di un incontro/scontro tra una terribile vecchina e una
banda di criminali. Questi quesiti sono stati soltanto l’inizio di un’argomentazione che ho vo-
luto suddividere in tre momenti. Nel primo capitolo, che ho voluto dedicare alla “Black
Comedy”, si parte da una necessaria definizione del genere, dandone le coordinate sia etimo-
logiche che storiche con riferimento all’origine e sviluppo della commedia. Si prosegue quin-
di facendo chiarezza sui generi e sottogeneri distinguendo, in particolare, gli elementi “black”
e “dark” che attraversano l’ampio ventaglio della commedia. Questo primo capitolo tenterà di
delineare una visione il piø possibile articolata e completa della “Black comedy”, con modali-
tà che non potranno prescindere da una riflessione sull’intertestualità, sulla parodia e sul
remake.
1
Laura, Luisa e Morando Morandini , Il Morandini 2009. Dizionario dei film, Zanichelli, Bologna, 2009.
4
Nel secondo capitolo, intitolato “La commedia secondo i fratelli Coen”, il discorso si avvici-
nerà al particolare oggetto di studio della presente tesi: dopo aver tracciato un profilo dei due
registi statunitensi, si illustrerà il genere noir e il suo rapporto con l’assurdo, attraverso
un’analisi degli apporti critici degli studiosi piø significativi. Si proseguirà quindi con
l’approfondimento sulle dark ladies, figure tipiche del noir in contrasto con le protagoniste dei
due film presi in esame, ovvero le terribili vecchine Mrs Wilberforce e Mrs Munson. Il terzo
capitolo, intitolato: “Da La signora omicidi a The Ladykillers”, si aprirà con un’attenta disa-
nima dei due film, concentrando l’attenzione, a livello testuale, sul plot e sul suo remake. Ci si
inoltrerà quindi sull’analisi incrociata dei personaggi dei due film, mettendo a fuoco, in parti-
colar modo, le personalità e i ruoli dei due capi della banda dei Ladykillers: il professor Mar-
cus e il professor Dorr. Verrà analizzata soprattutto l’arte oratoria che li contraddistingue e le
diverse strategie retoriche da essi adottate. Chiuderà questo capitolo un’indagine sullo stile
cinematografico dei due testi filmici, al fine di cercare di coglierne le caratteristiche principa-
li. Si tratta in conclusione di un percorso che, partendo da alcune linee generali, intende pro-
cedere secondo dei riferimenti incrociati che metteranno in luce, da una parte, la ricchezza di
ciascun film, dall’altra, il sapiente gioco intertestuale con cui una black comedy può evolver-
si, riproponendo al pubblico una storia uguale nell’intreccio ma infinitamente diversa nella re-
sa cinematografica.
5
Capitolo 1 La black comedy
1.1. Definizione della black comedy
Secondo Platone, Socrate fu il primo a insegnare l’importanza di definire con chiarezza
l’oggetto della propria ricerca e il significato della parola che designa tale obiettivo. Nel dia-
logo platonico Gorgia, per esempio, si trova una chiara testimonianza di tale metodo. Natu-
ralmente si tratta di un’esigenza dettata da una volontà di trasparenza, dal desiderio di arrivare
ad un preciso – per quanto possibile - significato delle parole. Anche per quanto riguarda
l’argomento di questa tesi, sarà utile partire da una definizione della commedia e in particola-
re di quel sottogenere della commedia che viene chiamato “black” o “dark comedy”. Per stu-
diare l’evoluzione del termine “commedia” e del genere che esso designa, dovremo partire
dall’etimologia del termine, in modo da metterne in luce il significato originario. Le parole,
infatti, sono in un certo senso simili ad organismi che nascono, crescono e spariscono: la loro
etimologia (in quanto scienza che studia l'origine e la storia delle parole) può essere chiarifi-
catrice. La parola greca comodìa, composta di kòmos, "corteo festivo", e odè, "canto", indica
come questo tipo di drammaturgia sia lo sviluppo in una forma compiuta delle antiche feste
propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci.
Nell'antica classificazione dei generi letterari, il termine “commedia” veniva contrapposto al
termine “tragedia”. Il fine della tragedia era quello di “suscitare pietà e terrore, seguiti dalla
catarsi finale.”
2
La tragedia era una delle forme piø antiche di teatro, aveva origini oscure ma
probabilmente derivava da tradizioni religiosi e poetiche arcaiche. L’etimologia della parola
“tragedia” è dal greco antico: i piø la traggono dall’unione delle parole tragos “capro” e odia
da odè “canto” e quindi a “canzone del capro”. Altri sostengono invece che l’etimologia deri-
va dalla radice –tar, “penetrare trapassare” e per analogia “ferire uccidere” quindi definendo
con tale espressione un componimento luttuoso e drammatico, rappresentazione di grandi
sventure vere o immaginarie di personaggi storici e mitologici, con la morte di uno o piø di
essi. Il comico viene opposto al tragico soprattutto in quanto il suo fine è quello di suscitare il
riso. Nella Poetica, Aristotele la distingue dalla tragedia, dicendo che tratta personaggi comu-
ni in situazioni del tutto quotidiane in un modo divertente. Ancora oggi per quanto riguarda la
commedia, quasi tutte le definizioni che si possono trovare nei dizionari e nelle enciclopedie
cartacee e on line sottolineano come elemento essenziale sia il far ridere. La commedia è una
2
L’Universale Enciclopedia Generale, Garzanti, Milano, 2003.
6
“composizione teatrale a lieto fine, di argomento comico o comunque leggero”.
3
Anche Wi-
kipedia mette in primo piano l’aspetto ludico della commedia; viene però introdotto
l’elemento problematico della commedia, cioè il fatto che il termine abbia subito nel corso del
tempo un’evoluzione che lo ha portato lontano dal significato originale:
“Una commedia è un componimento teatrale o un'opera cinematografica dalle tematiche leg-
gere o atto a suscitare il riso, assai spesso tratta di amori controversi perlopiø a lieto fine. Il
termine ha assunto nei secoli varie sfumature di significato, spesso allontanandosi di molto
dal carattere della comicità. […]”
L’argomento è così complesso da richiedere spesso un atteggiamento multidisciplina-
re. Come è stato osservato, “la multidisciplinarietà, che è sempre una ricchezza, diventa indi-
spensabile e preziosissima affrontando lo studio del comico”
4
. In realtà dietro l’idea di “fare
ridere” si nascondono molteplici concetti e modalità: il comico, per esempio, può scaturire
dall’umorismo o dall’ironia, per nominare solo due aspetti. La commedia può, piø semplice-
mente, cogliere il lato comico di una situazione, il cosiddetto "comico quotidiano" . Alla voce
umorismo troviamo: "modo di osservare il mondo e di rappresentarlo con racconti, battute,
osservazioni, opere d'arte che ne mettano in risalto gli aspetti incongruenti, paradossali, comi-
ci, assurdi, ridicoli.” Se invece vogliamo far chiarezza sul termine “ironia” troviamo:
“L'ironia, invece, è una particolare forma di finzione che consiste nell'esprimere a parole il
contrario di ciò che si vuol significare, in modo tuttavia da lasciare intendere (soprattutto
con l'intonazione della voce) il vero pensiero. Frequente nel parlare comune, per deridere o
rimproverare o constatare un evento deplorevole. L'ironia può essere bonaria, sottile, arguta,
fine oppure pungente, beffarda, pesante addirittura feroce. Oppure l'ironia viene definita co-
me svalutazione eccessiva, reale o simulata di se stessi, del proprio pensiero oppure come
umorismo sarcastico e beffardo.”
5
L'umorismo viene definito come una forma del sentimento comico derivato non dall'i-
stinto, ma dall'intelligenza, raffinato dalla cultura, tant'è che il comico include in sØ anche
l'umorismo perchØ contiene in sØ il ridicolo che esiste già di per sØ ancora non rivelato nelle
cose, nelle situazioni e negli sviluppi di esse. L'umorismo consiste, invece, nell'insieme delle
attività esercitate al fine di cercare, rivelare, illustrare una situazione comica.
3
Ibidem.
4
Daniela Cardini – Marco Chiappa, (a cura di) Saggi sul comico, Arcipelago edizioni, Milano, 2005, p. 6.
5
http://digilander.libero.it/gbe/pinocchio_a.htm.
7
Inoltre, del far ridere non si “occupa” solo la commedia, ma anche la tragicommedia che per
definizione è “un genere teatrale in cui si alternano elementi tragici e comici.”6 . In Wikipedia
leggiamo: “La tragicommedia (XVII secolo, dal latino tragicomoedĭa, da tragĭcus, tragico
piø comoedia, commedia) è un'opera drammatica che fonde il tragico e il comico, come la
parola stessa definisce.” In modo particolare viene messo l’accento sul contrasto tra i due e-
lementi: la tragicommedia è un “componimento drammatico in cui a vicende gravi e dolorose
fanno contrasto elementi comici”. Questo contrasto-mescolanza di elementi comici e dramma-
tici è utile per definire l’oggetto specifico del presente lavoro, ovvero la black comedy. Innan-
zitutto è necessario fare una distinzione connotativa tra le parole “black” e “dark”. “Black” è
una situazione negativa senza probabilità di miglioramento: se uno è in uno stato “black” è
molto infelice, depresso, ostile, arrabbiato. Uno sguardo “black” esprime rabbia e grande di-
sappunto. “Black” è inoltre un aggettivo usato per descrivere ciò che è “male” o “malvagio”.
Di conseguenza il “black humour black” si riferisce a “scherzi relativi a cose tristi o spiace-
voli da cui black comedy.”
7
“Dark”, invece, esprime idee e pensieri che sono tristi e mostrano
un punto spiacevole. Un periodo di tempo “dark” è spiacevole o terrificante; uno sguardo o
una battuta “dark” ti fa pensare che una persona che li indirizza ti vuole fare del male oppure
che qualcosa di orribile stia per accadere; un luogo “dark” è dove c’è poca luce.”
8
L’espressione “black comedy” venne usata per la prima volta da Jean Anouilh, il quale
divise la sua produzione degli anni trenta e quaranta in pièces roses e pièces noires. Proba-
bilmente il termine deriva dalla Anthologie de l’humeur noire (1940) di AndrØ Breton, nella
quale si analizza il trattamento umoristico dell’orrido, del macabro e dello ‘shocking’. La
black comedy metterebbe dunque in scena: “un marcato cinismo e un senso di disinganno,
personaggi senza convinzioni e con poca speranza, guidati dal fato o dalla fortuna, o da po-
teri incomprensibili.”
9
Il termine “dark comedy” è stato invece coniato da J.L. Styan nel titolo
del suo libro The Dark Comedy (1962). Il termine denota la commedia che è “tragi-comica
nel tono e nella forma; opere in cui il ridere, il dolore, l’infelicità, e la disperazione sono me-
scolate. Le opere di Checov ne sono esempi notevoli”.
10
Fatta questa, seppur relativa, chiarez-
za sulla terminologia ci si può inoltrare nella storia della black comedy indagandone in manie-
ra dettagliata origine e sviluppo.
6
L’Universale Enciclopedia Generale, cit.
7
J.A.Cuddon, The Penguin Dictionary of Literary Terms, Penguin, London, 1991.
8
Ibidem.
9
Ibidem.
10
Ibidem.
