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di alcune imprese ha iniziato a vedere il personale come un possibile fattore
critico di successo, sul quale investire per potersi differenziare dalle altre aziende.
In seguito a questo cambiamento di pensiero si è notato anche un cambiamento
nell’organizzazione del lavoro; in molte aziende si è infatti passati da mansioni
frammentate e prive di possibilità, dove i lavoratori erano confinati in attività
limitate, ad una concezione del lavoro come multifunzionale ed attuato in team
dove possibile. Alcuni Direttori, infatti hanno capito che i lavoratori costituiscono
una risorsa che può incrementare e migliorare l’intero sistema.
Con il passare del tempo, in molte imprese è mutato anche lo stile di direzione,
si è passati da una direzione di tipo top-down , con i lavoratori alla base, dove ci si
aspettava che il personale obbedisse solo agli ordini senza avere alcun potere; ad
una struttura relativamente appiattita con pochi livelli, dove i lavoratori forniscono
suggerimenti preziosi e hanno il potere di mettere in pratica dei cambiamenti,
almeno per quanto riguarda le loro proprie mansioni.
In seguito a questi cambiamenti, anche la formazione del personale è cambiata,
molte imprese prima concepivano i lavoratori come facilmente sostituibili e
bisognosi solo di una breve formazione iniziale o riaddestramento in nuove
attività, ora considerano il personale una risorsa di valore e ritengono molto
importante un costante riaddestramento in nuove attività.
Anche la determinazione della retribuzione è cambiata, prima in molte imprese
la retribuzione era commisurata al lavoro, non alle persone, ed era determinata
dalla valutazione e dal sistema di classificazione delle mansioni, mentre ora la
retribuzione è commisurata alle capacità acquisite. In molte aziende, vengono
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utilizzati gli incentivi di gruppo e i piani di partecipazione ai profitti per
mantenere alto l’impegno del personale.
Infine anche le relazioni di lavoro sono profondamente mutate, prima si
pensava che gli interessi dei lavoratori e della proprietà fossero incompatibili e
questo portava a dei naturali conflitti a livello di reparto e nelle trattative. Ora, in
molte aziende vengono invece enfatizzati i reciproci interessi. Il management
condivide le informazioni sul business e i lavoratori condividono le responsabilità
del successo.
Tutto ciò ha quindi portato ad un progressivo appiattimento della struttura
gerarchica ed ad un innalzamento ad una più grande dignità la manodopera, che
ora è considerata a pieno titolo, in molte realtà aziendali, una risorsa critica e
strategica, piena di possibilità da sfruttare, che però necessita di strumenti nuovi e
particolarmente dedicati per poter essere utilizzata al meglio delle sue potenzialità.
Riprendendo quanto detto precedentemente, la visione, secondo me, è uno degli
strumenti più adeguati per la gestione di questa risorsa, ho così voluto analizzare
questo strumento, per poterlo capire meglio e di conseguenza utilizzarlo meglio.
Ho condotto l’analisi con due diverse modalità: la prima che ho proposto è uno
studio storico che prende in considerazione un arco temporale di circa trent’anni ,
diversi autori e tre zone geografiche, nello specifico: Stati Uniti, Italia e Giappone.
La seconda modalità si avvale principalmente di strumenti psicologici che vanno a
ricercare l’origine del concetto di visione aziendale per il singolo individuo per
poi trasporre i meccanismi individuati su realtà collettive e quindi anche sulle
imprese.
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Nel primo capitolo si svolge l’analisi storica che va a ricercare nella letteratura
e nella storia l’origine del concetto di visione aziendale. Viene posto in evidenza
come la consapevolezza di questo concetto fosse da sempre stata presente nella
letteratura anche se raramente presa in considerazione. Si vedrà come , con lo
svilupparsi dell’importanza delle risorse umane per la vita d’impresa, questo
concetto prenda sempre più corpo e consistenza fino a diventare una nuova arma
strategica sia per la gestione del personale sia per la vita economica dell’impresa.
Sebbene durante l’analisi della letteratura siano emerse due diverse scuole di
pensiero
1
, l’una che assume fini ed obiettivi di fondo come dati e fa della strategia
un concetto evocativo dei modi in cui l’impresa reagisce al suo ambiente; l’altra
che include nell’impostazione strategica sia i fini fondamentali perseguiti che le
politiche intese a realizzarli, emerge chiaramente dall’analisi come il concetto alla
base della visione aziendale sia presente in entrambe le scuole di pensiero, anche
se nella prima viene solo percepita e non analizzata.
