Introduzione 5
Il presente lavoro di ricerca è teso a prendere in esame la memoria dei salentini riguardo gli anni
'50, '60 e '70. In particolare, vuole focalizzare l'obiettivo sulla formazione scolastica e
sull'apprendistato delle persone intervistate. Lo scopo è quello di scoprire in che modo quella certa
educazione si contrappone all'educazione attuale e, soprattutto, come quell'educazione ha toccato la
memoria di queste persone.
Il tema della memoria è un tema delicato e, al giorno d'oggi, sfacciatamente ignorato. Il presente
non ha piø radici. L'”oggi” non dipende piø da nessuno “ieri”, e non viene considerato fondamento
del “domani”. Lo spazio attorno a noi si allarga e paradossalmente si restringe poichØ ogni luogo è
raggiungibile in poche ore di volo e ogni messaggio può essere ricevuto in pochi istanti da un
destinatario che si trova a migliaia di chilometri di distanza. Aumentano, poi, le possibilità di
registrare, archiviare e quindi memorizzare informazioni, proprio grazie alle nuove tecnologie che
ci garantiscono il salvataggio e la continua revisione di immagini, filmati, parole, secondo i nostri
bisogni e desideri. Ma, allo stesso tempo, noi, concentrati in questo eterno presente su cui si basa la
frenetica vita quotidiana del terzo millennio, stiamo perdendo il filo di Arianna che ci ha condotti
fino a qui. Le nuove tecnologie comunicative hanno potenziato un processo di esteriorizzazione
delle capacità tecniche, mnemoniche e simboliche dell'umanità, sino a offrirci tali e tanti materiali
sui quali costruire le nostre identità, da far temere l'annullamento della stessa nozione d'identità.
Non sappiamo chi eravamo, cosa sognavamo, cosa abbiamo realizzato nel corso dei decenni. É
ovattato il nostro passato: dove sono i dettagli? E cosa possiamo apprendere da essi? Come ha detto
Jan Assman
1
, “le società hanno bisogno del passato in primo luogo ai fini della loro
autodefinizione”.
É da qui che nasce il progetto “Laboratorio memoria”: dall'intenzione di ricostruire, attraverso una
collezione di storie personali, una visione generale della nostra comunità di appartenenza, al fine di
favorire processi di empowerment comunitario, ovvero la consapevolezza del “poter fare”. Cito S.
Tramma
2
, che in Pedagogia sociale scrive: “l'empowerment è l'incremento della capacità delle
persone a controllare attivamente la propria vita”. L'empowerment comunitario, quindi, tende a
sviluppare i legami tra le persone agendo su tre dimensioni: il coinvolgimento delle persone, che
collaborano al fine di risolvere qualcosa; la creazione della rete sociale, data dall'aumento delle
connessioni tra gli abitanti della comunità, ormai non piø isolati ma attivi nella partecipazione alla
vita di comunità; la partecipazione, attraverso la quale i cittadini diventano soggetti capaci di
6
realizzare progettazione partecipata. In sintesi, l'empowerment sociale, al pari di quello individuale,
rappresenta lo sviluppo della competenza della comunità nel suo insieme. Il passato deve essere
conosciuto e utilizzato per costruire modelli culturali, e quindi percorsi educativi, che adoperino
trame e pezzi per parlare di collaborazione alla vita del gruppo, per dare vita alla solidarietà verso il
fratello o lo sconosciuto che condivida un'idea, una necessità o uno slancio emotivo.
Lo scopo del Laboratorio memoria è quello di rimettere insieme, a macchia di leopardo s'intende,
la memoria salentina che caratterizza il trentennio '50-'80, e di elaborare attraverso letture
significative, le informazioni raccolte. Ogni tesista impegnato in questo scopo sceglie un argomento
in particolare da approfondire. Come già accennato, io ho deciso di analizzare il tema della
formazione scolastica e dell'apprendistato, perchØ da sempre sono sensibile a tutto ciò che riguardi
l'insegnamento e i metodi attraverso i quali si insegna, il mondo del lavoro e le strade necessarie da
percorrere per potervi accedere.
