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Introduzione
I primi studi svolti in campo criminologico hanno preso in considerazione
solamente l’autore del reato, trascurando totalmente l’importanza della vittima.
La Scuola Classica ha maggiormente dato importanza ai fatti, piuttosto che alla
personalità degli individui coinvolti nel reato. Il Positivismo ha poi sopperito
alla mancanza della Scuola Classica, ma gli studi si sono concentrati solamente
sul criminale. La Difesa Sociale, maggiormente volta ad umanizzare la reazione
al delitto, si è occupata della vittima in misura superiore rispetto agli indirizzi
precedenti, anche se le preoccupazioni per le sorti dell’uomo delinquente finirono
per lasciarla in ombra.
Già da queste brevi note è possibile intuire che gli studi sul ruolo della vittima
e sulle dinamiche di vittimizzazione sono stati a lungo trascurati. La persona che
subiva un reato spesso non veniva tenuta nella giusta considerazione, sia dagli
organi di pubblica sicurezza, sia dall’opinione pubblica. Eppure, la vittima di un
reato è quella che contribuisce in maggior misura alla scoperta dell’illecito, il suo
atteggiamento, le sue azioni e la violenza subita imprimono una prima
rappresentazione del delinquente e della criminalità in generale, influendo
notevolmente alla ricostruzione dei fatti. Le circostanze che portano al
concretizzarsi di un delitto non devono essere considerate come unicamente
prodotte dal criminale, ma spesso l’azione illecita è caratterizzata anche dalla
presenza o da un particolare atteggiamento messo in pratica da coloro che
verranno poi danneggiati. L’approfondimento del ruolo avuto dalla vittima nella
genesi del reato, può portare ad un aumento delle conoscenze sui fenomeni
criminali, mettendo così nelle mani delle forze dell’ordine mezzi più efficaci per
prevenire e combattere la criminalità.
Il focus della presente tesi è quello di evidenziare l’importanza e l’evoluzione
dello studio della vittima, all’interno della scienza criminologia, al fine di
migliorare le conoscenze sulla criminogenesi e sulla criminodinamica. L’analisi
approfondita delle caratteristiche e delle interazioni che si sviluppano tra la
vittima e l’offensore durante il perpetrarsi dell’azione criminosa possono portare
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ad una maggiore comprensione del delitto e alla disposizione, sul piano pratico,
di una serie di elementi per permettere una prevenzione più efficace del crimine.
Si è cosi voluto esaminare la fenomenologia dell’omicidio – attraverso
un’analisi vittimologica sugli omicidi volontari avvenuti in Emilia Romagna nel
quadriennio dal 2000 al 2003 – per far luce su un reato particolarmente efferato,
che crea un alto allarme sociale e che spesso porta il cittadino ad avere una
sovrastima ed una errata raffigurazione del fenomeno. Si cercherà di
approfondire gli ambiti all’interno dei quali si sviluppa il delitto e la relazione
che lega la vittima al suo carnefice, in modo da poter evidenziare le
caratteristiche delle persone coinvolte nel reato e le varie tipologie di scenario
omicida che maggiormente si presentano.
Prima di passare a definire la fenomenologia dell’omicidio è doveroso ribadire
come solo di recente la vittima abbia conquistato l’attenzione che si merita,
attraverso la diffusione dei primi studi vittimologici, incentrati sull’analisi del
rapporto che si viene a creare tra la vittima e l’autore del reato durante l’intera
situazione criminosa: «la vittimologia si può considerare quella branca della
criminologia che si interessa della vittima di un crimine e di tutto ciò che a questa
si riallaccia, come la sua personalità, cioè i suoi tratti biologici, psicologici e
morali, la sue caratteristiche socio culturali, le sue relazioni con l’autore del reato
ed infine il suo ruolo e l’eventuale influenza nella genesi e nella dinamica del
delitto» [Balloni 1983: 238].
Pertanto, nei primi quattro capitoli illustrerò la nascita della disciplina,
partendo da una veloce rassegna di come si sono modificati il ruolo e la visibilità
della vittima all’interno delle diverse società, nel corso della storia. Indicando poi
quali sono stati i principali studiosi che hanno contribuito, attraverso i loro
lavoro, alla diffusione della scienza vittimologica, procedendo con
un’approfondita analisi del loro pensiero e delle loro opinioni riguardanti le
principali considerazioni, gli scopi e i futuri sviluppi di questa nuova materia.
