4
INTRODUZIONE
La presente ricerca prende avvio dalla constatazione dell‟attuale centralità
politica della vittima del reato, divenuta vero e proprio soggetto in grado di
reclamare diritti e prerogative, ridotte o negate nei sistemi giuridici moderni.
Inizialmente considerato mero “oggetto” su cui ricadeva l‟azione delittuosa,
l‟offeso si è visto via via riconosciuto un ruolo sempre più importante nel sistema
dei delitti e delle pene. Peraltro, si riscontra sovente che la vittima è
strumentalizzata dal potere politico per sostenere legislazioni sicuritarie e
repressive; tali scelte politico-criminali utilizzano il dolore delle vittime e dei
familiari, nonché il senso di insicurezza collettivo, per mettere in atto leggi idonee
ad offrire una sicurezza solamente “simbolica” e “temporanea”, non mancando di
risolversi, addirittura, in provvedimenti che – paradossalmente – possono essere
criminogeni, perché connotati da elementi che determinano un “disorientamento”
culturale e sociale.
Il percorso parte dall‟analisi della graduale consapevolezza del ruolo della
vittima per la comprensione del processo che induce all‟acting-out e dalla
necessità di mettere in rilievo la vittimizzazione – a vari livelli – susseguente al
crimine, ai fini di individuare gli elementi indispensabili da tenere in
considerazione nelle scelte politico-criminali a salvaguardia delle vittime
(Capitolo I).
Si passa, poi, all‟analisi del diritto vigente, sia sostanziale che processuale.
Nel Capitolo II, si dà risalto alla possibilità di attribuire un ruolo specifico al c.d.
soggetto passivo del reato già a partire dalla formulazione delle fattispecie di
diritto penale (sia nelle norme di c.d. parte generale che in quelle di c.d. parte
speciale) ai fini di una loro più corretta interpretazione. Sul piano processuale, il
Capitolo III tenta di offrire una chiave di lettura per comprendere le ragioni in
base alle quali l‟ordinario processo penale non riserva un posto di primo piano
alla vittima; tuttavia, si evidenzia, come questa scelta non si trasforma in completo
disinteresse nei confronti dell‟offeso, giacché il rito offre possibili sbocchi, poteri
5
e facoltà – diversificate a seconda della fase procedimentale –, che possono essere
sfruttate dal difensore dell‟offeso.
Assodato come l‟ordinario processo penale non sia idoneo ad offrire
adeguata tutela alla vittima e un ristoro “globale” rispetto alle conseguenze ad
ampio spettro che subisce, si richiamano altri percorsi o modelli di giustizia che
possono essere intrapresi a questo scopo (Capitolo IV); si dà, inoltre, spazio
all‟analisi delle aperture dell‟ordinamento italiano al c.d. paradigma riparativo.
Infine, si cerca di valutare criticamente le scelte operate dal legislatore,
soprattutto in riferimento al dato di comune esperienza che, come accennato,
indica come il potere politico sfrutta l‟allarme sociale per mettere in atto scelte
politico-criminali – teoricamente ispirate a un maggiore controllo della criminalità
– ma, di fatto, criminogene (Capitolo V).
6
Capitolo I
LA VITTIMA E LA VITTIMOLOGIA
7
1. La vittima: alla ricerca di una definizione
È difficile trovare una nozione condivisa del concetto di vittima. Per vero,
vi è incertezza già sull‟etimo del termine
1
. In proposito due sono le ipotesi
avanzate: la prima fa derivare il termine “vittima” da “vincire”, cioè legare,
avvincere, e ne ricollega l‟origine alla pratica di legare gli animali che venivano
offerti agli Dei nei riti sacrificali; la seconda fa riferimento al verbo “vincere” e, in
ossequio ad essa, la vittima sarebbe colui che è sconfitto e disarmato di fronte al
vincitore. All‟oscurità dell‟origine etimologica fa riscontro, come si accennava, la
difficoltà di individuare una nozione di vittima. Il vocabolo è, infatti, utilizzato in
ambiti differenti e assume contenuti diversi a seconda delle prospettive e dei
contesti entro i quali è inserito: antropologico-culturale, sociologico, religioso-
spirituale, teologico-sacrificale, psicologico o psicoanalitico e, infine, giuridico
2
.
In questa sede, privilegeremo la prospettiva criminologica (o, più
propriamente, vittimologica) nonostante la consapevolezza che, anche all‟interno
della criminologia, manca una definizione unitaria di vittima.