Dall’analisi emergerà come ci sia stata un’evoluzione pressoché coerente ed
uniforme , almeno negli Stati Uniti ed in Italia. Con l’evolversi della condizione
della manodopera si evolveva anche il concetto di visione aziendale. Esistono
naturalmente anche delle eccezioni sia in letteratura che nella vita pratica, infatti
autori come Drucker, malgrado i tempi non ancora maturi avevano sviluppato
teorie molto simili a quelle recenti e realtà, come quella giapponese, non hanno
dovuto percorrere tutta l’evoluzione avvenuta in occidente, dato che fin dall’inizio
della loro vita d’impresa avevano già compreso l’importanza della risorsa umana e
degli strumenti atti a guidarla.
1
L’ORIENTAMENTO STRATEGICO DI FONDO V. Coda UTET 1988
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Nel secondo capitolo viene analizzata più nello specifico l’evoluzione avvenuta
nelle risorse umane e nelle variabili soft, intese come quelle componenti
d’impresa impalpabili, come il sistema di relazioni interpersonali interne. Viene
posta in evidenza, inoltre la differenza tra variabili soft e variabili hard, intese
come quelle componenti d’impresa passibili di misurazioni e controlli precisi
come i macchinari e gli studi di mercato. Viene proposto anche un particolare
modello, il modello dell’ICEBERG, che mette molto chiaramente in evidenza la
coesistenza delle risorse hard e delle risorse soft da sempre esistita in azienda.
Questo capitolo è stato utile per porre in evidenza l’oggetto dell’analisi fatta
nei capitoli successivi, risulta infatti evidente, dall’evoluzione avuta dalle risorse
umane in azienda che l’oggetto dello studio, per una migliore gestione aziendale,
può oggi essere la risorsa umana, ormai considerata a pieno titolo fattore critico di
successo. Anche in questo capitolo è presente una piccola parte storiografica, dove
viene posta in evidenza l’ascesa della risorsa umana nella considerazione della
Direzione in molte aziende, sia italiane che straniere.
Dopo aver evidenziato la criticità di questa variabile, ho voluto, nei capitoli
successivi andare ad analizzare, con l’ausilio di alcuni strumenti psicologici già
noti in economia, cosa potesse motivare e guidare questa risorsa così lontana dal
rigoroso controllo attuabile invece su tutte le altre variabili aziendali.
Nel terzo capitolo, propongo quindi alcune teorie dei bisogni umani, tramite
queste cerco di evidenziare i meccanismi che spingono l’uomo all’azione, in modo
tale da porli poi in seguito al servizio delle aziende. Vengono prese in
considerazione diverse teorie già note in economia ed in particolar modo viene
utilizzata la gerarchia dei bisogni di Maslow. La teoria secondo me più efficace
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per spiegare come motivare l’uomo all’azione , dopo l’evoluzione avuta dalla
risorsa umana in azienda.
In questo capitolo ho utilizzato numerosi supporti psicologici perché ho voluto
andare a ricercare la “ molla “ che spinge l’uomo all’azione; intesa non come una
motivazione contingente, ma come un meccanismo alla base dell’azione e comune
ad ogni uomo, il meccanismo base che spinge l’uomo all’azione. In questo
capitolo emerge chiaramente come il bisogno sia il fattore scatenante della
motivazione e conseguentemente dell’azione umana. Non a caso tutte le teorie
prese in considerazione giungono alle medesime conclusioni. Verranno comunque
presi maggiormente in considerazione i “ bisogni psicologici “ più di quelli “
biologici “, dato che al giorno d’oggi, come si vedrà nel testo, i secondi vengono
soddisfatti con gran facilità per quanto riguarda la maggior parte dei lavoratori,
almeno nelle società occidentali. Secondo la “TEORIA DEL MERCOLEDÌ’
POMERIGGIO” infatti oggi il personale raggiunge un pieno grado di
soddisfazione per i propri bisogni economici legati ai bisogni di sopravvivenza al
più tardi entro il mercoledì pomeriggio. Quindi per motivare la risorsa umana
all’azione non sono più sufficienti solo gli incentivi economici, ma entrano in
gioco ben altri bisogni da soddisfare, bisogni molto vicini alla sopravvivenza
psicologica dell’individuo, che evidenziati con strumenti psicologici nel capitolo
precedente vengono proposti in chiave aziendale nel quarto capitolo.
