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PREMESSA
La “cultura” della vite, in Sicilia, trae origine da conoscenze e saperi antichi e investe aspetti
sociali, economici ed ambientali di eccezionale importanza; le specificità territoriali, la natura dei
suoli, il clima e le genti, trovano poliedriche espressioni e caratteristiche variegate, contribuendo a
costituire una piattaforma produttiva vasta e multiforme.
Sebbene la presenza della vite sull'isola in forma spontanea fosse precedente alla colonizzazione
greca (come testimonia il ritrovamento di viti fossili risalenti al diciassettesimo secolo a.C.
nell'agrigentino, a Grotte, e presso Paternò Castello, in provincia di Catania), ed è testimoniata dalla
documentazione letteraria
1
e da quella archeologica (ritrovamenti di ceramica micenea appartenenti
all’ultimo quarto del sec. XII a.C.) la coltura sistematica della vite risale ai tempi in cui i primi
coloni greci giunsero in Sicilia, nell'ottavo secolo avanti Cristo. Furono proprio i greci ad inventare
(e ad esportare in Sicilia e nelle altre colonie del Mediterraneo) la potatura, la coltura ad alberello e
la selezione delle migliori varietà.
Il percorso storico realizzato dalla Sicilia del vino, si riflette sulla composizione varietale del
vigneto siciliano, caratterizzato da un ampio e variegato patrimonio ampelografico: dagli autoctoni
di antica tradizione caratterizzati ormai da una ricca selezione policlonale, ai vitigni internazionali,
che acquisiscono nei territori siciliani caratteri distintivi e di grande personalità.
Secondo i dati dell’Assessorato Agricoltura e Foreste aggiornati al 2011, la cultivar più diffusa in
Sicilia è il Catarratto bianco comune che con una superficie di 30.368 ha, rappresenta il 26,94%
della superficie siciliana investita a vite da vino, seguita dal Nero d’Avola con 18.296 ha (16,23%),
dal Catarratto bianco lucido e dall’Inzolia con (rispettivamente il 6,55% ed il 6,02% del totale
investito a vite da vino con 7.389 e 6.783 ha); poco distanti il Grillo, il Trebbiano toscano, il Syrah
(primo tra i vitigni internazionali con il 4,81% del totale) e lo Chardonnay (4,41%)
2
.
Se si esamina, la dislocazione geografica dei vitigni per provincia emerge come alcune cultivar
trovino diffusione in tutto il territorio regionale (Nero d’Avola, Chardonnay, Merlot), mentre altre
presentano una profonda connotazione territoriale: il Catarratto, il Damaschino, il Petit Verdot ed il
Grecanico hanno trovato un acclimatamento e sono coltivate in alcuni specifici areali tra le
provincie di Trapani, Agrigento e Palermo; inoltre in alcune provincie (Catania, Caltanissetta,
Ragusa e Siracusa) vi è una netta prevalenza di un vitigno sugli altri, a connotare una viticoltura
molto specializzata. Tali dati saranno comunque approfonditi nel corso della trattazione del presente
1
Fonte: Od. IX 151-171, Od. IX, 194-213
2
Dati Ass. Reg. Risorse Agricole e Alimentari U.O.30 – Interventi OCM vitivinicola
lavoro, ed in questa fase servono solo per tratteggiare la ricchezza e l’estensione della
vitivinicoltura siciliana.
Il sistema vitivinicolo siciliano è oggi costituito da un universo di strutture produttive, orientamenti
e politiche imprenditoriali assai diversificate: sempre meno importante è la presenza di aziende
produttrici di vino costituita da strutture cooperative e cantine, ancora orientate alla produzione di
vino sfuso, mentre emergono nel mercato domestico e nel panorama internazionale le imprese
siciliane, sia private che cooperative, dotate di un intenso dinamismo evolutivo, nelle quali
organizzazione e strutture produttive sono basate su alta professionalità e su gestioni fortemente
orientate al mercato ed al soddisfacimento dei bisogni dei consumatori non solo locali.
Scopo del presente lavoro è quello di fornire elementi di analisi, studio ed interpretazione del
mercato internazionale del vino e dei percorsi di internazionalizzazione attuabili dalle imprese
vitivinicole siciliane e con ciò si ritiene di potere dare elementi utili di studio e di riflessione per
quelle aziende, già proiettate all'estero, che vogliano intraprendere tale percorso.
