2
1. Il pensiero narrativo
La narrazione della storia personale svolge un ruolo importante nello sviluppo del
sé e dell’identità personale (McAdams, 1996). Il legame tra l’idea di un sé che
racconta delle storie dove la costruzione dello stesso sé ne costituisce la parte
importante, che viene identificata come sé narratore, (Shafer, 1981; Spence, 1982;
Neisser, Fivush, 1994) e la psicologia dello sviluppo deriva da Bruner (1986), il
quale ha concettualizzato il costrutto di pensiero narrativo. Il costrutto di pensiero
narrativo si basa sul presupposto secondo cui l’individuo è naturalmente orientato
a dare significato e coerenza alla propria vita, attraverso la costruzione di racconti
interiorizzati e in continua evoluzione. In tale concetto teorico, attività
fondamentale per un individuo, radicato in un sistema simbolico-culturale che lo
definisce e che egli contribuisce a definire, è la ricerca di significato. In un
processo di continua costruzione e ricostruzione dei significati, che avviene
attraverso il racconto e la negoziazione delle esperienze, il significato non è un
qualcosa di dato una volta per tutte ma viene continuamente scoperto e costruito
nel contesto. Questo è di fondamentale importanza per Bruner (1995), esso
insieme alla costruzione e fruizione del significato comporta l’attivazione di
processi di espressione, manifestazione e racconto (Aleni Sestito, 2004).
Il pensiero narrativo o sintagmatico si distingue dal pensiero paradigmatico (o
logico scientifico) che ha caratteristiche tipiche del ragionamento scientifico-
matematico (Bruner, 1988). Per ben spiegare le differenze sostanziali tra questi
due tipi di pensiero, Bruner (1962) usa la metafora della mano destra e della mano
sinistra. Egli sostiene che la prima sia simile al pensiero paradigmatico, cioè
logico e razionale, mentre la seconda sia come il pensiero narrativo, più aperto e
creativo. Essendo quest’ultimo deputato alla creazione e quindi alla narrazione
soggettiva non è soggetto alla prova e alla verifica empirica, ma la sua
accettabilità è data dalla necessità narrativa (Aleni Sestito, 2004). Esso dà luogo
alla produzione di racconti, miti e storie, i contenuti sono essenzialmente sociali, i
protagonisti esseri umani o umanizzati, con i loro specifici sentimenti, emozioni e
motivazioni. Si può parlare di un linguaggio ideografico e sintagmatico, cioè
orizzontale (Aleni Sestito, 2004).
3
Uno degli aspetti, del costrutto del pensiero narrativo, messi in luce da Bruner
(1986) è la soggettivizzazione, intendendo con tale concetto che i personaggi
danno senso alla realtà partendo dalla loro personale visione ed interpretazione di
essa. Ciò potrebbe comportare la co-esistenza di una pluralità di prospettive
diverse (Scaratti, Grazzani, Gavazzi, 1998).
Da quanto detto, è possibile dedurre che ogni pensiero narrativo, e di conseguenza
ogni narrazione che suddetto pensiero produce, sia unico e particolare, quindi non
confrontabile e, per tale ragione, si credeva che non fosse possibile individuare
caratteristiche condivise, così come accade, invece, per il pensiero paradigmatico.
Bruner (1996) supera questa deduzione, stilando un decalogo di caratteristiche
invarianti per le produzioni narrative:
1) Sequenzialità: riferimento ad una struttura temporale che però segue un
tempo umano e non dell’orologio;
2) Intenzionalità: riferimento a stati intenzionali, alla base della motivazione;
3) Particolarità: riferimento ad eventi specifici e particolari che si
riscontrano sempre anche in situazioni tipiche;
4) Componibilità ermeneutica: il significato di una storia non è dato una
volta e per sempre, esso diventa specifico in virtù del legame particolare
che si crea tra i vari elementi della storia;
5) Violazione della canonicità: una storia viene raccontata solo se al suo
interno viene sviluppato un imprevisto, cioè qualcosa che va a tradire le
aspettative. Questo aspetto implica un processo valutativo implicito perché
rappresenta il motivo per cui la storia merita di esser raccontata oppure no;
6) Referenzialità: basato sul costrutto di verosimiglianza e credibilità in
quanto le storie raccontate non rappresentano la verità oggettiva ma una
delle possibili interpretazioni di quella storia;
7) Normatività: sebbene il racconto della storia sia motivato dalla rottura
della normatività, secondo l’autore esiste sempre una normatività di fondo.
