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3.1 PRIME IMPRESSIONI E RACCOLTA DI TUTTI I
DATI TESTUALI
3.1.1 CRISTALLIZZAZIONE DI UN ISTANTE
La Cena in Emmaus…
Quante volte sono entrata in Pinacoteca, quante volte ho
vagato per i corridoi senza una meta, alla ricerca di
un’ispirazione, soffermandomi su ogni quadro: osservavo,
scrutavo e poi ancora verso il prossimo dipinto mescolando
pensieri e ricordi. Troppe stanze, troppa gente intenta a
dare delle spiegazioni bizzarre e veloci sulle varie opere,
veloci come lo sono i visitatori di questo museo. Pare quasi
che non ci si voglia mai fermare, fermare per gioire, per
soffrire, per ridere, per sorridere, fermarsi per riflettere,
ascoltare, pensare, elaborare, fare nostro… fermarsi ad
assaporare l’arte che in fin dei conti racchiude tutto questo
e molto di più. La Cena in Emmaus in mezzo a tutto questo
via vai di gente, di pensieri, di persone, di bambini, di
curiosi... La Cena in Emmaus è li… che ci guarda e pare
fermare tutto. Pare che il pittore abbia voluto cristallizzare
un istante di vita e regalarlo all’eternità. Pare che in questa
stanza buia, senza porte, finestre o quant’altro, un timido
raggio di luce abbia voluto comunque fare il suo ingresso,
fermarsi e immortalare una vita, un sogno, un’emozione.
Ogni attimo è importante, ogni singolo pensiero, ogni gesto,
l’uomo seduto di fronte a noi che solleva la mano e alza
l’indice, gli altri due commensali, l’uno con le mani
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spalancate, l’altro con i palmi fermi e tesi che afferrano il
tavolo, la donna che regge il piatto e l’uomo al suo fianco
che guarda, immobile… attimi di vita, attimi che raccontano
la vita, la vita di queste cinque persone e il loro ritrovarsi
intorno a questa tavola modestamente imbandita.
3.1.2 DEFINIZIONE DELL’IMMAGINE
Ciò che più colpisce in questo quadro è la perfetta
definizione di ogni ritratto e di ogni oggetto. Le figure ivi
dipinte paiono avere una propria dimensione concreta, vera,
tangibile.
La prima impressione che ne ho avuto, infatti, passando
accanto a questo dipinto, solo, padrone di un’intera parete,
è stata quella di assistere realmente ad una scena silenziosa
all’interno di una casa. Credo che sia capitato a tutti,
almeno una volta nella vita, di passeggiare in quelle viuzze
di paese strette e piccole, in cui le case sono vicine le une
alle altre e in cui, anche senza volerlo, basta una finestra
socchiusa e ci si ritrova involontariamente ad ascoltare o a
guardare incuriositi il quotidiano svolgersi di un momento di
vita altrui. Sembra proprio questo, sembra che il pittore
abbia distrattamente lasciato una finestra semi aperta su
quest’immagine per invitare lo spettatore a fermarsi e ad
ascoltare.
Tutto è curato nei minimi dettagli, i cinque personaggi, il
loro abbigliamento semplice e scuro, la tavola
modestamente imbandita, il bicchiere e la brocca di vino. In
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particolar modo quest’ultimo oggetto è così naturale e così
vero che si ha quasi l’impressione di poterlo afferrare e
portare fuori dal quadro semplicemente allungando una
mano. Per quanto riguarda il bicchiere invece,
probabilmente, se non avessi notato il colore rosso del vino,
non mi sarei neanche accorta di esso, perfetto ed elegante,
reso invisibile dalla sua stessa trasparenza.