In particolare, nel secondo capitolo si sottolinea l’importanza della relazione,
che si sviluppa durante l’azione criminosa, tra la vittima e l’autore. Inoltre
attraverso l’approfondito esame di due ricerche svolte in materia, si cercherà di
evidenziare come si è modificata, nel pensiero degli studiosi, la nozione di
responsabilità attribuita alla vittima nella genesi del reato, passando dalla
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condizione di forte provocazione, espressa da Wolfgang [1958], ad una, più
completa, concezione di partecipazione della vittima al reato, caratterizzata
dall’individuazione dei vari gradi in cui è possibile classificare l’interazione.
Quest’ultimo pensiero, promosso efficacemente per mezzo di una ricerca di
Avison [1975], è divenuto la base di partenza per lo sviluppo degli studi
vittimologici riguardanti la relazione vittima/criminale.
Il terzo capitolo sarà incentrato sull’analisi dei fattori di “predisposizione
vittimogena”. Verranno attentamente esaminate le concezioni dei diversi autore
riguardo a quei fattori che possono favorire il pericolo di subire una
vittimizzazione. Più precisamente ci si riferisce alle caratteristiche riguardanti
l’aspetto bio-fisiologico, sociale e psicologico della vittima. In seguito
illustreremo le principali classificazioni che gli studiosi hanno prodotto nei
confronti della persona offesa dal reato, partendo innanzitutto dalla
differenziazione tra le vittime reali e quelle che, invece, non hanno subito alcun
crimine. Infine, verrà velocemente messo in luce lo stereotipo che i criminali si
formano nei confronti della persona verso cui sarà indirizzato il delitto.
Successivamente nel quarto capitolo saranno descritte le tematiche che
interessano lo stato di equilibrio psicologico della vittima nel corso e in seguito
alla manifestazione criminosa. Problematiche che possono eventualmente
produrre effetti significativi sul suo comportamento e sugli atteggiamenti che le
persone vittimizzate possono intraprendere in seguito all’esperienza avuta sia per
rispondere ad un eventuale stato di sofferenza psichica, sia per cercare di ridurre
il rischi di una futura vittimizzazione. Inoltre verranno affrontati, in breve, alcuni
dei principali aspetti dell’ordinamento giuridico legati al ruolo assunto dalla
vittima all’interno del sistema penale italiano e conseguentemente a questo
verranno illustrate le più rilevanti leggi in materia di riparazione del danno
subito.
Infine, nel quinto ed ultimo capitolo, attraverso l’analisi degli omicidi
volontari avvenuti in Emilia Romagna nel quadriennio dal 2000 al 2003 si
cercherà di fornire un’accurata descrizione della fenomenologia del delitto,
cercando di stabilire se le probabilità di subire un certo di tipo di reato sono
equamente distribuite tra tutti gli individui, oppure se vi sono determinate
persone che, in virtù di particolari caratteristiche, sono più esposte al rischio di
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vittimizzazione. In particolare, si vuole esaminare le caratteristiche delle persone
coinvolte nel reato, l’eventuale relazione che le lega e lo scenario in cui si è
sviluppato l’omicidio, andando ad indagare l’ambito in cui si è sviluppata
l’azione criminosa e il movente che ha spinto l’assassino a compiere un gesto
così efferato. In ultimo si andrà a confrontare i dati raccolti con quelli messi a
disposizione da altre ricerche simili che hanno preso in considerazione il ruolo
della vittima all’interno della dinamica omicida nel nostro Paese.
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1. Lo sviluppo degli studi vittimologici
1. L’evoluzione del ruolo della vittima nel corso della storia
Il ruolo di vittima, nel corso della storia ha subito diverse modificazioni, in
relazione all’importanza e alla visibilità che acquisiva all’interno della società.
Questi significati riflettono l’evoluzione storica sia di concetti legali, sia delle
diverse definizioni che vengono attribuiti alla nozione di “responsabilità
individuale”.
L’analisi della vittima, del suo comportamento, del suo atteggiarsi e dei suoi
rapporti con il reo, sono un aspetto di grande rilevanza, sia per la componente di
tipo psico-criminologico, sia per la componente che privilegia l’aspetto giuridico
[Gulotta e Vagaggini 1976]. Tuttavia, è indiscutibile cha l’attenzione nei riguardi
della vittima sia a lungo mancata.
