II
ambientale, allo stesso tempo sfondo e spunto per le sue riflessioni e per il suo stesso
esistere. Come Benjamin più volte evidenzia, il flâneur senza i passages non sarebbe
esistito, laddove dietro i passages possiamo intendere l'intera città di Parigi e, in un
senso ancora più ampio, la metropoli. La figura del flâneur ci si è mostrata nel suo
porsi in primo luogo come un'alternativa, leitmotiv di tutto il percorso delineato nelle
pagine seguenti. Per tale motivo abbiamo optato per una scelta metodologica che
privilegia la viam negationis, convinti che dall'approfondimento di ciò che il flâneur
non è, possa scaturire un'immagine più esaustiva di ciò che invece egli è. In questo
modo nel primo capitolo l'opposizione procederà prendendo in considerazione il
blasé del sociologo Simmel ed i precursori della dialettica folla- flâneur : Poe e
Hoffmann, oltre a soffermarsi sul dipinto della città offerto dai surrealisti. Al di fuori
di ogni logica oppositiva, troverà posto in questa prima parte anche il contesto
spaziale dentro il quale il flâneur si muove e conosce, facendo delle strade la propria
abitazione
2
ed il proprio rifugio. Carica di una serie di valenze ideologico-
mistificanti, la stessa strada, ed in particolare i passages che essa ospita, regno della
«fantasmagoria delle merci», decreteranno la fine del flâneur, per Benjamin. Infatti
quello stesso luogo che aveva fatto da culla al protagonista del nostro percorso, si
trasformerà in una trappola mortale, allorquando egli si farà sovrastare dalla merce,
divenendo un tutt'uno con essa, realtà concretizzatasi con l'uomo-sandwich. « La
modernità, in un'epoca in grado di riprodurre ogni cosa, si trasforma in merce di
scarto»
3
trascinando con sé, verso lo stesso destino, tutto ciò che in essa ha avuto
luogo, persino quanto ha provato ad opporvisi. A Baudelaire è stato appositamente
riservato il secondo capitolo, sovvertendo quindi un ipotetico ordine cronologico che
lo avrebbe collocato in posizione iniziale, proprio perchè riteniamo più interessante
partire da ciò che è venuto dopo ed evidenziare in un secondo momento quanto quel
“dopo” fosse stato influenzato da un “prima”. Se da un lato l'argomentazione di
Benjamin appare essere più approfondita e più attuale, si voleva porre in risalto
quanto il filosofo fosse debitore del poeta francese, mettendoli in correlazione ex
post. Mutuando il metodo proprio di Benjamin che dietro il presente scorge le rovine
del passato, abbiamo voluto intravedere dietro le parole del filosofo i versi di
2 « Qui sulle strade si sa di più che altrove sulla storia di interi paesi.» (W. Benjamin, Passages di
Parigi I, in I «passages» di Parigi, cit., p. 918.
3 H. Mayer, Walter Benjamin (congetture su un contemporaneo), Milano, Garzanti, 1993, cit., p. 55.
III
Baudelaire. Il polo negativo messo in rapporto al flâneur è qui rappresentato da tutte
quelle figure che popolano i componimenti del poeta, talvolta tenendogli compagnia,
altre volte facendolo sentire un «diverso»; tra le quali spicca particolarmente la folla.
Il terzo ed ultimo capitolo di tale cammino alla ricerca del flâneur apre un nuovo
squarcio alla sua esistenza, offrendogli un nuovo ambiente, la città postmoderna con i
suoi contemporanei passages, ovvero i centri commerciali. Fiduciosi nelle sue
capacità, abbiamo preferito intraprendere una rotta diversa da quella delineata da
Benjamin, per il quale il percorso del flâneur si era definitivamente concluso.