Di seguito, si propongono alcune delle definizioni offerte dai più insigni
studiosi di questo oggetto dai contorni non ben definiti.
Secondo Von Hentig
3
, “la vittima è il soggetto titolare del bene giuridico
protetto dalla norma penale, il quale risente in via primaria o secondaria, della
commissione del reato con sofferenza o con dolore”; Fattah
4
pone, invece,
l‟accento sulle conseguenze del fatto di reato al fine di identificare, mediante
queste, la vittima, affermando che “il termine (…) evoca genericamente chi
1
CORRERA-RIPONTI, Rilevanza della vittima nella genesi e nella dinamica dei
fenomeni criminosi, in La vittima nel sistema italiano della giustizia penale: un approccio
criminologico, Padova, 1990, 1.
2
PITTARO, La vittima nel quadro della criminologia, in GULOTTA-VAGAGGINI (a
cura di), Dalla parte della vittima, Milano, 1980, 41.
3
VON HENTIG, Das Verbrechen, Gottingen-Heildeberg, II, 1962, 488, citato da
MANNOZZI, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e
mediazione penale, Milano, 2004, 48. L‟accento è posto sulla titolarità del bene giuridico tutelato e
colpito dal reato.
4
FATTAH, Criminology: Past, Present and Future, London-New York, 1997, 148 ss.
citato da FORTI, L‟immane concretezza: metamorfosi del crimine e controllo penale, Milano,
2000, 260.
8
subisce conseguenze negative, perdite, danni, lesioni di natura materiale, fisica e
psicologica”.
Altri, come Viano
5
, definiscono la vittima come “qualsiasi soggetto
danneggiato o che ha subito un torto da altri, che percepisce se stesso come
vittima, che condivide l‟esperienza con altri cercando aiuto, assistenza e
riparazione, che è riconosciuto come vittima e che presumibilmente è assistito da
agenzie-strutture pubbliche, private o collettive”. Questa definizione ha il merito
di mettere in evidenza i bisogni della vittima e le esigenze assistenziali che
derivano dalla vittimizzazione.
Un aiuto per una definizione unitaria e ampia di vittima può venire dalla
Risoluzione delle Nazioni Unite n. 40/34 del 29.11.1985 secondo cui vittime del
crimine sono le “persone che, individualmente o collettivamente, hanno sofferto
una lesione, incluso un danno fisico o mentale, sofferenza emotiva, perdita
economica od una sostanziale compressione o lesione dei loro diritti fondamentali
attraverso atti od omissioni che siano in violazione delle leggi penali operanti
all‟interno degli Stati membri, incluse le leggi che proibiscono l‟abuso di potere
criminale”. Secondo questa dichiarazione, una persona può essere definita vittima
anche in mancanza dell‟identificazione, dell‟arresto, del perseguimento della
condanna dell‟autore materiale del reato e indipendentemente dal fatto che ci sia
qualche grado di parentela tra l‟autore e la vittima. Il termine “vittima” comprende
pure la famiglia e i parenti stretti o i dipendenti della vittima e le persone che
hanno subito un danno nel tentativo di soccorrere le vittime in pericolo o di
evitare un‟eventuale vittimizzazione. L‟intenzione dell‟Assemblea Generale
dell‟ONU era quella di orientare gli Stati membri ad affrontare e risolvere il
problema della criminalità dando centralità alla vittima, invitandoli a non limitarsi
ad agire con l‟unico obiettivo della repressione, ma anche con quello della
prevenzione e del risarcimento materiale e morale di chi subisce un reato.
La Risoluzione ONU pone l‟attenzione sulla particolare condizione della
vittima che, oltre a subire la violenza, rischia molto spesso di “subire”
l‟indifferenza, la freddezza e, a volte, il sospetto da parte degli organi che per
5
VIANO, Vittimologia oggi: i principali temi di ricerca e di politica pubblica in
BALLONI-VIANO, IV Convegno Mondiale di Vittimologia, Atti della giornata bolognese,
Bologna, 1989, 126.
9
primi sono chiamati a tutelare e patrocinare il suo diritto di giustizia e di
risarcimento
6
, dando luogo alla c.d. seconda vittimizzazione (a questo proposito,
infra § 2.4.3. b).
