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1.3.1 Instabilità del regime non democratico e avvio della transizione
Il percorso di transizione racchiude al suo interno sia il declino del regime dittatoriale
sia le nascenti istituzioni di carattere democratico, che determinano una parziale
sovrapposizione all’instaurazione definitiva. Essa comincia a manifestarsi nel momento
in cui il regime presenta una crisi all’interno del proprio sistema (incapacità del
mantenimento dell’ordine stabilito, anche a livello economico e fratture all’interno
dell’élite di partito) o nel momento in cui l’élite politica annuncia fasi di innovazione,
unitamente a una progressiva espansione delle libertà concesse come dissenso, libertà di
espressione e pluralismo. I regimi cercano di fronteggiare la crisi in atto con un aumento
della repressione o mirando all’ulteriore consolidamento della legittimazione dell’élite.
Nel caso questi tentativi abbiano esito positivo il regime torna a consolidarsi, o al
contrario determinano il continuo del processo di transizione. Con tale fase non è ancora
in atto una vera e propria democratizzazione, ma piuttosto una sorta di allentamento del
controllo oppressivo del regime dovuto alla sua crisi interna, anziché a un’apertura in
favore dei dissensi; inoltre vi sono diversi contendenti tra estremisti e moderati del
regime, mentre la sovranità comincia a dividersi. In caso di transizione democratica,
può essere restaurativa o innovativa. Nel momento in cui vi è maggiore consenso tra gli
attori di regime sul creare un governo eletto, la transizione può definirsi come
democratica: avviene il riconoscimento dei diritti civili e politici, sono definite garanzie
dagli attori politici e comincia a manifestarsi un progressivo consenso nei confronti del
pluralismo. Non solo è l’élite politica a poter avviare tale processo, ma anche forze
armate o parti del partito unico; la decisione può provenire da politiche disastrose che
hanno aggravato la crisi del sistema, opposizioni popolari o dalle fratture della stessa
élite che determina la vincita dei riformisti sulla fazione conservatrice.
La transizione può essere distinta tra continua e discontinua. Nel primo caso essa ha
carattere graduale, poiché la rottura dal vecchio sistema del regime non democratico
(norme, istituzioni) al nuovo non è traumatica. In alcuni casi, il cambiamento può essere
preceduto da riforme avviate già dal precedente regime; vi sono anche casi in cui il
passaggio è promosso dalla vecchia élite autoritaria. La continuità può essere assicurata
mediante l’istituzione di patti che mirano a coinvolgere i nuovi attori collettivi nel
processo decisionale, inclusi movimenti di opposizione, partiti politici e sindacati. In tal
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modo, si promuove un clima di dialogo e collaborazione che favorisce la stabilità e
l’efficacia del processo; esempi di patti suggellati sono quelli stabiliti in America
Latina, tra civili e forze armate.
Ma perché mai le élite politiche dovrebbero accordare una transizione verso la
democrazia? Possono esserci cinque motivi alla base della scelta:
I tempi sono considerati “maturi” per un ritorno al regime democratico;
Una parte di essa si rende conto di non poter bloccare il processo, se non con
gravi perdite;
Viene emarginata la parte ancorata al passato e avviene un ricambio
generazionale;
Vengono emarginati gli elementi più estremisti;
L’instaurazione democratica permetterebbe il mantenimento della carica
istituzionale, e dunque la possibilità di poter proseguire a influenzare le scelte
politiche, come nel caso di Pinochet.
Nel caso della discontinuità, essa si manifesta attraverso il collasso del sistema
precedente a causa di eventi drammatici, come golpe, occupazioni di forze armate,
guerre civili e via dicendo. Gli attori statali inoltre vengono sostituiti da un’élite
emergente, la quale si impegna per la creazione di nuove istituzioni e norme. La chiara
manifestazione della discontinuità è riscontrabile specialmente nel repentino mutamento
del sistema statale piuttosto che nel regime politico, poiché si verifica una
trasformazione così profonda da modificare radicalmente l'aspetto stesso dello stato
(come il cambio di alleanze, proclamazione di indipendenza) tanto che può arrivare
anche a modificare anche il regime. Nel caso in cui la discontinuità provenga dal basso
e presenti dei caratteri estremisti, l’esito democratico desiderato diviene più difficile da
raggiungere, in quanto è più probabile che possa scatenare le reazioni violenti della
vecchia élite.
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A questo proposito, Nancy Borromeo teorizza tre diverse conseguenze:
Nel caso in cui l’élite sia convinta che le parti estremiste vincano, rifiuteranno la
democrazia interpretandola come elemento di instabilità dell’assetto stesso;
Se l’élite prevede la vittoria moderata e la sconfitta degli estremisti, a questo
punto la democrazia potrà essere riconosciuta come fattore vincente per uscire
dalla crisi;
Se è prevista la propria vittoria a discapito dell’estremismo, la democrazia sarà
accolta come un modo di conferire legittimità.