Quest'ultima parte del nostro lavoro proverà a mettere in luce quanto il vagabondo
riflessivo abbia in fondo un'anima postmoderna, (se del postmoderno prendiamo in
considerazione la «politonia») e come tale possa ancora farsi interprete di una realtà
che, scomposta e composita più che mai, si presti, come non mai, a letture sempre
diverse. Riprendendo il fertile pensiero del filosofo tedesco a proposito della sua
prospettiva delle costellazioni di senso, valida in ogni tempo, in particolare nel nostro
che sfugge a qualsiasi rigida teorizzazione; riteniamo che il flâneur sia ancora vivo e
che non abbia mai smesso di interrogarsi e di interrogare la realtà circostante. «Il
fatto che si parli di un libro della natura mostra che si può leggere il reale come un
testo.[...]Noi apriamo il libro dell'accaduto»,
4
è quanto il flâneur si propone di fare,
dotando gli spazi di significati che ne facciano dei «luoghi» creati e «abitati»
dall'uomo, piuttosto che degli ambienti progettati e «riempiti» da automi.
4 W. Benjamin, Elementi di teoria della conoscenza, teoria del progresso, in I «passages» di Parigi,
cit., p. 520.
1
I. Il flâneur di Benjamin.
I.1. Illuminazioni
1
di flâneurs.
Quando pensiamo al ritratto del flâneur in Walter Benjamin, dobbiamo innanzitutto
tener conto di quelli che sono stati, per lui, i motivi ispiratori con i quali confrontarsi
e dai quali, se necessario,distaccarsi. In particolare, sono state le letture de L'uomo
della folla
2
di Poe (significativamente tradotta da Baudelaire) e quelle de Le paysan
de Paris e di Naja , rispettivamente dei surrealisti Louis Aragon e André Breton, ad
imporre alla sua attenzione alcuni dei leitmotive che faranno da contorno e da
sostrato alla sua analisi del flâneur.
L'uomo della folla ha come protagonista un nuovo soggetto, una nuova identità, la
folla, che appare in concomitanza alla nascita di una nuova configurazione spaziale:
la metropoli. Folla e metropoli sono i due punti cardine attorno ai quali ruota la
riflessione benjaminiana sullo scenario della modernità in cui il flâneur trova la sua
origine. Tuttavia, la lettura della figura del flâneur all'interno della realtà urbana,
come “uomo della folla”( in seguito ripresa da Baudelaire), come «licantropo
inquieto che vaga nella selva sociale»
3
, non è condivisa da Benjamin, che si limita ad
1 Scegliamo tale titolo non a caso; esso conserva un'ambiguità derivante dal particolare
significato che il termine “illuminazione” ha in Benjamin. Con esso, il filosofo intende tutte quelle
entità profane (fra cui lo stesso flâneur), capaci di svelare (mediante un'illuminazione, per l'appunto),
e di stabilire, una connessione con l'impenetrabile. Allo stesso tempo, più letteralmente,
“Illuminazioni” sta per “prime apparizioni”.
2 E. A. Poe, L'uomo della folla, in I racconti. Volume primo (1831-1840), Torino, Einaudi,
1983.
3 W. Benjamin, I «passages» di Parigi, Torino, Einaudi, 2007. Benjamin riconosce a Poe il
merito di aver messo in luce, con il suo racconto, la dialettica della fl nerie fra un atteggiamento
circospetto e paranoide ed una conseguente disposizione alla fuga e al tenersi nascosto. Dell'uomo
della folla, Benjamin riprenderà solo l'attitudine a vagare senza meta, spogliando, però, il suo flâneur
da ogni sindrome persecutoria; con l'altro personaggio del racconto, l'osservatore dell'uomo della
folla, possiamo rintracciare maggiori punti di contatto con la tipologia benjaminiana, nel suo
mantenersi sulla soglia fra un'immersione totale nella folla, ed uno sguardo da “esterno-estraneo” ad
2
apprezzarne la rappresentazione dei comportamenti dei passanti e della folla come
“oceano di teste in movimento”.
