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rafforzare il proprio brand e renderlo riconoscibile ai propri stakeholder effettivi e
potenziali. È purtroppo la regola, e non l‟eccezione, constatare che molte imprese
non prestano la giusta attenzione a questo straordinario asset, rappresentato dalla
comunicazione, declinato in ciò che nel presente lavoro viene definito
communication mix.3
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, nel presente lavoro si è deciso
di avviare la progettazione di una visual identity per un‟azienda di Home Fashion
(Blumel). L‟elaborato si propone di dimostrare come la visual identity non
obbedisce a criteri affidati alla solo creatività, bensì è frutto di uno studio
approfondito, da parte dell‟azienda incaricata, attraverso l‟analisi di ciò che viene
definito la corporate identity. Solo in un secondo momento, tale studio fungerà da
guida per una forma di creatività, disciplinata dai più diversi fondamenti teorici (ad
esempio, il marketing, la comunicazione, la semiotica, la psicologia, ecc.), volta ad
elaborare l‟aspetto visivo dell‟azienda, ovvero la sua visual identity. Nel corso del
lavoro, si evidenzierà, inoltre, come non si possa sottovalutare alcun aspetto della
comunicazione d‟impresa, e come ognuno di tali aspetti necessiti di continua
gestione e controllo, il tutto rispettando i principi di coerenza che dovrebbero
reggere i rapporti sinergici vigenti tra la corporate personality, la corporate identity,
la corporate image (esplicate per mezzo delle varie forme di corporate
communication) e la loro trasposizione visiva, la visual identity.
L‟azienda Blumel pur essendo da molti anni sul mercato, prima come produttore di
abbigliamento sportivo e poi nell‟ambito del Home Fashion, non si è mai dotata di
una visual identity (immagine coordinata) adeguata alla sua identità aziendale.
Se è già difficoltoso promuovere la visual identity delle grande imprese (le quali
devono convincere gli stakeholder e il target di riferimento a continuare a preferire
la propria azienda rispetto alle altre) che dispongono di grandi mezzi economici e
finanziari, risulta più difficile per le PMI che non dispongono di tali risorse. Quando
una piccola azienda (come la Blumel) si affaccia per la prima volta sul mercato
(vuoi come una azienda neonata, vuoi con un brand o un prodotto nuovo) diventa
necessario progettare e sviluppare una strategia che comunichi non solo la
personalità e, quindi, l‟identità dell‟azienda in questione, ma che sappia anche
3
Gianpaolo Fabris, La Comunicazione d’Impresa. Sperling & Kupfer Editori S.p.A, Milano, 2003
3
convertire tali aspetti in un‟identità visiva, che nel presente lavoro assume la
denominazione anglosassone di visual identity.
In questo lavoro di tesi si vuole dimostrare come, partendo dai criteri fondamentali
della comunicazione pubblicitaria e passando per la descrizione dei componenti e
delle rispettive funzionalità dell‟identità aziendale e della comunicazione
d‟impresa, sia possibile avviare un iter progettuale che abbia come risultato finale
la realizzazione di una visual idenity coerente con i principi teorici esposti, ma
soprattutto in grado di raggiungere gli obiettivi desiderati.
Nel primo capitolo verranno forniti gli strumenti interpretativi volti ad una
migliore comprensione del processo comunicativo a prescindere dal campo
d‟impiego. Si esporrà una sintetica panoramica dei diversi modelli di
comunicazione partendo dal modello “One way flow of communication” di
Shannon e Weaver, fino a descrivere i modelli comunicativi di natura semiotica.
Con quest‟ultimi ci si allontanerà dal concetto di messaggio inteso come un
“contenitore di informazioni”, per approdare verso una concezione del messaggio
inteso come “segno”, ossia che veicola significati e pratiche testuali fortemente
dipendenti dalla cultura di riferimento.
Nel secondo capitolo verranno individuati e analizzati i presupposti per una
comunicazione aziendale efficace. Si procederà descrivendo cos‟è la corporate
identity per poi destrutturarla e analizzare due dei suoi quattro elementi costitutivi,
ovvero la corporate branding e la corporate communication. In questo capitolo non
si cercherà di creare un modello o un iter universale da seguire per la costruzione
di una corporate identity adatta ad ogni contesto ed attività imprenditoriale, bensì il
contrario, ovvero dimostrare che per progettare un‟identità aziendale bisogna
essere ben consapevoli dell‟unicità di ogni impresa rispetto alle altre operanti nello
stesso mercato e, quindi, della necessità che ogni azienda trovi il proprio percorso
senza seguire quello dei concorrenti.