In questo capitolo viene proposto anche un interessante esperimento durante il
quale viene posta in evidenza e provata empiricamente la forza della motivazione
intrinseca, ossia del fare qualcosa per la sola soddisfazione di un proprio bisogno
personale, rispetto alla motivazione estrinseca, ossia derivata da entità esterne
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all’individuo, includendo in queste anche premi ed incentivi. Ponendo le
conclusioni di questo esperimento in chiave aziendale, risulta chiaro che, per
migliorare efficacia, efficienza e qualità, una soluzione potrebbe consistere nel far
rientrare i canoni desiderati dalla Direzione fra gli obiettivi personali dei
collaboratori, tramite la responsabilizzazione, piuttosto che utilizzare sistemi di
controlli e verifica esterni.
Nel capitolo successivo, viene proposta una breve analisi per evidenziare come
vengono utilizzate in azienda le teorie dei bisogni psicologici per generare
motivazione, committment ed efficienza. Si noterà come, in molte aziende
vengono considerati in misura minima gli incentivi economici ( come le
privatizzazioni ) e come, comunque, questi siano utilizzati per andare a soddisfare
bisogni psicologici, come quello di autorealizzazione, piuttosto che bisogni
primari come quello di sicurezza.
In questo capitolo verrà inoltre posto in evidenza come attraverso la
partecipazione, la percezione di un lavoro stimolante e la fiducia nel management
molte aziende siano state in grado di migliorare la loro efficacia ed efficienza.
Nel capitolo successivo viene proposto un possibile strumento per
implementare tutte le manovre descritte nel capitolo precedente: la visione
condivisa.
Prima di trattare nello specifico aziendale il tema, viene proposta un’analisi
individuale. Viene analizzata infatti la visione dal punto di vista del singolo
individuo. Ho cercato, anche tramite l’esperienza vissuta, di individuare
nuovamente, ma sotto un punto di vista diverso rispetto al quarto capitolo, i
meccanismi che spingono l’uomo all’azione, andando sempre a ricercare i
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meccanismi base comuni agli individui. Una volta esemplificati i meccanismi
individuali ho cercato di trasporli su realtà non più singole ma plurime, come per
esempio le associazioni no profit, mettendo in evidenza come la soddisfazione di
bisogni secondari, anche tramite una visione che prospetta un traguardo da
raggiungere, sia una potente molla per spingere l’uomo all’azione. Dopo aver
proposto come esempio anche questa situazione, ho voluto calare quanto prima
esposto nella compagine aziendale analizzando lo strumento, secondo me più
efficace per la nuova gestione del personale : la visione aziendale condivisa
In questa parte di capitolo mi sono avvalsa di strumenti ideati da Peter M.
Senge, autore che riteneva della massima importanza la condivisione di fini ed
obiettivi superiori e comuni per una corretta gestione d’impresa. Vengono
analizzati nello specifico anche gli stati d’animo che la visione può generare, per
poter meglio comprendere quali bisogni questa va a soddisfare. Secondo Senge,
infatti una visione condivisa, se comunicata correttamente, può portare i soggetti
interessati ad impegnarsi attivamente nel conseguimento della stessa, perché la
visione va a soddisfare alcuni bisogni secondari, come quello di partecipazione e
di autorealizzazione. Mentre altre operazioni, differenti rispetto alla visione
condivisa, possono generare solo conformismo o al massimo arruolamento ,
condizioni, come si vedrà, che non portano agli stessi risultati dell’impegno.
Vengono inoltre analizzati i valori, sia personali che aziendali, dato che, secondo
me, possono essere considerati una delle strutture portanti della visione. Nello
stesso capitolo, viene anche analizzato un possibile prodotto della visione: la
creatività umana, fattore, a mio avviso molto importante, dato che sta a alla base
della potenzialità innovativa della risorsa umana.
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Sempre in questo capitolo, dopo aver enunciato il concetto di visione vengono
proposti degli strumenti ideati da R. Simon per implementare la visione aziendale.
Come si vedrà, però questi strumenti non sono stati creati appositamente per
concretizzare la visione, ma, dato che con la loro impostazione svolgevano delle
funzioni importanti ed adeguate, ho deciso di utilizzarli per questo scopo. I sistemi
in questione sono i sistemi limite e i sistemi credo; nel capitolo verrà esplicitato
come questi strumenti agiscono per l’implementazione della visione.
Viene infine proposto un caso aziendale reale, per poter evidenziare come tutto
quello esplicitato dalla teoria è effettivamente avvenuto nella realtà vissuta,
almeno in un caso.
Il GRUPPO ZURIGO, l’azienda in questione, si è infatti resa conto di quanto
siano importanti i bisogni secondari, psicologici, del proprio personale per una
corretta gestione e motivazione dello stesso. Inoltre si è potuto notare come
l’azienda abbia fatto molto conto su questi fattori per aumentare la propria
efficacia ed efficienza. Tutto questo sottolinea e da un fondo di verità a quanto
asserito nella teoria. Si evidenzierà comunque come l’evoluzione di queste
tematiche sia ancora lontana dai canoni giapponesi, presi come esempio, e come
sia ancora in corso e in pieno svolgimento il cammino evolutivo della gestione del
personale occidentale.