In questa tesi prendo in considerazione alcune testimonianze che ho raccolto attraverso la ricerca sul
campo, le quali ho interpretato ed elaborato con l'aiuto di libri inerenti il tema della formazione
scolastica e l'apprendistato, ma anche opere che riguardano l'argomento della memoria e della
comunità. Tutto ciò con il necessario sostegno del prof. Colazzo, professore associato alla Facoltà di
Scienze della Formazione presso l'Università del Salento, dei collaboratori e, infine, dei tesisti
impegnati come me nel progetto Laboratorio memoria. Le domande sorte durante il lavoro, e alle
quali ho cercato di dare delle risposte, sono:
• come era strutturata la classe scolastica?
• quali metodi educativi o pseudo-tali venivano messi in atto?
• il contesto familiare, quello socioeconomico e quello culturale collidevano oppure erano in
sintonia col contesto scolastico e/o lavorativo dei fanciulli?
• perchØ vi erano pochi bambini che proseguivano gli studi superiori, mentre la maggior parte
di essi era indirizzata sin dalla tenera età al lavoro nei campi o al lavoro artigianale?
• quanto influiva la scuola nella selezione di coloro i quali avrebbero continuato gli studi?
Appare chiaro che qui non è mia intenzione giudicare l'adeguatezza o meno dell'educazione di
questi “bambini di ieri”, bensì di dare una forma approssimativa alla comunità scolastica del tempo,
con tutto ciò che concerne il periodo storico e il contesto socioculturale. Ciò per dare l'input a una
visione pedagogica del rapporto tra quel passato e questo presente in cui siamo immersi oggi. Io,
giovane del terzo millennio, ho bisogno di imparare dal passato della mia comunità, necessito di
individuare le radici della collettività nella quale sono entrata, con la nascita, a far parte. 7
Da qui sono emerse, quindi, altre domande:
• per seguire quali principi oggi, sono mutati l'arredamento della classe, la didattica e
l'approccio allo studente?
• in che modo il contesto in cui vive il bambino oggi, influisce col contesto scolastico?
• chi e come indirizza i fanciulli oggi, per ciò che concerne la scelta della scuola o della
professione da intraprendere?
Questa tesi si propone, infine, di essere non esaustiva, bensì indicativa, essendo impossibile studiare
ogni singola memoria individuale o considerarne qualcuna come rappresentativa di tutte.
1
Jan Assman (Langelsheim 7/07/1938) è un egittologo tedesco. ¨ autore di numerosi libri e articoli sulla religione
egizia e sulla storia, letteratura e arte dell'Egitto antico. Ha raccolto le sue idee sulla formazione del monoteismo nel
libro Non avrai altro dio pubblicato in Italia nel 2007.
2
Sergio Tramma è professore associato di Pedagogia generale e sociale presso la Facoltà di Scienze della Formazione
dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Tra le sue recenti pubblicazioni: Dentro e fuori la scuola (con altri),
Milano 2008; L'educatore imperfetto Nuova edizione, Roma 2008; Pace e guerra (a cura di), Milano 2007; Educazione
e modernità, Roma 2005.
• La trascrizione rispecchia fedelmente i dialoghi, pertanto questi possono risultare in alcuni
casi sgrammaticati o poco logici. Le note a fine intervista aiutano nella comprensione delle
parole o frasi in dialetto.
• I puntini di sospensione non indicano omissioni di parole, essendo meramente evocativi.
• In alcuni casi, nella trascrizione sono stati aggiunti commenti fatti dall’intervistato fuori
dalla videoregistrazione. Essi sono stati inseriti nei punti in cui avessero ampliato
sensatamente l’argomento.
