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Risulta, inoltre, interessante sottolineare (adottando un approccio di tipo
Ricardiano) la relazione di antagonismo-coesistenza-sinergia tra scarsità di
risorse naturali, ambientali e di materiali, da un lato, e producibilità delle
merci, dall’altro. Tale dinamica e’ evidente negli eventi storici che hanno,
portato alle rivoluzioni produttive degli ultimi secoli. Riprendendo
l’esempio prima citato, la macchina a vapore fu sviluppata non solo a causa
di capacità inventiva e abilità commerciali, ma anche a causa della scarsità
di legname e dell’abbondanza relativa di carbone minerale in Inghilterra. In
epoca più recente, la scarsità di petrolio, che si fece sentire fortemente
durante gli anni Settanta e che tuttora sta esercitando pressioni rilevanti
sulla struttura produttiva e sui mercati, ha determinato profondi mutamenti
(ed ancora più radicali trasformazioni produrrà), non solo a causa dei
risparmi energetici determinati dall’impiego di macchine e processi più
efficienti, ma anche a causa dello sfruttamento di fonti alternative di energia
basate su mezzi di produzioni rinnovabili.
Anche lo sviluppo e l’accelerazione, avvenuto in questi ultimi anni, nella
ricerca e nella applicazione in campo biotecnologico può avere una
spiegazione nel meccanismo di antagonismo-coesistenza-sinergia tra
scarsità e producibilità intrinseco in ogni sistema economico. Ad esempio,
la richiesta di quantità sempre maggiori dell’ormone “Insulina” per la cura
del diabete mellito, ha esercitato una forte spinta nella ricerca
biotecnologica per la produzione di tale ormone in dosi massive e a basso
costo. A tale scopo si sono ampliate le conoscenze sul D.N.A. ricombinante
(rD.N.A.) in batteri come l’Escherichia Coli che produce, tramite
modificazione genetica, insulina identica a quella umana. Un ulteriore
esempio e’ riscontrabile nel settore estrattivo-minerario. La scarsità di
risorse minerarie facilmente sfruttabili ha indotto all’utilizzo di batteri che
3
facilitano l’estrazione dei metalli. L’uso di tali microrganismi risulta
vantaggioso e per tale motivo sono in atto ricerche che si pongono
l’obiettivo di ottenere, attraverso la ricombinazione genica, microbi
“minatori” più veloci, efficienti e resistenti.
Si può affermare, dunque, che la ricerca biotecnologica sta iniziando a
trasformare (ed in seguito rivoluzionerà) l’apparato produttivo, attraverso il
trasferimento alla “macchina” di quote di potere mentale e di funzioni
biologiche.
1.2. Definizioni e cenni storici.
Prima di approfondire i settori nei quali le biotecnologie dispiegano la loro
capacità innovativa, è fondamentale adottare una definizione esaustiva di
biotecnologia. Riprendendo alcune determinazioni utilizzate dalla
Commission of the European Communities, una prima generica definizione
caratterizza le biotecnologie come “scienza dei processi biologici applicati
alla produzione”. Tale enunciato e’ talmente generico da includere qualsiasi
processo in cui avvenga una trasformazione biologica e ricomprende settori
dall’agricoltura all’allevamento, alle fermentazioni. Se si considera questa
generica descrizione, non risulta errato affermare che l’uomo sia
“biotecnologico” da centinaia se non da migliaia di anni. Esistono
testimonianze riguardanti tecniche di fermentazione e di selezione naturale
che risalgono addirittura al seimila avanti Cristo. Ad esempio, da una
tavoletta babilonese, ritrovata nel 1981, si viene a conoscenza del sistema di
preparazione della birra. Altre tecniche di fermentazione erano note ed
utilizzate nell’era precristiana, come ad esempio quella dell’acidificazione
dei cavoli, della preparazione dello yogurt e della lievitazione del pane. E’
4
interessante inoltre rilevare come nel tremila avanti Cristo fosse stato
ottenuto, accoppiando una giumenta con un asino, il resistente mulo. Questi
sono casi che testimoniano l’uso, consapevole o meno, di microrganismi ed
incroci tra animali ai fini della soddisfazione dei bisogni umani.