Per Burke (1945) questa normatività di fondo consiste in una struttura con
cinque elementi: l’agente, l’azione, la scena, lo scopo e lo strumento. Il
giusto equilibrio fra questi rappresenta il criterio convenzionale;
4
8) Incertezza: riferimento alle diversi chiavi interpretative possibili, a
seconda del punto di vista di ciascuno;
9) Appartenenza ad un genere: cioè ad uno specifico tipo di racconto;
10) Espansione storica: gli eventi non sono slegati l’uno dall’altra ma ognuno
rappresenta l’estensione e l’esplicitazione di quello precedente.
Il bambino comincia a creare ed arricchire sia il pensiero paradigmatico che
quello narrativo, e quindi, anche, il proprio sé narrativo, a partire dalle sue precoci
interazioni con la madre. In particolare Smorti (1994) sottolinea che, a favorire il
pensiero narrativo, sia la comunicazione intenzionale, la rappresentazione, la
relazione emotiva, il gioco e il monologo. Quest’ultimi due sono considerati i più
importanti, il gioco, infatti, in particolare quello simbolico, costituisce la fonte
della produzione delle prime narrazioni e queste rappresentano una prosecuzione
del primo in forma più evoluta (Aleni Sestito, 2004). Il monologo infantile è,
invece, una particolare forma di racconto fatto dal bambino a se stesso. È
possibile considerarlo come l’aspetto più saliente nell’evoluzione del pensiero
narrativo e nella costruzione del sé narrativo. Solo con l’acquisizione del
linguaggio verbale il bambino comincia a riorganizzare il proprio modo di
percepire se stesso e la realtà circostante; è proprio in questo processo che il
monologo acquista la sua importanza maggiore. Esso si articola in sei dimensione:
l’ordine lineare, la canonicità, l’assunzione di una prospettiva, la considerazione
dell’intenzionalità, la valutazione degli eventi e l’assunzione di una dimensione
temporale (Bruner, Lucariello, 1989).
Alla luce di quanto illustrato, lo sviluppo del sé e lo sviluppo del pensiero
narrativo possono esser considerati processi che si intersecano e si intrecciano
(Aleni Sestito, 2004), motivo per cui possiamo parlare di sé narrativo. Quanto
detto si evince dal fatto che il sé narrativo non solo è associato all’acquisizione del
linguaggio, permettendo al bambino di vivere diversamente la realtà e il mondo
staccato dalla realtà in una dimensione simbolica (Ammaniti, Stern, 1991), ma è
associato anche allo sviluppo dell’individuo. Nel corso del tempo il modello di
interpretazione narrativa del sé e della realtà cambia e si caratterizza secondo tre
modalità diverse: durante l’età infantile troviamo la trama dove il protagonista è
colui che agisce; nell’adolescenza emerge la complicazione, qui i personaggi sono
5
posti di fronte ai problemi; ed, infine, l’età adulta è caratterizzato dal dramma in
cui la composizione della storia somiglia ad una composizione drammatica
(Burke, 1945).
Nel sé narrativo, il rapporto del soggetto con la realtà può essere interpretato come
una “ricerca di significato” mediante la concettualizzazione e l’esposizione
narrativa della propria esperienza personale (Aleni Sestito, 2004). La narrazione
diventa uno strumento di costruzione e conoscenza del mondo e del proprio sé, in
quanto aiuta ad indagare ed esplicitare lo stato del se, oltre che a mediare tra il sé
e gli altri. La storia personale dell’individuo assume la forma della narrazione
(Aleni Sestito, 2004), è con essa che l’individuo rappresenta la propria esistenza,
le dà significato e senso in quel preciso contesto culturale, rende esplicito
l’implicito, porta alla luce ciò che è nascosto, porta chiarezza lì dove c’è
confusione (Aleni Sestito, 2004). Come sostiene Polkinghorne (1988), le nostre
vite sono strettamente intrecciate ai racconti che ne facciamo.