Nonostante, dai tempi più antichi, il crimine sia considerato un grande
pericolo per l’equilibrio e la stabilità sociale, si procede nell’accertamento della
responsabilità del delitto solo dopo che questo è stato compiuto. Pertanto, in
passato, una persona oggetto di una condotta criminosa, al fine evitare il rischio
di future “vittimizzazioni”, per proteggere la propria incolumità, doveva reagire
al torto subito in modo aggressivo e violento, così da vendicarsi spietatamente.
Come chiaramente esemplificato dal codice di Hammurabi
1
, la giustizia veniva
quindi ad essere espressa via di passaggio, un patto individuale.
Successivamente, con l’evoluzione della società, il controllo sociale, e la
responsabilità di elargire pene per i reati commessi, è passato dall’individuo al
gruppo di parenti. Le famiglie, i clan o le tribù potevano funzionare solo
attraverso il rispetto di solide regole sociali e il crimine inizia così ad essere visto
come destabilizzante per la società. In questo modo il delinquente diventa
1
Il codice di Hammurabi (XVIII sec. a.C.) rappresenta la più antica raccolta di leggi che ci sia pervenuta
integra. Si tratta di norme che mirano a dare un’organizzazione della vita sociale (es. rapporti di lavoro,
salario, ecc.). Ma soprattutto dal codice emerge chiaramente il principio ispiratore della “legge del
taglione”, in base alla quale al colpevole spettava una pena simile alla colpa commessa e al dolore inferto
alla vittima.
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responsabile oltre che per aver causato un danno ad un altro individuo, per aver
messo in pericolo l’integrità sociale. In altri termini, il reo e “la sua famiglia”
erano considerati colpevoli in misura maggiore per aver compromesso la stabilità
della tribù, piuttosto che per le conseguenze intrinseche del reato commesso [Bisi
e Faccioli 1996]. Però, nonostante il controllo sociale passi nelle mani della
famiglia, continua l’espiazione delle pene per mezzo della vendetta, che viene
così ad essere considerata faida di sangue.
Con il passare del tempo si andò verso l’estinzione della faida di sangue,
sostituita dalla negoziazione e da un compenso finanziario. Si andò così in contro
al declino del concetto di responsabilità collettiva a favore del sistema di
compromesso, un metodo tendente ad evitare ritorsioni attraverso un indennizzo
monetario o comunque economico. Il compenso veniva determinato in base alla
natura del delitto, all’età, al sesso e alla classe sociale a cui apparteneva la
vittima. E comunque nella maggior parte dei casi per l’accordo sul effettivo
ammontare del risarcimento era di fondamentale importanza l’intervento della
tribù [Balloni 1989].
A mano a mano che il potere centrale di una comunità diventava più forte,
l’influenza dello Stato sul compromesso andò aumentando: come risultato, la
comunità, il capo della tribù o il re reclamavano una parte del compenso
destinato alla vittima, sotto forma di commissione per aver ottenuto una
riconciliazione fra le parti. La porzione di compenso reclamato dallo Stato
aumentò gradualmente fino a coprire l’intera somma versata, arrivando così a
monopolizzare l’istituto della pena. In seguito, lo Stato attraverso la costituzione
del diritto penale, divenne unico promotore dell’azione penale nei confronti del
accusato, mentre i diritti della parte lesa, come ad esempio il risarcimento del
danno, continuarono ad essere tutelati nell’ambito del diritto civile [ibidem].
In questo modo, il prevalere del bisogno di pace portò alla creazione di un
ordinamento giuridico al di sopra delle parti in lotta. E oltre al giusto compenso
da accordare alla vittima in funzione dell’offesa subita, con lo sviluppo del
sentimento sociale si fece strada la necessità di procedere ad un accurato esame
delle condizioni psico-fisiche dell’imputato, nel momento in cui è stato
commesso il fatto, con il preciso scopo di accertare la capacità di
autodeterminarsi.
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L’analisi della personalità e dell’ambiente del reo, diventarono la base dello
sviluppo degli studi criminologici, di natura psicologica, psichiatrica o
sociologica. Di conseguenza per lungo tempo l’oggetto esclusivo delle ricerche
criminologiche furono i delinquenti.