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1.3.2 L’instaurazione
La fase di instaurazione si riferisce al periodo nel quale vengono create le fondamenta
delle principali istituzioni del nuovo regime democratico. Come anticipato, tale
processo può coincidere con la fase di transizione, come ad esempio negli accordi e
compromessi tra la nuova e la vecchia élite, nella definizione della legge elettorale,
nell’elaborazione di una nuova costituzione, nell’organizzazione delle imminenti
elezioni e così via.
La cosiddetta fase di constitution-building può variare da paese a paese, poiché alcuni
hanno adottato una nuova carta in meno di un anno, mentre altri hanno sperimentato
processi costituenti più lunghi. Un altro aspetto variabile riguarda le decisioni temporali
e le differenti priorità, in quanto gli stati fondano le nuove istituzioni durante la
transizione o l’instaurazione. Un terzo aspetto di fondamentale importanza ha a che fare
con le caratteristiche e gli aspetti che possono condizionare il patto costituzionale, in
quanto occorre conoscere gli obiettivi e l’entità degli attori politici. Una quarta
dimensione è rappresentata le metodologie attraverso le quali i processi costituenti
vengono eseguiti e giustificati, quindi se tramite: assemblee costituenti; una sola o più
fasi; la formazione o modifica della legge fondamentale è a carico di parlamentari
ordinari; la carta è adottata mediante referendum o voto parlamentare; oppure nel caso
in cui le modifiche della vecchia carta costituzionale sono attuate attraverso un
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P. Grilli di Cortona, Come gli stati diventano democratici, Editori Laterza, 2009, ibid., p. 39-51
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referendum, come in Cile nel 1989. L’ultima dimensione riguarda il tipo di democrazia
adottato e il modello di relazioni interistituzionali stabilito mediante la Costituzione. La
scelta è condizionata da fattori esterni, o da fattori influenzati dalla condizionalità (come
nel caso dell’Unione europea). Un ruolo determinante è assunto anche dai modelli
istituzionali esterni nelle vicinanze, che vengono presi come riferimenti: come in
America latina è parecchio diffuso il presidenzialismo, l’Europa è orientata verso il
parlamentarismo. Anche i vecchi modelli istituzionali incidono, nel caso di
ridemocratizzazioni: le istituzioni del passato vengono infatti re instaurate oppure
totalmente stravolte se considerate inadeguate.
Si giunge dunque alla piena fase di instaurazione nel momento in cui avvengono le
prime elezioni regolari e viene attuato il primo disegno di legge con la formazione dei
primi organi di governo. Le istituzioni in questa fase cominciano a entrare in funzione,
facendo tuttavia sorgere differenti dilemmi. Uno dei principali riguarda l’eventuale
integrazione o esclusione della vecchia élite. Se il regime precedente è di tipo militare, è
necessario un processo di depoliticizzazione nel settore delle forze armate, affiancato a
un ritorno pacifico nelle caserme. L’alternativa sarebbe posporre il problema, ma in
questo modo il processo democratico avanzerebbe con enorme difficoltà, data dai
possibili ostacoli messi in atto dai militari. Un altro problema è rappresentato dalla
giustizia, definito da Huntington come “dilemma del torturatore”. Tale dilemma
consiste nel stabilire se soddisfare o meno la richiesta dei cittadini di punire i
responsabili delle azioni repressive attuate durante il periodo antidemocratico. La
riconciliazione, che può avvenire con lo scambio di accettazione della
democratizzazione a favore di una sorta di immunità a favore dei militari, ha la
possibilità di scatenare la reazione delle masse e delle organizzazioni che tutelano i
diritti umani; un’eventuale scelta di attuare giustizia può determinare sollevazioni o
comunque una non accettazione da parte delle forze armate di essere sottoposte a
processo. Il problema dell’integrazione sorge anche nel caso in cui l’instaurazione
avvenga in presenza di élite che non siano militari: nelle ex repubbliche sovietiche è
molto comune l’integrazione della vecchia classe dirigente, che varia in base alla
continuità o discontinuità della transizione. Nel primo caso, il partito unico si converte
in un vero e proprio attore democratico, rifiutando l’ideologia del passato; in caso di
discontinuità, in cui la transizione è compiuta da attori estranei al regime, i cambiamenti
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d’élite risultano ambigui e l’esito democratico non è scontato. Un altro dilemma
collegato a quello appena descritto, si riferisce all’epurazione delle forze armate e della
pubblica amministrazione in vista della costituzione del nuovo regime. Di solito i
processi democratici non influenzano in modo drammatico tali apparati, a eccezione di
due circostanze, ovvero quando la democratizzazione avviene in contemporanea alla
transizione statale, e la mancanza di competenze professionali dell’apparato
amministrativo del precedente regime. Nel primo caso, maggiore impatto ha la fase di
transizione sullo Stato, Nel che riguarda sia i confini che la sua struttura, maggiore
risulta la probabilità che le istituzioni burocratiche debbano conformarsi al nuovo
regime; inoltre questa situazione rappresenta un’opportunità ideale per correggere
eventuali difetti nell’apparato burocratico. La carenza di competenze degli apparati
amministrativi può essere la conseguenza di basso sviluppo e di una forte influenza
ideologica che ha determinato l’immissione di personale più vicino a figure del regime,
a discapito della professionalità. Per cui maggiore è il grado di professionalità
dell’apparato amministrativo del vecchio regime, minore possibilità ha di subire
variazioni profonde al momento dell’instaurazione della democrazia. L’ultimo dilemma
concerne le conseguenze del riallineamento delle scissioni avvenute dopo la
democratizzazione, che possono causare conflitti etnici e regionali, oppure contribuire
alla marginalizzazione delle minoranze associate agli individui che hanno ricoperto
ruoli di rilievo nel precedente regime.