Certo è che la vittima è abbinata al crimine in modo ricorrente, anche se il
soggetto passivo, nella dinamica interpretativa del delitto è stato sempre lasciato
nell‟ombra
7
: per lungo tempo è stata ritenuta mero oggetto passivo della condotta
criminosa.
Nella comune accezione, infatti, la vittima è percepita come parte passiva
del reato, secondo lo stereotipo improntato sulla dicotomia reo/vittima, che
identifica quest‟ultima in un soggetto completamente inerme e passivo
8
. Questa
considerazione è vera nella stragrande maggioranza dei casi, ma, come hanno
dimostrato gli studi empirici e sociali
9
, per comprendere alcuni fenomeni
criminosi occorre considerare anche le ipotesi in cui la vittima svolge un “ruolo”
10
nella genesi e nella dinamica del reato. Si è giunti, così, ad ammettere che la
vittima rappresenta il secondo polo della diade criminale. La vittima, infatti,
compone, insieme al reo, la realtà umana con cui il diritto penale deve
confrontarsi: raramente, l‟analisi del fatto criminoso può essere compiuta
escludendo l‟esame del comportamento della persona che lo ha subito. La vittima
è, quindi, uno degli attori essenziali della situazione penalmente rilevante;
pertanto, l‟intera vicenda criminale deve essere esaminata tenendo conto del ruolo
svolto da ciascuno nella dinamica che ha prodotto il verificarsi del reato
11
.
Con l‟attenzione rivolta alla vittima del reato si è spostata l‟ottica
dell‟indagine criminologica – tradizionalmente di tipo criminalcentrico – sul
fenomeno criminoso nella sua globalità; quando si esamina un reato si deve
6
Sull‟argomento si veda la pubblicazione del Laboratorio Salute Sociale, Anziani, donne
e bambini vittime del crimine. Confronto e scambio di esperienze europee, LSS, Milano, 2004, 5
ss.
7
BALLONI, Cause ed effetti del ritardato sviluppo della vittimologia, in La vittima del
reato, questa dimenticata, Atti dei Convegni Lincei n. 175, Roma, 2001, 15. Sui fattori del
ritardato sviluppo degli studi sulla vittima, infra §2.
8
Lo stereotipo del crimine dà per scontato che il rapporto tra il criminale e la vittima sia
tale per cui quest‟ultima ignora l‟esistenza e le intenzioni del primo mentre, in realtà, in molti casi
la vittima ha un ruolo importante (spesso cruciale) nel c.d. acting out. Vedi, CHAPMAN, Lo
stereotipo del criminale, Torino, 1971, 167.
9
Tra i primi gli studi di Von Hentig.
10
Oppure ha caratteristiche peculiari di vulnerabilità o particolari predisposizioni.
11
BALLONI, Vittime, crimine e difesa sociale, Bologna, 1989, 1.
10
partire dal presupposto che il reato è interazione, è un “dramma” a due
protagonisti e ciò rende opportuno affrontare i complessi rapporti tra i due
soggetti, indagandone le interazioni e individuandone la reciproca influenza.
Sarebbe, invero, impossibile comprendere il sorgere, lo svolgersi e l‟epilogo del
fenomeno criminale se non lo si esaminasse sotto la visuale della dialettica tra
criminale e vittima
12
.
12
CORRERA-RIPONTI, Rilevanza della vittima nella genesi e nella dinamica dei
fenomeni criminosi, in La vittima nel sistema italiano della giustizia penale: un approccio
criminologico, Padova, 1990, 6; TRANCHINA, La vittima del reato nel sistema penale italiano, in
GULOTTA-VAGAGGINI (a cura di), Dalla parte della vittima, Milano, 1980, 322.
11
1.1 La vittima nel diritto penale sostanziale e processuale:
distinzioni terminologiche
Mentre, come si è accennato, il termine “vittima” è impiegato abitualmente
in criminologia, nel diritto penale esso non compare. Nel contesto penalistico si
ritrovano invece i concetti di “offeso”, “persona offesa”, “parte lesa” o “soggetto
passivo”
13
.
Dal momento che questo studio si propone di esplorare i diversi ruoli
assunti dalla vittima nel diritto penale sostanziale e processuale, è opportuno
chiarire, preliminarmente, il significato delle espressioni usate dal codice penale e
dal codice di procedura penale per indicare tale soggetto.
