Introduzione
II
quello contemporaneo, caratterizzato da ingenti processi di acquisizione e
fusione di imprese bancarie e, più in generale, per le crescenti negoziazioni di
capitale, sia di controllo che di semplice partecipazione.
La crescita dimensionale, infatti, è stata considerata lo strumento più adatto
per far fronte alle sempre maggiori turbolenze dei mercati finanziari ed alla
sempre più insistente concorrenza tra gruppi creditizi con l’obiettivo di una
migliore diversificazione del rischio ed il perseguimento di economie di scala
tali da incrementare la redditività aziendale.
Il fine che ci siamo prefissati di raggiungere con la stesura del presente
studio è l’elaborazione di un quadro concettuale all’interno del quale inserire il
problema e la definizione dei metodi aventi come oggetto la determinazione
del valore di una banca nelle operazioni di Merger & Acquisition (M&A).
Al fine di raggiungere il nostro obiettivo, si è ritenuto opportuno definire
anzitutto le tradizionali metodologie di valutazione d’azienda: dalle valutazioni
assolute a quelle relative passando attraverso il modello finanziario, il modello
reddituale, il modello misto e quello dei multipli di mercato. E inoltre, anche i
metodi non tradizionali, tra cui: il metodo delle quotazioni di Borsa; il metodo
delle transazioni comparabili; il metodo EVA; il metodo della ROE regression
e il metodo della somma delle parti.
Nella parte successiva, invece, è stato trattato il tema delle operazioni di
M&A nel settore bancario, descrivendone i tratti generali, le determinanti che
le giustificano, il legame con la creazione del valore e i rischi connessi. Inoltre,
collegata a questa sezione è l’appendice posta in calce alla tesi, dove è stata
esaminata la crescita dei gruppi bancari nell’ultimo decennio.
Infine, nella parte conclusiva, il lavoro presenta un’analisi empirica condotta
su un campione di 21 operazioni di fusioni che hanno interessato le banche
italiane in due intervalli di tempo 2000-2002 e 2005-2007.
L’obiettivo della verifica empirica, sarà quello di evidenziare come si è
sviluppata negli anni più recenti l’applicazione dei criteri valutativi, facendo
risaltare, nel caso di impiego plurimo, la frequenza di utilizzo di ciascuna
classe di metodi “principali” e di “controllo”.
Introduzione
III
In particolare, l’indagine descrive l’utilizzo dei metodi di mercato,
soprattutto alla luce della loro attuale diffusione nella prassi valutativa delle
banche, considerando i casi in cui questi ultimi sono stati adottati come metodi
di indagine “principale” e sia i casi in cui sono stati assunti contestualmente
come metodi di indagine “principale” e di “controllo”. Dopo di che, si
illustrano i metodi di valutazione che hanno trovato maggiore applicazione
nella prassi valutativa del settore bancario italiano nel periodo considerato e le
motivazioni principali alla base della scelta di tali metodi.
Questo ci ha consentito di fornire al lettore dei dati empirici sulla materia,
desunti da casi reali, che possono completare il giudizio di analisi maturato.
Nel licenziare il lavoro alle stampe, è doveroso effettuare alcuni
ringraziamenti.
Un sentito ringraziamento lo voglio porgere al Prof. Alessandro Musaio, per
la costante opera coordinamento prestata, nonché per i molteplici suggerimenti
in merito all’organicità e alla conduzione della ricerca, oltre che per la
documentazione fornita in merito all’analisi delle banche.
Un riconoscimento particolare, inoltre, mi è gradito rivolgere alla Dott.ssa.
Olga Ferraro, per la disponibilità e l’interesse dimostrati, oltre che per il
prezioso e costruttivo contributo critico specie in occasione della redazione del
capitolo III.
Per ultimi, ma di certo non per importanza, ringrazio i miei genitori, a cui
dedico questo lavoro di tesi: senza il loro aiuto non avrei mai raggiunto questa
meta. Sono davvero grato per tutto il sostengo economico, ma più di ogni altra
cosa di quell’aiuto tacito o esplicito che è venuto dal loro cuore.
Capitolo I
1
CAPITOLO PRIMO
Le metodologie di stima del capitale economico di
azienda
1.1 Premessa
La determinazione del capitale economico di un’azienda rappresenta uno dei
temi più discussi in dottrina ed è senza dubbio uno dei settori più dibattuti nella
pratica professionale.