In conclusione posso affermare che l’uomo e i suoi bisogni stanno diventando
un fattore critico di successo per l’evoluzione delle imprese. Soprattutto in
un’epoca dove la globalizzazione e la diffusione , senza ostacoli, di tecnologie,
conoscenze e materiali, rendono di pubblico dominio ed a portata di tutti degli
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elementi che in passato erano considerati dei fattori critici di successo e che ora,
essendo appunto a portata di tutti non lo sono più.
Secondo me, quindi la visione aziendale costituisce un valido strumento per la
gestione di queste nuove variabili, dato che racchiude in sé molti elementi che
vanno a soddisfare i bisogni psicologici dell’individuo.
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NOTA CRITICA
Durante la fase di documentazione mi sono imbattuta in un testo, precisamente
“ LA MOTIVAZIONE E LA PROGETTAZIONE DELLE MANSIONI - teorie
ricerche e pratica “ di Ivan T. Robertson, Mike Smith, in cui, tramite la citazione
di prove empiriche, venivano confutate le teorie dei bisogni di Maslow, teorie
ampiamente utilizzate nella presente trattazione.
Ora, evitando di andare contro le tematiche trattate nel testo in questione,
vorrei contestualizzare e specificare l’uso degli strumenti utilizzati nel presente
scritto onde evitare possibili critiche.
Nel testo di Robertson e Smith viene appunto citato un esperimento attuato da
Hall e Nougain nel 1968 su 49 giovani manager della American Telegraph
Company che portava a dei risultati in contrasto con le teorie di Maslow.
Per 5 anni sono stati raccolti dati sulla percezione dei bisogni dei manager e
sulla loro soddisfazione, ma le analisi attuate non sono risultate in accordo con
l’ipotesi evolutiva di Maslow.
Durante l’analisi di Hall e Nougain, i bisogni sono stati presi in considerazione
ed analizzati singolarmente, uno di seguito all’altro e a “compartimenti stagni”.
Mentre nel presente scritto, ho voluto dividere i bisogni maslowiani in due
macrogruppi: bisogni primari, biologici, e bisogni secondari o psicologici. I primi
legati alla sopravvivenza fisica dell’individuo, i secondi legati alla sua
sopravvivenza psicologica, come verrà approfondito poi in seguito, una volta
soddisfatti i primi, entrano in gioco i secondi.
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Inoltre, nell’esperimento di Hall e Nougain, secondo me non si è tenuto in
considerazione il fatto che si trattasse di meccanismi puramente psicologici, che
per loro natura non possono essere matematicamente e statisticamente corretti,
data la molteplicità e diversità dei soggetti che vanno a studiare.
Secondo me inoltre, è stato preso in considerazione un numero esiguo di
soggetti, perché, come verrà dimostrato in seguito, la gerarchia dei bisogni di
Maslow, applicata su grandi numeri di individui è pienamente rispettata ( si veda
il caso dei Paesi orientali ).
Da ultimo, personalmente ritengo che nell’analisi attuata da Hall e Nougain si
siano considerati solo ed esclusivamente dei bisogni secondari, trasformando in
secondari i bisogni ancora primari come quello di sicurezza. Come si può notare
dallo stesso testo infatti, la teoria dalla gerarchia dei bisogni di Maslow è definita
come segue:
• BISOGNI FISIOLOGICI: bisogni a livello elementare quali fame sete o sesso;
• BISOGNI DI SICUREZZA : bisogni di protezione dai pericoli, dalle minacce,
dalle privazioni;
• BISOGNI SOCIALI: bisogni di appartenenza, di associazione, di accettazione
da parte dei compagni, per dare e ricevere l’amicizia e l’amore;
• BISOGNI DI STIMA . autostima, bisogni di fiducia in sé stessi, di
indipendenza, di realizzazione; eterostima, bisogni di status, di riconoscimento, di
valutazione, di rispetto meritato dei colleghi;
• BISOGNI DI AUTOREALIZZAZIONE: bisogni di attualizzare le proprie
potenzialità, di un continuo sviluppo di sé stesso.