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1.3.3 Il consolidamento
Il consolidamento è ritenuto la fase cruciale dell’implementazione della democrazia, il
quale diminuisce le possibilità di un ritorno a strutture di tipo autoritario. Gli elementi
che l’assicurano sono la garanzia di stabilità e inclusività da parte delle nuove istituzioni
e la formazione di una nuova classe dirigente, conforme ai nuovi valori democratici.
Affinché sia adeguatamente consolidata, è decisiva l’accettazione della democrazia da
parte dei cittadini e degli attori politici rilevanti come l’unico sistema di governo
appropriato. Questo implica non solo l’eliminazione del rischio di regressione, ma
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P. Grilli di Cortona, Come gli stati diventano democratici, Editori Laterza, 2009, ibid., p. 53-58
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anche il fatto che la democrazia diventi una parte essenziale della vita sociale. La
dimensione psicologica diventa dunque significativa in quanto la democrazia si
trasforma da un’idea astratta a una realtà tangibile che influenza profondamente le
percezioni e i comportamenti delle persone, in cui il fattore tempo diventa significativo.
Questo significa che:
Nessun attore politico ha l’intenzione di rovesciare il nuovo regime;
Anche durante periodi critici, la maggioranza ritiene appropriato non uscire dai
parametri democratici;
La democrazia è considerata l’unica alternativa (the Onyx game in Town) anche
da una prospettiva costituzionale, in quanto qualsiasi violazione verrà risolta
tramite l’applicazione delle norme.
Morlino definisce tale consolidamento come “quel processo di definzione-fissazione nei
loro caratteri essenziali, e di adattamento in quelli secondari, delle diverse strutture e
norme proprie del regime democratico, indotto anche dal trascorrere del tempo”. Per
definizione e adattamento si intendono la regolazione di istituti, procedure, e
consuetudini di carattere democratico, che devono seguire le norme costituzionali, al
fine di risolvere pacificamente i conflitti; tutto ciò deve avvenire con l’accettazione
dell’opinione pubblica e degli attori collettivi di rilievo. E’ abbastanza raro che un
processo di democratizzazione si verifichi quando esiste già una solida fondazione di
legittimazione democratica, poiché una solida base orientata verso la democrazia è nella
maggior parte dei casi il prodotto della pratica democratica. Un ulteriore modo per
attuare il consolidamento è la costruzione di rapporti tra le varie istituzioni, le strutture
intermedie e i cittadini, in modo da avere rapporti tra il basso e l’alto (come i partiti,
considerati strumenti di conferimento di legittimità) e fra l’alto e il basso (in cui i partiti
si impegnano a regolare la domanda politica).