Solo da qualche decennio, in questo frangente si è aperta una nuova
prospettiva, rappresentata dall’elevato aumento di interesse per la vittima e per il
suo ruolo di protagonista all’interno del fatto criminoso. Lo studio della vittima
costituisce, un ambito di ricerca estremamente recente. Infatti è solo dalla metà
del secolo scorso che le agenzia di controllo sociale e i gruppi di ricerca hanno
preso in attenta considerazione la vittima di un delitto e la sua influenza nella
genesi del crimine.
Fino a pochi anni fa chi subiva un reato poteva, di fatto, soltanto sperare di
poter collaborare con gli inquirenti o come soggetto in grado di fornire
spiegazioni circa il delitto commesso e i suoi autori, o come testimone in un’aula
di tribunale [Williams 1991].
2. Gli scopi perseguiti dalla vittimologia
L’etimologia del termine “vittimologia” comprende il vocabolo latino
“victima” e quello greco “logos”, resi in italiano “vittima” e “discorso”.
In ambito giuridico il termine “vittima” non viene usato in modo uniforme,
anzi compare alternativamente in varie forme, quali “parte lesa”, “persona
offesa”, ecc. Anche le circostanze cui esso viene riferito sono molteplici,
potendosi intendere per vittima sia il soggetto passivo del reato, quanto l’oggetto
materiale del reato, e non sempre questi due concetti sono coincidenti.
Inoltre da un punto di vista strettamente legale la “vittima” di un crimine può
essere definita sia una persona fisica, che una persona giuridica, compreso lo
Stato. Come messo in evidenza da Tranchina [1975], ne deriva la possibilità che
in determinate situazioni la concezione giuridica di “vittima del fatto criminoso”
e quella criminologia finiscano con il differenziarsi in modo sostanziale.
A tal proposito allargando l’ambito degli studi verso una concezione più
umanistica, orientata verso la scienza sociale e psicologica con il termine
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“vittimologia”, rapidamente diffusosi nella seconda metà del secolo scorso, ci si
riferisce ad una materia che ha per oggetto l’analisi della vittima di un crimine,
della sua personalità, delle sue peculiarità biologiche, psicologiche, morali,
sociali, culturali, delle suoi legami con il crimine e del ruolo che ha assunto nella
genesi di un evento criminoso.
Il termine “vittimologia” viene introdotto, nel linguaggio criminologico, dallo
psichiatra americano F. Wertham: « …non si può comprendere la psicologia
dell’omicida se non si comprende la sociologia della vittima. Ciò di cui noi
abbiamo bisogno è di una scienza della vittimologia» [1949].
In realtà, però, l’esatta paternità del termine non è così certa, in quanto alcuni
autori
2
l’attribuiscono a Mendelsohn che ha utilizzato tale sostantivo all’interno
della sua opera Una Nouvelle Branche de la Science Bio-Psychosociale: la
Victimologie: «Il problema della criminalità deve essere studiato anche in altri
termini, sotto l’aspetto della personalità della vittima, dal punto di vista
preventivo e curativo, biologico, psicologico e sociologico. Questa nuova scienza
costituirà ciò che noi chiamiamo per la prima volta vittimologia» [1956: 95].
A mio avviso una delle definizioni più complete, in grado di inquadrare
l’intero ambito degli studi vittimologici ci viene data da Gulotta [1976], secondo
l’autore con il termine vittimologia «si designa una disciplina che ha per oggetto
lo studio della vittima del crimine, della sua personalità, delle sue caratteristiche
biologiche, psicologiche, morali, sociali e culturali, delle sue relazioni con il
crimine e del ruolo che ha assunto nella genesi del crimine». Oltre a questo, un
ulteriore area di indagine che deve essere necessariamente approfondita dagli
studi vittimologici è l’importanza del rapporto tra la vittima e l’autore di un
reato. Inoltre la vittimologia si deve impegnare a fornire risposte concrete
riguardanti la prevenzione della vittimizzazione e la riparazione del danno subito
in conseguenza di un crimine, non solo in relazione a elementi materiali ma
anche a livello di assistenza fisica e psicologica.
Per cui secondo l’autore italiano la vittimologia deve assolvere ad un duplice
obiettivo:
- preventivo, volto a ridurre il numero delle vittime e le occasioni di diventare
vittima, individuando ed eliminando i fattori che favoriscono il processo di
2
Tra questi si rircordano: Cornil [1959], Ranjeva [1964], Schülert [1956].