Il terzo capitolo ha come oggetto d‟analisi il terzo componente della
corporate identity: la corporate image. Si sottolineerà che le aziende, così come le
persone, possiedono una personalità, ed esattamente come avviene per le
persone, tale personalità viene proiettata all‟esterno. Per cui si cercherà di
comprendere la percezione che il mondo esterno può avere di quest‟identità e
4
quali siano i fattori che intervengono nel processo di costruzione dell'immagine
aziendale.
Il quarto capitolo affronta e analizza l‟ultimo elemento costitutivo della
corporate identity: la visual identity. Saranno descritti con particolare attenzione gli
elementi che costituiscono il profilo visivo aziendale, ovvero il nome, il logo o il
logotipo, i codici cromatici, il lettering e il packaging.
Inoltre, si cercherà dimostrare quanto sia importante, nella progettazione di una
visual identity, relazionarsi alla concorrenza.
Nell‟ultimo capitolo, al fine di mettere in pratica quanto esposto nei primi
quattro, si proporrà un case study, ovvero, la progettazione di una visual identity
per una azienda di Home Fashion: Blumel. Il capitolo terminerà con la
l‟elaborazione di un manuale di identità visiva che fornirà la guida grafica per un
eventuale implementazione del progetto ideato.
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CAPITOLO 1.
È impossibile non comunicare!
Premessa
Prima di affrontare l‟argomento centrale di questo lavoro, ovvero la
comunicazione della corporate identity di un azienda (la Blumel), è doveroso
introdurre le nozioni di base del processo di comunicazione. Lungi dal voler
proporre un esauriente trattato sulla comunicazione, in questo capitolo ci si pone
l‟obiettivo di fornire gli strumenti interpretativi volti ad una migliore comprensione
del processo comunicativo tout court.
La facoltà di comunicare non è una peculiarità esclusiva degli uomini:
moltissime specie animali hanno sviluppato forme più o meno elementari di
comunicazione, ma solo nell'uomo tale facoltà si è evoluta ad un punto tale da
modificare la stessa base biologica da cui scaturiva, il cervello, con l'acquisizione
del linguaggio. Insomma, l'uomo ed il suo ambiente sono quello che sono da
alcune decine di migliaia di anni grazie al fatto di saper comunicare in modi
complessi ed articolati. Tanto che oggi si parla di comunicazione o si adotta una
metafora comunicativa per definire, spiegare o descrivere ogni sfera delle attività
umane, ad ogni livello di descrizione: dalle interazioni cellulari fino alla diffusione
delle notizie mediata dai grandi apparati della comunicazione di massa. I fenomeni
della comunicazione umana, ed in particolare della comunicazione linguistica orale
e scritta, hanno attirato l'attenzione di filosofi e scienziati sin dall'antica grecia.
Platone, ad esempio, fece molte importanti osservazioni su temi come il linguaggio
umano e la scrittura, come pure Aristotele, cui dobbiamo una teoria del significato
(di come cioè le parole, il linguaggio riesce a designare le cose al di fuori del
linguaggio)4 che ancora oggi viene sostanzialmente condivisa da una buona parte
degli studiosi. Anche la tradizione simbolica religiosa giudaica e cristiana assegna
un valore enorme all'atto di comunicare "del" o "con il" divino (che nel
cristianesimo si fa "Verbo", parola). Ma è solo a partire dalla metà di questo secolo
4
Cfr. http://www.linguaggioglobale.com/filosofia/txt/Aristotele.htm (Consultato il 01/09/2009)
6
che la comunicazione viene assunta come oggetto di studio autonomo,
fondamento di una teoria più vasta, per via del progresso tecnologico che ha
permesso alla persone di disporre di un numero crescente di mezzi comunicativi
(fax, cellulari, video chiamate, e-mail e così via) e per la crescente rilevanza che
hanno assunto nel contesto delle società avanzate.
1.1 Il concetto di comunicazione nel tempo
La radice del termine “comunicazione” risale al verbo greco koinonéo5
“prendere parte a qualcosa”, che rimanda all‟idea della Koiné, della comunità e,
infine, anche alla sua trasposizione latina communico6, “mettere in comune
qualcosa”, e quindi, per estensione “unire in comunità”. C'è dunque, sia nella
radice greca sia in quella latina l‟idea di trasferimento fisico, insieme con quella di
comunità di individui che condividono qualcosa.