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3.1.3 IL TEMPO E LA DONNA
Il tempo svolge un ruolo determinante all’interno del nostro
percorso di studio, tutti in questa vicenda sono segnati dal
trascorrere del tempo eccetto un personaggio. I volti rugosi
e l’espressione dei visi ci raccontano il vissuto di ognuno di
loro. La donna in particolare, lo sguardo mesto, basso,
assente, il viso scarno, magro, avvizzito, sembra un fiore
appassito. Malinconica, mentre svolge il suo lavoro, sembra
incantarsi su qualcosa, un pretesto qualsiasi, un punto
come un altro dove lasciarsi andare, dove lasciare andare i
propri pensieri, i propri ricordi e la propria vita, una vita che
a quanto pare non ha più nulla da chiederle. Rassegnata nei
suoi modi composti, la testa leggermente inclinata quasi a
cercare inconsciamente un aiuto, un conforto, una parola
dolce, povera nei vestiti e nell’aspetto, questa donna
sembra povera anche nell’anima, incapace di provare
ancora qualche gioia e di trovare un po’ di serenità.
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Vedi Figura n. 5 pag. 69
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Diligente nel suo lavoro e vicina al suo uomo dà la
sensazione di essere stata imprigionata in una vita che non
ha volontariamente scelto, che non ha cercato ma che si è
ritrovata a dover seguire ugualmente proprio come un
ramoscello che si lascia guidare dalla corrente di un fiume,
a volte s’incaglia, a volte si ferma, a volte resiste ma alla
fine si arrende e si lascia andare, vuoto, deluso e inerme.
Una figura importante che serve a farci riflettere su quanto
a volte questa vita possa fare da padrona. Bella e altera,
cinica e indifferente, molte volte è lei a decidere per noi ma
spesso siamo anche noi a permetterglielo, per mancanza di
coraggio, di volontà o semplicemente per paura, lasciamo
che il nostro destino segua il suo corso nascondendoci
dietro la pia illusione che forse era così che doveva andare.
3.1.4 IL TEMPO E L’UOMO SEDUTO DI FRONTE A NOI
Come ho accennato nel precedente paragrafo, in
quest’opera d’arte, l’unica persona che non porta con se
alcuna traccia del passare degli anni è l’uomo seduto di
fronte a noi… è come se nel girare la clessidra del tempo
Dio si fosse dimenticato di lui. La sua pelle è liscia, chiara,
opaca, nemmeno una ruga, la fronte è alta e spaziosa,
lasciata libera dai lunghi capelli castani che cadendo morbidi
sulle spalle ne incorniciano questo bell’ovale. Una persona
che pur non essendo toccata dal tempo pare però portarne i
segni nel più profondo dell’animo, nascondendo dietro
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questo viso quasi plastico una saggezza e una calma
infinite.
La veste blu scura tende ad accentuare ancora di più il
pallore del volto di quest’uomo e nello stesso tempo, per
contrasto, ne mette in risalto la sua mano destra. Questa
mano però, sembra in netta contraddizione con il resto della
sua figura, è troppo scura, è molto più simile alla mano
degli altri personaggi del quadro ma se su questi ultimi non
si avverte alcuna sensazione di disagio, perché la loro
carnagione è uniforme, sul soggetto in questione pare
invece proprio una forzatura. La domanda a questo punto
sorge spontanea: perché Caravaggio ha deciso
volontariamente di accentuare in maniera così vistosa
questo particolare? Rispetto agli altri personaggi e a
quest’uomo stesso la sensazione che ne viene fuori è che ci
sia qualcosa che non torni, è una mano troppo vissuta.