Il soggetto passivo del reato
Da un punto di vista tecnico-giuridico, la vittima si identifica con il
soggetto passivo del reato
14
, il quale si contrappone al soggetto attivo, che è la
persona che realizza il fatto criminoso.
Precisamente, la dizione “soggetto passivo del reato” indica la persona
titolare dell‟interesse tutelato dalla norma penale e offeso dalla condotta illecita.
Non va confuso il soggetto passivo con l‟oggetto materiale dell‟azione, il quale
può essere una persona o una cosa su cui si esplica fisicamente la condotta
dell‟autore. L‟oggetto materiale può divergere dal soggetto passivo oppure
convergere. Le due figure coincidono nell‟omicidio, ma non nella mutilazione
fraudolenta della propria persona, dove l‟oggetto materiale è lo stesso corpo della
vittima, mentre soggetto passivo è l‟assicuratore (art. 642 c.p.)
15
.
Per il diritto penale sostanziale, le caratteristiche e il comportamento del
soggetto passivo possono rilevare come elemento costitutivo del reato, per
13
PORTIGLIATTI BARBOS, Vittimologia, in Digesto Discipline Penalistiche, XV
volume, 1999, 319.
14
In realtà, la locuzione è di creazione esclusivamente dottrinale, non trovando utilizzo né
nel codice penale, né nel codice di procedura penale. È lecito ipotizzare che la locuzione abbia
origine da una visione del reato come fenomeno unilaterale, CAGLI, Condotta della vittima e
analisi del reato, in Rivista Italiana Diritto e Procedura penale, 2000, vol. XLIII, 1151.
15
Tra gli altri, FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 1995, 146
ss.
12
l‟integrarsi di circostanze aggravanti o attenuanti, oppure per la sussistenza di
cause di giustificazione
16
.
La persona offesa
Per indicare il soggetto passivo del reato il codice penale e il codice di
procedura penale usano anche l‟espressione “persona offesa dal reato”. Quando la
locuzione è usata nel Codice di rito, il significato è diverso perché il reato cui ci si
riferisce non è l‟illecito penale, ma il reato in senso processuale, vale a dire
l‟ipotesi (oggetto di verifica nelle forme e nei modi stabiliti dal diritto processuale
penale) che un reato sia stato commesso. Solo alla fine del processo si saprà se il
reato in senso processuale si è convertito nel reato come illecito penale. I diritti
che il Codice di procedura penale assegna alla persona offesa dal reato si possono
riferire solo ipoteticamente a un illecito penale
17
.
Inoltre, la nozione di “persona offesa” è più ampia di quella di “soggetto
passivo”, come dimostra la disciplina della querela, che talora è attribuita a
soggetti che non sono titolari del bene giuridico offeso dal reato (non sono,
dunque, soggetti passivi in senso proprio) e la legittimazione dei c.d. enti
esponenziali, ossia degli “enti e (del)le associazioni senza scopo di lucro ai quali,
anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede, sono state
riconosciute in forza di legge, finalità di tutela degli interessi lesi dal reato” a
“esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i diritti e le facoltà attribuiti
alla persona offesa dal reato” (art. 91 c.p.p)
18
.
Il danneggiato dal reato
Danneggiato dal reato è colui che dal reato riceve un danno risarcibile, sia
esso patrimoniale o non patrimoniale. Può non coincidere con il soggetto passivo
16
Si rinvia al Capitolo II.
17
PAGLIARO, La rilevanza della vittima nel diritto penale sostanziale, in La vittima del
reato, questa dimenticata, Atti dei Convegni Lincei n. 175, Roma, 2001, 29.
18
FORTI, L‟immane concretezza: metamorfosi del crimine e controllo penale, Milano,
2000, 260.
13
del reato. Ad esempio, in un delitto di omicidio, soggetto passivo è colui che
viene ucciso; danneggiati sono i familiari della vittima
19
.
Il danneggiato può costituirsi parte civile nel processo penale ai fini del
risarcimento del danno subito oppure può chiedere il risarcimento in separato
giudizio civile
20
.
Come si è visto, il soggetto passivo non coincide necessariamente con
l‟oggetto di questo (inteso come bene giuridico leso o messo in pericolo), né con
l‟oggetto materiale, né con il danneggiato
21
.
19
PAGLIARO, La rilevanza della vittima nel diritto penale sostanziale, in La vittima del
reato, questa dimenticata, Atti dei Convegni Lincei n. 175, Roma, 2001, 30.
