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familiare. Partendo da questa esperienza personale molto significativa e
grazie al contributo della parte teorica, ho elaborato delle riflessioni sulle
quali ho strutturato il percorso di elaborazione della mia tesi.
Le riflessioni si indirizzano verso la conoscenza e l’uso delle fasi
metodologiche da parte dell’assistente sociale.
Tali riflessioni sono da considerarsi in base ad una serie di riferimenti
multidisciplinari che, insieme, generano il complesso scenario
dell’Intervento Socio-Assistenziale nei casi di maltrattamento e trascuratezza.
Partendo da un quadro storico di pesanti e continue violenze all’infanzia e
ripercorrendo la traumaticità degli effetti da essa prodotti, introduco il ciclo
patologico della violenza, con il preciso scopo di dare un volto e una storia al
fenomeno del maltrattamento e abuso all’infanzia.
Oltre ad una dimensione storica del fenomeno, inserisco un contributo
giuridico, che introduce una nuova visione di minore portatore di diritti, da
cui viene a formarsi il concetto di protezione all’infanzia, che oggi prende il
nome di tutela.
Nel lavoro con l’infanzia abusata e la sua famiglia in crisi, più che in altri
casi di intervento sociale è chiaramente espressa una specificità
professionale, la cui funzione di assistenza economica si affianca ad una
competenza di intervento fondato quasi sempre sul controllo.
L’Assistente Sociale è richiamata ad un ruolo che non può, in ogni caso non
considerare il mondo interno della persona.
L’instaurarsi di Modelli Operativi Integrati, dove le competenze sociali e
psicologiche si fondono, senza confondersi, evitano il concretizzarsi di
problemi quali: la difficoltà di collaborazione e di coordinamento, il rischio
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di improvvisazione e superficialità e la conseguente cristallizzazione
dell’intervento.
La mancanza di collaborazione e di misconoscimento del valore operativo di
una figura professionale a discapito dell’altra, crea chiusura, posizioni
difensive, resistenze. Se questi sentimenti vengono negati, rischiano di
compromettere seriamente l’esito positivo dell’intervento.
I limiti personali e professionali devono essere pensati e analizzati in
“équipe”, nella ricerca di strategie volte a superarli, a favorire visioni
tipicamente e storicamente diverse con una concezione di integrazione poiché
complementari e utili ai fini del proseguimento nel processo di intervento.
Il lavoro di “équipe” o di squadra è nato negli ultimi anni per dare la
possibilità a tutti gli operatori (assistenti sociali, neuropsichiatri infantili,
terapeuti della famiglia, educatori) di esprimersi “sul” caso e “per” il caso.
La preziosità di questo lavoro risiede nel suo valore comunicativo, in quanto
permette all’assistente sociale di recepire tutte le informazioni necessarie
rispetto alla prosecuzione dell’intervento e soprattutto permette di avere
notizie sulle condizioni dei suoi utenti.
L’Assistente Sociale è chiamata ad intervenire per colmare sia bisogni
materiali, ma anche per riprendere il genitore che non si comporta in modo
adeguato, per dare consigli, suggerimenti utili di carattere informativo e
preventivo.
L’Obiettivo finale dell’intervento è: produrre un cambiamento.
La tesi è strutturata in due parti complementari: la prima è dedicata al
fenomeno del maltrattamento dalla sua origine, attraversando le epoche
storiche, fino alle conseguenze che esso produce sul bambino, sul genitore e
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sulla famiglia la seconda è dedicata alla (ri)costruzione dell’ intervento
sociale nei casi di maltrattamento all’infanzia .
L’intervento sociale nasce con il rilevamento del danno sul minore e con la
conseguente necessità (e in alcuni casi particolarmente gravi, con l’ urgenza)
di informare le autorità competenti (Tribunale per i Minorenni e/o Tribunale
Ordinario), questo a garanzia di una tutela del piccolo e di un sostegno del
minore stesso e della sua famiglia.
All’interno di questa parte vengono proposti un Modello unitario di
intervento, quello del Centro Bambino Maltrattato di Milano, e un Metodo, il
Clinical Social Work.
Il primo capitolo “Infanzia e violenza” ripercorre le tappe storiche degli abusi
inflitti ai fanciulli, fino al moderno concetto di “Tutela” dei diritti
dell’infanzia. Introduce, anche le conseguenze che gli abusi possono
provocare sui bambini e nel tempo, anche sugli adulti.