Un altro particolare che mi lascia perplessa nei suoi
confronti è lo sguardo. Il Caravaggio non ci ha concesso di
vederne gli occhi e questa è una cosa che mi è sembrata
molto strana principalmente per due ragioni: è l’unico
personaggio posto completamente di fronte a noi e poi, in
secondo luogo, perché dovendo essere il soggetto principale
di quest’opera ci si sarebbe aspettati quanto meno di
riuscire a guardarlo negli occhi. Gli occhi sono lo specchio
dell’anima, si possono intuire, vedere e sentire tantissime
cose non dette attraverso un solo sguardo, in questo caso
però dovremo scegliere un’altra strada per capire chi è
costui. Altro dettaglio che ritengo non trascurabile è cosa
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stia effettivamente guardando, sicuramente non il cesto del
pane perché è più spostato in avanti rispetto alla direzione
del suo sguardo… ma allora cosa guarda? La tovaglia? O
forse non guarda niente. A parer mio potrebbe esserci
qualsiasi cosa dietro questo piatto, anche un foglio di carta,
potrebbe leggere una preghiera, una poesia, recitare un
copione… non saprei proprio… potrebbe esserci veramente
qualsiasi cosa… anche il segreto di quest’opera.
3.1.5 MA ALLORA CHI E’ COSTUI?
E’ naturale quindi ora chiedersi chi possa essere costui e
quale sia il suo ruolo all’interno di questa vicenda. Ebbene,
la prima cosa che mi è venuta naturale pensare è che sia il
Cristo ma perché? Oltre al “fattore tempo” che ho già
spiegato nel precedente paragrafo, che mi da i presupposti
per credere che questa sia effettivamente una persona
speciale, devo anche considerare che nell’immaginario
collettivo il Cristo è sempre stato rappresentato così, un
uomo sulla trentina, coi capelli lunghi, lineamenti fini,
barba, carnagione chiara. Eppure c’è qualcosa di più dei
semplici tratti somatici. Quest’uomo, anche se non vogliamo
“definirlo” come il Cristo, è effettivamente il leader
indiscusso del gruppo, è lui che catalizza l’attenzione dei
presenti. E’ una figura carismatica, affascinante, basta
osservarlo per qualche secondo per rimanerne colpiti. Un
insieme di cose quali la postura, la mano sollevata, l’indice
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teso, il volto serio, fanno trasparire una sicurezza e una
calma da costui che non si avverte in nessun altro dei
partecipanti. Tutti si rivolgono verso di lui, tutti sembrano
attendere un suo cenno o una sua parola (forse è un
profeta), anche la donna che comunque pare essere la
persona più estranea a questa vicenda, inclina la testa
verso di lui.
3.1.6 GLI ALTRI PERSONAGGI
Ciò che distingue le diverse classi di appartenenza di questi
uomini sono i loro abiti. Le due persone in piedi sono
sicuramente due locandieri, entrambi portano un cappello di
colore bianco e indossano una camicia bianca (forse la
donna ha uno scialle) con sopra una casacca marrone. La
figura dell’uomo è quella tipica di un oste, il viso un po’
paffuto, il naso lucido, le gote un po’ rosse per il vino, e il
pancione. Se a questo poi aggiungiamo il fatto che non sono
in procinto di sedersi e che la donna ha in mano un piatto
con della carne (forse delle costine) e aspetta di posarlo
credo proprio che riguardo alla loro professione non
possano esserci dubbi.
Anche gli altri due uomini sono vestiti allo stesso modo,
segno che appartengono allo stesso ceto sociale. A questo
punto però, per semplicità di esposizione e per rendere il
tutto più scorrevole, chiamerò l’uomo sulla sinistra Aser e
quello sulla destra Dan. Entrambi indossano una veste di
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colore scuro e un mantello, quello di Aser è particolarmente
bello, il tessuto sembra molto morbido e il colore è caldo e
avvolgente. Il loro atteggiamento nei confronti del leader mi
pare simile, tutti e due hanno il busto spostato in avanti e
sembrano essere molto partecipi. Dan in particolare, guarda
la sua mano, gli presta la sua più totale attenzione (un
segno molto evidente di questo è il suo orecchio teso, forse
anche un po’ sproporzionato, anch’esso rivolto verso il
profeta), sembra preoccupato o meravigliato da qualcosa.
3.1.7 MANI CHE PARLANO
( Questo quadro è di una bellezza quasi commovente.)