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Mentre nell’esperimento, la suddetta gerarchia è, a mio avviso, leggermente
manipolata dato che è definita come segue:
• BISOGNI DI SICUREZZA : definiti in termini di bisogni di appoggio ed
approvazione, sicurezza e struttura;
• BISOGNI DI APPARTENENZA: simili ai bisogni sociali di Maslow definiti
in termini di bisogno di stabilire e mantenere una positiva relazione affettiva con
un’altra persona od un gruppo nell’ambiente di lavoro;
• BISOGNI DI CONQUISTA E DI STIMA: simili ai bisogni di stima di
Maslow e definiti in termini di bisogni di conquista, di sfida e di responsabilità;
• AUTOREALIZZAZIONE: bisogni di significatività, e di senso di scopo, di
sviluppo personale e di incentivazione.
Riprese testualmente, queste definizioni, mostrano chiaramente la differenza
rispetto a quelle tipiche maslowiane, si può notare infatti come queste definizioni
siano interamente legate alla sfera psicologica dell’individuo, sembra che venga
dato per scontato il fatto che i bisogni fisiologici siano già stati soddisfatti.
Ora, io penso che se si fosse attuato uno studio simile su un gruppo di
disoccupati, che necessitano di soddisfare tutti i bisogni maslowiani, piuttosto che
su un gruppo di manager, che non hanno problemi per quanto riguarda i bisogni
primari, la teoria dei bisogni di Maslow non sarebbe stata confutata così
facilmente.
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1. UN PO’ DI STORIA
Il concetto di visione aziendale , malgrado la numerosa letteratura prodotta
sull’argomento, non ha ancora trovato una definizione chiara ed univoca. Esistono
numerose definizioni che prendono in considerazione svariati aspetti
dell’argomento, ma non viene data una definizione esauriente del concetto in
questione e soprattutto raramente vengono presi in considerazione gli effetti della
visione sul personale e sulla sua motivazione. Malgrado questo, la presenza di
questa forza all’interno della vita aziendale è sempre stata percepita, spesso
accantonata come non importante, ma, nella letteratura presa in considerazione è
sempre stata presente, in un modo o nell’altro. Con il passare degli anni inoltre, la
consapevolezza di questa energia si è trasformata progressivamente in curiosità e
si è iniziato a studiarla e pensarla come una possibile arma strategica , dandole
così sempre più importanza, consistenza e fondamento. E’ per questo motivo che
ho voluto proporre una breve analisi storica, per poter effettivamente ricercare
l’origine e seguire lo sviluppo di questo concetto.
Per la stesura di questo breve studio storico, ho voluto prendere in
considerazione un arco temporale di circa trent’anni ed un gruppo di autori,
secondo me rappresentativi come I. Ansoff e V. Coda.
Devo specificare che la scelta della letteratura considerata è stata attuata
esclusivamente in base all’anno di pubblicazione dei singoli testi ed all’argomento
in essi trattato: la strategia. Ritengo che, con questa modalità di campionatura si
sia potuta ottenere un’analisi imparziale. Infatti, con questo metodo, ho potuto
prendere in considerazione autori di estrazione anche molto diversa come, per
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esempio Ansoff e Coda. L’analisi fatta sui testi ha comunque portato a
conclusioni coerenti, segno questo, a mio avviso, della fondatezza delle teorie
ipotizzate. E’ da notare inoltre che l’analisi condotta in questo modo, ha portato a
prendere in considerazione tre ambiti geografici anche molto diversi, quali gli
Stati Uniti, l’Italia ed il Giappone, permettendo così di ottenere anche una
panoramica geografica. Inoltre devo specificare che ho effettuato l’analisi,
basandomi sul tema della strategia perché ritengo che il concetto di visione,
essendo ormai ai giorni nostri un’arma strategica, possa posizionare le sue origini
nel tema trattato nell’analisi. Trattandosi però di un capitolo introduttivo, non ho
voluto condurre un’analisi in profondità; ho preferito prendere in considerazione
solo due o tre testi per decennio, distribuiti il più uniformemente possibile. Però,
data la coerenza delle conclusioni, statisticamente parlando, penso che per
inferenza si possa concludere che, anche svolgendo uno studio più approfondito,
si possa giungere alle medesime conclusioni.
Prima di iniziare l’analisi dei testi, vorrei proporre alcune citazioni che
riportate in “ ARCHITETTURA STRATEGICA D’IMPRESA “ di A. Sinatra,
hanno dato il “la” a questa ricerca:
“La visione:
“ ...un sistema che si presenta nella forma di una business idea potenziale...
Le visioni non sono obiettivi, sono idee intuitive di possibili stati futuri del
sistema ( a volte altamente devianti rispetto alla situazione attuale ). A volte
esistono solo come idee soggettive coltivate da pochi attori acuti il cui ruolo nel
sistema è probabilmente determinante...” ( Normann, 1974 ).