A tal fine, in prima istanza, è stata analizzata la storia della vitivinicoltura siciliana, e le dinamiche
che hanno dapprima posto la Sicilia al centro degli scambi e dei commerci nel Mediterraneo, e
successivamente hanno visto alternarsi, periodi floridi, densi di scambi con i diversi popoli europei,
a periodi di profonda crisi strutturale. L'analisi della "storia del vino in Sicilia", nelle intenzioni di
chi scrive, serve per dare pluridimensionalità ad uno studio, che se considerasse una prospettiva
temporale limitata al presente, perderebbe profondità e manterrebbe inesplicate alcune tra le cause
dei problemi che contraddistinguono la realtà vitivinicola dell'isola.
Successivamente sono state esaminate le caratteristiche strutturali del settore vitivinicolo siciliano,
la dinamica delle superfici e delle produzioni siciliane nel contesto nazionale, nonché le
connotazioni essenziali della filiera del vino ed il suo ruolo nell'economia regionale.
Un capitolo a parte è stato dedicato all’andamento delle politiche a sostegno del settore, valutando
l’impatto della nuova OCM vino e delle politiche di sviluppo rurale sul settore e di come queste
stiano contribuendo a cambiare l’aspetto e la sostanza della vitivinicoltura siciliana.
Nei capitoli successivi è stata posta l’attenzione sulle dinamiche del commercio internazionale e
nazionale di vino, cercando di cogliere le potenzialità espresse dalle aziende che operano ed
investono sui mercati esteri e quelle invece inespresse, che potrebbero dare maggiore forza e vigore
alle strategie di internazionalizzazione delle imprese siciliane. Infine sono stati analizzati alcuni tra i
più importanti mercati esteri, sia storici e tradizionalmente legati ai prodotti siciliani, nonché quelli
emergenti, nella convinzione che, in futuro possano dare un maggiore respiro internazionale alle
nostre produzioni e garantire il successo degli imprenditori vitivinicoli che vorranno investirvi,
scegliendo politiche di produzione e strategie di commercializzazione adeguate.
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1 STORIA DEL VINO SICILIANO
1.1 Origini della vitivinicoltura e della vinificazione
Le fonti disponibili per la individuazione dell’origine della pratica della viticoltura e della
vinificazione nonché per l’identificazione della loro diffusione nelle diverse aree del continente
euroasiatico sono molto numerose e di differente origine ed hanno dato luogo, nel tempo, a diverse
interpretazioni, non sempre attente alla distinzione esistente tra la coltivazione dell’uva, la
vinificazione, il trasporto, il commercio del vino sino al suo consumo.
Le testimonianze relative alla coltivazione della vite, infatti, non indicano necessariamente che
quell’uva fosse trasformata in vino, e l’identificazione di anfore destinate al trasporto di vino può
indicarne il “passaggio” e non per forza la produzione in quei luoghi. Le uniche testimonianze
archeologiche affidabili della coltivazione della vite sono costituite dalla presenza di frammenti di
legno o di foglie di vite, mentre per dimostrare che in determinati luoghi fosse praticata la
vinificazione, occorre il ritrovamento di strumenti utilizzati in quel processo, soprattutto torchi da
vino.
Le testimonianze della viticoltura e del vino sono costituite fondamentalmente da due tipologie:
letterarie ed archeologiche. Le seconde sono le più affidabili, ma sono incostanti per quantità e
conservazione e la loro abbondanza varia fortemente in funzione del periodo, dei luoghi e delle
pratiche a cui si riferiscono. Le testimonianze dirette della vinificazione sono rare, anche se molte
anfore e recipienti per il trasporto ed il consumo di vino sono stati rinvenuti in tutto il mediterraneo,
permettendo di tracciare con una certa precisione le rotte dei commerci.
