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Introduzione
La violenza politica ha segnato la storia di molte nazioni nel corso dei secoli.
Infatti, nel panorama complesso e variegato delle dinamiche politiche e sociali, la
violenza politica emerge e attraversa le epoche e i territori, rappresentando uno
strumento utilizzato dai movimenti politici per perseguire obiettivi radicali. Questo
elaborato si propone di trattare tale fenomeno attraverso il caso di Sendero Luminoso
(SL), un’organizzazione rivoluzionaria di stampo marxista-leninista-maoista sorta nel
1969 in Perú e il cui apice, sia in termini di espansione che di violenza, è stato il periodo
del conflitto armato interno, che ha caratterizzato la storia sociopolitica peruviana dal
1980 al 2000. Questo gruppo armato ha impiegato la violenza come strumento per
cercare di ottenere il potere politico e instaurare una società radicalmente diversa
mediante la Guerra Popolare. Questa tesi si propone di esaminare in modo
approfondito il ruolo che la violenza ha giocato all’interno delle strategie politiche, e
non solo militari, di SL, analizzandone ideologia, obiettivi e metodi utilizzati.
Attraverso un’indagine critica della letteratura, si cercherà di comprendere le
motivazioni e le conseguenze di questa scelta strategica, mettendo in luce le
implicazioni sociali e politiche della violenza politica. Si tenterà, inoltre, di esplorare i
fattori che hanno permesso a SL di radicarsi e diffondersi, oltre alle sfide affrontate e
le iniziative attuate dal governo peruviano e dalla società civile nel tentativo di
contrastarlo. Attraverso questo studio, si mira a evidenziare e trattare un periodo
drammatico del Perú, oltre che a contribuire a una maggior comprensione dei
meccanismi della violenza politica.
Infatti, la violenza politica rappresenta un concetto ampio e complicato, che
comprende tutte le forme di violenza, o azioni coercitive, dirette contro un governo,
un’organizzazione o un gruppo, con il fine di conseguire obiettivi politici e/o sociali.
Può includere, per esempio, rivolte, sommosse, colpi di Stato, conflitti armati tra
fazioni politiche o attacchi contro strutture governative o militari. A differenza del
terrorismo, la violenza politica non si concentra necessariamente sulla paura e
l’intimidazione della popolazione civile, ma può comunque avere gravi conseguenze
per la stabilità e la sicurezza di un Paese, oltre che per il suo sistema politico e sociale.
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Infatti, si prediligerà il termine di violenza politica a quello di terrorismo, in quanto
quest’ultimo porta con sé preconcetti e pregiudizi che rischierebbero di non far
comprendere appieno le motivazioni e l’azione di SL e, più in generale, dei gruppi
rivoluzionari. Inoltre, la violenza terroristica è una violenza che non nasce dal rifiuto
dello Stato o delle istituzioni: ha un progetto politico, ma, a differenza della violenza
politica, questo è subordinato all’utilizzo della violenza, in grado di generare terrore
nell’avversario o causarne la sua distruzione, fine unico dell’azione politica.
Se, come sottolineato da Max Weber, la politica è la distribuzione del potere
all’interno di una società complessa
1
, la natura di questo insieme di aspirazioni per
l’amministrazione del potere diviene inevitabilmente conflittuale. È lo stesso Weber a
gettare luce sul ruolo della legittimità e dell’autorità nel contesto della violenza politica,
analizzando come queste dinamiche possano influenzare e determinare un’azione
politica estrema. Infatti, il suo concetto di «monopolio dell’uso legittimo della forza
fisica»
2
sottolinea la funzione cruciale dello Stato nella detenzione del potere coercitivo,
definendo un ordine sociale che poggia sulla stabilità e sulla legittimità. L’analisi
weberiana delle strutture di autorità e delle dinamiche di potere fornisce un quadro
concettuale utile per comprendere come gruppi sovversivi cerchino di minare o
sostituire l’autorità statale attraverso la violenza e l’indottrinamento.
Questa prospettiva si completa con la visione del contratto sociale e del potere sovrano
di Thomas Hobbes, che fornisce una base per comprendere le origini della violenza
politica nel tentativo di risolvere i conflitti di potere e legittimità. Infatti, la violenza
diviene stato naturale dell’uomo e la creazione di un’autorità centrale necessaria per
evitare il caos e «la guerra di tutti contro tutti»
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. Queste prospettive teoriche aprono la
strada a una riflessione critica sulla legittimità e le conseguenze della violenza politica
e a una maggior comprensione della logica di gruppi come SL, la cui lotta armata
sembrava unica e imprescindibile risposta a una società percepita come ingiusta e
oppressiva.
1
Max WEBER, La politica come professione, Armando Editore, Roma 1997, p. 33.
2
Ibidem.
3
Thomas HOBBES, Leviatano, Armando Editore, Roma 1997, p. 49.
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Inoltre, è l’analisi di Hannah Arendt sulla «banalità del male» e sulla natura
dell’obbedienza nell’ambito dei regimi totalitari a offrire una prospettiva preziosa per
esaminare il ruolo dell’individuo e della conformità nella perpetrazione della violenza.