4
A Poe, Benjamin accosta La finestra d'angolo del
cugino di Hoffman. Quest'associazione gli permette di chiarire la differenza fra
l'uomo che, attratto dalla folla, se ne lascia intrappolare, e l'uomo che, invece,
manifesta la propria curiosità nei confronti di essa, mantenendo l'atteggiamento da
osservatore, affascinato e distaccato allo stesso tempo.
5
Queste due tipologie
comportamentali, associate a due diversi punti di osservazione (i vetri di un caffè, in
Poe, la finestra della propria abitazione, in Hoffmann), sono anche associate a due
realtà politiche (la Germania pre-capitalista e l' Inghilterra capitalista) e a due
universi socio-economici differenti: da un lato colui che vive di rendita e che osserva
la folla dall'alto della sua finestra, dall'altro il «consumatore anonimo», collocato
sullo stesso piano della folla che, non riuscendo ad opporre resistenza al magnetismo
da essa esercitato, viene sospinto fuori dal caffè. E', sicuramente, l'inseguitore de
L'uomo della folla di Poe, ad essere eletto a maggior conoscitore della moltitudine,e,
essendo ad essa più vicina anche in termini spaziali.
6
La nuova realtà metropolitana porta con sé una serie di novità su molteplici livelli,
essa.
4 «La maggior parte, e di gran lunga, di coloro che passavano, avevano un'aria soddisfatta, da
gente pratica, e pareva non curarsi d'altro che di aprirsi una strada in mezzo alla folla. Fronti
aggrottate, occhi mobili, svelti, se qualche passante li urtava, senza dar segno di impazienza si
raggiustavano i vestiti e procedevano senza indugio. Altri, anch'essi numerosi, avevano gesti
smaniosi, volti congestionati, parlavano da soli, gesticolavano, quasi la stessa calca della folla li
facesse sentire in solitudine. Quando incontravano un ostacolo, subito cessavano di mormorare, ma i
gesti si facevano agitati, e aspettavano, sulle labbra un sorriso assente e stremato, che coloro che li
ostacolavano riprendessero a camminare. Urtati, si inchinavano profondamente a coloro che li
avevano urtati, e sembravano sopraffatti dalla confusione.» (E. Poe, L'uomo della folla, cit., pp. 316-
317.)
5 Sembra richiamare la distinzione fra flâneur e badaud proposta da Benjamin: «Nel flâneur è
la curiosità a festeggiare il proprio trionfo. Essa può concentrarsi nell'osservazione- e si ha
l'investigazione dilettante; oppure può ristagnare nella curiosità stupefatta - e allora il flâneur si
trasforma in badaud» ; rafforzata da un passo di Fournel: «Il semplice flâneur è sempre nel pieno
possesso della propria individualità; quella del badaud invece scompare. Viene assorbita dal mondo
esterno[...]Sotto l'influsso dello spettacolo che gli si offre, il badaud diviene un essere senza
personalità; non è più uomo: è pubblico, folla » (W. Benjamin, La Parigi del Secondo Impero in
Baudelaire, in Opere Complete-Vol.VII, Scritti 1938-40, Torino, Einaudi, 2006, cit., p. 151.)
6 «Ma come è impacciato lo sguardo sulla folla di chi se ne sta seduto in casa propria. E come
è penetrante invece quello dell'uomo che scruta attraverso le vetrate del caffè!» (W. Benjamin, La
Parigi del Secondo Impero in Baudelaire, p.133)
3
non ultimo quello sociologico. Sono diversi gli scrittori che, fra Ottocento e
Novecento, s'interrogano e poggiano il loro sguardo indagatore su questa nuova
epoca, foriera di una nuova “umanità”.