Le fonti letterarie, ed i materiali illustrativi, sono invece relativamente abbondanti, ma anche di più
difficile interpretazione; la presenza di pitture murarie, di affreschi, mosaici, bassorilievi, statue o
pitture vascolari relativi al vino, ai riti, alle pratiche di coltivazione della vite e di consumo del vino,
non sono di per sé esaustivi della pratica della viticoltura o dell’impiego del vino, soprattutto nelle
culture in cui il vino era assurto a simbolo religioso
3
. Più affidabili sicuramente risultano i papiri o
le tavolette in cui venivano registrate le caratteristiche dei vigneti, del commercio e della
produzione del vino, ovvero le raffigurazioni su monete di motivi legati alla vitivinicoltura, perché
registrano il valore e l’importanza economica di quella pratica. Fondamentale anche l’apporto
fornito dai grandi poemi epici tra cui il sumero “Epopea di Gilgamesh” e l’Odissea omerica, in cui
si raccontano storie di eroi ed il loro rapporto con gli dei; le fonti letterarie ci danno informazioni
utilissime, non solo per apprezzare e stimare il significato religioso del vino in quelle culture, ma
anche sull’uso e sul consumo quotidiano che nell’antichità si faceva della “Divina” bevanda. Ad
3
Unwin T, Storia del vino. Geografie, culture e miti dall'antichità ai giorni nostri, Donzelli Editore 2002
esse va aggiunto l’ampio corpus dei libri biblici, dalla bibbia ebraica sino al vecchio e nuovo
testamento di stampo cristiano, fonti preziose per analizzare il simbolismo ebraico e cristiano legati
alla vite ed al vino.
La coltivazione della vite volta alla produzione del vino risale ad epoche antichissime ed è
probabilmente iniziata, verso la fine del neolitico
4
, in seguito ad una casuale fermentazione di uva
di viti spontanee conservata in rudimentali recipienti. Presso alcuni insediamenti umani preistorici
sono stati, infatti, trovati cumuli di semi di Vitis silvestris, che potrebbero essere i residui di
primitivi processi di vinificazione effettuati dentro buche scavate nella terra, come veniva fatto
ancora nel secolo scorso in alcune località del Caucaso.
La zona di origine della vite coltivata (Vitis vinifera sativa) si situa nelle regioni del Mar Nero e del
Mar Caspio, in una zona delimitata dagli stati odierni della Turchia, Siria, Iraq, Iran e Russia. Il
luogo di origine della vitivinicoltura potrebbe essere identificato dunque a nord delle grandi pianure
del Tigri e dell’Eufrate, ed il ritrovamento presso Ur, antica città dei Sumeri, di tavolette che
indicano l’esistenza di vigneti coltivati nella metà del terzo millennio a.C., nonché di orci di
terracotta per la conservazione del vino, lo conferma. Presso gli Assiri ed i Babilonesi, il consumo
del vino continuò ed ebbe grande fortuna, fatto dimostrato dagli splendidi bassorilievi trovati a
Ninive e risalenti al VII a.C. La coltivazione della vite da vino, si diffuse dalle regioni Caucasiche,
in tutto il bacino del mediterraneo, dapprima attraverso la Siria, il Libano e la Palestina, sino in
Egitto (3.500 a.C.), poi andando ad interessare Creta, la Grecia (1.500 a.C.) e le altre regioni più a
ovest.
1.2 Breve storia del vino in Sicilia
Il ritrovamento di viti selvatiche fossili (ampeloliti) risalenti all’era Terziaria, e dunque precedenti
di molti milioni di anni la comparsa dell’uomo, è “il segno di un antica attitudine, di un naturale
destino delle sue terre
5
”, arcaica propensione di una terra dove la vite cresceva spontanea. La
Sicilia, occupa dunque un ruolo di primo piano nell’ambito della riscoperta delle radici
filogenetiche oltre che storiche e culturali della viticoltura europea e mondiale.
I fenici prima, all’inizio del I millennio a.C., ed i punici poi, con i loro commerci e scambi, diedero
un grande stimolo al consumo di vino in tutte le coste del Mediterraneo cui approdarono, facendone
uno dei prodotti più importanti degli scambi commerciali di quell'epoca ed in un secondo tempo
svilupparono una notevole azione di stimolo della viticoltura dell’isola, che già in alcune zone
4
Le fonti individuano un periodo temporale compreso tra il 6.000 a.C. ed il 4.000 a.C., anche se il consumo occasionale
del vino da uve non coltivate, ma spontanee, potrebbe essere iniziato tra il 10.000 a.C. e l’8.000 a.C. (Unwin, 2002)
5
B. Pastena: La civiltà della vite in Sicilia, Palermo 2009 (ristampa)
12
costiere era praticata dalle popolazioni indigene (XIV secolo a.C.). Ritrovamenti di anfore e
brocche di sicura destinazione vinicola nella necropoli di Mozia, risalenti all’VII-VI secolo a.C.
confermano l’importanza della vitivinicoltura nell’isola in epoca punica.