In questo quadro nessuno parla, la sensazione più
immediata, come avevo detto all’inizio, è quella di
osservare una scena silenziosa all’interno di una casa o di
una locanda, eppure, possiamo capire quello che stanno per
dire, il carattere e lo stato d’animo di ognuna di queste
persone, in quel preciso contesto, osservandogli le mani. Le
loro mani, infatti, parlano. La donna, per esempio, ha le
labbra sottilissime e ben chiuse, ulteriore segno del fatto
che non è una persona molto loquace però con le sue mani
porge un piatto con della carne, forse in segno di offerta,
quindi pur essendo una persona relegata in un angolino
possiamo capire da questo che è comunque una donna
servizievole e disponibile. Dell’oste invece vediamo una
mano sola ed è poggiata sul panciotto o sulla cintura.
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L’atteggiamento pare quello di una persona incuriosita che
aspetta qualcosa ma che non ha fretta, una persona
tranquilla, pacata e bonaria. Le due figure più agitate e in
movimento sono sicuramente Dan e Aser e questo lo si
vede chiaramente dalle loro mani. Dan le spalanca in segno
di meraviglia o forse di paura, sorpreso o tremante da
quello che ha appena visto o scoperto, Aser invece, più
impulsivo e irruente, afferra i bordi del tavolo e li tiene ben
stretti.
A questo punto rimane solo il profeta, la mano sinistra è
appoggiata sul tavolo, le dita sono aperte, segno che non è
a disagio o nervoso altrimenti le avrebbe chiuse, la mano
destra invece è sollevata con l’indice alzato, non mi pare
però che indichi qualcuno, mi sembra invece che stia
benedicendo il pane.
3.1.8 LUCE E MEMORIA
La luce svolge un ruolo importantissimo all’interno di
quest’opera d’arte, entra da sinistra e disegna ogni figura,
ogni volto, ogni espressione, dà vita ad ogni colore. Senza
di essa questo quadro non avrebbe alcun senso e questa
vicenda non esisterebbe, risucchiata da questo sfondo
scurissimo che pare ingoiare tutto e non restituire più
niente. Come se oltre il nero di questa tela non ci fosse più
nulla se non buio e dolore, rimpianti e solitudine. E dico
dolore perché l’unica persona che mi sembra in bilico, tra il
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nero delle tenebre e questa luce strana, tra presente e
passato, l’unica figura che fatica ad emergere da questo
sfondo è la donna. Al contrario di tutti gli altri personaggi
infatti, ben delineati e con contorni propri, la donna è la sola
che pare quasi essere assorbita dal quadro, ne vediamo
bene il volto ma il resto del corpo, ancora prima di
incontrare le altre figure tende a scomparire, a oscurarsi, a
fare un tutt’uno con lo sfondo, pare quasi un fantasma, una
figura a metà. C’è una sorta di parallelismo tra i sentimenti
e lo stato d’animo della donna e il buio che pare inghiottirla.
La luce a questo punto sembra rimanere l’unica ancora di
salvezza, l’unico modo per continuare a vivere o a
sopravvivere, per riuscire a darsi un volto, una storia, un
presente, un vissuto, l’unico modo per uscire dall’anonimato
di questa vita quotidiana: finalmente un volto anche a
persone comuni. E sono proprio loro i protagonisti di questa
vicenda, le persone comuni, la gente di ogni giorno, i
lavoratori , gli umili, i poveri. Caravaggio mette l’accento su
questo, attraverso il suo modo tutto particolare di illuminare
questi volti. La luce arriva sì da un punto ben preciso ma
non c’è nessuna fonte naturale come ad esempio una
finestra, una porta lasciata aperta o una candela,
Caravaggio illumina solo le figure per affermare che non
conta nient’altro, né il luogo, né la stanza, niente all’infuori
di loro.