Una seconda definizione, più specifica e puntuale, di biotecnologie e’ la
seguente: “L’uso integrato delle scienze biochimica, microbiologica e
ingegneria per ottenere l’applicazione tecnologica delle abilità (produttive)
dei microrganismi”. In questo caso vengono esplicitamente richiamate
alcune scienze che caratterizzano, con la loro fusione, le biotecnologie
stesse. Dalla suddetta definizione si può affermare che la biotecnologia
moderna abbia come base iniziale la conoscenza dei catalizzatori biologici,
chiamati in seguito enzimi e la produzione dei primi antibiotici. Ma le
scoperte che si possono considerare fondamentali per l’affermarsi della
nuova biotecnologia furono quelle di Watson e Crick, nel 1953, con la
proposta di un modello del D.N.A. e del successo, nel 1973, del primo
esperimento di ingegneria genetica. In altri termini si sviluppava quella
tecnologia che consentiva di trasferire geni da un organismo ad un altro,
ottenendo un rD.N.A. che difficilmente sarebbe stato ottenuto in condizioni
naturali. Paradossalmente, in questo modo, i microrganismi ingegnerizzati
sono definibili come microrganismi artificiali che vivono in modo naturale.
E’ innegabile che l’applicazione dell’ingegneria genetica sia uno degli
elementi, anche se non il solo, che hanno portato alla definizione e allo
sviluppo delle nuove biotecnologie. Per notare in che modo, con
l’affermarsi della ricombinazione genetica, muti radicalmente la posizione
di un ricercatore rispetto alla fattibilità e alla possibilità di riuscita di un
esperimento, e’ utile prendere in considerazione un semplice esempio. Il
ricercatore alle prese con un microrganismo in grado di produrre in quantità
5
insufficiente sostanze d’interesse commerciale, ad esempio un antibiotico,
può cercare o di isolare e selezionare ceppi particolarmente produttivi per
natura, o indurre mutazioni con agenti mutageni, come raggi x, gamma o
agenti chimici. In questo modo la frequenza naturale di mutazioni, che di
circa un mutante ogni cento milioni di cellule, può essere moltiplicata per
mille. Tuttavia questi agenti mutageni hanno un effetto casuale sulle cellule
su cui agiscono, per cui il risultato finale non e’ noto a priori. E’ evidente
che un procedimento di tale tipo e’ incerto, per quanto riguarda il
raggiungimento dei risultati, ed e’ costoso. Al contrario l’ingegneria
genetica, con l’inserimento di nuovi geni nel genoma, permette di ottenere
microrganismi in grado di produrre le sostanze ricercate nelle quantità
desiderate.
Sembra dunque sussistere una bivalenza tra biotecnologia come tecnologie
note da secoli e biotecnologia come tecnologie completamente nuove.
Questa bivalenza e’ solo apparente. Infatti tali tecnologie risentono di una
duplice influenza: quella derivante da alcune tecniche, in particolare quelle
di fermentazione e di selezione naturale (sia vegetale che animale), note da
molto tempo, e quella derivante dalla applicazione dell’ingegneria genetica
a fini produttivi. Esiste, pertanto, un “continuum” tra passato e presente, che
consiste nella “manipolazione” dell’ambiente a fini produttivi: ciò che si e’
evoluto e’ la tecnica disponibile. Per chiarire le fasi di questa
trasformazione delle capacità “manipolative” dell’uomo nei confronti
dell’ambiente, si possono identificare tre fasi di sviluppo:
FASE 1 (dalla preistoria alla metà del diciannovesimo secolo)
Tecnologia: tecnologie rozze, sviluppate senza comprendere i principi
scientifici.
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Esempi: bevande alcoliche, pane, formaggi, cibi fermentati, concia delle
pelli, purificazione dei liquami.
FASE 2 (dalla metà del diciannovesimo secolo fino agli anni quaranta del
ventesimo secolo)
Tecnologia: operazioni svolte in condizioni di quasi sterilità,
manipolazione dei mezzi di coltura in modo da incrementare le rese dei
prodotti. Processi specifici di selezione dei ceppi. Utilizzo di colture pure.
Esempi: Acetone e butanolo, glicerolo, acido citrico, acido gluconico,
acido lattico, colture pure di lievito per alimentazione, per il foraggio, per le
fermentazioni alcoliche, preparazione enzimatiche grezze, primi insetticidi
microbici.
FASE 3 (dalla fine degli anni settanta)
Tecnologia: Identificazione, isolamento, modificazione e sviluppo
controllato di specifici prodotti genici.
Esempi: Produzione di prodotti farmaceutici tramite trasferimento genico,
quali l’ormone della crescita e l’insulina, diagnosi prenatale delle malattie
genetiche, per esempio l’anemia falciforme, identificazione degli individui
tramite campioni di sangue o di sperma con l’applicazione di medicina
legale, sviluppo di ceppi migliorati grazie alla manipolazione genetica.
Se risulta chiaro che il “trait de union” nella evoluzione delle tecniche
biotecnologiche è rappresentato dall’obiettivo di “manipolare” la natura per
soddisfare le esigenze del genere umano, altrettanto evidente è la possibilità
di creare una linea di demarcazione tra biotecnologia “tradizionale” e
biotecnologia “moderna”.
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Per biotecnologia “tradizionale” si intende il complesso delle tecniche
convenzionali, impiegate da secoli per produrre birra, vino, formaggi ed un
gran numero di altri alimenti, mentre la biotecnologia “moderna” abbraccia
tutti i metodi di modificazione genetica basati sulle tecniche del Dna
ricombinante e della fusione cellulare e, inoltre, tutte le innovazioni
apportate ai processi biotecnologici “tradizionali”.
La difficoltà di racchiudere le biotecnologie entro i limiti di una definizione
precisa, e gli equivoci che da ciò sono derivati, hanno indotto alcuni a
suggerire che sarebbe più opportuno abbandonare il termine biotecnologia,
ritenuto troppo generale, e sostituirlo di volta in volta col termine che indica
la tecnologia o l’applicazione usata nel caso specifico. Comunque una
definizione, accettata in modo pressochè unanime e applicabile sia alla
biotecnologia “moderna” che a quella “tradizionale”, è stata proposta
dall’European Federation of Biotecnology (E.F.B.) e definisce la
biotecnologia: “L’integrazione delle scienze naturali, e inoltre di organismi,
cellule, loro parti o analoghi molecolari, nei processi industriali per la
produzione di beni e servizi.”
1.3 L’interdisciplinarità della biotecnologia.
Che cosa significa l’affermazione che la scienza biotecnologia è
interdisciplinare?
Per offrire una risposta esaustiva ad un simile quesito è necessario illustrare
la differenza tra “multidisciplinarità” ed “interdisciplinarità”. La locuzione
“multidisciplinarità” si applica quando nell’affrontare i problemi che
emergono da una certa area di indagine, si ricorre ad approcci derivanti da
un ampio arco di discipline; ovvero, indica l’uso coordinato di concetti e
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metodi tratti da discipline differenti e la loro applicazione ad un problema,
relativo ad un’area di ricerca completamente diversa, per il quale si sta
cercando una soluzione. Si parla invece di “interdisciplinarità” quando la
fusione d’idee e metodi, che avviene nel corso di una collaborazione
multidisciplinare, porta al cristallizzarsi di un’area di indagine che si
configura come una nuova disciplina, con principi teorici e metodi specifici
ed originali. In pratica ogni attività multidisciplinare è orientata al
raggiungimento di un obiettivo specifico, ma ogni volta che si verifica una
vera sintesi interdisciplinare viene a delinearsi un’area che dischiude
un’intera gamma di campi di indagine completamente nuovi. Molti aspetti
della biotecnologia sono scaturiti dall’interazione fra discipline biologiche e
discipline ingegneristiche. Un biotecnologo può utilizzare tecniche che
derivano dalla chimica, dalla microbiologia, dalla biochimica,
dall’ingegneria clinica e dall’informatica. I suoi obiettivi principali sono
l’innovazione, lo sviluppo e l’ottimizzazione dell’operatività dei processi.
Per questi motivi deve sempre proporsi di lavorare in stretta collaborazione
con esperti in aree affini, come ad esempio quelle delle scienze biomediche
e della nutrizione, dell’industria farmaceutica e clinica, della tutela
dell’ambiente e della tecnologia di smaltimento dei rifiuti. Il successo
nell’individuare nuove e valide applicazioni della biotecnologia dipenderà
in misura sempre crescente dal fatto che ognuna delle discipline che la
compongono sia in grado comprendere il linguaggio tecnico delle altre, ma
soprattutto di comprenderne le potenzialità e, insieme, i limiti.
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Genetica
Organizzazione/Coordinazione
Genetica
Microbiologia Biochimica/Chimica
Elettronica Scienza
BIOTECNOLOGIA dell’alimentazione
Ingegneria Ingegneria
Biochimica delle tecnologie
alimentari
Ingegneria Ingegneria
chimica meccanica
FONTE: nostro adattamento da Blackwell Scientific Publications, “Biotechnology, Principles and
Applications”, Oxford, 1985.
1.4 Alcuni settori e comparti interessati dall’evoluzione biotecnologica.
I beni e servizi ottenuti per via biotecnologica esercitano effetti
sull’industria, sull’agricoltura, sull’allevamento e sull’ambiente. All’interno
di questi settori si possono distinguere più comparti. I comparti dei diversi
settori si possono poi intrecciare tra loro: si pensi al settore agroalimentare,
dove convergono problematiche relative alla produzione agricola ed
Figura 1.1 LA NATURA INTERDISCIPLINARE
DELLA BIOTECNOLOGIA
10
industriale, dalla fermentazione alla conservazione dei cibi, con le relative
compatibilità da ottenere tra le varie materie prime e sostanze. L’evoluzione
tecnologica determinata dalle biotecnologie ha dato il via ad una
progressiva ristrutturazione dei settori stessi ed ha accelerato la creazione e
la trasformazione di molti comparti.
Uno dei campi dove le biotecnologie si sono già affermate come elemento
determinante è quello farmaceutico. Il progresso delle ricerche in campo
medico-farmacologico (in particolare nel settore delle ricerche sul cancro) è
stato determinante ai fini dello sviluppo delle biotecnologie, in quanto
tecnologicamente caratterizzato dall’ingegneria genetica. L’utilizzazione di
microrganismi modificati o ingegnerizzati per ottenere sostanze utili
all’uomo in quantità consistenti costituisce il principio che si è esteso dalla
farmacologia a tutte le altre sfere di produzione. Tuttavia, mentre nel settore
farmacologico l’estensione della produzione per via biotecnologica è già
divenuta dominante nella realizzazione dei vari farmaci (antibiotici,
insulina, vaccini, etc.), lo stesso non si può dire per altri settori, nei quali il
perfezionamento nel corso degli anni delle tecnologie tradizionali,
costituisce ancora una barriera all’entrata. L’adozione delle biotecnologie
nel campo farmaceutico con poche resistenze da parte del sistema è
facilmente comprensibile. Una ricerca di tipo biotecnologico prevede
spesso anni di lavoro prima del raggiungimento di un risultato utile; i costi
connessi sono molto elevati, sia per il protrarsi delle ricerche stesse, sia per
l’impiego di personale altamente qualificato, sia per gli strumenti di lavoro.
Tuttavia, ricerche con queste caratteristiche sono normalmente svolte nella
industria farmaceutica; tale industria è caratterizzata da un elevato rapporto
tra spese in R&D e fatturato e si è rilevato pertanto il campo ideale per
imprimere l’impulso iniziale alle biotecnologie. Inoltre è importante tener
11
conto che il campo della salute gode in tutti i paesi di particolari
agevolazioni e finanziamenti, necessari per avviare attività
tecnologicamente di frontiera. Una volta stabiliti principi di base, cioè lo
sfruttamento di microrganismi, ingegnerizzati o meno, a fini produttivi è
possibile estendere i principi stessi ad altri campi. L’ampliarsi dell’area di
applicazione ha giovato alle biotecnologie, in quanto ha introdotto, tanto
nella fase della ricerca che nell’utilizzo e applicazione di tali conoscenze,
maggiori elementi di razionalità economica. Infatti, se nel campo della
salute era ed è possibile non preoccuparsi eccessivamente dei costi di
produzione e del prezzo di vendita dei farmaci, visto il mercato particolare
in cui beni vengono venduti, in altri settori tale situazione anomala non è
replicabile.
1.4.1 Il settore farmaceutico e diagnostico.
Il settore farmaceutico ha quindi svolto il ruolo di pioniere
nell’applicazione delle biotecnologie moderne, dato che si tratta di un
mercato ampio e ad alta tecnologia, nel quale l’industria è disposta (ed
obbligata dalle tensioni competitive) ad investire in R&D. I vantaggi delle
produzioni per via biotecnologica sono molteplici. Innanzitutto molte
sostanze farmacologicamente attive sono ottenibili dalla fonte naturale solo
in quantità infinitesime, neppure sufficienti per gli esperimenti di
caratterizzazione. Per questo motivo è stato possibile, ad esempio, stabilire
l’attività biologica di molte molecole (eritropoietina, tpa, linfochine, etc.)
solo dopo aver clonato le cellule produttrici via rD.N.A. . Anche quando la
produzione naturale non è esigua, può comunque non essere sufficiente a
coprire la richiesta dovuta alle sue applicazioni, come nel caso
12
dell’interferone. Inoltre sostanze prodotte via rD.N.A. garantiscono spesso
una maggiore purezza e sicurezza d’uso: soprattutto dopo la tragica
diffusione dell’A.I.D.S. in malati sottoposti a trasfusioni di sangue, si è
diffusa una giustificata riluttanza ad utilizzare prodotti biologici derivati dal
corpo umano. Grazie all’applicazione di suddette tecnologie, il processo di
realizzazione è stato rivoluzionato. Infatti nella grande maggioranza dei
casi, i prodotti farmaceutici sono composti ottenuti per sintesi chimica o per
estrazione da fonti naturali (piante o microrganismi), oppure mediante
combinazione dei due metodi. Nell’ultima decina d’anni, invece, si è ricorsi
sempre più spesso alla ingegneria genetica, vista come strumento
estremamente valido per ottenere quelle molecole attive necessarie a
rendere efficace un biofarmaco. In pratica si inserisce il gene codificante,
estratto dal D.N.A. umano, in opportuni microrganismi ospiti, i quali
produrranno la proteina ad azione terapeutica (il biofarmaco) in quantità
che dipende soltanto dalla scala operativa del sistema. Allo stato attuale non
solo è possibile produrre biofarmaci molecolarmente identici a quelli
prodotti dall’organismo ma anche migliorarne in maniera deliberata
l’attività, la stabilità e la quantità disponibile per i processi fisiologici. Altro
aspetto importante è rappresentato dal fatto che questi prodotti sono liberi
da contaminanti pericolosi che a volte erano invece presenti nelle sostanze
estratte da cadaveri. Per esempio, la malattia di Creutzfelt-Jacob (una
malattia degenerativa del cervello) è stata messa in relazione con la
somministrazione di ormone della crescita umano estratto, come in passato
era consuetudine fare, da cadaveri. Tra le prime sequenze geniche umane
clonate entro un microrganismo perché codificano una proteina di grande
valore terapeutico, vi sono state il gene dell’insulina, il gene dell’ormone
della crescita (somatotropina) e i geni per gli interferoni.
13
E’ interessante sottolineare il fatto che lo sviluppo dei biofarmaci sia
strettamente legato all’applicazione dei concetti e delle tecniche
biotecnologiche in un altro settore produttivo, quello zootecnico. Gli
animali transgenici, infatti, hanno reso possibile la produzione di certe
proteine umane, che possono diventare biofarmaci importanti (ad esempio
l’attivatore del plasminogeno tissutale e alcuni fattori di coagulazione del
sangue), nelle ghiandole mammarie di bovini, pecore e maiali. Ovvero, geni
umani vengono inseriti e trovano espressione nelle ghiandole dell’ospite. I
loro prodotti sono escreti con il latte dell’animale, cosa che ne facilita
enormemente le successive procedure di estrazione e purificazione. Una
caratteristica che rende questa tecnica ancora più interessante è il fatto che,
essendo i prodotti sintetizzati dall’apparato metabolico di un mammifero, le
proteine umane acquisiscono tutte le complesse modificazioni strutturali
necessarie per la piena attività biologica. I sistemi microbici, infatti, non
sono in grado di operare queste modificazioni chimiche sulle proteine
umane. In termini biotecnologici, gli animali possono essere considerati
bioreattori viventi che funzionano in modo continuo. Quindi il “pharming”,
cioè la produzione in animali transgenici di farmaci destinati all’uomo, sta
diventando rapidamente una realtà e ad oggi il principale fattore limitante
della produzione di biofarmaci risulta appunto il numero di animali
transgenici necessario.
Si è in grado a questo punto di individuare gli “steps” necessari per lo
sviluppo di un biofarmaco efficace:
1. Un livello avanzato di ricerca biochimica/biomedica per identificare
i composti nativi;
2. Tecniche avanzate di biologia molecolare e di clonaggio per
identificare le sequenze geniche che interessano e per inserirle in un
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ospite (un microrganismo o un mammifero) adatto ad effettuare la
sintesi del prodotto voluto;
3. Tecnologia dei bioprocessi per coltivare gli organismi produttori e
per isolare, concentrare e purificare i composti desiderati;
4. Expertise in campo clinico e nel marketing.
L’area senza dubbio più rivoluzionaria e controversa nell’ambito medico-
farmacologico è rappresentata dalla terapia genica umana. Per terapia
genica umana s’intende un tipo di trattamento con cui viene ristabilita la
normale funzionalità cellulare, alterata da una particolare malattia, grazie al
trasferimento e all’espressione di materiale genetico estraneo all’interno
delle cellule del paziente. E’ necessario, tuttavia, distinguere nettamente tra
terapia genica di cellule germinali e terapia genica di cellule somatiche. Nel
primo caso, l’intervento è diretto al patrimonio genetico delle cellule
germinali di un individuo, per cui le modificazioni introdotte possono
essere trasmesse alla sua progenie. Ogni considerazione di ordine morale e
pratico porta alla necessaria conclusione che questo tipo di terapia non
dovrebbe essere, in futuro, approvato in nessun paese. La terapia genica di
cellule somatiche consiste, invece, nell’introdurre geni funzionanti in
cellule somatiche che ne contengono un versione difettosa, perciò non
funzionale. Gli effetti di questa terapia restano limitati alla persona e non si
trasmettono ai discendenti. Nel campo della terapia genica gli sforzi più
intensi si sono incentrati sulla correzione di condizioni causate da mutazioni
in geni singoli come la fibrosi cistica e l’emofilia, la cui comparsa
ricorrente in certe famiglie ne rivela la natura di malattie ereditarie,
trasmesse secondo le leggi di Mendel. E’ opinione comune di molti studiosi
15
che la terapia genica consentirà di trattare con successo molte centinaia di
malattie ereditarie.
FONTE: ADATTATO DA JONHNSON, “PROSPECTS FOR GENE THERAPY”, IN “CHEMISTRY AND
INDUSTRY”, 1991.
Al momento attuale non esistono cure efficaci per la grande maggioranza
delle malattie genetiche, quindi la terapia genica potrebbe offrire nuove
soluzioni in futuro. Tesi questa, avvalorata e supportata dall’annuncio, dato
il 06/04/2000, da parte della società americana Celera Genomics, di aver
completato la sequenza del genoma di un singolo essere umano e di aver
intrapreso la “mappatura” (che in data odierna risulta da poco completata)
dello stesso. La comunità scientifica ha commentato con toni entusiastici
l’annuncio e i possibili sviluppi che la scoperta può comportare.
MALATTIA TESSUTO BERSAGLIO INCIDENZA
Talassemia Midollo osseo 1: 600
Fibrosi cistica Fegato 1:500
Distrofia muscolare di Duchenne Muscoli e cervello 1:300 (maschi)
Emofilia A Fegato 1:6000 (maschi)
Emofilia B Fibroblasti* 1:30000 (maschi)
TABELLA 1.1 ALCUNE MALATTIE UMANE CURABILI CON
TERAPIA GENICA SU UN GENE SINGOLO.