20
Si rinvia al Capitolo III, § 2.4.
21
PORTIGLIATTI BARBOS, Vittimologia, in Digesto Discipline Penalistiche, XV
volume, 1999, 320.
14
2. La vittimologia
Le tradizionali scuole di pensiero giuridico-criminologico ignorarono la
vittima: sia la Scuola Classica che la Scuola Positiva si concentrarono sull‟autore
del reato. Per gli esponenti della Scuola Classica, la vittima non assumeva rilievo
in campo penale, in quanto il reato era considerato come un evento diretto contro
la società; per la Scuola Positiva, l‟attenzione andava rivolta alle caratteristiche
del delinquente e alla possibilità di un suo recupero: sia che si seguisse l‟indirizzo
antropologico-criminale in senso stretto, o quello socio-ambientale, di fatto,
nell‟analisi scientifica del crimine, la vittima non aveva cittadinanza.
22
. Ne discese
che, per molto tempo, la vittima non fu considerata né dalla criminologia né dal
diritto penale, – o, meglio – la vittima fu considerata mero oggetto (anziché
soggetto) passivo dell‟evento criminoso.
In realtà, è con la Scuola Positiva che iniziò una parziale apertura in
direzione del recupero del ruolo della vittima per la spiegazione del crimine. Ferri
e Garofalo
23
cominciarono a dare rilievo alla vittima seguendo due direttrici
principali: il risarcimento alla vittima da parte dello Stato e la possibilità che la
vittima sia “concausa” del verificarsi del crimine. Sotto questo profilo, non
bisogna dimenticare che la criminologia positivista aveva, comunque, per oggetto
fondamentale lo studio del reo; in questa prospettiva, l‟attenzione nei confronti
dell‟offeso era finalizzata a decifrare quanto il delinquente fosse pericoloso. Il
contributo fornito dalla Scuola Positiva alla presa d‟atto della pluridimensionalità
del crimine si rinviene, dunque, nell‟acquisita consapevolezza che il reato è anche
un “fatto sociale”; se ne ricava, pertanto, che la riparazione del danno causato dal
crimine assume un rilievo essenziale non solo in riferimento alla necessità di
soddisfacimento della vittima, ma anche rispetto alle funzioni di repressione e di
prevenzione proprie del sistema penale
24
.
22
PORTIGLIATTI BARBOS, Vittimologia, in Digesto Discipline Penalistiche, XV
volume, 1999, 319.
23
GAROFALO, Riparazione alle vittime del delitto, Torino, 1887.
24
“… il risarcimento del danno … è l‟unico rimedio che lo Stato possa attuare a tutela
diretta dell‟offeso”… Il risarcimento dei danni derivanti da reato acquista la fisionomia di una
“funzione sociale spettante allo Stato nell‟interesse diretto del privato offeso ma anche
15
Tuttavia, non va tralasciata la precisazione che, all‟interno dell‟impianto
positivista, l‟attenzione alla vittima era legata a una visione politica criminale di
difesa sociale. È per questa ragione che i diritti del soggetto passivo del reato
hanno tardato ad affermarsi, perché, in ogni caso, l‟analisi delle vittime di reato
restava funzionale allo studio dell‟autore
25
.
La dottrina si è interrogata sui motivi del ritardato sviluppo dello studio dei
diritti e delle garanzie di uno dei protagonisti della vicenda criminale e ha
individuato alcune possibili spiegazioni.
Forti ritiene che si debba fare riferimento “all‟antico male del pensare per
autori”, diretta conseguenza del tradizionale e consolidato rapporto di dipendenza
della criminologia dal diritto penale e dell‟interesse tradizionalmente rivolto da
questo nei confronti dell‟autore del reato
26
. Del resto, l‟interesse per il criminale
rispondeva allo scopo (perseguito dalla criminologia) di individuare le cause del
crimine e di determinare le tipologie di individui predisposti al crimine e
“candidati” a divenire criminali: seguendo tale paradigma teorico, chi subiva in
concreto l‟azione delittuosa finiva per essere trascurato perché l‟attenzione era
rivolta esclusivamente sull‟autore.