I greci, contribuirono a fare della vite una coltura stabile, non più spontanea, così come si
presentava in diverse aree dell’isola nell’VIII sec. a.C. e come testimoniato anche da alcune
citazioni nell’Odissea riferita all’isola dei Ciclopi
6
, che rappresentano la prima attestazione
letteraria in Europa dell’esistenza di una protoviticoltura costituita da viti selvatiche.
La colonizzazione greca iniziò intorno al 750 a.C. a Naxos, ad opera dei calcidesi, e
successivamente si propagò nella costa est dell’Isola sino a Megara Iblea e Siracusa poi a sud verso
Gela, per poi espandersi ad ovest sino ad Akragas (Agrigento) ed Imera ed a Nord verso Zancle
(Messina). Di questo periodo rimangono importanti documenti storici. Scrive Diodoro Siculo: “A
quei tempi (fine V sec. a.C. inizio IV sec. a.C.) la città e la regione di Akragas vivevano una
condizione di grande benessere […] C’erano vigneti di eccezionali dimensioni e bellezza e la
maggior parte delle terre era coperta di ulivi, la cui massiccia produzione era destinata al
commercio con Cartagine.”
Ciò che differenziò i Greci dalle altre etnie su suolo siculo e ciò che fu il segno distintivo della loro
superiorità, restando nel campo della vitivinicoltura, fu l’aspetto culturale ad essa connesso ed una
competenza tecnica unica maturata nel corso di numerose generazioni.
I greci gestivano il vigneto con tecniche che potrebbero sembrarci attuali: praticavano la selezione
clonale (l’eredità greca rimane nei nomi dei vitigni ancora oggi coltivati quali il Grecanico ed il
Corinto), la potatura corta e quella verde, la forma di allevamento ad alberello e non
necessariamente appoggiata a sostegni vivi o morti, le concimazioni e le frequenti lavorazioni
superficiali del terreno. La raccolta manuale, attenta a non danneggiare i grappoli, era il segno di
una vinificazione finalizzata ad ottenere prodotti di qualità, così la fermentazione, i travasi, la
conservazione e il trasporto del vino.
I coloni Greci non sempre abbandonavano i luoghi di origine per spirito di avventura o perché presi
da mire espansionistiche; la necessità di trovare terre coltivabili che scarseggiavano in patria spesso
era la ragione principale del loro espansionismo. In ciò possiamo individuare una forma di
“internazionalizzazione produttiva” ante litteram.
La particolare conformazione montuosa della Grecia e il massiccio incremento demografico dovuto
all’elevato grado di civiltà e di benessere raggiunto rendevano insufficienti i pochi campi
disponibili. La viticoltura era l’elemento di coesione dei gruppi e di distinzione della società, il
6
“Non seminato, non piantato o arato./L’orzo, il frumento e la gioconda vite/che, si carca di grosse uve/che la pioggia
di Zeus rigonfia”
reperimento delle terre e la loro distribuzione e coltivazione gli obiettivi prioritari dei movimenti
migratori.
E fu proprio la terra l’elemento caratterizzante di tutta la storia siciliana in generale e della
viticoltura dell’isola, in particolare. Una terra fertile e generosa, fonte di enormi ricchezze, che
conquistò tutti i popoli che nel corso dei millenni si alternarono nella sua conquista. Anche durante
le lunghe guerre con i punici l’attenzione a non distruggere le campagne e a recuperare rapidamente
ciò che era stato inevitabilmente distrutto fu molto elevata.
A questo periodo appartengono anche alcuni dei documenti più antichi ed importanti relativi al vino
in Sicilia. Il più antico di essi fu ritrovato a Naxos ed è risalente al 550-530 a.C.; si tratta di una
moneta d’argento, su cui, da un lato è raffigurato Bacco, e sull’altro un grappolo d’uva,
manifestando non solo l’importanza simbolica dei riti legati al vino, ma anche l’importanza
economica assunta dalla sua produzione. Un altro ritrovamento di grande significato è rappresentato
da un “askos” (vaso schiacciato) risalente al V secolo a.C., ritrovato a Centuripe, in cui vi è
un’iscrizione in siculo, dove per la prima volta viene usata la parola “Viino”
7
.
Nel 212, con la fine delle guerre puniche tra Roma e Cartagine, la Sicilia, ormai possedimento
romano, diventò Provincia.
La differenza con il precedente periodo greco e punico fu enorme. I Greci non mostrarono mai un
interesse particolare ad unificare l’isola sotto un unico governo centrale. Le poleis, pur
caratterizzate da un grado di civiltà elevato, non avvertirono l’esigenza di una qualche forma di
amministrazione comune né di estendere il proprio dominio sui territori occupati dai Sicani, Siculi,
Fenici ed Elimi, la cui presenza non era certo un freno alla loro espansione commerciale. La terra
era suddivisa fra quanti la potevano coltivare, e il commercio con l’estero di vino, olio, ma anche di
altri prodotti, era assai fiorente.
Con la conquista di Roma, la Sicilia fu solo romana. La terra divenne demanio dello stato, “ager
publicus”, o proprietà privata di senatori patrizi e, successivamente, anche dell’imperatore. La
produzione di grano, da distribuire gratuitamente alla plebe romana, e la pastorizia furono le attività
preminenti. Il fundus, piccolo appezzamento di terra, fu accorpato ad altri e divenne latifondo (fatto
attestato dalle grandi ville rurali site a Piazza Armerina, a Noto, Patti, Eraclea Minoa e Lilibeo).
La vite, l’ulivo, gli ortaggi furono relegati nelle proprietà rimaste in mano ai privati; secondo il
Pastena, in Sicilia, in epoca romana erano coltivati a vite 21.600 ettari, per una produzione di vino
di 540.000 Hl. Comunque il merito principale dei romani nei confronti del vino, fu soprattutto
quello di favorirne la diffusione e la coltivazione nelle diverse zone dell’impero oltre che
assicurarne un consumo cospicuo a causa della sua centralità nei banchetti e del suo legame con la
7
B. Pastena: La civiltà della vite in Sicilia, Palermo 2009 (ristampa)
14
sacralità sia attraverso i culti dionisiaci per i pagani, sia divenendo uno dei simboli più importanti e
misteriosi dei riti cristiani.
Mentre dei vini siciliani del periodo greco non c’è molta memoria storica, il vino in epoca romana
riuscì a superare i confini dell’isola lasciandoci riferimenti storici e letterari importanti.
Uno dei vini siciliani più famosi era il Mamertino, (utilizzato da Giulio Cesare per festeggiare il suo
trionfo nel III consolato e ritenuto da Marziale e Strabonio, uno dei migliori vini dell’epoca)
prodotto a Messina, mentre l’importante ritrovamento a Pompei di anfore recanti la scritta
Tauromenitanum (ossia , il vino di Tauromenium che era la città di Taormina), indica il successo
commerciale dei vini siciliani all’epoca. Altre fonti citano anche i vini di Selinunte, di Catania ed il
Biblino (il Moscato di Siracusa o di Noto), apprezzato per il suo sapore dolce.
Plinio contava “195 vini siciliani, di cui 50 erano generosi, 12 prodigiosi, e ben 64 contraffatti”
8
.
La caduta dell’impero romano d’occidente, ufficialmente decretata con la deposizione
dell’imperatore Romolo Augustolo nel 476 d.C., fu per il mondo occidentale, ma non per la Sicilia,
un cataclisma storico di portata vasta e profonda.
La Sicilia non fu toccata dai gravi fenomeni che interessarono altre regioni europee e della penisola
e che consentirono ai barbari di occupare territori ricchi di civiltà e ricchezze. L’Italia era ridotta ad
un punto di tale degrado che gli stessi invasori non potevano trattenersi a lungo in città sprovviste di
tutto, persino di abitanti, e in campagne deserte e squallide. La viticoltura quasi scomparve e si
riprese solo a partire dall’anno 1000, dopo che per secoli era stata relegata nei campi protetti
all’interno dei conventi.
Le campagne siciliane, e con esse l’economia agricola dell’isola rimasero invece quasi invariate:
solo nel 440 d.C. arrivarono i Vandali, quando ormai il loro impeto distruttivo era quasi cessato e
nel 477 la cedettero ai Goti, dietro un pagamento di un semplice tributo. Teodorico, successore di
Odoacre, re dei Goti, non portò mai il suo popolo in Sicilia ma fu attento a tutelare la vita
economica dell’isola, in particolare le grandi proprietà terriere, tutte in mano a senatori e patrizi la
cui collaborazione era essenziale per lo sviluppo di un governo stabile. Si limitò ad inviare
funzionari statali e militari di presidio.
Qualche anno dopo la sua morte, nel 526 d.C., l’esercito dell’imperatore d’Oriente Giustiniano,
comandato da Belisario, sbarcò a Catania accolto come un liberatore da un popolo entusiasta: ai
Goti, ormai poco apprezzati per aver imposto negli anni una sempre più eccessiva pressione fiscale,
non rimase che lasciare rapidamente l’isola. Iniziò un periodo lunghissimo di pace e prosperità
economica. Con l’avvento dei Bizantini per la Sicilia non cambiò molto sul piano istituzionale e
sull’assetto proprietario delle terre rispetto alla situazione romana precedente; all’imperatore
8
Valerio Casalini: “La Grande Guida dei vini di Sicilia”, Edizioni Città Aperta, Troina (En), 2010
romano d’Occidente si sostituì quello d’Oriente e i comuni mantennero la loro autonomia
amministrativa. Importante, ai fini della storia vinicola della regione, la scelta di pagare i soldati
con l’assegnazione di lotti di terreno, anziché in denaro. I nuovi soldati-contadini, portarono con sé
vitigni dai luoghi di provenienza, dall’attuale Bulgaria, dalla Romania, dalla Serbia e dalla Croazia.
Questi vitigni furono i progenitori di quelli attualmente coltivati sia in Sicilia che in tutto il
meridione. Del periodo bizantino, rimangono alcuni scritti su medaglioni ed amuleti, trovati nelle
campagne del sud-est della Sicilia, che venivano posti a protezione dei vigneti, nonché iscrizioni
che attraverso formule magiche dovevano provvedere alla cura ed alla difesa dei vigneti dal
“maligno”
9
.
La dominazione bizantina si protrasse fino al 14 luglio del 827 d.C., data in cui dal Maghreb
giunsero e sbarcarono in Sicilia gli arabi ed i berberi.
Il periodo musulmano, dall’anno 827 al 1016, fu tuttavia uno dei più felici e più prosperi per
l’agricoltura di Sicilia. Gli arabi abolirono l’ager publicus e le grandi proprietà terriere e, spezzando
il latifondo in appezzamenti più piccoli, distribuirono la terra a chi era in grado di coltivarla.
Ricostruirono i canali d’irrigazione e introdussero nuove colture: gelsi, agrumi, pistacchi, cotone,
canna da zucchero e ortaggi arricchirono le campagne, tanto che la Sicilia in quei secoli appariva al
visitatore come un paradiso terrestre.
Nonostante il divieto del Corano a consumare vino, furono tanti i poeti arabi che ne decantarono il
gusto e la piacevolezza nei loro versi. Durante questo periodo, fu introdotto in Sicilia, lo “Zibibbo”,
da “Capo Zebib”, nel Nord della Tunisia. L’industria dell’uva divenne così importante da indurre il
governatore di Sicilia ad imporre anche su di essa i diritti doganali
10
.
I Normanni, succedendo agli Arabi, introdussero il feudalesimo nell’isola; la viticoltura ebbe una
certa espansione e le notizie storiche citano come luoghi di coltivazione Caronia, le pianure di Patti
e Milazzo, Castellammare del Golfo, Paternò e Capizzi, oltre che Palermo e le campagne
agrigentine
11
.
Gli svevi incoraggiarono la diffusione della vite nell’isola, ma la produzione di vino era comunque
insufficiente per soddisfare i fabbisogni dei siciliani. Con gli angioini la coltivazione della vite subì
una nuova crisi, perché “la vite richiede fiducia nell’avvenire e serenità ed in quegli anni questi
sentimenti furono distrutti”
12
.
Con gli aragonesi, la viticoltura ebbe una grande espansione, documentata da atti notarili di
possesso e da numerosi passaggi di proprietà dei vigneti. Nel 1443, fu vietato l’ingresso al vino
9
B. Pastena, Op cit.
10
Niccoli V.: Saggio storico e bibliografico dell’agricoltura italiana dalle origini al 1900, Unione Tipografica Editrice,
Torino, 1902
11
Edrisi, nella sua geografia Nozbat el Mosctàk e Ibn Gubayr nella sua opera Rablat al Kinani
12
B. Pastena, op. cit.
16
proveniente da fuori della Sicilia, al fine di proteggere la produzione di vino locale vista l’ingente
importazione di vino da altre zone della penisola ad opera dei commercianti campani. La
viticoltura, in questo periodo si espanse nel territorio di Alcamo e fonti storiche citano il fatto che i
castellani del Nord Italia, gradivano molto il vino prodotto in Sicilia, preferendolo a quello di altri
territori.