7
Illuminanti e d'esempio per gli scrittori a lui
posteriori,
8
sono le considerazioni di Simmel in La metropoli e la vita dello spirito. Il
sociologo, infatti, tenta di mettere in luce quelle che sono le ripercussioni sulla psiche
dell'uomo “metropolitano”, che si trova ad essere costantemente bombardato da
stimoli e immagini che, eccitando la sua coscienza, allo stesso tempo la mettono
duramente alla prova. Questo sovraccarico emotivo, questa sorta di choc sensoriale
continuo, innesca una reazione difensiva che fa appello all'organo dell'intelletto per
attutire i “colpi”, eliminando i traumi e livellando cose e sensazioni su un piano di
«neutralità oggettiva» nei confronti del mondo; allo stesso modo del denaro con le
merci. E' così che si instaura un rapporto rapido con l'esterno, che appiana le
differenze e i valori delle cose, considerate come semplici entità dotate di “prezzo”.
L'intelletto e l'economia monetaria vengono così accostati come demoniaci
marchingegni che privano l'uomo moderno della propria anima e della capacità di
trovarne una nelle cose. Il sociologo ricorre al termine Wechselwirkung per esprimere
il loro rapporto nei termini di interazione che ha delle implicazioni riflesse, ora
sull'uno, ora sull'altro. Afferma Simmel:
nessuno saprebbe dire se sia la disposizione intellettualistica dell'animo a spingere
verso l'economia monetaria, oppure se sia quest'ultima a determinare la prima.
9
In questa analisi dei fenomeni psichici che accompagnano la modernità, Simmel
delinea quella che può essere pensata come l'immagine al rovescio del flâneur,
ovvero il blasé, il disincantato. Costui è il portato ultimo del processo di stress
sensorio-emotivo, in atto nella metropoli. Il blasé è colui che non riesce ad instaurare
7 Rimandiamo per un rapido ma panoramico sguardo sulla nuova realtà della metropoli in
letteratura, a AA.VV., Metropolis, Scritti modernisti sulla città imperialista, a cura di P. Pieri,
Bologna, Allori Edizioni, 2007.
8 Ricordiamo che Benjamin fu allievo di Simmel, all'università di Berlino, e che da lui mutuò
la concezione dello “choc” come cifra emotiva della modernità.
9 G. Simmel, La metropoli e la vita dello spirito, Roma, Armando Editore, 1995, cit., p. 39.
4
un rapporto vivace, dinamico, reattivo, partecipato, con il mondo; è colui che, come
“il re di un paese piovoso” di baudelairiana memoria, ha uno sguardo lucido su tutto
l'orizzonte della realtà, ma non riesce a tradurre in praxis, ciò che è; è l'indolente,
l'indifferente nei confronti delle cose; colui che fa del «riserbo», la sua standardizzata
reazione agli stimoli.
In realtà, se al continuo contatto esteriore con una infinità di persone dovesse
corrispondere la stessa quantità di reazioni interiori che si verifica in una città di
provincia, dove ciascuno conosce quasi tutti quelli che incontra e dove si ha un
rapporto effettivo con ognuno, ciascuno di noi diverrebbe interiormente del tutto
disintegrato, e finiremmo per trovarci in una condizione psichica insostenibile.
10
Lo stesso Benjamin, all'interno della sezione intitolata Il flâneur dei suoi
«Passages», si serve, per tratteggiare la nuova cornice spaziale, delle parole di
Simmel, tratte da La filosofia del denaro, in cui viene teorizzata la necessità di una
«distanza funzionale» tra gli uomini, come forma di protezione e di difesa dal
pericolo di un'eccessiva vicinanza.
11
In tal modo la stessa visione dell'altro, degli altri, muta radicalmente, in quanto non li
si percepisce più come un'occasione di scambio costruttivo e di accrescimento
personale, ma come vuote sagome, come significanti con un significato in fuga.
12
Una modalità relazionale “dissociata” diventa, così, l'unica forma di socializzazione
possibile.