8
1.2. Origine e sviluppo
La black o dark comedy sembra aver raggiunto la sua piø alta espressione nel Novecento, ma
scene con aspetti dark uniti ad effetti comici sono presenti nel teatro europeo fin dalle sue ori-
gini. Per definizione stessa la black comedy si presenta infatti come uno dei tanti sottogeneri
della commedia, macrogenere che può essere declinato in innumerevoli modi. Questo aspetto
composito della commedia appartiene al genere fin dall’Antichità. Come mette in evidenza
Luigi Forlai:
“Le origini della commedia non sono del tutto chiari e lineari. Ad ogni buon conto, per drib-
blare le polemiche dei filologi, diremo che in ambito greco sembra esistesse un corteo buffo-
nesco e satirico parallelo ad un piø serio corteo spontaneo (detto komos, in latino comus +
odos canto = komoidia, commedia) organizzato dai cittadini in onore di Dioniso.”11
A partire dal IV secolo A.c. troviamo alcune generalizzazioni di cosa sia una commedia
da parte dei grammatici Evanthius, Diomedes, Donatus. Evanthius sostiene che nella com-
media gli uomini appartengono alla classe media, i rischi in cui incorrono non sono nØ seri e
neppure stressanti e le loro azioni hanno una conclusione felice e che, mentre nella tragedia la
vita deve essere sfuggita, nella commedia essa deve essere agguantata, Diomedes osserva che
i personaggi nella commedia, a differenza della tragedia, sono umili e non pubblici, egli ag-
giunge che due dei principali temi della commedia sono le faccende amorose e sessuali. Se-
condo Donatus, la commedia era un racconto che conteneva vari elementi riguardanti i citta-
dini e i privati a cui viene mostrato quel che è utile e quel che non è nella vita e ciò che do-
vrebbe essere evitato. Il riferimento piø interessante lo troviamo in seguito nella Ars verifica-
toria di Matthieu Vendome (1150), in cui si parla della commedia come di una figura allego-
rica che si presenta con un ghigno, in abito da lavoro e con il capo piegato in un atteggiamen-
to umile, senza alcuna pretesa o idea di allegria. Questa descrizione è sorprendente e un po’
ambigua: le implicazioni sono che la commedia è differente dalla tragedia e che le cose non
vadano a finire bene.
Questa descrizione contrasta con quella espressa un secolo piø tardi da Vincent Beau-
vaies nello Speculum maius triplex, egli descrive la commedia come un poema che cambia,
che ha un triste inizio e una felice conclusione. Nel 1286 Johannes Janvensis scrive nel Ca-
tholicon (1286) che la commedia inizia con una disgrazia e termina con la gioia, mentre la tra-
11
Luigi Forlai – Augusto Bruni, Archetipi. Mitici e generi cinematografici, Dino Audino , Milano, 1997, pp. 90-
91.
9
gedia è l’opposto. Inoltre la tragedia e la commedia sono diverse in quanto la commedia ri-
guarda le azioni di uomini comuni e la tragedia ha a che fare con re e persone importanti.
A questo punto un certo modello sta divenendo chiaro ed è reso ancora meglio da Dante nella
sua Epistola a Can Grande in cui spiega che cosa ha intenzione di attuare nella Divina Com-
media che incominciò nel 1310. Dante fa derivare la parola “commedia” da comos (villaggio)
e da oda (un canto); così la commedia è una sorta di canto rustico e prosegue dicendo che è
una narrazione poetica diversa da ogni altro genere. Anche Dante evidenzia che la commedia
contrasta con la tragedia perchØ inizia in modo crudo e termina in modo felice: infatti la “Di-
vina Commedia” inizia con la disgrazia dell’inferno e si conclude con il piacere del paradiso.
Inoltre Dante sottolinea che lo stile della commedia deve essere “umile”. In modo sorprenden-
te, Chaucer usa la parola “commedia” una sola volta e proprio alla fine di un racconto tragico,
Troilus and Criseyde (1369 – 1387): “Go, litel book, go litel myn tragedie, Ther God thi ma-
kere yet, er that he dye, So sende myght to make in som comedye![…]”
12
Qui l’uso è antitetico, Chaucer non disse mai esplicitamente che cosa fosse per lui la
commedia, però in The Chanterbury Tales il cavaliere interrompe la lunga serie di tragedie
che il monaco sta elencando e vorrebbe ascoltare una storia un po’ diversa: di una persona che
si tira fuori dalla disgrazia e arriva alla prosperità. Questa può essere una definizione soddi-
sfacente della concezione medievale di commedia. Dobbiamo ricordare infatti che durante tut-
to il Medioevo la commedia fu un poema con un triste inizio e un lieto fine. Durante il Rina-
scimento la prevalente definizione di commedia è ben diversa, ed è fondata su considerazioni
di tipo morale. Se consideriamo i critici inglesi vediamo che la maggior parte riteneva che la
commedia dovesse essere un mezzo di correzione. Sir Philip Sidney, nella sua Apology for
poetry (1595), sostiene che: “La commedia è un’imitazione dei comuni errori della vita rap-
presentati nel modo piø ridicolo e sprezzante possibile. In modo che sia impossibile per lo
spettatore essere contento di ritrovarsi in essi.”