Il secondo capitolo “Famiglia maltrattante e valutazione del rischio” propone
il contributo della ricerca sui fattori di rischio della famiglia violenta,
introducendo un nuovo modo di interpretare tutti i fattori scatenanti la crisi.
Grazie al contributo di alcuni autori, oggi gli interventi possibili e attuabili
sul singolo caso possono avvalersi della possibilità di essere visti anche in
dimensione più o meno grave e, soprattutto, in positivo rispetto alla
recuperabilità dell’agente violento e del ricevente la violenza.
Il terzo capitolo “La costruzione dell’intervento sociale nei casi di
maltrattamento” cerca innanzi tutto di offrire una “cornice” all’interno della
quale comprendere l’intervento sociale nei casi di violenza. Mi è sembrato
utile nonché indispensabile collocare il processo metodologico all’interno di
quelli che sono i principi ed i valori teorici di sfondo sui quali si fonda la
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professione di assistente sociale e dai quali discende l’impostazione
metodologica.
Il quarto capitolo “Un modello di intervento” in accordo a quanto contenuto
nel capitolo precedente, approfondisce la fase di intervento sociale portando
come modello di riferimento il modello sistemico utilizzato e proposto dal
CBM di Milano nei casi di maltrattamento e trascuratezza. Tale modello è una
guida essenziale per la rilevazione del fenomeno maltrattamento, nonché una
forte base per l’assistente sociale al fine di portare avanti al meglio le fasi di
indagine e di valutazione sociale.
In secondo luogo si è analizzato lo strumento privilegiato del lavoro sociale,
cioè la relazione interpersonale, all’interno della quale si può creare un
contesto positivo di aiuto.
Il quinto e ultimo capitolo “La pratica socio-clinica: un metodo di intervento
proponibile nei casi di violenza familiare” capitolo è particolarmente
importante in quanto tende ad evidenziare la delicatezza dell’intervento
sociale in tutte le fasi del Modello ed in particolare nella fase di trattamento
terapeutico.
In questa direzione si apre la necessità che l’assistente sociale sia preparata
in modo professionale sia rispetto a tutte le fasi dell’intervento, che rispetto
ai sentimenti e alla tempistica che un intervento così delicato fa emergere.
Un intervento basato su una pratica socio-clinica potrebbe affiancare il
Modello sistemico per la riparazione dei vissuti traumatici del bambino, per
la rielaborazione delle azioni violente, del senso di colpa e delle omissioni
del genitore.
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In questo senso si propone il lavoro socio-clinico come metodo di aiuto e
sostegno alla famiglia in crisi, al fine di riportare le relazioni verso un nuovo
e ritrovato equilibrio.
capitolo 1 INFANZIA E VIOLENZA
Sempre più spesso oggi si discute il problema dell’abuso all’infanzia e della
violenza in famiglia.
I risultati degli studi compiuti dalle discipline umanistiche e mediche, hanno
portato alla luce una realtà che per molto tempo è rimasta nascosta o per lo
meno sottovalutata.
Il maltrattamento dei bambini in ambito familiare, infatti, non è un fenomeno
recente, un nuovo problema sociale, come si potrebbe pensare; anzi, si tratta
di una realtà che fa parte della nostra storia, una modalità che in passato era,
in alcune sue forme, considerata “educativa” e quindi legittima.
Storicamente la società (il mondo adulto) non è mai stata particolarmente
sensibile ai problemi d’abuso e di maltrattamento ai minori, anche perché
valori profondamente radicati legittimavano molti comportamenti e
atteggiamenti che ora noi consideriamo essere forme di abuso.
Quindi non è mai esistita, nelle epoche precedenti la nostra, la
consapevolezza che anche il bambino è un soggetto portatore di diritti e di
bisogni da appagare, un soggetto che ha bisogno di un ambiente stabile e
accudente affinché la sua personalità possa svilupparsi in modo equilibrato e
armonico e che ogni bambino possiede caratteristiche proprie che devono
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essere rispettate e non violate. Il maltrattamento infantile, quindi, non è mai
stato messo in discussione finché il bambino è stato considerato a pieno titolo
un possesso dei genitori. Le ricerche compiute dagli storici della famiglia
hanno permesso di tracciare un quadro della vita familiare e della storia
dell’infanzia attraverso i secoli. Esse offrono un panorama composito e a
volte contraddittorio sulla situazione dei minori ed in particolare sul
fenomeno del maltrattamento e della trascuratezza, la sua diffusione e il suo
riconoscimento.