Il blasé è, in ultima analisi, il riflesso soggettivo, interiorizzato, dell'imperante logica
di mercato, che, come un virus tentacolare, ha attecchito persino nell'anima degli
individui. Tali conseguenze estese ad un livello macrocosmico, sovra-individuale,
10 Ibidem, pp. 44-45.
11 W. Benjamin, I «Passages» di Parigi, cit., p. 500.
12 Simmel non manca di sottolineare come il riserbo, come forma velata di intolleranza, se da
una parte garantisca e sia funzionale allo stile di vita metropolitano, dall'altra parte conduca a sentirsi
«tanto soli e sperduti come non mai nella folla metropolitana, perchè qui come altrove non è
assolutamente stabilito che la libertà dell'uomo assuma per la sua vita emotiva un ruolo confortevole.»
(G. Simmel, Metropoli e personalità, in Città e analisi sociologica, a cura di G. Martinotti, Marsilio
Editori, Padova, 1968, cit., p. 284).
5
generano un predominio dello «spirito oggettivo» su quello «soggettivo»; quella che,
in maniera molto incisiva, Simmel chiama «ipertrofia della cultura obiettiva» a cui fa
riscontro un' «atrofia della cultura individuale». L'individuo viene, infatti, deprivato
di una propria dignità ontologica e declassato a mero ingranaggio all'interno di un
più grande meccanismo di potere che, subdolamente, gli strappa ogni possibile e
autonomo esercizio della propria libertà, autenticamente intesa.
13
E' la metropoli lo
scenario in cui si perpetra questo “delitto culturale” che si fa portavoce di una «tale
pienezza traboccante di spirito cristallizzato e impersonale, che la personalità non
può fare a meno di perdersi, per così dire, sotto questa pressione».
14
Un cenno alla trattazione di Simmel ci appariva necessario al fine di comprendere
quali tipi di riflessione Benjamin si sia trovato ad attenzionare prima di attingersi a
“dipingere”
15
la sua personalissima visione della modernità, e per poter meglio
evidenziare i caratteri propri della tipologia del flâneur come polo antitetico rispetto
al blasé.
16
Dal surrealismo, invece, egli prenderà in prestito quel particolare modo di guardare
gli oggetti come fossero contornati da un'aura che li rende sospesi a metà fra la realtà
ed il sogno, e dotati di vita propria, fra i quali spicca «il più sognato dei loro oggetti:
la stessa città di Parigi».
17
La dialettica veglia-sonno, rappresenterà un anello di
13 Simmel non è cieco nei confronti degli apporti e dei progressi del nuovo contesto
metropolitano «in contrasto con la meschinità e i pregiudizi che limitano l'uomo della piccola città» e
tuttavia mette in chiaro come questa forma di “libertà da” non è accompagnata da una “libertà di”,
come espressione vera e autentica di sé, che è invece sostituita, nella metropoli, da una grande
solitudine. «L'individuo sente di più il riserbo reciproco , l'indifferenza e le condizioni di vita
intellettuale dei grandi gruppi in rapporto alla sua indipendenza solo quando si ritrova nella più fitta
folla della grande città, e questo perchè la vicinanza fisica e la spazialità ridotta non fanno altro che
rendere più evidente la distanza spirituale.» (G. Simmel, Metropoli e personalità, cit., p. 284)
14 G. Simmel, Metropoli e personalità, cit., p.288.
15 La scelta del verbo non è casuale; ci è, infatti, apparso più calzante rispetto al più comune
“scrivere”, poiché evidenzia l'impronta visiva ed immaginale dell'approccio benjaminiano.
16 Ci pare interessante evidenziare l'accostamento proposto da P. Menzio fra la figura del
flâneur benjaminiano e quella dello straniero di Simmel, in virtù della loro posizione all'interno della
dialettica vicinanza-lontananza. Entrambi, infatti, seppur stanziati in un contesto, conservano «lo
sguardo di uno “straniero” perpetuo», il thaumazein, la capacità di inaugurare una propria e personale
visione della realtà e connessioni inedite e sorprendenti fra le cose. ( P. Menzio, Orientarsi nella
metropoli, Bergamo, Moretti & Vitali Editori, 2002.)