Gli spagnoli proseguirono l’azione svolta dagli aragonesi, nell’assicurare ordine e stabilità e tanti
vigneti furono impiantati sia nelle zone costiere, che in quelle interne in virtù del fatto che i Baroni
del tempo, in cerca di nuovi possedimenti su cui estendere il loro dominio, crearono nuovi comuni
nell’entroterra della Sicilia.
Le fonti documentali del periodo sono numerose e riportano notizie su la “abbondanza di vini
perfettissimi”
13
in provincia di Palermo, della “generosità” dei vini netini, e della “Meravigliosa
fecondità dei vigneti di Camarota (Cammarata) e Sparasia (Sparacia)”, che producono vini
potentissimi, per lo più rossi, “di piacevole odore e sapore e di lunga conservazione”
14
.
L’importanza della produzione del vino, oltre che dalle citazioni che individuano una viticoltura in
Sicilia fiorente e sviluppata in questo periodo, è confermata indirettamente dalla costituzione della
maestranza dei bottai in varie località, tra cui le più importanti a Salemi e Palermo.
La storia del vino in Sicilia, dalla fine della dominazione spagnola, sancita dal trattato di Utrecht,
nel 1713 sino ai Borboni, fu caratterizzata da una lunga battuta d’arresto; l’imposizione di un
sistema fiscale rigido e l’instabilità politica che portò i Piemontesi (1713-1720) ad essere sostituiti
dagli Austriaci prima (1720-1734) e dai Borboni poi (1734-1860), determinò la crisi della
viticoltura nell’isola oltre che della sua economia in generale e l’abbandono di vaste aree viticole a
seguito dell’esiguità del reddito derivante dalla loro coltivazione, riflesso della più generale crisi del
sistema feudale.
I vini dell’isola erano comunque conosciuti, apprezzati, e venduti negli snodi commerciali per
essere poi utilizzati come vini da taglio di vini meno robusti e corposi. Famosi erano i vini dello
Zucco, coltivati e prodotti tra Montelepre e Terrasini nei vigneti del Duca D’Aumale, figlio del re di
Francia, Luigi Filippo e che cominciano la tradizione dei rapporti che ha portato le aziende
vitivinicole siciliane a diventare grandi fornitrici delle cantine francesi, soprattutto di vini da taglio,
sino agli ultimi anni del 1900.
A partire dalla seconda metà del XVIII secolo il sistema vitivinicolo siciliano cominciò a rifiorire,
favorito dall’egemonia sul mediterraneo in generale, e sulla Sicilia in particolare dell’Inghilterra; la
flotta inglese infatti, nel corso delle guerre napoleoniche, interruppe i rapporti commerciali con la
13
Enografia d’Italia, A.I. n.1 del 1972
14
A. Bacci: Naturali Vinorum Historia, Roma 1596
Francia e fu costretta ad approvvigionarsi di vino in Sicilia, creando la fortuna dei vini siciliani, a
danno dei vini francesi di cui all'epoca l'Inghilterra era primo paese importatore.
In particolare, durante il periodo napoleonico, lo sviluppo dell'industria enologica siciliana interessò
il vino Marsala, la cui origine si fa risalire ad una data precisa, il 1773, anno in cui un commerciante
inglese di soda, John Woodhouse, inviò in madrepatria un primo carico di 70 “pipe”, di un vino
invecchiato, chiamato “Perpetuum”, rinforzato con alcool, per preservarne le caratteristiche durante
il lungo viaggio per mare.
Il successo ottenuto da Woodhouse, richiamò a Marsala altri imprenditori inglesi (Corlett, Wood,
Payne, Hoppes), trasformando una modesta zona agricola in un attivo centro di produzione
vitivinicola: Tra questi, una citazione particolare merita Benjamin Ingham che nel 1806 aprì il suo
primo stabilimento, cui se ne aggiunsero altri quattro, e che fu uno dei protagonisti del mondo
vinicolo del tempo grazie al suo impegno per l’ammodernamento delle tecniche di produzione e per
l’ampliamento dei confini commerciali del vino anche al di fuori dall’Europa (i suoi vini furono
esportati in Brasile, America del Nord, fino all’Estremo Oriente).
Dal punto di vista della produzione viticola, il facile e remunerativo collocamento delle uve
prodotte, favorì moltissimo l’espansione della viticoltura nel trapanese ed in quella parte dell’agro
palermitano, dove venivano a rifornirsi gli stabilimenti marsalesi.