Studiosi come Shorter (1978), De Mause (1974), sono animati da uno spiccato
ottimismo per la condizione odierna dei minori in famiglia e nella società e
leggono in termini lineari la storia dell’infanzia, secondo un procedere
evolutivo che vede un graduale, ma progressivo passaggio da forme di
crudeltà tipiche del passato ad una nuova empatia verso il bambino.
Questo ottimismo è condiviso, pur con diverse motivazioni, da altri storici
della famiglia, i quali ritengono che ogni società possegga proprie modalità di
allevamento dei bambini che influenzano solo entro certi limiti la tendenza
alla cura della prole, finalizzata alla sopravvivenza stessa della specie.
Le pratiche educative e le modalità comportamentali risentono infatti di una
forte connotazione culturale e sono inscindibilmente legate alle
“rappresentazioni” che ogni epoca si fa della relazione genitori-figli.
L’ipotesi del maltrattamento dei bambini in famiglia viene formulata, come
vedremo nel prossimo paragrafo, in prima istanza nel mondo medico, quando
negli anni ‘60 alcuni pediatri americani riconoscono in determinati quadri
clinici osservati nei bambini, la sintomatologia del maltrattamento.
Capitolo 1 – Infanzia e violenza
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1.1 LA STORIA DELL’INFANZIA
Per comprendere il fenomeno della violenza e del maltrattamento è necessario
tracciare una breve mappa storica introduttiva al fenomeno, ripercorrendo
alcuni momenti storici significativi.
La storia dell’infanzia può essere letta in base ai mutamenti socio-culturali
che hanno prodotto una progressiva modifica dei rapporti tra adulto e
bambino.
Il bambino nei secoli passati è stato considerato una “cosa” di proprietà dei
genitori, pensato come “materia” da plasmare secondo il modello adulto.
L’infanzia è stata protagonista di abbandoni, molestie, violenze e sevizie fino
alla morte, senza considerazione dei suoi bisogni affettivi, educativi e di
crescita.
Il cammino di sensibilizzazione ai bisogni del bambino è stato lungo e
faticoso.
Presso le antiche culture egiziane e babilonesi, il neonato non veniva
considerato parte integrante del genere umano se non passava attraverso riti,
che ne segnavano la nascita sociale.
Durante questo periodo, il padre poteva anche condannarlo a morte senza
incorrere in nessuna sanzione punitiva.
Nell’antica Roma era addirittura l’ordinamento giuridico a stabilire che
dovesse essere il padre ad avere il diritto di vita o di morte sul figlio
neonato...
“Nella Roma imperiale diffusa era la pratica di abbandono e la Columna
Lactaria, era il luogo in cui si radunavano le balie per allattare i bambini
che venivano abbandonati…Se assoluto era, presso i popoli antichi, il potere
del padre sulla vita e la morte dei figli, a maggior ragione non trovavano
Capitolo 1 – Infanzia e violenza
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vincoli di sorta le decisioni dei genitori in ordine alle pratiche educative
sicchè incontestato era l’uso di sanzioni fisiche. L’uso ripetuto della frusta
era ricorrente ad esempio sia tra i Sumeri tremila anni prima di Cristo che
nella Roma repubblicana…L’avvento del Cristianesimo porta ad un radicale
mutamento di quadro. L’attenzione verso la persona e la vita umana in
generale modifica l’ottica con cui si devono considerare i bambini anche se
orfani e malati…
Al tempo degli imperatori Costantino e Graziano l’infanticidio viene
finalmente considerato un grave delitto…La prassi resta tuttavia ancora
difforme dai principi legislativi e la soppressione dell’infante viene di fatto
tollerata soprattutto come soluzione per i figli illegittimi... La legge
riconosce dunque al bambino il diritto alla vita, tuttavia non prende in
considerazione l’esistenza nel minore di bisogni altri rispetto alla
sopravvivenza fisica... “
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Durante il periodo medioevale la condizione infantile rimane di fatto
immutata, nonostante sia la Chiesa che la legge manifestino chiaramente un
interesse di tutela della dignità della vita umana.
In tale periodo il concetto di “nucleo familiare”, inteso come luogo di
protezione e educazione della prole, era molto diverso rispetto ad oggi. In
base a fonti relative alle abitudini e alle pratiche di allevamento nelle classi
nobiliari, il bambino risulta essere “un piccolo adulto, poco avvezzo a
ricevere cure ed affetto da parte dei genitori”
2
1
[1] cit. pagg. 17/18
2
[1] cit. pag 18