1.1.1 Memoria della formazione scolastica 9
Memoria individuale e memoria collettiva: definizioni e collegamenti al tema
La memoria è l'elemento necessario attraverso il quale poter trasmettere la cultura. Nel corso dei
secoli, essa è stata affidata alla trasmissione orale, per poi trovare maggiore stabilità con la
rappresentazione iconica, fino ad arrivare alla scrittura, mediata poi dalle prime macchine stampanti
e, oggi, dal computer. Nel testo La memoria autobiografica di Giovanna Leone
3
, emerge l'idea di
Middleton e Edwards
4
, i quali in una rassegna di saggi sostengono che non esiste qualcosa,
definibile come memoria, situata all'interno della mente dell'individuo, come un insieme di
rappresentazioni o immagini conservate nella sua testa. L'unica cosa che noi possiamo studiare
direttamente, sempre secondo i due studiosi, è infatti l'esistenza di ricordi, comunicati ad altri o
ricevuti da loro, in una parola, frutti di un “negoziato sociale” sul significato del passato. Secondo il
prof. Paparella, il quale ha relato alcuni seminari del Laboratorio Memoria, il ricordo è il ritorno a
un tempo lontano che passa, secondo l'etimologia del termine, dal cuore. La memoria, invece, parte
dalla conoscenza e indica, quindi, un insieme di conoscenze di un determinato passato, tutte
formanti precise regole di comportamento.
La memoria individuale nasce dai ricordi che nel corso della vita si sono aggiunti nella mente della
persona, adattandosi alla sua maturità intellettuale e al contesto in cui certe esperienze si sono
verificate. Mi collego all'intervista radiofonica fatta il 10/12/2009 a Luigi Cancrini, psichiatra e
psicoterapeuta di formazione psicoanalitica e sistemica che, nel nostro paese, ha fondato negli anni
Settanta una fra le piø importanti scuole di psicoterapia, il Centro Studi di Terapia Familiare e
Relazionale del quale è presidente: egli sostiene che la memoria possa essere considerata una sorta
di archivio in cui ci sono cose piø vicine e cose piø lontane. Queste ultime non vengono catalogate,
infatti noi selezioniamo in entrata le informazioni che consideriamo utili, e questo principio di
utilità si crea in base a come le informazioni sono inserite nella trama per noi rilevante nella nostra
vita. Ricordiamo di piø le cose legate all'idea che noi abbiamo di quell'esperienza, quelle che si
collocano in un sistema di valori che viene da noi condiviso. É piø semplice ricordare ciò che è nel
nostro mondo e nel nostro modo di rappresentarci il mondo.
3
Giovanna Leone è nata a Roma il 20/04/1954 ed è ricercatrice presso il Dipartimento di Psicologia dell'Università
degli Studi di Bari
4
Middleton e Edwards
10
La memoria individuale si immerge nella memoria collettiva, quando ogni persona che abbia
vissuto un evento che riguardasse l'intera comunità, lo ricorda interpretato anche sulla base di criteri
messi in atto dalla collettività stessa. Lo psichiatra accenna in particolare alla strage di Piazza
Fontana, di cui alcuni bambini di ieri conservano il ricordo, mentre altri no. Ciò accade perchØ nel
mentre ricordiamo, ci sintonizziamo con eventi e cose che sono legate a trame di pensiero in cui ci
riconosciamo, cioè alla nostra identità. Alcuni bambini di ieri hanno nella loro memoria la strage di
Piazza Fontana, perchØ l'hanno collegata a determinati comportamenti degli adulti, i quali hanno
influenzato quindi la formazione del loro ricordo. Allo stesso modo, atteggiamenti degli adulti che
non evidenziavano la gravità della situazione, portavano altri bambini a non considerare l'accaduto
come “degno” di essere ricordato. Vediamo, quindi, che la memoria collettiva non è una mera
somma delle memorie individuali, bensì un interagire insieme l'una con l'altra, spesso anche in
maniera inconsapevole. Come sostiene il prof. Colazzo: "la memoria collettiva è il prodotto dei
ricordi e degli avvenimenti sedimentati all'interno del serbatoio mnestico di una determinata
cultura".