17 Walter Benjamin, Surrealism, in Selected Writings, Vol. 2 (1927-1934), ed. Michael W.
6
congiunzione, per aver contribuito ad accrescere il bagaglio lessicale e concettuale
attraverso cui leggere la modernità, e allo stesso tempo un punto di distacco, per
aver posto l'accento sul secondo dei due poli, rispetto all'esperienza surrealista.
18
In
particolare, Benjamin, riconoscerà a quest'ultima, il merito di aver scoperto le
«energie rivoluzionarie che appaiono nelle cose “invecchiate”».
19
La trasfigurazione
del mondo reificato in un universo sognante, in una «foresta di simboli»,
20
in una
«mythologie moderne», è ciò che la lettura di Aragon lasciò al Nostro. Nella sua
opera, che celebra la nascita di un nuovo culto, quello dell'effimero che abita nei
passages, sono infatti presenti in fase germinale i tratti di queste nuove gallerie, con
tutti i relativi cambiamenti di cui si faranno forieri.
Le divinità hanno disertato i templi, afferma Aragon, e hanno trovato dimora in
questi luoghi abbagliati dalla luce del moderno, pronte a parlare soltanto a colui che è
capace di guardare, di ascoltare e di volgere ad esse la sua «distration méditative».
21
La lumière moderne de l'insolite, voilà désormais ce qui va le retenir. Elle règne
bizarrement dans ces sortes de galeries couvertes qui sont nombreuses à Paris aux
alentours des grands boulevards et que l'on nomme d'une façon troublante des
passages, comme si dans ces couloirs dérobés au jour, il n'était permis à personne de
s'arrêter plus d'un instant. Lueur glauque, en quelque manière abyssale.[...] Ces
aquariums humains déjà morts à leur vie primitive, et qui méritent pourtant d'être
regardés comme les recéleurs de plusieurs mythes modernes, car c'est aujourd'hui
seulement que la pioche les menace
22
, qu'ils sont effectivement devenus les
sanctuaires d'un culte de l'éphémeres, qu'ils sont devenus le paysage fantomatique
des plaisirs et des professions maudites, incompréhensibles hier et que demain ne
Jennings, Cambridge, Mass.and London, Belknap Press-Harvard University Press, 1999, 870 pp., cit.,
p. 211.
18 Approfondiremo più avanti questo aspetto.
19 Cfr. Walter Benjamin, Il surrealismo. L'ultima istantanea sugli intellettuali europei, in
Avanguardia e rivoluzione. Saggi sulla letteratura, tr. di A. Marietti, Einaudi, Torino, 1973.
20 L'espressione è di Baudelaire.
21 Anche Proust viene citato, nei Passages, a proposito di quest'attrazione magnetica da parte
dei più comuni oggetti, che pongono domande al passante, invitandolo a cercare, aldilà di essi, un
significato più recondito, che tuttavia rimane a lui precluso. (W. Benjamin, I «passages», cit., p. 470,
vol. I )
22 Il piccone a cui si riferisce Aragon, è quello del barone Haussman, che minacciò il Passage
de l'Opéra nel 1925, sacrificato in vista di progetti di razionalizzazione e modernizzazione urbana.
7
connaîtra jamais.
23
.
Questi insorgenti miti moderni non sono da intendere come minacce alla natura, ma
come “omaggi resi all'umanità”, di cui i nuovi edifici, i nuovi comfort ed i nuovi
“centri d'intrattenimento” sono i prodotti. La pompa petrolifera aragoniana
rappresenta un esempio, capace di mettere in luce tanto l'inclinazione alla
personificazione e le sembianze divine degli oggetti tipica del surrealismo, quanto
l'osanna ai medesimi in quanto manifestazioni del genere umano.
24
Se Benjamin rimase inizialmente entusiasta dalla lettura de Le paysan de Paris,
scrivendo ad Adorno: « la sera a letto non riuscivo a leggere più di due o tre pagine,
perchè poi il batticuore si faceva tanto forte da costringermi a riporre il libro»,
25
non
bisogna correre il rischio di sopravvalutarne l'importanza, poiché, più che stimolare
nuove idee e nuove immagini nella mente del filosofo, Aragon, come in generale le
sue letture surrealiste, ha piuttosto dato voce e concettualizzato degli spunti che
erano già presenti in lui e dei quali aveva tentato un abbozzo in Strada a senso
unico
26
e nei suoi primi “ritratti di città”.