Infatti, individui «terribilmente normali»
4
possono compiere atti di violenza estrema
sotto l’influenza di un’ideologia radicale. Le sue analisi sui totalitarismi e sulle
dinamiche di gruppo forniscono una cornice interpretativa per esaminare come SL sia
riuscito a reclutare e indottrinare seguaci nel perseguire la sua causa violenta.
L’approccio di Donatella Della Porta offre una visione attuale sulla violenza
politica, attraverso l’analisi dei contesti, delle reti e delle strategie adottate dai
movimenti sociali. Le sue teorie, infatti, si concentrano sulle motivazioni dei gruppi
per usare la violenza, le dinamiche interne che possono portare all’emergere di tali
comportamenti e le possibili risposte delle istituzioni e della società civile. Questi
elementi divengono centrali nell’approfondimento sulla struttura gerarchica e
sull’indottrinamento di SL.
Charles Tilly, con la sua analisi delle rivoluzioni sociale e della violenza collettiva,
contribuisce a evidenziare le dinamiche strutturali e le cause scatenanti della violenza
politica. Tilly sostiene che la violenza collettiva sia sempre politica
5
: le interazioni che
avvengono all’interno di un collettivo sono funzionali a imporre un insieme di valori,
norme e interessi condivisi. Infatti, le dinamiche di protesta e rivolta divengono
momenti in cui la violenza può essere utilizzata come mezzo per ottenere obiettivi
politici. L’analisi delle tattiche, delle strategie e delle retoriche adottate da SL consente
di valutare come il gruppo abbia cercato di raggiungere i propri obiettivi mediante atti
violenti e destabilizzanti, oltre a esplorare il modo in cui tali azioni abbiano influenzato
la percezione dell’opinione pubblica e del governo.
La visione critica di Walter Benjamin della violenza come mezzo di creazione e
distruzione pone in risalto l’ambivalenza dell’uso della forza da parte di movimenti
politici, portando alla riflessione su come questa possa influenzare la sfera pubblica.
4
Hannah ARENDT, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli Editore Milano, Milano
1964, p. 282.
5
Charles TILLY, The politics of Collective Violence, Cambridge University Press, Cambridge 2003, p. 10.
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Inoltre, nella sua riflessione sulla violenza, ha considerato il rapporto tra violenza
legittima e violenza illegittima
6
, aprendo una discussione sulle potenziali conseguenze
delle azioni violente all’interno del contesto politico. Il suo pensiero contribuisce a una
valutazione etica dell’uso della violenza come strumento politico nelle azioni compiute
da SL e delle implicazioni più ampie di tali azioni in relazione ai principi morali e politici
della lucha armada.
Tutti questi illustri pensatori, insieme ad altri, offrono prospettive teoriche e
interpretative che pongono l’accento sull’importanza della comprensione delle
dinamiche di violenza politica e dei contesti in cui essa si manifesta. Attraverso l’analisi
intersezionale di queste prospettive teoriche, la tesi si prefigge di trattare il complesso
intreccio tra violenza, politica e società. Lo scopo ultimo è di contribuire a una
consapevolezza più profonda delle dinamiche che sottendono all’uso della violenza
come strumento politico, dei fattori che guidano l’adozione di tattiche violente da parte
di movimenti politici radicali e delle conseguenze che ne derivano per le comunità e
società coinvolte.
Il primo capitolo, intitolato L’ascesa di Sendero Luminoso, esamina i molteplici
fattori politici e sociali che hanno contribuito alla nascita del partito prima, poi
dell’organizzazione rivoluzionaria. Si propone di indagare le condizioni storiche,
politiche, sociali ed economiche che hanno fornito terreno fertile per la sua crescita. Si
analizza quello che è il contesto politico e sociale del Perú degli anni Sessanta e Settanta,
segnato da instabilità, disuguaglianza sociale, razzismo e conflitti politici. Si mettono in
luce le divisioni tra le élite politiche e la crescente insoddisfazione di ampie fasce della
popolazione, specialmente nelle zone andine e rurali, di cui si esaminano le condizioni
socioeconomiche, in quanto è proprio lì che SL ha radicato gran parte del suo sostegno.
Successivamente, attraverso la ricostruzione e l’analisi del Partito Comunista Peruviano
(PCP), si esplorano le tensioni tra i partiti, in particolare tra quelli comunisti tradizionali
e le nuove ideologie radicali che cercavano una lotta armata contro il sistema
capitalistico.
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Brendan MORAN, Carlo SALZANI, Towards the Critique of Violence: Walter Benjamin and Giorgio
Agamben, Bloomsbury, London 2015, p. 158.
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Infine, ci si propone di esplorare il ruolo chiave di Abimael Guzmán nella fondazione e
nell’affermazione di SL dal 1969, in quanto principale ideologo e prototipo di leader
carismatico in senso weberiano, delineandone origini, formazione accademica e
intellettuale e le prime influenze politiche, focalizzandosi sull’ideologia marxista-
leninista-maoista, ma anche su José Carlos Mariátegui, fondatore del Partito Socialista
Peruviano (PSP).