Un‟altra possibile causa del ritardato interesse nei confronti della vittima è
individuata dalla dottrina
27
nell‟esistenza di uno stereotipo dominante, che ha
consentito che si continuasse a pensare al reato come prodotto scaturente dalla
mera contrapposizione manichea tra male e bene. Come vedremo, invece, gli studi
vittimologici hanno mostrato che tale rigida dicotomia si rivela fallace: da un lato,
spesso la vittima ha un ruolo determinante nella vicenda criminale; dall‟altro lato,
sovente, l‟assunzione del ruolo di vittima o di criminale dipende da circostanze
nell‟interesse indiretto e non meno efficace della difesa sociale”, FERRI, Relazione sul Progetto
preliminare di codice penale italiano per i delitti, in Appendice a Principii di diritto criminale,
1921 citato da VENAFRO, Brevi cenni introduttivi sull‟evoluzione della tutela della vittima nel
nostro sistema penale, in VENAFRO-PIEMONTESE (a cura di), Ruolo e tutela della vittima in
diritto penale, Torino, 2004, 13 ss.; MANNOZZI, La giustizia senza spada. Uno studio comparato
su giustizia riparativa e mediazione penale, Milano, 2004, 307.
25
VENAFRO, Brevi cenni introduttivi sull‟evoluzione della tutela della vittima nel
nostro sistema penale, in VENAFRO-PIEMONTESE (a cura di), Ruolo e tutela della vittima in
diritto penale, Torino, 2004, 18.
26
FORTI, L‟immane concretezza: metamorfosi del crimine e controllo penale, Milano,
2000, 254.
27
Tra cui VIANO, Victim and Society, 1976 citato da PORTIGLIATTI BARBOS,
Vittimologia, in Digesto Discipline Penalistiche, XV volume, 1999, 319.
16
varie e, talvolta, anche dal caso: il confine tra le reciproche condotte non è,
pertanto, descrivibile in modo netto e preciso
28
.
Tra gli altri fattori che possono contribuire a interpretare le cause della
lunga assenza negli studi criminologici della “vittima” come soggetto essenziale
nello studio del reato, la dottrina ha, inoltre, evidenziato
29
:
- la preoccupazione che l‟approfondimento dell‟indagine sull‟apporto
causale o concorrente della vittima al compimento del reato venisse visto
come elemento di rischio ai fini della repressione e della punizione, dal
momento che l‟attribuzione alla vittima di parte della colpa avrebbe potuto
indurre un‟attenuazione di responsabilità del reo;
- la constatazione che la società si interessava al reo perché lo riteneva
pericoloso mentre quasi ignorava la vittima, perché la considerava
inoffensiva e, quindi, non meritevole di particolare attenzione e cura.
28
Con riferimento alla possibilità di divenire vittima in seguito ad una rissa o ad un
duello si è parlato di vittima potenziale o alternativa; è, inoltre, il caso di situazioni con intensi
rapporti interpersonali in cui la violenza assume caratteri di normalità ma che, superando un certo
limite, possono portare a soglie di dolore più intenso o alla morte di un membro del gruppo.
Sull‟argomento vedi VON HENTIG, op. cit., CHAPMAN, Lo stereotipo del criminale, Torino,
1971, 167.
29
PORTIGLIATTI BARBOS, Vittimologia, in Digesto Discipline Penalistiche, XV
volume, 1999, 319.
17
2.1. La progressiva acquisizione della pluridimensionalità del
fatto criminoso
L‟interesse scientifico per la vittima esplose alla fine della seconda guerra
mondiale senza, peraltro, produrre alcun risultato di rilievo in termini normativi
30
.
Come si vedrà, i primi approcci vittimologici, in ossequio all‟ideologia
positivista, focalizzavano la ricerca sull‟identificazione dei fattori che potevano
contribuire a delineare modelli non casuali di vittimizzazione e identificare le
tipologie di vittime che potevano aver contribuito alla propria vittimizzazione. I
primi vittimologi cercavano di capire sia i fattori che conducevano il reo a
scegliere determinate vittime (invece di altre), sia il comportamento,
l‟atteggiamento o il modo di essere di una vittima che poteva aver interagito con il
criminale. La prima vittimologia ricercava schemi, modelli, regolarità nei
comportamenti della vittima all‟interno dell‟interazione con il criminale, al fine di
schematizzarli e rappresentarli in una legge scientifica universalmente applicabile.
Dall‟analisi degli atteggiamenti e delle qualità della vittima, si cercava di
estrapolare i caratteri che conducevano, di regola, ad agevolare, avviare,
incoraggiare o determinare la dinamica della vittimizzazione. Conseguenza di tale
approccio scientifico era l‟elaborazione di tipologie, classificazioni di vittime e
delle loro caratteristiche
31
.