Solo negli ultimi anni, però, il valore è divenuto una componente
fondamentale ed irrinunciabile del bagaglio delle conoscenze di manager,
imprenditori, operatori finanziari; nonché degli studiosi della finanza e di altre
discipline connesse al mondo aziendale1. Questo accade perché tali questioni
suscitano un notevole interesse nella realtà delle aziende, che sempre più di
frequente chiamano tali soggetti a dare risposte e soluzioni a problemi
valutativi del genere.
Le teorie e i modelli applicati alla misurazione del valore delle imprese
appaiono oggi specialmente rilevanti – così come le individua il Guatri2 – in
quattro ambiti operativi:
l’ambito delle garanzie societarie, con particolare riferimento alla tutela dei
soci minoritari e degli stakeolder3 privi di potere diretto di controllo,
specialmente nelle operazioni di “finanza straordinaria”;
l’ambito delle strategie di sviluppo, d’integrazione e di ristrutturazione
delle aziende (Mergers & Acquisitions). Principalmente mediante i processi di
acquisizione-fusione, di concentrazione alla ricerca di vantaggi e sinergie, di
1
L. GUATRI, Trattato sulla valutazione delle aziende, Milano, Egea, 1998.
2
L. GUATRI, M. BINI, La valutazione delle aziende, Milano, Il sole 24 ore, 2005, cit., pp.3-4.
3
Termine che sta ad indicare individui o gruppi portatori di interessi che dipendono dall’impresa per la realizzazione
dei loro obiettivi (soci di maggioranza e di minoranza, lavoratori dipendenti, collaboratori autonomi, clienti, fornitori,
finanziatori, parti sociali). Si veda in proposito E.R. FREEMAN, G. RUSCONI, M. DORIGATTI, Teoria degli
Stakeholder, Milano, FrancoAngeli, 2007.
Capitolo I
2
ristrutturazione finanziaria, di cessione di società e aree d’affari, di quotazione
dei titoli ai pubblici mercati, ecc. Operazioni che trovano nel valore un
riferimento dominante e nella sua corretta misurazione una necessità
imprescindibile;
l’ambito della formazione del bilancio. Venuto recentemente alla ribalta
con la diffusione dei principi contabili internazionali e l’affermazione del
principio del fair value4 che ha di fatto sostituito il tradizionale principio del
costo storico, provocando il necessario adeguamento dei valori contabili a
quelli di mercato e alle regole di misurazione del valore;
l’ambito delle stime periodiche di performance delle imprese. Queste
ultime stime rispondono all’intento sia di offrire a imprenditori e manager
strumenti di orientamento strategico-gestionale (creazione o distruzione di
valore), sia di giudicare l’efficacia del comportamento dei manager,
collegandola al sistema delle loro ricompense.
Il presente lavoro è orientato ad analizzare principalmente il secondo ambito
applicativo inquadrando la valutazione dal punto di vista di un processo di
crescita esterna, data l’importanza sempre maggiore riconosciuta odiernamente
alle operazioni di Mergers & Acquisitions soprattutto nel settore bancario.
Un aspetto di questa tematica consiste nell’individuare l’approccio
metodologico più idoneo alla determinazione del valore da attribuire ad una
banca che, per varie cause, decide di intraprendere una strategia di
fusione/acquisizione per creare una struttura societaria più ampia e
diversificata o acquisire un altro business. Non di meno può essere
sottovalutata l’opportunità di espandere la propria attività e creare valore
attraverso una singola transazione.
Aspetto centrale del capitolo è quello di effettuare una disamina dei metodi
di valutazione maggiormente diffusi nella prassi professionale e nella financial
4
(detto anche principio del valore equo) E’ una nozione introdotta dalla direttiva 2001/65/CE del 27 settembre 2001,
che si distingue dal prezzo effettivamente scambiato sul mercato, costituendo invece un parametro astratto, ossia il
valore potenziale di scambio di un’attività o una passività cui ragionevolmente possono tendere le controparti di una
potenziale transazione di mercato; valore che riflette gli specifici fattori spazio-temporali di mercato che ne consentono
l’effettiva manifestazione, ma che prescinde comunque dalle precipue posizioni soggettive delle parti medesime. Per
un maggiore approfondimento sull’argomento si veda V.F. ROSCINI, M.A. VINZIA., Fair value per l'applicazione
degli Ias, Milano, Il sole 24 ore, 2005.