Il secondo capitolo, L’utopia di un “Nuevo Estado”, tenta di spiegare quella che è
l’ideologia di SL, dando una panoramica del marxismo-leninismo-maoismo, della
reinterpretazione e dell’adattamento alle condizioni peruviane da parte del leader
senderista, che congiuntamente porteranno alla formulazione del cosiddetto
Pensamiento Gonzalo e al concetto di lotta armata rivoluzionaria come unico sentiero
percorribile per giungere alla creazione di Nuovo Stato comunista, più giusto e morale.
Inoltre, ci si focalizza sulle strategie messe in atto per reclutare nuovi membri e
diffondersi fra le masse. Si analizzano i metodi di proselitismo utilizzati, tra cui l’uso
della propaganda e dell’indottrinamento negli spazi di educazione e formazione, quali
scuole e università, e della violenza come strumento di intimidazione. Infatti, si esplora
anche la visione di SL della violenza come mezzo per il raggiungimento degli obiettivi
rivoluzionari e la giustificazione del suo utilizzo come risposta alla repressione statale
e mezzo per scuotere la coscienza delle masse e condurle alla lotta. Si esamina il ruolo
delle organizzazioni sociali e politiche all’interno di SL e il loro tentativo di infiltrarsi e
manipolare la popolazione, in particolare quella rurale.
Infine, ci si concentra sul ruolo della donna e della famiglia in SL, in quanto parte della
propaganda senderista si proponeva di fornire nuove funzioni, anche di vertice,
facendo leva sulle disuguaglianze di genere. Si esplora anche il ruolo delle donne nella
leadership di SL, analizzando le figure femminili importanti all’interno
dell’organizzazione e il loro contributo alle strategie e alle operazioni militari,
soprattutto in riferimento ad Augusta La Torre, fondatrice e leader di SL.
Successivamente, si esamina il coinvolgimento delle donne nella lotta armata,
analizzando i motivi per cui hanno scelto di partecipare attivamente alle azioni violente
e su come il gruppo rivoluzionario abbia cercato la mobilitazione femminile sfruttando
il loro ruolo di madri e custodi del futuro peruviano.
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In sintesi, questo capitolo offre un’analisi dettagliata dell’ideologia di SL, mettendo in
luce le basi teoriche e ideologiche su cui il movimento ha fondato la propria lotta
armata.
Per concludere, l’ultimo capitolo su El conflicto armado interno si propone di
analizzare un periodo drammatico nella storia del Paese, che si estende dal 1980 al
2000, caratterizzato da violenza politica e gravi violazioni dei diritti umani. Al centro
di questo conflitto si trovava proprio SL, che aveva iniziato la sua Guerra Popolare
con l’obiettivo di rovesciare il sistema capitalistico e instaurare una società comunista
radicale. L’organizzazione rivoluzionaria ha adottato una strategia di lotta violenta,
utilizzando attacchi, tanto mirati quanto indiscriminati, attentati, sequestri e omicidi
per diffondere terrore e destabilizzare la popolazione. Il conflitto armato interno ha
avuto gravi conseguenze: decine di migliaia di vittime, tra cui civili, militari e membri
delle forze dell’ordine. SL ha colpito duramente le zone rurali, dove ha cercato di
radicare e radicalizzare il suo sostegno tra i contadini scontenti, sfruttando le
disuguaglianze sociali e la mancanza dello Stato.
Tuttavia, si cerca anche di evidenziare quella che è stata la risposta del governo
peruviano, in particolare concentrandosi sulla figura del Presidente Alberto Fujimori, che
lanciò operazioni militari contro SL, colpendo però anche la popolazione civile.
Il conflitto si è rivelato estremamente complesso e prolungato, con una serie di abusi
e violenze perpetrati tanto dalle forze dell’ordine quanto dal gruppo sovversivo.
Inoltre, oggetto di approfondimento sono non solo l’autogolpe del 1992 del Presidente
Fujimori, ma anche l’Operazione Victoria, messa in atto dagli organi di intelligence
peruviani per la cattura di Guzmán, e il passaggio dall’Accordo di Pace con il governo
alla soluzione politica di una lotta senza armi. Tuttavia, nonostante una serie di
sconfitte militari negli anni successivi alla cattura del Presidente Gonzalo, alcuni gruppi
minori di SL sono rimasti attivi nelle aree remote del Paese.
Infine, si tenta di ripercorrere i punti salienti della Commissione della Verità e della
Riconciliazione (CVR), che ha provato a sua volta ad analizzare l’impatto devastante
che la lotta armata ha avuto sulla società peruviana, generando divisioni sociali, sfiducia
nelle istituzioni e gravi danni economici: le violazioni dei diritti umani commesse
durante il conflitto hanno suscitato preoccupazione a livello nazionale e internazionale.