Le classificazioni elaborate dai primi studiosi erano di due tipi differenti:
descrittivo e esplicativo. Con le classificazioni del primo tipo, si cercava di
30
PORTIGLIATTI BARBOS, Vittimologia, in Digesto Discipline Penalistiche, XV
volume, 1999, 321. È interessante notare come, la nascita di una riflessione scientifica sulla
vittima avvenne come tentativo di liberarsi di un senso di colpa, in questo caso di un processo di
autocolpevolizzazione legato al fenomeno della shoah. Non a caso i primi sociologi, criminologi e
vittimologi erano d‟origine ebraica. Essi furono i primi ad interessarsi ad aprire questo versante
della riflessione sulla vittima: in qualche modo cercavano di liberarsi di un peso. Nella prima parte
della produzione scientifica non si ebbe questa liberazione; ci fu, anzi, una riaffermazione della
colpa della vittima. Nei primi studi vittimologici si affermava, infatti, che la vittima è
corresponsabile dell‟evento delittuoso (per la propria condotta di vita, perché imprudente, perché
“diversa”). L‟interesse vittimologico nasce, dunque, da un‟ossessione che, invece di condurre alla
liberazione dal senso di colpa, declina nella connivenza tra autore e vittima, PAVARINI,
Relazione al Convegno La Vittima del reato, questa sconosciuta, Torino, 09.06.2001,
www.giuristidemocratici.it.
31
Sull‟argomento si rinvia a SAPONARO, Vittimologia, Milano, 2004, 97 per la
bibliografia ivi citata.
18
rappresentare l‟interazione criminale-vittima e il fenomeno del crimine. Con le
classificazione di tipo esplicativo, invece, si cercava di spiegare il funzionamento
e gli elementi dell‟interazione mediante le caratteristiche della vittima che
potevano produrre uno schema
32
.
Di primaria importanza per la nascita della prospettiva vittimologica fu il
contributo di quattro Autori: Wertham, Von Hentig, Ellenberger e Mendelsohn;
determinante per lo sviluppo e l‟approfondimento della disciplina, invece, fu
l‟opera di Fattah.
Fu Wertham
33
il primo che introdusse la prospettiva sociologica della
vittima nello studio del crimine
34
. In particolare, l‟Autore auspicava, per lo
specifico reato di omicidio, l‟analisi della “sociologia della vittima”. Wertham
riteneva meccanica e semplicistica la rappresentazione di un conflitto dinamico
nella mente dell‟omicida tra impulso aggressivo e controspinte inibitorie, mentre
attribuiva grande importanza alla distinzione tra impulso violento e
razionalizzazione, intesa come autogiustificazione da parte dell‟agente del suo
atto: in tal modo evidenziava il legame tra processo di razionalizzazione
dell‟agente e connotati individuali e sociali della vittima.
Von Hentig, nella fondamentale opera “The Criminal and His Victim”
35
,
riprese e sviluppò i risultati cui era pervenuto in un suo precedente lavoro
(Remarks on the interaction of perpetrator and victim
36
) minando le basi della
tradizionale contrapposizione rigida tra vittima e autore. Per capire la portata
rivoluzionaria dell‟opera, va ricordato come questa si collocò in un momento
storico in cui lo studio scientifico del crimine era esclusivamente orientato
sull‟autore del reato: il criterio cui si ispiravano diritto penale e criminologia era
quello secondo cui la relazione tra criminale e vittima era pari a quella tra
soggetto e oggetto
37
.
32
SAPONARO, Vittimologia, Milano, 2004, 98.
33
WERTHAM, The Show of Violence, New York, 1949, 251 come citato da
SAPONARO, Vittimologia, Milano, 2004, 5 ss.
34
Nonostante la materia sia interdisciplinare e multidisciplinare, lo sviluppo teorico e
metodologico della vittimologia ha visto prevalere la prospettiva sociologica, SAPONARO,
Vittimologia, Milano, 2004, 3.
35
VON HENTIG, The Criminal and His Victim. Studies in Sociology of the Crime, New
Haven (Connecticut), 1948.
36
VON HENTIG, Remarks on the interaction of perpetrator and victim, 1941.
37
SAPONARO, Vittimologia, Milano, 2004, 9.