Capitolo I
3
community, vale a dire il modello finanziario, il modello reddituale, il modello
misto e quello dei multipli.
1.2 Valutazioni assolute e relative
In dottrina si è soliti effettuare una distinzione tra valutazioni assolute,
basate su modelli e formule, e valutazioni relative, basate sui moltiplicatori. I
due approcci valutativi hanno assunto storicamente, posizioni e funzioni
differenti.
Fino all’esplosione delle valutazioni relative nel mondo del merchant
banks5, i multipli hanno ricoperto, specie nell’ottica professionale, un ruolo
subordinato rispetto alla valutazione assoluta. Questa posizione di
subordinazione si traduce nella regola che i metodi assoluti esprimono
normalmente il metodo “principale” e quelli relativi il metodo “di controllo”.
La fase storica successiva stravolge totalmente questa impostazione,
determinando una diffusione dei moltiplicatori anche al di fuori delle società di
intermediazione finanziaria, con la sola eccezione del mondo professionale. Le
ragioni sono da rinvenire da una parte, nello sviluppo sia della funzionalità
primaria dei mercati borsistici sia delle operazioni di acquisizione e fusione, e
dall’altra, dalla difficile determinazione dei flussi attesi prevista dai metodi
assoluti6. Elementi che ne hanno permesso l’affermazione in alcuni ambiti,
come metodi fondamentali e non più di controllo. I modelli fondati su
moltiplicatori empirici (come il caso del modello dei multipli), invece,
eguagliano il valore del capitale economico al prodotto tra un moltiplicatore di
mercato e una grandezza espressiva del valore economico del capitale
d’impresa7.
5
Società di intermediazione finanziaria attiva nel collocamento di titoli e nella partecipazione al capitale di altre
imprese, con l’intento di favorire la riorganizzazione, lo sviluppo produttivo e il finanziamento delle aziende
partecipate. A proposito si veda P. BONGINI, M.L. DI BATTISTA, L. NIERI, A. PATARNELLO, Il sistema
finanziario, Bologna, Il Mulino, 2004.
6
L. GUATRI , M. BINI, La valutazione delle aziende.
7
G. ZANDA, M. LACCHINI, T. ONESTI, La valutazione delle aziende, Torino, Giappichelli, 2005.
Capitolo I
4
Nell’ambito delle valutazioni assolute si identificano i modelli fondati sui
flussi, tra cui quello reddituale e quello finanziario. Si tratta, così come sono
stati definiti dalla dottrina, dei soli modelli sicuramente razionali e universali8.
Per quanto attiene alla razionalità dei procedimenti basati sui flussi, si può
partire dall’osservazione che la formula teorica esprimente il valore attuale del
capitale (W0) può essere rappresentata in uno di seguenti modi. In un’ottica
esterna (cioè l’ottica assunta dall’investitore):
n
n
n
s
s
vPvdW
1
0 [1]
dove:
ds = dividendo pagato dall’azienda nell’anno s-esimo (con s variabile da
1 ad n)
Pn = prezzo più probabile ricavabile dalla cessione dell’impresa al
tempo futuro tn
vs,vn = coefficienti di attualizzazione (in base ad appropriati tassi)
Tale formula (identificata da Guatri9 come paradigma teorico di valutazione
del capitale economico) esprime la sommatoria dei flussi di dividendo
attualizzati che l’azienda è in grado di produrre negli n anni di vita, incluso il
flusso dell’n-esimo anno, cioè il prezzo finale di recupero; secondo l’Autore la
formula in questione è generale ed astratta, ma non soddisfa pienamente il
requisito dell’obiettività, in quanto i flussi di dividendo prospettici e soprattutto
il prezzo finale dell’azienda sono quantomeno incerti e largamente
imprevedibili.
Le grandi difficoltà nella fattiva applicazione di tale formula, impongono,
pertanto, il ricorso a metodi sostitutivi, meno fondati concettualmente, ma
8
L. GUATRI, Trattato sulla valutazione delle aziende, cit., p. 63.
9
L. GUATRI, La valutazione delle aziende, Milano, Giuffrè, 1987, p. 14.
Capitolo I
5
dotati di maggiore attendibilità nella stima dei parametri10. Assumendo
un’ottica interna (cioè quella dell’impresa):
n
s
s
vFw
1
0 [2]
dove:
Fs = flusso atteso per l’anno s (con s variabile da 1 a n e con n tendente
all’infinito); tali flussi vengono attualizzati in base ad opportune
scelte dei tassi.