Nel 1833 l'imprenditore palermitano, di origine calabrese, Vincenzo Florio, iniziò anch’esso la
produzione di vino Marsala in concorrenza con le aziende inglesi, fondando le Cantine Florio;
incoraggiati dal suo successo imprenditoriale, negli anni successivi, altri produttori locali fecero
sorgere nuove e moderne cantine, dando un contributo importante alla storia di questo vino: Diego
Rallo (1860), Vito Curatolo Arini (1875) e Carlo Pellegrno (1880).
Tornando a considerare la vitivinicoltura siciliana nel suo complesso, è importante evidenziare che
nel 1824, il Duca Edoardo di Salaparuta, “negando il concetto che in Sicilia si potessero fare solo
vini da taglio e da dessert”
15
, cominciò a produrre, tra Bagheria e Casteldaccia, due vini da tavola,
uno rosso, l’altro bianco, che riscossero grande successo internazionale e furono esportati in
America e nei paesi del Nord Europa.
Nel 1853, la distribuzione provinciale del vigneto siciliano constava di circa 150.000 ha, di cui due
terzi risultavano in coltura specializzata ed un terzo su vigneti “alberati”
16
, in cui la vite si
appoggiava a sostegni vivi (soprattutto alberi di olivo). La produzione del Marsala ammontava
15
B. Pastena, op. cit.
16
B. Pastena, op. cit.
18
invece a 6.900 botti
17
, pari a quasi 76.000 Hl, di cui 1.600 (23%) della ditta Florio, 1.300 ( 19%)
della ditta Woodhouse e 4.000 (58%) della Ingham & Whitaker
18
.
Le esportazioni complessive di vino siciliano, nello stesso anno, ragguagliavano circa 385.000 Hl
(35.000 botti), di cui quasi il 60% (220.000 Hl), andavano in Inghilterra, e la restante parte in
Francia, America e Stati Sardi (132.000 Hl) ed a Napoli (33.000 Hl).
A partire dal 1866, un insetto, la Daktulosphaira vitifoliae (Fitch, 1851), e chiamato fillossera della
vite, introdotto in Francia con alcune barbatelle americane, sconvolse il mondo della vitivinicoltura
in Europa fino al punto da minacciarne la sopravvivenza. Poiché la Sicilia inizialmente non fu
investita dall’infestazione, la richiesta di vino da parte dei paesi continentali europei in generale, e
della Francia in particolare, aumentò esponenzialmente, tanto che nell’isola si espiantarono terreni
ad olivo ed a gelso, per far posto a nuovi vigneti, che raggiunsero ben 312.118 ettari, che rapportati
ai 180.000 ettari del 1862, segnalano un aumento della superficie vitata di oltre il 73%, con una
maggiore diffusione nella Sicilia orientale
19
.
Le infestazioni di fillossera, cominciarono in Sicilia nel 1880, e precisamente nelle province di
Caltanissetta e Messina, causando un rapido declino delle superfici vitate nell’intera isola e
conseguentemente degli scambi commerciali di vino con l’estero. In virtù della soluzione messa a
punto da Planchòn contro la malattia, in collaborazione con l'entomologo americano Charles
Valentine Riley, si scoprì che innestando la vite europea su portinnesto americano, si poteva
contrastare efficacemente il temibile afide, determinando dunque la normalizzazione della
produzione nelle regioni viticole europee.
1.3 Percorso storico della vitivinicoltura “moderna” in Sicilia
Nella storia recente della Sicilia, possono essere individuate almeno cinque fasi distinte di sviluppo
del settore:
Fase post-fillosserica, durata circa cinquant’anni, dal 1890 al 1938. Durante questo periodo la
vitivinicoltura siciliana fu soggetta ad un rapido ridimensionamento delle superfici, successivo al
grande incremento dovuto all’infestazione fillosserica, tanto che agli inizi del novecento i vigneti
siciliani constavano di 176.000 ha, di gran lunga inferiori (-45%) rispetto ai 321.718 ha del 1880.
Nonostante la produzione ingente di vini da pasto, nelle diverse aree vitate regionali, non si ebbe
alcuno sviluppo, ma si verificarono diverse crisi commerciali del vino, dato che i consumi pro
capite diminuirono in maniera cospicua, a causa sia delle imposte ingenti sia della riduzione dei
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Una botte equivaleva a 11,0045 Hl
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Fonte: Florio & C. Società Anonima Vinicola Italiana, dato riferito all’anno 1853
19
B. Pastena, op. cit.