Appoggiando la tesi di Gilloch, sottoliniamo che, infatti, l'atteggiamento di Benjamin
nei confronti della città, fu più critico rispetto a quello dei surrealisti, che utilizzò
come contrappunto di un'analisi più completa, contrassegnata da «uno sguardo più
sobrio, più malinconico e storico».
27
23 L. Aragon, Le paysan de Paris, p.19-20 , Paris, Le livre de Poche, 1966, pp. 20-21.
24 Cfr. L. Aragon, Le paysan de Paris.
25 Walter Benjamin, Lettere, Torino, Einaudi, 1978, cit., p. 288.
26 W. Benjamin, Strada a senso unico, Torino, Einaudi, 2006.
27 G. Gilloch, Myth & Metropolis: Walter Benjamin and the City, Cambridge, Polity Press, 1996, cit.,
p. 95 (trad. nostra)
8
I.2 I «passages»: la culla del flâneur.
Scegliamo di tracciare una costellazione, per seguire un metodo inaugurato dallo
stesso Benjamin, ponendo al centro la figura del flâneur. Ma per fare questo,
dobbiamo, innanzitutto, illustrare l'intenzionalità programmatica ed il contenuto di
quello che il Nostro considerò il suo capolavoro, che infatti lo impegnò dal 1927 fino
all'anno della sua morte, nel 1940, il Passagenwerk. Tutto ciò che fu scritto in quel
periodo nacque da spunti presenti in esso. Occorre chiarire che, per Benjamin,
quest'opera aveva delle chiare finalità “politiche”, nel senso che, attraverso lo
scandaglio degli oggetti, delle persone, degli edifici, degli artisti, del XIX secolo,
come epoca di “soglia”,
28
egli intendeva portare avanti un preciso progetto di
“risveglio delle coscienze”. E' a quest'ultimo punto che ci riferivamo a proposito del
distacco dalla corrente surrealista. Se quella, infatti, si faceva portavoce di una
«poetica del sogno», l'intento di Benjamin non si fermava al sogno, ma di questo
faceva un momento provvisorio di una dialettica che trovava la propria sintesi nel
risveglio da esso, una volta guardato in faccia. Egli intendeva «disincantare la
modernità attraverso l'incanto».
29
Il filosofo tedesco, volendo distanziare e definire il proprio tipo d'approccio rispetto
a quello che, per esempio, aveva contrassegnato quello di Aragon, nella sua opera,
scrive:
Delimitazione della tendenza di questo lavoro rispetto ad Aragon: mentre Aragon
persevera nella sfera del sogno, qui deve essere trovata la costellazione del risveglio.
Mentre in Aragon permane un elemento impressionista – la "mitologia" - [...] qui si
tratta di una risoluzione della "mitologia" nello spazio della storia.
30
28 Epoca di soglia perchè al confine con la società del consumo di massa, ma con ancora
svariati elementi appartenenti ad una mentalità pre-industriale. Il concetto di “soglia” è molto
frequente nei Passages nel ruolo di indicatore, di asse di orientamento, che segnala un punto di
passaggio. «Come soglia, il confine passa attraverso le strade; un nuovo territorio ha inizio come un
passo nel vuoto, come se si inciampasse in un gradino di cui non ci si era accorti.» (W. Benjamin, La
Parigi arcaica, catacombe, “démolitions”, declino di Parigi in I «passages» di Parigi, cit., p. 94.)
29 G. Gilloch, Walter Benjamin, Bologna, Il Mulino, 2008, cit., p. 322.
30 W. Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo in Opere, Vol. XI, Torino, Einaudi, 1986, cit., p. 593.