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3.1.9 IL BUIO E LO SPAZIO
E’ veramente inquietante osservare la distribuzione degli
spazi in questo quadro, mentre il lato destro è interamente
occupato, quello sinistro è completamente vuoto, un quarto
di quadro vuoto, senza nulla o… con il nulla. Il buio diventa
per la seconda volta motivo di riflessione per me, e se
prima ne parlavo in contrapposizione alla luce, adesso mi
rendo conto che questo nero, tutto questo nero deve avere
una sua spiegazione autonoma, è troppo ingombrante. È un
buio comunicativo, uno sfondo concreto, carico di
significato, oscuro e denso di vita.
3.1.10 ALTRE QUESTIONI POCO CHIARE
Ci sono molte domande che al momento non hanno una
risposta, le elenco qui di seguito:
1. Il quadro s'intitola la Cena in Emmaus ma
effettivamente questa non pare proprio una cena, ci
sono solo due pani, un po’ di carne, un piatto di
verdura e un solo bicchiere di vino… non sembra
affatto una cena ma forse più una scusa per ritrovarsi
e stare insieme.
2. Perché l’ambiente è così buio? Forse per creare
intimità, unione e vicinanza?
3. Lo spettatore è invitato a sedersi a questa tavola? Si
ha quasi l’impressione che questo quadro chiami,
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chiami ad entrare, a sedersi qui, nell’unico spazio
rimasto (tra Dan e Aser), il nostro spazio, il mio
spazio, forse ho anch’io un ruolo all’interno di questa
vicenda?
3.1.11 EMMAUS SECONDO IL VANGELO
Nel vangelo secondo Luca (24,13) si racconta che il terzo
giorno dopo la morte del Signore, alcune donne, di buon
mattino, si recarono presso la sua tomba commemorativa
per portare aromi e oli profumati ma una volta giunte
dinanzi al sepolcro videro la pietra rotolata e non trovarono
il corpo del Cristo. Alle donne spaventate e perplesse, si
avvicinarono alcuni uomini dai vestiti sfolgoranti dicendo
loro che non dovevano cercare il Vivente tra i morti, perché
com’egli stesso aveva parlato mentre era ancora in Galilea,
il figlio dell’uomo doveva essere consegnato nelle mani di
uomini peccatori ed essere messo sulla croce e tuttavia
sorgere il terzo giorno. Esse tornarono dagli apostoli e
raccontarono quanto accaduto fra l’incredulità dei presenti,
per primo Pietro che si alzò e corse alla tomba dove trovò
soltanto le bende in cui era stato avvolto il Signore.
In quello stesso giorno due di loro s’incamminarono verso
un villaggio chiamato Emmaus, distante circa undici
chilometri da Gerusalemme. Durante il viaggio, mentre
conversavano di tutte queste cose, Gesù stesso gli si
avvicinò e camminò con loro ma i loro occhi erano trattenuti
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dal riconoscerlo. Il Signore gli chiese di cosa stessero
discutendo e uno di loro, Cleopa, gli raccontò quanto
accaduto, di come Gesù il Nazareno, divenuto profeta
potente dinanzi a Dio e a tutto il popolo, fosse stato
consegnato alla sentenza di morte dai loro capi sacerdoti,
delle loro speranze che quest’uomo fosse colui che era
destinato a liberare Israele e di ciò che avevano visto le
donne quella mattina presso la sua tomba: una visione di
angeli che affermavano che Gesù era ancora vivo.
A quel punto il Signore, cominciando da Mosè e da tutti i
Profeti interpretò loro le cose che lo concernevano in tutte
le Scritture.
Una volta giunti a Emmaus egli fece come se viaggiasse
oltre ma i due discepoli riuscirono a dissuaderlo e a farlo
rimanere. E mentre giaceva con loro al pasto prese il pane,
lo benedisse, lo spezzò e lo porse loro. Fu in quel momento
che si aprirono pienamente gli occhi degli apostoli, essi lo
riconobbero ed egli scomparve improvvisamente dalla loro
vista.