Ma in che modo la memoria individuale e quella collettiva della formazione scolastica e
dell'apprendistato, possono essere utilizzate a scopo pedagogico? Attraverso la narrazione è
possibile mettere in relazione gli stati interiori con la realtà esterna, di legare il presente con il
passato in vista di un orientamento al futuro. Dare una forma alla realtà scolastica e a quella
dell'apprendistato di un tempo e un luogo definiti, ci permette di avere uno sguardo piø ampio verso
la realtà di oggi e del luogo in cui la viviamo. Di pedagogico in questo c'è, quindi, che possiamo
agire sul presente attraverso la comprensione del passato, e che possiamo mettere in atto
l'empowerment comunitario utile ad una fortificazione della comunità, nel momento in cui questa
ha delle radici conosciute.
Il metodo narrativo e il metodo autobiografico sono strumenti utili al fine di ricostruire la
memoria di una comunità ben definita. Il primo ha assicurato nel corso dei millenni la continuità fra
le generazioni, e quindi la trasmissione della cultura; il secondo è una declinazione del primo,
poichØ le storie narrate vedono l'implicazione di chi le racconta, e queste storie vengono ripercorse
per ritrovarvi un filo narrativo che renda il percorso esistenziale plausibile.
La storia di vita, solitamente appare come un'insieme di percorsi privati, invece a volte si arresta in
un lampo che rivela le sembianze della grande storia collettiva. Allora il fermo immagine che ne
deriva sembra rendere improvvisamente evidenti i legami tra il singolo e un orizzonte piø ampio.
Quello che si era soliti attribuire a decisioni e responsabilità del privato trova una lettura ulteriore
come variante di una grande storia dalle origini e dalle conseguenze che superano la portata
2. Il lavoro sul campo: le interviste 26
2.1 Lucia Cesari (prima parte)
Luogo e data: Noha di Galatina, 24/09/09
Nome dell’intervistata: Cesari Lucia
Luogo e data di nascita: Galatina, 1951
Residenza: Noha di Galatina
Professione: Ex tabacchina, ex operaia di fabbrica
Periodo e luogo di riferimento dell’intervista: 1970-1985, Noha (frazione di Galatina)
A: Cosa ricordi del periodo che va dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta?
B: Meh, mò, cce sacciu… M’aggiu spusata, aggiu fattu tre fiji… Famme na domanda precisa…
1
A: Allora parlami di quando lavoravi il tabacco.
B: Imu zziccatu facimu tabbaccu all’ Ottanta, piø o menu.
2
A: In cosa consisteva il lavoro?
B: Allora, si iniziava a febbraio a fare… le ruddhre, comu se dice in italianu
3
? Le distese che poi
devi andare a seminare. Se spettava cu criscanu le chiante e poi, a fine aprile, se nnaffiavane finu
alla fine de giugnu. Dopodichè se rracujane le prime foglie, lu “frunzone” se dice. Però nunn è ca
pijavi le foglie na fiata sula. Ivi scire cinque, sei fiate cu le rracoi, percè intantu criscìane l’adde.
4
A: E poi cosa facevate con le foglie raccolte?
B: Eh, una volta raccolto si portava a casa, nel magazzino, e si cuciva su corde di circa un metro di
lunghezza. In genere si cuciva a mano, ma nui tenìame la machina. Poi se mentìa sutta alla serra
cu sicca. Dopu na ventina de giurni se facìane li mazzetti ognunu cu na decina de foglie, e a
settembre se pendìane intru lu magazzinu. Poi a novembre se vindìane.
5
A: Ma per quanto riguarda i rapporti con gli altri lavoratori, cosa puoi dirmi? E con chi lavoravi?
B: Faticavame tutti: iu, marìtuma e li fiji. E stiame tutti boni, faticavame senza problemi.
6
A: Quanti anni avevano i bambini? 27
B: Allora, una tenìa otto anni, l’adda dieci e lu crande sidici.
7
A: E lavoravano anche loro?
B: Meh, sì, tutta la famija.
8
A: Capitava qualche litigio ogni tanto? Lu mesciu
9
ci era?
B: Non c’era lu mesciu. Diciamo che marìtuma
10
diceva ogni giorno quello che si doveva fare, a che
ora ci dovevamo svegliare, cuntava cu le ditte ca vulìanu cu cattanu lu tabbaccu. Però quiddu
faticava comu nui, nØ de cchiøi nØ de menu. Poi, è normale ca se litigava. Per esempiu a fiate
niame zzare alle tre de la matina e la sera ne curcavame a menzanotte. Ci credu ca ogni tantu unu
se straccava e se stizzava.
11
A: Quindi si facevano le pause solo per il pranzo e la cena…
B: Sì, sì… a dd’anni se faticava propriu tantu.
12
A: Nel periodo scolastico, quindi, i bambini andavano a scuola e…
B: … e a pomeriggiu faticavane.
13
A: C’erano delle differenze tra uomini e donne nella distribuzione del lavoro?
B: Meh, piø o menu facìame tutti la stessa fatica. Sulu na cosa facìa sulu marituma, perchØ pe
mmie era pesante: preparava la terra cu lu fresinu. Poi tra li filari, quando ca criscìa l’erba,
scìame iu e marituma cu la sarchiudda e la tajavame. Sai, tra nu filaru e l’addu avìa nu menzu
metru de distanza, e l’erba era fiacca pe le chiante ca iane criscire, e a nui, ca iame cuijre le foglie,
ni dia fastidiu
14
A: Ma lavoravate tutti volenterosamente, senza opporvi? Qualcuno poteva avere degli interessi o
dei bisogni diversi…
B: No, no. Il lavoro del tabacco era un obiettivo comune: c’era armonia e c’era pure dialogo. Osce
lu maritu fatìca a na parte, la mujere a n’adda. Li fiji unu stae aqquai, l’addu addai, e li cristiani
nu se cuntanu cchiøi. Magari la sera se dicene bonanotte prima cu se curcane, e basta. Poi se
litigava, a fiate, ma se facivi male na cosa o se stavi stizzatu. Però le cose le facìame tutti insieme.
15
A. Riuscivi a far conciliare i tuoi compiti di casalinga con quelli di tabacchina?
B: Sapevo che quelli erano i miei doveri e li facevo, non mi dispiaceva.
A: I bambini ti permettevano di lavorare tranquillamente o richiedevano molte attenzioni?
B: Li vagnòni, quando nu scìane alla scola, faticavane. E quando iu cucinava quiddi sciucavane
addaffòre. Nu mi anu mai datu fastidiu, percè sapìane quando s’ia faticare e quando se putìa
sciucare.
16
A: Infine, quando il tabacco era pronto si doveva vendere. Come avveniva ciò?
3.1.1 Il lavoro “dietro le quinte”. Tra biblioteca e campo di ricerca 129
Impressioni
Il diario di bordo raccoglie le impressioni personali sui seminari degli incontri del giovedì. Ogni
giovedì pomeriggio, infatti, è prevista una riunione dei tesisti insieme al relatore e ai collaboratori,
per affrontare un tema ogni volta differente, ma sempre inerente la memoria.
Ognuno di noi è tenuto, quindi, a stendere un breve diario su questi significativi seminari, proprio
per dare l'idea al lettore dell'intensità del lavoro di gruppo effettuato, necessario per mettere in
pratica una ricerca seria e stimolata sotto diversi punti di vista.
Inoltre, in questo diario di bordo vi sono idee, problematiche, dubbi sorti durante l'attività di ricerca
attraverso le interviste. É in questa fase, infatti, che ho scoperto se e quanto ho innalzato il “grado di
perturbabilità” dell'intervista, ovvero se le risposte dei miei interlocutori potevano o non essere
strettamente connesse al mio modo di porle e di pormi.
SETTEMBRE
Introduzione al lavoro (Salvatore Colazzo) 17/09/2009
Sono le 16:00 e mi trovo nell'aula multimediale del Parlangeli per completare le ore di tirocinio
interno. Quest'oggi, però, non si affronteranno i problemi che abbiamo eventualmente incontrato
durante il nostro lavoro, bensì il professor Colazzo ci comunicherà i modi attraverso i quali
possiamo iniziare un lavoro di ricerca per la tesi, insieme a lui e ai suoi collaboratori.