Il flusso atteso può essere definito sia in termini economici e quindi di
reddito, sia in termini finanziari e quindi di flusso di cassa.
I criteri per giudicare la validità dei metodi pratici di valutazione assoluta
non possono tuttavia prescindere dal loro raffronto con una delle due formule
teoriche, delle quali costituiscono una semplificazione, ma alle quali debbono
essere pur sempre rapportati al fine di stabilirne l’accettabilità. Questo significa
che qualsiasi formula applicativa non può considerarsi razionale se non
presenta alcuni tratti di similarità con una delle formule teoriche appena viste.
Il modello reddituale, rispetto alla [1], và a sostituire ai dividendi i redditi
generati dall’impresa, assumendo un reddito medio annuo per un periodo
illimitato oppure come accade più spesso, considerando i redditi prodotti per n
anni (periodo di “proiezione analitica”) e aggiungendo a questi il valore
“terminale”.
Rispetto alla [2] si ha la semplificazione del reddito medio annuale; se il
periodo di previsione analitica è limitato, la semplificazione si traduce nella
convenzione che definisce Vt.
Il modello finanziario sostituisce, rispetto alla formula [1], i flussi di cassa
generati dall’impresa ai dividendi; e al posto del prezzo di cessione conservano
un valore “terminale” (Vt per Pn) quando, il periodo di prevedibilità dei flussi
(che di solito non va oltre il decennio) è inferiore alla vita dell’impresa. Così
10
G. ZANDA, M. LACCHINI, T. ONESTI, La valutazione delle aziende.
Capitolo I
6
facendo i flussi vengono suddivisi in due periodi: il primo detto di “previsione
analitica”, il secondo di “previsione sintetica” (per mezzo di Vt).
Sia nel modello reddituale che in quello finanziario è valido il principio di
attualizzazione di tutti i flussi attesi, in analogia con la formula teorica, con
l’avvertenza che la scelta del tasso costituisce uno dei problemi centrali della
stima, di importanza non inferiore alla previsione dei flussi11.
Rispetto a quanto detto, considerazioni diverse devono essere fatte per altri
modelli valutativi. Tra questi va menzionato il modello patrimoniale, che in
vari paesi è stato per molto tempo considerato un’alternativa ai modelli basati
sui flussi. Attualmente, è noto che tale modello non si presta ad alcun
confronto con le formule teoriche, infatti, in una ideale situazione di equilibrio
e trasparenza i prezzi delle attività che compongono il capitale dovrebbero
esprimere i valori attuali dei flussi di reddito o monetari che da loro
promanano, ma la realtà è ben diversa, visto che possono esistere ingenti valori
patrimoniali anche in assenza di attese di risultati positivi. A questo si deve
aggiungere che i modelli patrimoniali non prestano alcun riferimento, per il
tramite dei tassi di attualizzazione, ai diversi livelli di rischio comparativo degli
investimenti.
Da questi apprezzamenti emerge che il modello patrimoniale, preso in se
stesso, non può mai considerarsi una soluzione razionale del problema di
valutazione di un’impresa.
Bisogna, inoltre, considerare i modelli cosiddetti “misti”. Essi appaiono
come una “fusione” tra modelli basati sui flussi e altri modelli (come succede
per il modello patrimoniale-reddituale). In questo caso i valori patrimoniali
sono solo un punto di partenza, soggetto alla verifica reddituale, che molto
spesso rettifica tali valori, specie in presenza di attese reddituali fuori dalla
norma e quando l’orizzonte temporale di riferimento è ampio. In queste ultime
condizioni la componente reddituale diventa dominante e il modello appare
formalmente suddiviso in due componenti, valore patrimoniale e
goodwill/badwill12.
11
L. GUATRI, Trattato sulla valutazione delle aziende.
12
Avviamento/disavviamento. Si definisce avviamento l'attitudine di un'azienda a produrre utili in misura superiore a
quella ordinaria, che derivi o da fattori specifici che, pur concorrendo positivamente alla produzione del reddito ed
Capitolo I
7
Anche in questo caso, tanto maggiore è il residuo peso lasciato dalla
componente patrimoniale, tanto più limitata è la razionalità attribuibile al
risultato.