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vittimizzazione e fanno aumentare il rischio di recidività, da compiersi
attraverso l’esame delle caratteristiche individuali, ambientali e sociali della
vittima, senza trascurare il ruolo assunto dalla vittima all’interno del reato ed
il rapporto che lega quest’ultima all’autore del delitto;
- riparativo, volto a ridurre l’impatto degli effetti del reato sulla vittima,
attraverso un attenta analisi dei fattori prodotti in conseguenza del delitto e
della loro influenza su aspetti fisici, psichici e materiali della vittima, al fine
di evidenziare gli effetti a breve e a lungo termine così da permetterne il
recupero.
Alle due funzioni proposte da Gulotta si deve aggiungere quella di fornire
elementi conoscitivi fondamentali per la spiegazione delle azioni criminali
[Strano 2003], attuata attraverso la ricerca empirica e la costruzione di indicatori
in grado di mettere in risalto l’andamento del fenomeno delittuoso così da
suggerire linee guida per politiche di prevenzione e sicurezza veramente efficaci
nell’opera di riduzione della vittimizzazione. Infine, sempre in relazione
all’importanza degli studi di ricerca essi devono essere utilizzati anche per
verificare l’impatto e l’efficacia delle procedure attuate per minimizzare
l’influenza dei fattori consequenziali al delitto sulla vittima, così da permettere
l’estinzione di eventuali traumi che possano pregiudicare il corretto
reinserimento nella società.
Attraverso gli studi teorici e la ricerche effettuate sul processo di
vittimizzazione e i suoi effetti, la vittimologia si occupa dunque di definire le
seguenti aree di indagine:
- il ruolo della vittima nella criminogenesi e nella criminodinamica;
- il rapporto tra la vittima e l’autore del reato;
- la presenza di eventuali le caratteristiche che favoriscono la vittimizzazione;
- l’individuazione statistica delle vittime, così da determinare se vi sono
particolari tipologie di persone che risultano più soggette a subire specifici
tipi di reati;
- la percezione che ha il reo nei confronti della vittima e viceversa;
- gli effetti consequenziali al reato, in termini materiali e non, che possono
condizionare la vittima;
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- quali interventi riparativi è possibile intraprendere nei confronti della vittima,
stimandone concretamente l’impatto e l’efficacia che riescono a conseguire;
- quali misure e strumenti siano i più idonei per garantire una migliore
prevenzione al fine di ridurre i rischio di diventare vittima;
- il ruolo della vittima nel processo.
Naturalmente anche altri autori si sono impegnati nel cercare di delineare
l’ambito in cui si doveva muovere questo nuovo filone di studi che ha preso vita
nel secondo dopoguerra.
Secondo Fattah «l’obbiettivo della vittimologia è lo sviluppo attraverso lo
studio approfondito della vittima, di un insieme di regole generali, di principi
comuni e di altri tipi di conoscenze che possano contribuire allo sviluppo,
all’evoluzione ed al progresso delle scienze criminologiche e giuridiche,
permettendo una migliore comprensione del fenomeno criminale, del processo
criminogeno, della personalità e del carattere pericoloso del delinquente. D’altra
parte essa intende fornire conoscenze scientifiche valide sulle cause del crimine,
dipendenti dalla vittima, che siano di natura tale da poter essere utilizzate sul
piano pratico, in modo da poter tracciare le linee di una politica di prevenzione
efficace» [1971: 11-12].
L’autore prosegue affermando che: «oltre a questo contributo alle scienze
sociali la vittimologia assolve anche un dovere assai importante di fronte alla
giustizia penale. L’applicazione dell’attuale legge penale esige necessariamente
una chiara distinzione tra la vittima e il delinquente. Tale distinzione non di
facile interpretazione, in quanto la linea che separa i due protagonisti del
contenzioso penale non è sempre definita in modo sufficientemente preciso. Il
criminale e la sua vittima non si possono definirsi così chiaramente differenti,
come il bianco ed il nero, ma al contrario sono spesso in ugual misura
responsabili dell’atto commesso. Pertanto solamente attraverso uno scrupoloso
esame individuale delle due parti, delle loro personalità, delle loro interrelazioni,
delle loro relazioni e considerando il ruolo che ciascuna ha assunto nell’evento
criminoso, risulta possibile formulare una giusta valutazione della responsabilità
penale per l’atto in causa» [ibidem: 11-12].