Nonostante in Cicerone si trova il sintagma communicatio sermonis7, inteso come
conversazione (ciò che può essere condiviso o trasferito sia esso di natura
materiale e/o immateriale, un pensiero o una conoscenza), per lungo tempo il
senso del termine “comunicazione” è stato associato all'idea di contatto o
trasferimento materiale. In epoca medievale prevale l‟accezione che si lega alla
ritualità cristiana dell‟eucaristia, durante la quale il fedele entra in contatto fisico
con il corpo del Cristo. Con l'avvento dell'era moderna, "comunicazione" diviene
quasi un sinonimo di "trasporto": "vie di comunicazione", "canali di
comunicazione". Un‟accezione ancora oggi molto diffusa. Ma, è soprattutto a
partire dalla prima metà del XX secolo che il termine “comunicazione” è stato
adottato per riferirsi al trasferimento di informazione. Questo principio di
fossilizzazione del significato di comunicazione coincide con la nascita e lo
sviluppo di un insieme di discipline che hanno assunto come oggetto proprio tale
fenomeni. In particolare, un vero e proprio punto di svolta è rappresentato
dall'opera di due importanti scienziati: Claude Shannon e Warren Weaver a cui si
5
Cfr. http://www.grecoantico.com/dizionario-greco-antico.php (Consultato il 01/09/2009)
6
Cfr. Castiglioni L., Mariotti S.. IL. Il vocabolario della lingua latina, Loescher Editore, 1998.
7
Ibidem.
7
deve la prima formulazione di una Teoria matematica della comunicazione (cfr.
paragrafo 1.2.1), pubblicata alla fine degli anni 40. In essa vi è per la prima volta
una definizione generale della comunicazione come trasferimento di informazioni
mediante segnali da un‟ emittente ad un destinatario.
1.2 È impossibile non comunicare!
Apparentemente niente è più semplice del comunicare. Noi tutti, senza alcuna
eccezione, comunichiamo con gli altri. Anche se decidessimo volontariamente di
non proferire parola con il mondo circostante, il nostro silenzio “comunica”
qualcosa e questo qualcosa va anche al di là delle nostre intenzioni. Il
comportamento comunicativo non ha un suo contrario: l‟attività e l‟inattività, le
parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggi.
Gli studiosi di Palo Alto, nello specifico Paul Watzlawick, asserivano che è
impossibile non comunicare (primo assioma della comunicazione, che verrà
trattato nel paragrafo 1.2). Qualunque atto umano, dal contenuto delle nostre
parole al modo di vestire, veicola un messaggio che assume significato per gli
altri.
La comunicazione è l‟evento sociale più importante in cui possa essere coinvolto
l‟uomo. Ma si è così dentro gli atti comunicativi che non ci si chiede come possa
funzionare il processo della comunicazione. I modi di comunicare sono numerosi e
vari, come varie e numerose sono le informazioni che si possono trasmettere.
Tuttavia, al di là di tanta varietà, è possibile individuare il meccanismo e le
caratteristiche fondamentali che sono comuni ad ogni atto comunicativo.
8
1.3 Il processo comunicativo
La comunicazione è il processo per mezzo del quale un messaggio
opportunamente codificato viene trasmesso da un emittente ad un destinatario per
mezzo di un canale.
È bene sottolineare che la comunicazione non è fatta esclusivamente di gesti e
parole: esistono infatti altri modi per comunicare, modi che delle volte agiscono in
maniera non intenzionale, per non dire in modo subliminare, ad esempio,
attraverso la gestualità, la postura, lo sguardo, l‟impostazione della voce, il codice
vestiario, la macchina posseduta, ecc.
Si comunica, dunque, nelle più svariate situazioni e per i più svariati motivi: per
esternare i propri sentimenti, per sostenere le proprie idee, per socializzare, per
ottenere collaborazione, per cercare e trasmettere informazioni e, per un‟infinità di
altri motivi. Di seguito vi è un breve excursus delle più note teorie comunicative.
1.3.1 La teoria matematica della comunicazione di Shannon e Weaver
La teoria matematica della comunicazione è stata proposta nel 1949 da
Claude Shannon e Warren Weaver, ingegneri americani dei Bell Laboratories. È
un modello che trae origini dai tentativi dei due studiosi al fine di migliorare
l‟efficienza del trasferimento di segnali attraverso apparati tecnici di trasmissione,
nello specifico della comunicazione telefonica. Ma l'influenza delle ricerche di
Shannon e Weaver è andata ben al di là di questo ambito specialistico. A loro si
deve, infatti, oltre alla definizione di comunicazione che ancora tutt‟oggi si utilizza,
anche l'elaborazione di uno schema generale dei processi comunicativi, che ha
goduto di una fortuna vastissima negli anni seguenti. Tale schema ha l'obiettivo di
esemplificare sia la forma generale di ogni processo comunicativo sia i fattori
fondamentali che lo costituiscono, quegli elementi, cioè, che devono essere
presenti ogni qual volta ha luogo un passaggio di informazione da una fonte ad un
destinatario attraverso un canale di comunicazione. La figura seguente la versione
di Shannon e Weaver di tale modello: