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INTRODUZIONE
In un Giappone caduto in rovina, in seguito alla seconda guerra mondiale, il mercato nero gestito
dalle yakuza
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( ヤクザ) sembrava essere l’unica alternativa per permettere alla popolazione di non
vivere di stenti. Ed è proprio durante gli anni Cinquanta che le organizzazioni yakuza si trasformano
in mafie, etichettate dai media internazionali come la “mafia giapponese”, riscontrando una politica
pragmatica da parte delle forze dell’ordine che preferiscono limitarsi a un approccio di controllo e
limitazione di suddette associazioni criminali.
Le bōryokudan
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( 暴 力 団), termine usato costantemente dai giapponesi per rivolgersi al “crimine
organizzato”, rispondono a una crescente domanda di servizi all’interno di un mercato illegale,
generato dall’incapacità dello stato giapponese di fornire un’adeguata protezione nelle aree di propria
giurisdizione; gestendo imprese regolarmente registrate e, quindi, legali dal punto di vista
amministrativo e penale. Inoltre, i loro interessi coinvolgono il mercato immobiliare, il gioco
d’azzardo, l’usura, i narcotici e la prostituzione.
Sia importanti personalità politiche che poliziotti si sono ritrovati a collaborare con le yakuza
operando attraverso un sentimento non conflittuale, usufruendo dei servizi di stampo mafioso quali
la divulgazione di notizie diffamatorie nei confronti di certe personalità rivali o scomode. Quella fra
Stato e yakuza risulta essere una collaborazione che in Giappone è stata molto attiva fino al 1991,
anno dell’introduzione della legge Botaihō
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.
Le yakuza vantano discendenze da leggendari paladini del popolo e non perdono occasione per
sfoggiare atteggiamenti fanaticamente nazionalisti; pronte a stringere alleanze con formazioni di
estrema destra in funzione anti sindacale allo scopo di difendere il mercato dalle associazioni di
ispirazione comunista.
La vita di uno yakuza, inoltre, è scandita da un rigido e complesso codice etico che si avvale di valori
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È stato adottato il sistema Hepburn per la trascrizione dei termini dal giapponese.
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Correttamente traducibile come “banda di teppisti”, ma con il significato letterale di “banda violenta”, è la definizione
ufficiale burocratica adoperata dalle autorità per riferirsi alle bande yakuza, e che quest’ultimi ritengono offensiva nei
loro confronti.
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Nota come la “legge antimafia”, ne fu commissionata la stesura dalla NPA (National Police Agency) con il dichiarato
obiettivo di preparare una legge allo scopo di limitare la libertà d’azione delle bande criminali. Le identità dei 15 membri
designati alla stesura delle prime bozze della legge furono tenute segrete. Cfr. M. Aceti, Yakuza – Il Giappone criminale,
Ilmiolibro self publishing, 2014, pp. 142-143.
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tipicamente inglobati nella cultura giapponese generale, come ad esempio il giri
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( 義理) e il ninjō
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(人
情). Ciò carica la figura del gangster di una valenza romantica e cavalleresca, che trova la sua piena
affermazione ed esaltazione nei primi film yakuza eiga
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prodotti dalla Tōei
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a partire dagli anni
Sessanta.
Rivolti a un pubblico prevalentemente giovane, descrivono le gesta di eroi yakuza fuori dal limbo
della routine e che, proposti come giustizieri leali ai margini della legalità, agiscono mossi da intenti
nobili. Il pubblico rimane ammaliato dal fascino perverso emanato dal malvivente che rimane fedele
a un codice d’onore, in un confronto continuo con la realtà urbana e malavitosi amorali. Tuttavia il
genere, nel corso degli anni, ha compiuto delle svolte con il risultato di capovolgere quel mondo di
ideali trasposti in precedenza, preferendogli malavitosi cinici e interessati solo a se stessi.
Conoscendo anche una fase di declino, il cinema yakuza rinasce negli anni Novanta grazie a registi
come Miike Takashi e Kitano Takeshi. Alcune delle loro principali opere verranno analizzate in
questo elaborato, affiancate da altri capolavori del genere di registi come Fukasaku Kinji, Shinoda
Masahiro e Suzuki Seijun. Il fine ultimo sarà analizzare struttura, organizzazione, gerarchia, attività,
tradizioni interne alle yakuza, oltre a gettare uno sguardo sull’immaginario collettivo che le riguarda,
indagando i punti in comune con la tradizionale cultura giapponese.
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È la parola giapponese che indica il senso del dovere, proteso a garantire l’armonia comune nella società. Il classico
esempio di giri risale alla responsabilità dei samurai nei confronti del proprio padrone; pronti anche a togliersi la vita
qualora gli fosse ordinato, poiché erano tenuti a obbedire vincolati dal senso del dovere. Nel mondo delle yakuza indica
la fedeltà per un debito morale.
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Contrapposto al giri, indica i sentimenti e le emozioni umane.
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Lett. “Yakuza Film”.
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La Toei Company è una delle principali case di produzione cinematografica con sede a Tokyo, fondata nel 1949.
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CAPITOLO 1
“ORIGINE E STORIA DELLA YAKUZA”
Questo capitolo offrirà una panoramica generale riguardo la storia delle yakuza, rintracciandone nel
primo paragrafo origini ed antenati risalenti al 1600. Il secondo paragrafo si focalizzerà
sull’evoluzione dell’organizzazione dalla fine del periodo Tokugawa fino ai giorni nostri, accennando
brevemente alle principali personalità e il ruolo che hanno rivestito nei contesti storici analizzati.
L’ultima sezione invece verterà sullo sviluppo del genere yakuza eiga, individuandone generali
caratteristiche ed elencando i principali esponenti.
1.1 Gli antenati delle yakuza
Risale al 1962 il primo documento ufficiale che si riferisce esplicitamente agli antenati delle yakuza,
identificandoli nei kabukimono
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( 傾奇者), vandali stravaganti che scorrazzavano per il paese
terrorizzando i civili. Tuttavia l’immagine romantica collettiva che i giapponesi hanno dei gangster
obbliga a ricondurre la loro storia ad un’altra ben più nobile e antica di quella dei kabukimono: quella
dei kyōkaku
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( 侠客) al servizio della gente comune. Puntando sull’impegno nella difesa dei deboli,
gli yakuza amano definirsi, quindi, discendenti dei samurai e depositari delle loro tradizioni.
La pace del primo periodo Tokugawa ( 徳川), conosciuto anche come periodo Edō ( 江戸, 1693-1868),
garantita dall’unificazione del paese avvenuta tramite lo shōgun Tokugawa Ieyasu (1543-1616),
lasciò senza lavoro mezzo milione di samurai; e chi non riuscì ad adattarsi alla carriera di mercante
cadde inesorabilmente nella condizione di rōnin ( 浪人), ovvero di guerriero senza padrone. Nacquero
così i primi gruppi di rōnin, battezzati in seguito come hatamoto yakko
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( 旗本奴). Il loro
atteggiamento di disprezzo nei confronti del potere dei daimyō
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( 大名) pose grandi problemi di
ordine pubblico, che si concretizzarono in continue persecuzioni e violenze rivolte ai cittadini comuni.
Gli yakuza preferiscono tutt’oggi identificarsi con gli acerrimi rivali degli hatamoto: i machi-yakko
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.
Questi erano per lo più commercianti, vigili e artigiani che aiutavano donne e poveri, accogliendo a
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Lett. “persone folli”.
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Lett. “persona cavalleresca”, veri e propri gentiluomini descritti come paladini dei poveri.
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Hatamoto indica i diretti vassalli dello shōgun e, infatti, erano per lo più giovani vicini ai vent’anni, secondi e
terzogeniti di famiglie di samurai dirette dipendenti dello shōgun. Yakko (lett. “servitore”), indica un individuo
schierato dalla parte del debole nell’opporsi contro l’oppressore. Cfr. G. Arduini, Yakuza-Un’altra mafia, Milano, Luni
editrice, 2016, pp. 36-39.
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Signori feudali.
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Lett. “servitori, difensori della città”.
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braccia aperte anche i rōnin richiedenti asilo. Erano soliti giocare d’azzardo e si imponevano il divieto
di portare con sé delle armi. Si ritiene che una connessione diretta di questi gruppi con le yakuza
odierne sia difficile da stabilire con certezza, poiché i gruppi yakko scomparirono alla fine del
diciottesimo secolo annientati dalla tremenda repressione su iniziativa dei Tokugawa. La paternità
del moderno crimine organizzato giapponese, quindi, rimanendo sempre all’interno del periodo
storico Tokugawa, la si può attribuire ai tekiya ( 的屋) e ai bakuto
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( 博徒). I primi erano venditori
ambulanti che vivevano di piccole truffe
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ai danni dei clienti, vendendo le loro merci di città in città
e operando nei mercati
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. Sfruttavano il controllo di cui godevano in certi territori per imporre il pizzo
ai venditori ambulanti che avevano intenzione di aprire una bancarella e regolavano la concorrenza.
Approfittavano delle ricorrenze religiose e delle fiere locali che si svolgevano presso i templi e nei
santuari per vendere prodotti di infima qualità, e alle entrate ricavate dalle vendite e dal pizzo si
sommavano anche le “donazioni” che i mercanti erano obbligati a elargire sia al momento dell’arrivo
che della partenza. I secondi, invece, erano organizzatori di bische clandestine e operavano lungo le
vie principali del Giappone feudale, rivelandosi come ambiente ideale per le loro attività. Le piccole
sale da gioco che i bakuto organizzavano in piccoli templi di periferia, infatti, attiravano nobili,
servitori e mercanti che trovavano facilmente rifugio, durante i loro viaggi, nelle taverne dislocate ai
lati delle strade. Possedevano un’etica del lavoro ed erano abili biscazzieri, preoccupandosi di non
sollevare scandali e di non far finire nessuno sul lastrico. Rispetto alle bande yakko, questi due gruppi
erano direttamente coinvolti nel controllo sociale e cominciarono ad organizzarsi in famiglie, a cui
capo comparve la figura dell’oyabun ( 親分), comunemente più conosciuta con il termine di
“padrino”. I padrini dei gruppi tekiya avevano il pieno controllo sui propri kobun ( 子分
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), decidevano
l’allocazione delle bancarelle, la disponibilità di date merci e riscuotevano il denaro intascando il
pizzo. I più potenti boss bakuto, invece, assunsero il ruolo di figure politiche ed economiche
significative nel mondo legale. Inoltre, i burakumin
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( 部落民) si associarono spesso a questi due
gruppi, vedendovi una possibilità di riscatto sociale. Per quanto le storie della genesi dei gruppi yakko,
tekiya e bakuto siano molto differenti fra di loro, furono proprio i bakuto a caratterizzare
maggiormente l’iconografia tradizionale delle yakuza.
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Da “baku” e “to”, rispettivamente “giocare d’azzardo” e “gruppo, banda”.
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Ci si può riferire con il termine generico “hattari bai”, lett. “bluff, truffa”.
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D. E. Kaplan, A. Dubro, Yakuza: Japan’s Criminal Underworld, University Of California Press, 2003, pp. 15-16.
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Lett. “figlio, discepolo”.
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Con il termine buraku ( 部落), si intende definire una classe sociale discriminata fino al giorno d’oggi. Ne fanno parte
tutti coloro che generalmente esercitano un’attività lavorativa che abbia a che fare con la morte e con il sangue:
esecutori di criminali, macellai, becchini, venditori di pellame.