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Mendelsohn ritiene che la vittimologia debba individuare ed analizzare i
fattori comuni alle diverse fattispecie di vittime, per determinare in che misura le
loro reazioni, uguali o differenti, influiscano sull’origine del comportamento
vittimale, di conseguenza la vittimologia dovrebbe perseguire i seguenti scopi:
a) lo studio della personalità della vittima;
b) l’identificazione, soprattutto tramite l’utilizzo di tecniche psicoanalitiche,
degli elementi psichici del “comportamento criminogeno” esistente
all’interno della “coppia penale”, componenti che determinano
l’avvicinamento (e di frequente il contatto psico-sociale antecedente al
crimine) tra la vittima ed il criminale; in altre parole, la scoperta del
potenziale di recettività vittimale;
c) lo studio della personalità di quelle vittime nei confronti delle quali non
interviene una terza persona, in maniera particolare ci si riferisce agli
incidenti stradali e agli infortuni sul lavoro;
d) lo analisi dei mezzi di prevenzione per quei soggetti che evidenziano una
tendenza a divenire vittime e dei metodi psico-pedagogici necessari a mettere
in atto un difesa appropriata;
e) l’individuazione dei criteri di trattamento terapeutico essenziali per non
incorrere in quella che viene definita la “recidività vittimale”.
Oltre a questo è necessario ricordare che nei rapporti con la giustizia e la
società, spesso, alcune vittime definiscono come arrogante ed insolente il
comportamento tenuto da alcuni operatori della giustizia nei loro confronti, quali
ad esempio, avvocati, magistrati e poliziotti. È importante sottolineare come, a
volte, le vittime possono percepire l’apparato giudiziario come una seconda fonte
di vittimizzazione e, per tutto ciò, sono costrette o preferiscono evitare di non
denunciare il reato subito, come sovente si verifica nei casi di violenza carnale.
Mendelsohn manifestò già nel 1959 la necessità di mettere in pratica alcune
iniziative, al fine di promuovere lo studio della vittimologia, come la
convocazione di un Primo Congresso Internazionale di Vittimologia, al quale
sarebbero stati invitati tutti gli operatori interessati alla terapia e profilassi della
vittima; ed inoltre la creazione di una Commissione Internazionale Permanente
che ponesse le basi per un Istituto Mondiale di Ricerche Vittimologiche, con il
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concorso dell’Unesco e di altre istituzioni internazionali. Tale commissione
avrebbero dovuto svolgere i seguenti compiti:
a) la creazione di una biblioteca per permettere la raccolta di tutto il materiale
scientifico, al fine di riunire il maggior numero possibile di interventi inerenti
ai problemi vittimologici;
b) la preparazione di uno schedario bibliografico internazionale;
c) il perfezionamento di questionari tipo, dei criteri di misura ed un’unica
terminologia internazionale, atta a rispondere alle necessità della vittimologia;
d) l’organizzazione di un servizio statico internazionale;
e) sovrintendere alla formazione di commissioni specializzate per l’analisi degli
incidenti stradali, infortuni sul lavoro, della prostituzione, dell’alcolismo,
delle tossicomanie, ecc. Tali commissioni, utilizzando il punto di vista
criminologico avrebbero dovuto collaborare con le istituzioni competenti,
prestando una maggiore attenzione all’aspetto preventivo del problema;
f) prevedere la realizzazione di una Clinica Centrale di Vittimologia in un
importante centro europeo;
g) dare origine a un Centro di Propaganda, per fornire al grande pubblico la
possibilità di conoscere e seguire le raccomandazioni della profilassi
vittimale, specialmente per quanto riguarda gli incidenti stradali, quelli sul
lavoro, l’alcoolismo, la prostituzione e i reati contro la morale, al fine di poter
collaborare alla creazione di piani di intervento concordati con le istituzioni
competenti;
h) incoraggiare la creazione di istituti nazionali del tipo descritto,
l’organizzazione di corsi e conferenza nelle università e la collaborazione con
riviste scientifiche internazionali, nell’intento di promuovere la scienza
vittimologia.
Alcune delle idee qui proposte erano avveniristiche per l’epoca, ma
sicuramente furono di grande importanza per porre in rilievo il diffondersi di
questa nuova disciplina.