A questo proposito George Puttenham scrive in The Arte of English Poesie:
“[…] mercanti, soldati, artigiani, buoni onesti proprietari e anche giovani onesti, damigelle,
vecchie nutrici, prostitute, usurai, ruffiani, parassiti e simili nel cui comportamento sta di fat-
to l’intero corso e l’intera faccenda che è la vita dell’uomo e perciò tendeva al miglioramento
dell’uomo attraverso la disciplina e l’esempio. Ma era anche per divertire la gente comune
con rappresentazioni e spettacoli e questo genere di poema era chiamato commedia […] è
certamente vero che molte commedie del periodo Tudor e giacobino avevano uno scopo mo-
rale e correttivo ma alcune intendevano solo intrattenere e dare piacere”
12
Geoffrey Chaucer, Troilus and Criseyde (Abridged), Routledge & Kegan Paul, London, 1969, Book V, p.98.
10
Ma i due maggiori scrittori di commedie in Inghilterra tra il 1590 e il 1630 furono Shakespea-
re e Ben Johnson, ed è su Shakespeare che bisognerà soffermarsi per illustrare il modo in cui
il dibattito si è sviluppato nel mondo anglosassone, ambito a cui appartengono i due film che
tratterò nella tesi. C’è un filo rosso nel teatro inglese, dai Mystery Plays al Teatro Elisabet-
tiano che sottolinea l’aspetto popolare e dissacrante della commedia. Come sintetizza Styan:
“per un pubblico popolare, libero da controlli, è naturale ed umano cercare emozioni contra-
stanti e ridere di ciò che è rispettato e ammirato per tradizione”
13
In un “ordine divino” – An-
cien RØgime nel Civile e Creazionismo nel Naturale – l’incongruità della bassezza umana e
della “stupidità” (discrepancy) faceva parte del sacred pattern. Sulla stessa scena il mondo
umano della “pochezza” e del peccato interagiva con i simboli “celesti” in un unico plot: tutto
era parte della Divina Commedia. Questa mistura di “foul and fair” per usare le parole di
Shakespeare, piaceva al pubblico anche se veniva disprezzata dai critici. Uno tra tutti Samuel
Johnson il quale, in That Great Cham of Literature, dichiara:“Shakespeare never had six lines
together without a fault. Perhaps you may find seven, but this does not refute my general as-
sertion.”14
Questo non sembra aver diminuito la grandezza del teatro shakespeariano. Shakespea-
re meriterebbe in effetti un’analisi a parte, sia come emblema di un’epoca complessa che co-
me produttore, mai superato, di un teatro “globale”, secondo una ricetta tuttora valida: lo spet-
tacolo che contemporaneamente si rivolge a coloro il cui “piacere” sta nel pensare e meditare
su una questione e a coloro il cui piacere sta nel lasciarsi emozionare, provare emozioni. Il
pubblico elisabettiano era un pubblico non selezionato, variegato. Si presentava come una ric-
ca mistura socio-culturale i cui gusti, in termini di intrattenimento, non potevano essere soddi-
sfatti dall’applicazione di una teoria estetica, di una formula, o da un’unica forma. L’elemento
comico e la questione filosofica, il senso tragico e lo scherzo volgare, la parodia di ciò che è
alto, nobile, virtuoso e il burlesco, si intrecciano nel teatro shakespeariano in un sapiente do-
saggio per la soddisfazione del nobile colto e del popolano incolto. L’umana realtà non è
sempre all’altezza dell’umano ideale ma spesso è molto piø divertente. Lo humour, dopo tut-
to, è stato anche definito come la presa di coscienza del gap tra l’ideale e il reale e la conse-
guente reazione: invece di disperarsi per l’impossibilità di realizzare l’ideale, ridiamo della
nostra stoltezza che ci ha fatto credere di esserne capaci. Ridiamo di noi stessi, del nostro es-
sere dei fools. Ma c’è anche un’altra componente di fondamentale importanza per lo sviluppo
13
J.L. Styan, The Dark Comedy : the Development of Modern Comic Tragedy, Cambridge University Press,
Cambridge, 1962, p. 10.
14
Ivi, p. 11.