Egli ci indica due temi tra i quali poter scegliere, nel caso in cui fossimo interessati. Il primo fa
riferimento alle Scienze bioeducative, alla Medicina ambientale, alla Medicina della prevenzione,
alla ricerca sui costi sociali delle terapie. Il secondo, invece, è un tema che si colloca tra pedagogia
sociale e antropologia culturale, e richiede la conoscenza del metodo narrativo e del metodo
autobiografico.
Il primo argomento mi sembra complesso: non so se sarei in grado di affrontare una problematica di
questo tipo. La trovo troppo delicata e difficile, soprattutto per le scarse basi che ho in materia di
biologia e medicina. Il secondo, invece, mi sembra molto piø accessibile alle mie conoscenze
pregresse, e poi mi piace l'idea della video intervista e delle foto da raccogliere. Sembra che si
debba essere un po' giornalisti per fare questa ricerca, e la cosa mi affascina molto!
130
Ciò che mi spinge a scegliere di accettare questo lavoro, è anche il fatto che ci si incontrerebbe ogni
giovedì per porre al docente e ai collaboratori, domande riguardo i dubbi in cui potremo incappare,
approfondire insieme a docenti esterni alcuni temi in particolare, visualizzare insieme video inerenti
l'argomento della discussione, ecc.
Mi mancano ancora sei esami alla fine, eppure ho l'impressione di dovermi sbrigare a dare subito
inizio a questo lavoro di ricerca, dato che deve durare almeno sei mesi, e io non ho assolutamente
intenzione di perdere tempo! Esami a scelta: pedagogia sociale e antropologia culturale, consiglia il
prof. Colazzo.
Memoria e nostalgia (Nicola Paparella) 24/09/2009
Oggi aprirà il dibattito Nicola Paparella, docente di pedagogia sperimentale. Il professore introduce
il suo intervento rilevando la differenza esistente tra memoria e ricordo. Nella parola “ricordo” è
insito il termine “cuore”, e il prefisso “ri” indica una sorta di ritorno, quindi un “ritorno al cuore”. Il
ricordo, allora, è il ritorno a un tempo lontano che passa attraverso il cuore. La memoria, invece,
parte dalla conoscenza e indica, quindi, un insieme di conoscenze di un determinato passato, tutte
formanti precise regole di comportamento. Queste regole di comportamento, diventano vere e
proprie rappresentazioni sociali che, a loro volta, diventano storia. E la storia si racconta,
diventando quindi memoria. E cos'è la rimembranza se non un “ritorno alle membra”? Quando ti
passa per la testa qualcosa che hai vissuto e che ti contorce le membra, appunto, per l'emozione? E
cos'è il rammento, se non un “ritorno alla mente”? Insomma, a quanto pare la lingua italiana ce la
dice lunga: tanti sono i tipi di ricordi, che passano tutti prima dalla testa, oppure dal cuore, oppure
dalle membra. In ogni caso, il passato fa capolino nel presente e genera, attraverso la sua
(re)interpretazione, la cosiddetta memoria.
Il prof. Colazzo interviene dicendo: “Ricordare non significa avere uno sguardo retrospettivo, ma è
riuscire a fare due salti in avanti con un passo indietro”. Credo voglia dire che non bisogna
abbandonarsi alla nostalgia del passato, nØ al lambiccamento mentale dato dai rimorsi o dai
rimpianti. Ricordare è una ri-flessione che deve essere costruttiva, uno sguardo al passato mentre si
va avanti. Il presente mica nasce dal nulla! Come facciamo a conoscerci senza conoscere chi ci ha
preceduti? Questo è il senso della memoria: al passato si guarda per studiare i passi compiuti, in
modo tale da dirigere con giudizio quelli seguenti. In questo lavoro servono soprattutto ricerca
mirata, studio e confronto con il presente.