Accanto alle analisi del consolidamento possono esserci due dimensioni, una positiva e
una negativa. La prima consiste nell’instillare nella società civili e le classi dirigenti i
principi democratici, attraverso le azioni degli attori politici e le istituzioni, con
l’obiettivo di implementare una democrazia di tipo liberale. La dimensione negativa
riguarda le risoluzione di questioni di problematiche ancora prendenti con la transizione
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l’instaurazione e la neutralizzazione di ogni rischio che porti alla regressione; in
quest’ultimo caso rientrano la marginalizzazione dei partiti definiti anti-sistema. Un
ulteriore aspetto del consolidamento riguarda l’eliminazione dei poteri tutelari, quindi di
meccanismi istituzionali incaricati di monitorare gli organi del regime; i domini
riservati, ovvero aree di governance sotto il controllo di attori non eletti, spesso
influenzate da minacce degli attori politici dotati di potere coercitivo (spesso le forze
armate), che limitano l’autorità dei governi eletti. In molti casi, come in Cile, anche
dopo la transizione le forze armate hanno tentato di appropriarsi del potere decisionale
appartenente al governo eletto; in questo caso è necessario il ridimensionamento del
settore delle forze armate affinché il processo democratico possa proseguire; e dei
sistemi elettorali scarsamente competitivi, che costituiscono il prodotto di vari
compromessi stabiliti durante la fase di transizione o di patti concessi da parte della
vecchia classe dirigente.
Per quanto riguarda la società civile, devono essere affrontate sfide altrettanto rilevanti:
La presenza duratura di figure autoritarie che mantengono un controllo
significativo sul potere;
una posizione neutrale nei confronti del regime politico da parte di attori
influenti (come la Chiesa);
la prevalenza di comportamenti e di uno stile politico non incompatibili con un
contesto democratico come la corruzione;
la crisi del settore economico e la diffusione di disuguaglianze sociali.
Tutte queste problematiche sono risolvibili mediante un corretto e regolare
funzionamento delle nuove istituzioni democratiche, unito all’implementazione di
politiche di risanamento economico. Ma quali sono i criteri per determinare il compiuto
processo di consolidamento di una democrazia? Secondo Huntington, può definirsi
consolidata “quando il partito o i gruppi di partiti che ha preso il potere con le elezioni
iniziali, al tempo della transizione, cede successivamente il potere a nuovi vincitori, e
quando i nuovi vincitori cedono a loro volta pacificamente il potere a ulteriori vincitori,
dopo una nuova elezione”; tale test, definito del doppio turn over, è tuttavia criticato da
Lijphart poiché regimi democratici di lungo corso non hanno ottenuto esito positivo (un
esempio ne è l’Italia stessa nel 1994).
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In definitiva, una democrazia consolidata presenta i seguenti caratteri: la maggioranza
degli attori collettivi, dei cittadini e delle istituzioni ritengono la democrazia the only
game in town; il fattore tempo determina una stabilizzazione delle procedure
democratiche, come le elezioni regolari, corrette e competitive; non vi è altro attore al di
fuori lo Stato ad esercitare la sovranità sul territorio; vi è il reciproco riconoscimento tra
le varie istituzioni statali; è dimostrata la competenza nell’affrontare e superare le varie
sfide, sia di carattere economico, sia politico.
Anche in contesti di democrazie consolidate in cui vi era un sostegno democratico
scarso, si può spiegare il consolidamento tramite la cosiddetta teoria dell’ancoraggio.
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Secondo questa teoria, tale processo dipende dalla solidità dei legami fra istituzioni e
società, sia dall’alto verso il basso che viceversa. Tali relazioni sono mediate in
particolar modo dall’azione dei partiti politici; il consolidamento democratico è dunque
caratterizzato dalla legittimazione delle istituzioni e l’ancoraggio della società. Morlino
identifica una serie di circostanze estreme e indaga come la combinazione di entrambi
gli aspetti varia sul consolidamento nei diversi contesti nazionali.
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1.4 Cause e fattori della democratizzazione
Come menzionato precedentemente, non esiste una teoria universalmente applicabile
che sia in grado si spiegare le democratizzazioni, trattandosi di percorsi frutto di
combinazioni che includono fattori variabili, combinazioni che a loro volta differiscono
nel tempo e nello spazio. Le condizioni definite da Huntington per spiegare la terza
ondata di democratizzazione sono infatti diverse rispetto alle prime due, ovvero: la crisi
dei regimi in merito alla legittimazione; lo sviluppo economico internazionale diffusosi
a partire dagli anni ’70; le variazioni dottrinali della Chiesa cattolica in seguito al
Concilio Vaticano II; le politiche estere degli Stati uniti e dell’Unione sovietica; la copia
e i risultati creatisi dall’aumento della circolazione dell’informazione.
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P. Grilli di Cortona, Come gli stati diventano democratici, Editori Laterza, 2009, ibid., pp. 59-65
L. Morlino, Democrazie e democratizzazioni, Il Mulino, 2003, ibid., pp. 147
27
C. Huneeus e L. Morlino, Democracy between Consolidation and Crisis. Parties, Groups and Citizens in Southern
Europe, Oxford, Oxford University Press, 1998, pp. xv-390, in “Italian Political Science Review/Rivista Italiana di
Scienza Politica” 2000;30(3):603-605.