2. L’identità narrativa
Come già detto precedentemente, dal 1980 studiosi di vari campi hanno proposto
la formulazione di un sé che possa essere interpretato come narratore di una storia
(Sarbin, 1986). Ad esempio, Bruner (1986) e Polkinghorne (1988) hanno
affermato che gli esseri umani sono cantastorie per natura, progettati per dare un
senso alle proprie azioni e intenzioni. Guardando alla propria vita come ad una
narrazione, l’individuo è in grado di dare significato al proprio comportamento e
di trasmettere il senso complessivo della propria vita ad altre persone le cui
conoscenze culturali permettono di riconoscere e (idealmente) confermare quella
narrazione (Cohler, 1982). La storia di vita interiorizzata, inoltre, intesa come
l’ampia narrazione che l’Io fa del Me (volendo usare le parole di James,
1892/1963), modificandosi continuamente, è in grado di fornire alla vita stessa un
certo grado di significato, unità e scopo (Giddens, 1991; McAdams 1985). Le
persone svolgono narrazioni secondo le norme comportamentali e le regole
discorsive che prevalgono nella propria cultura (Rosenwald e Ochberg, 1992;
Shotter e Gergen, 1989; Thorne, 2000). Ogni occasione rappresenta la possibilità,
seppur piccola, di trasformare il Me in qualcosa di nuovo. McAdams (1985, 1996,
6
2006a) ha sostenuto che la narrazione dell'identità rappresenta una storia di vita
che integra il passato ricordato con il futuro immaginato con lo scopo di fornire
una visione convincente, unificante, e propositiva della vita. Sempre McAdams
(1996) ha sostenuto che l’identità narrativa è un'ampia e integrativa storia che una
persona comincia ad elaborare durante la prima età adulta e su cui continua a
lavorare per gran parte del resto della sua vita, una storia che racconta come il Me
si è creato e dove può andare, all’interno di uno specifico mondo lavorativo,
affettivo e di credenze. La storia riflette sia la continua evoluzione della
concezione che la persona ha di se stesso, sia l’implicita comprensione del mondo
in cui il sé si trova. Per questo motivo è possibile considerare l’identità narrativa
come una costruzione psicosociale (McAdams, 1996).
L’autore appena citato (1985) ha fornito la prima costruzione empirica completa
dell’identità narrativa, riprendendo la formulazione teorica di Erikson (1963)
sull’identità dell’io
1
e l’approccio personologico di Murray (1938) sullo studio
della vita
2
. L’autore si è concentrato principalmente sugli aspetti strutturali e di
contenuto delle storie di vita. Per lui, infatti, l’identità non si presenta nelle vesti
di un processo, come formulato precedentemente da Marcia (1980), bensì come
prodotto dell’esplorazione e dell’assunzione degli impegni.
Proprio nella teoria di Murray, (1938) McAdams (1985) ha individuato le strutture
e gli strumenti per l’analisi dell’identità narrativa. Quest’ultima potrebbe essere
analizzata in base alle tematiche motivazionali legati alla agency (ad esempio, il
potere, il successo, l'autonomia) e alla communion (ad esempio, l'amore,
l'intimità, appartenenza). È possibile esaminare, invece, la struttura della storia
considerando la complessità narrativa e la coerenza (McAdams, 2011). Per poter
compiere suddette analisi, McAdams (1985) ha usato una versione adattata della
procedura di analisi delle scene narrate nelle interviste, ideata da Murray nel suo
approccio e poi ridefinita da McClelland e colleghi (1985). Si tratta di una
procedura di analisi del contenuto che codifica le immagini motivazionali emerse
1
Erikson (1963) definisce l’identità come una configurazione del sé che integra ruoli,
identificazioni e talenti di una persona. Per poter parlare di identità dell’io una persona avverte un
senso di fiducia nei confronti della somiglianza interiore e della continuità rispetto al passato.
2
Murray (1938) guarda le vite umane come integrate e in continua evoluzione, dove i temi
motivazionali potrebbero essere esposti, chiedendo alle persone di produrre risposte narrative,
come vignette autobiografiche o storie fantasiose in risposta a immagini (Thematic Apperception
Test o TAT).
7
dalle storie TAT. Successivamente, altri ricercatori hanno sviluppato una vasta
gamma di sistemi di analisi per la valutazione del contenuto e della struttura delle
storie di vita, prodotti narrativi del lavoro identitario di una persona. Molti studi
hanno cercato di collegare il contenuto e la struttura dell’identità narrativa ad altre
caratteristiche, come i tratti di personalità, le motivazioni, gli stadi di sviluppo, il
benessere psicologico, la depressione e gli importanti risultati ottenuti nella vita
(Baddeley e Singer, 2007; McAdams, 2008; McLean, Pasupathi, e Pals, 2007). Ad
esempio la salute e il benessere psicologico si collegano all’identità narrativa
attraverso un elevato grado di coerenza (Baerger & McAdams, 1999), temi di
redenzione (McAdams, Reynolds, Lewis, Patten, e Bowman, 2001), di chiusura
emotiva (Pals, 2006a), crescita personale e integrazione (Bauer, McAdams, e
Sakaeda, 2005). Altri studi hanno esaminato il contenuto e le dimensioni
strutturali dell’identità narrativa in base all'ipotesi implicita che le storie di vita
sono progetti autobiografici con capacità di resistenza psicologica (McAdams
1985, 2006). In altre parole, le storie di vita delle persone sono interiorizzate in
modo abbastanza ampio e stabile da giustificare la codifica di temi che risultano
importanti per il narratore.
Mentre l'approccio di McAdams esamina ampi racconti di vita interiorizzati che,
come abbiamo più volte detto, forniscono alla storia di una persona un certo grado
di scopo e integrazione, una prospettiva alternativa tende a privilegiare il
“moment-by-moment”, focalizzando storie di più piccola portata, meno integrate,
che le persone mettono in atto nel comportamento sociale quotidiano (ad esempio,
Bamberg, 1997; Pasupathi, 2006; Shotter e Gergen, 1989). Muovendoci proprio
da quest’ultima prospettiva teorica si evince che le persone spesso raccontano
narrazioni diverse sulla loro identità a seconda delle situazioni sociali, delle
caratteristiche particolari della domanda e delle convenzioni discorsive (Bamberg,
De Fina e Schiffrin, 2011; Shotter & Gergen, 1989), nessuna di queste diverse
storie può eventualmente essere considerata come la gamma completa e mutevole
della vita sociale quotidiana. Come evidenza McAdams (1997, 2006), le persone
che hanno fatto esperienza di una completa integrazione ed unità della loro
identità sono poche. L’identità narrativa rappresenta lo sforzo degli individui di
8
dare un senso e una parvenza di unità alla loro vita nel complesso (McAdams,
2011).
Un altro aspetto importante che riguarda l’identità narrativa, viene evidenziata da
McAdams e Pals (2006). Loro concepiscono l'identità narrativa come uno dei tre
livelli della personalità umana. I suddetti tre livelli, originariamente esplicitati da
McAdams (1995) nel “Triarchic Model”, sono di natura strutturale (Hooker,
2002), ma, parallelamente, a ciascuno di essi è possibile aggiungere un costrutto
di processo (Hooker e McAdams, 2003) (vedi Figura 1).
Figura 1
Il primo livello è costituito dai tratti disposizionali, (ad esempio l’estroversione)
essi si mostrano in modo evidente con il comportamento che l’individuo mette in
atto nelle situazioni e nel corso del tempo. Il processo parallelo è costituito dagli
stati, che sono processi intra-individuali che connotano il cambiamento dinamico
o la costante possibilità di cambiamento (Hooker e McAdams, 2003).
Il secondo livello è costituito da valori, obiettivi, progetti personali, difese, e altre
caratteristiche e aspetti motivazionali, in questo livello è possibile notare
importanti cambiamenti nelle varie fasi di vita (ad esempio, i giovani adulti sono
orientati ad obiettivi di carriera mentre gli adulti a quelli relativi alla pensione).
Parallelamente a questo livello ritroviamo il processo di auto regolazione (Hooker
& McAdams, 2003).
Il terzo livello, infine, della personalità umana è costituito dalla storia di vita, o
identità narrativa, intendondo con essa le storie che le persone creano per
ricostruire il passato e anticipare il futuro, fornire all’individuo significato, unità e
senso. Le storie di vita, che continuamente si evolvono nel corso della vita con
nuovi temi, relazioni, contesti che si intrecciano nella trama, si creano a partire dai