L’universalità dei metodi valutativi assoluti fondati sui flussi è dimostrata
da una parte, dall’ampia diffusione in tutti i paesi e presso tutte le categorie di
esperti interessati, e dall’altra, dalla possibilità del loro utilizzo per tutte le
finalità attinenti alle valutazioni delle imprese.
Nell’assegnazione di preferenze ai vari metodi si rileva una ben definita
distribuzione sia per aree culturali e geografiche, sia per categorie di esperti,
ma ciò avviene talvolta con sensibili diversità e anche con contraddizioni. La
categorie delle banche (che è l’oggetto del nostro studio valutativo) è
fondamentalmente concorde, in tutto il mondo, nell’accordare la preferenza ai
modelli fondati sui flussi e in particolare ai modelli fondati sui flussi finanziari.
1.3 Il modello reddituale
Il controllo dell’incertezza connesso ai flussi attesi di reddito passa,
preliminarmente, attraverso una chiara definizione del concetto di risultato
economico. Fondamentale, a riguardo, è l’attendibile proiezione dei flussi
preceduta da una corretta rappresentazione dei risultati storici. In questa ottica,
il flusso contabile non può essere usato tal quale, ma deve essere rettificato e
integrato con una serie di interventi riassumibili in tre processi13:
il processo di normalizzazione
essendosi formati nel tempo in modo oneroso, non hanno un valore autonomo, ovvero da incrementi di valore che il
complesso dei beni aziendali acquisisce rispetto alla somma dei valori dei singoli beni, in virtù dell'organizzazione dei
beni in un sistema efficiente ed idoneo a produrre utili.
L'avviamento presenta le seguenti caratteristiche:
deve essere all'origine costituito da oneri e costi ad utilità differita nel tempo, che garantiscano quindi benefici
economici futuri;
ha un valore quantificabile, in quanto incluso nel corrispettivo pagato per l'acquisizione di un'azienda o di un
ramo d'azienda o di una partecipazione;
non è suscettibile di vita propria indipendente e separata dal complesso aziendale e non può essere considerato
come un bene immateriale a sé stante, oggetto di diritti e rapporti autonomi.
In occasione di una fusione o di una scissione l'avviamento è rappresentato dall'eccedenza del costo di acquisizione
della società incorporata o fusa, o del patrimonio trasferito dalla società scissa alla società beneficiaria, rispetto al
patrimonio netto espresso a valori correnti. Cfr. E. CINQUE, Avviamento e goodwill. Natura economica e
determinazioni di valore, Roma, Aracne, 2003.
13
L. GUATRI, Trattato sulla valutazione delle aziende.
Capitolo I
8
il processo d’integrazione, per rappresentare nel risultato la dinamica dei
beni immateriali e altre dinamiche di valori non espresse.
Il processo di allineamento/adeguamento per eliminare gli effetti distorsivi
dell’inflazione.
A questo scopo risponde l’analisi fondamentale, che costituisce una
premessa indispensabile per tutti i modelli reddituali. In particolare, questa
analisi è necessaria anche per ricondurre il flusso contabile a esprimere il flusso
economico, cioè il solo flusso (storico e prospettico) che rappresenta in
maniera attendibile i risultati reddituali rilevanti.
Il modello reddituale presenta nella pratica vari possibili orizzonti
temporali, il cui limite minimo è di pochi anni (mai inferiore a 3-5 anni) e il cui
limite massimo è infinito.
In contrapposizione al limite dei pochi anni si pone l’argomento che
l’impresa è un istituto atto a perdurare14, la cui durata può andare ben oltre la
vita del singolo imprenditore e i cui orizzonti temporali ben poche volte
possono essere circoscritti.
La tendenza, nelle diverse formule valutative, a limitare la durata dei flussi
di reddito attesi deriva da altre circostanze: in primo luogo dalla crescente
incertezza che grava sulla stima dei flussi di reddito attesi, man mano che
questi si allontanano nel tempo; ed in secondo luogo dalla crescente
decurtazione che i flussi attesi subiscono man mano che si allontanano nel
tempo, per effetto del processo di attualizzazione. I flussi più lontani sono
dunque più incerti e pesano meno in termini di valore attuale.
Questo conferma che la prevedibilità analitica dei risultati attesi,
difficilmente va oltre i 3-5 anni e che per buona parte dell’arco temporale il
flusso atteso viene rappresentato con formule convenzionali o
d’approssimazione, basati su ipotesi (assumptions).
Le più frequenti ipotesi possono essere raggruppate per classi (ciascuna
delle quali identifica un diverso approccio nella proiezione dei risultati):
approccio di proiezione dei risultati storici;
approccio dei risultati programmati;
14
G. ZAPPA, Il reddito d’impresa, Milano, Giuffrè, 1986.
Capitolo I
9
approccio della crescita attesa;
approccio delle proiezioni innovative.
Ad eccezione del primo approccio, tutti gli altri ricorrono alla convenzione,
dopo l’n-esimo anno, della cosiddetta proiezione sintetica espressa dal valore
terminale. Quest’ultimo rappresenta una risposta alla riconosciuta esigenza di
tener conto da un lato della lunga vita dell’impresa e dall’altro della scarsa
prevedibilità dei risultati analitici.
Le formule matematiche applicabili per l’attualizzazione dei flussi attesi si
possono ricondurre a tre tipi fondamentali:
la formula della rendita perpetua:
i
RW (a)
in cui:
R = reddito medio atteso;
i = tasso di attualizzazione.
la formula del reddito medio atteso per il periodo limitato, più il valore
“terminale”:
fin VRaW (b)
dove:
R = il reddito medio atteso per il periodo di proiezione analitica;
Vf = valore “terminale”.
la formula dei redditi attesi anno per anno (per n anni), più il valore
“terminale”:
f
n
i
i
i
VvRW
1
(c)
Capitolo I
10
dove:
Ri = redditi attesi anno per anno;
Vf = valore “terminale”.
Quando si ricorre alle proiezioni analitiche fino all’n-esimo anno, posto che
n non può mai di fatto corrispondere all’intera vita futura dell’impresa, è
necessario rappresentare comunque in modo sintetico il flusso successivo: cioè
il cosiddetto valore “terminale” (Vf).
Una prima soluzione, molto nota nella dottrina e nella pratica, consiste nella
capitalizzazione del reddito medio atteso dopo l’n-esimo anno (Rn) in base al
tasso i; ed alla sua attualizzazione:
i
R
V n
f
Un’altra soluzione, di origine americana, si basa sulla seguente formula:
gWACC
NOPLAT
V n
f
1
In cui:
NOPLAT = Net operating profit less adjusted taxes;
g = tasso atteso di crescita del NOPAT;
WACC15 = wighted average cost of capital.
15
E’ il costo medio ponderato del capitale raccolto dall’azienda sia a titolo di debito sia di capitale sociale. Questo
tasso riflette il rischio specifico dell’azienda, sia operativo sia finanziario. Viene calcolato in base alla seguente
formula:
ED
EK
ED
D
TKWACC
ed
1
dove:
Kd x (1-T) = costo del debito al netto dell’effetto fiscale;
ke = costo del capitale proprio;
D = posizione finanziaria netta
E = valore di mercato del patrimonio netto o Equity.
Per un maggiore approfondimento di tale argomento si vedano anche R.A. BREALY, S.C. MYERS, S. SANDRI,
Principi di finanza aziendale, Milano, McGraw-Hill, 1999; G. PIVATO, Trattato di finanza aziendale, Milano,
FrancoAngeli, 1993; P. JACCOD, WACC nei metodi di valutazione, Torino, Giappichelli, 1993.
Capitolo I
11
1.3.1 Il valore economico del capitale
Il modello reddituale può essere declinato in quattro famiglie di metodi: i
valori economici (o di capitale economico) We, i valori potenziali puri (stand
alone16) Wp, valori potenziali d’acquisizione Wa, valori potenziali controllabili
Wpc.
Altra distinzione importante, con riguardo al modello reddituale, è quella tra
grandezze in “atto” e grandezze soltanto “potenziali”, nella previsione dei
flussi. Nel primo caso si assume a riferimento una capacità di reddito già
dimostrata, o raggiungibile sulla base di premesse economiche già in atto e
individuate, tenuto conto della dimensione presente degli affari e di sviluppi
certi nel breve termine17. Nel secondo caso si espande l’orizzonte a tempi
lunghi facendo riferimento a capacità non ancora raggiunte, seppur possibili, e
che devono essere costruite sulla base di accettabili assunzioni. La distinzione
accennata porta a separare nettamente i criteri basati su capacità in “atto” da
quelli basati su capacità future e generalmente indimostrate: i primi, servono a
definire valori economici di capitale, i secondi valori potenziali di capitale.
Tale distinzione non è correlata alla durata del flusso; durata che, in ogni
caso, è sempre molto lunga, come impone la vita presumibile dell’impresa. I
flussi attesi di reddito possono essere espressi:
con una serie di risultati annuali;
con una media valida per un periodo futuro indeterminato o per un arco
temporale definito;
con una “fascia” di grandezze espressiva della variabilità dei possibili
risultati al presentarsi di scenari diversi.
Per quanto attiene ai flussi attesi dei singoli anni, una scelta di questo tipo
non ha senso ai fini del valore economico (We). Infatti, salvo casi particolari,
un limite di 3-5 anni è difficilmente superabile poiché al di là di esso si
formulano convenzioni e ipotesi “forti”, che riducono il grado di affidabilità
dei risultati.
16
Valore che viene attribuito a una società nelle sue attuali condizioni di gestione, senza considerare gli effetti degli
interventi dei potenziali acquirenti.
17
L. GUATRI , M. BINI, La valutazione delle aziende.
Capitolo I
12
Sulla durata del periodo di proiezione analitica dei flussi futuri, il punto di
vista dei teorici della finanza è che essa si dovrebbe spingere fino al momento
in cui, per una data impresa, il tasso di profitto sul capitale (ROE)18 eguaglia il
costo del capitale proprio. A questo punto, annullandosi lo spread19, cessa la
creazione di nuovo valore e l’impresa entra in stato di equilibrio.
Questa spiegazione teorica risulta molto convincente in astratto ma priva di
utilità in concreto; per questo gli operatori professionali sono alla ricerca di
soluzioni praticabili, mediante una reinterpretazione del concetto.
Secondo Fishman20, ad esempio, la previsione analitica <<dovrebbe
comprendere tutti gli anni futuri fino a raggiungere un livello stabilizzato di
attività>>: livello espresso in termini di crescita e di margine di
profitto.<<Questo livello è di regola raggiunto quando l’attività futura non
differisca dall’attività al presente giudicata normale, salvo un regolare tasso di
crescita>>. L’anno finale del periodo di previsione analitica sarebbe quello
successivo al raggiungimento del livello stabilizzato. Anche questa soluzione
appare però di incerta applicabilità.
L’unica soluzione, ai fini delle stime del valore economico del capitale,
deriva dalla concreta possibilità di disporre di previsioni attendibili, supposto
che i manager abbiano maturato esperienze nella formazione dei budget e di
piani a 3-5 anni.
Quando i flussi attesi sono rappresentati da una serie analitica di risultati
annuali (R1,R2,R3,…) nella maggior parte dei casi, cioè secondo il
comportamento più frequente degli esperti, la formula (c) risulta ampiamente
preferita.
La soluzione alternativa rispetto al ricorso a una serie analitica di risultati
attesi annuali è l’utilizzazione del concetto di reddito medio atteso (annuale),
una variante del quale è il reddito medio normale (ottenibile escludendo
l’applicazione di un meccanismo di calcolo puramente aritmetico).
18
ROE (return on sale)= reddito/patrimonio netto. E’ l’indicatore di massima sintesi di efficienza economica
aziendale, della capacità di remunerazione del capitale di rischio, ed esprime inoltre il “tasso di sviluppo” degli
investimenti sostenibile senza modificare il quoziente di indebitamento, a meno di dividendi o altre variazioni del
capitale proprio. Cfr. M. DALLOCCHIO, A. SALVI, Finanza d’ azienda, Milano, Egea, 2005; A. DAMODARAN,
Finanza aziendale, Milano, Apogeo, 2001.
19
Tale termine denota il differenziale tra il tasso di rendimento di un'obbligazione caratterizzata da rischio di default e
quello di un titolo privo di rischio (ad es., un titolo di stato a breve termine, quale in Italia il BOT);
20
J.E. FISHMAN, Guide to business valuation, Fort Worth, Barnes & Noble, 1992.