Premessa
Negli ultimi anni, lo scenario finanziario manifesta una complessa
trasformazione riconducibile ad alcuni fattori:
- la modifica del contesto competitivo per effetto della
globalizzazione dei mercati e del processo di integrazione tra i
tradizionali comparti dell’intermediazione finanziaria;
- l’evoluzione della regolamentazione: i continui cambiamenti
del contesto competitivo hanno evidenziato la necessità di
tutelare sempre di più la stabilità del sistema finanziario; in
particolare si è passati dal principio di vigilanza strutturale
(che definisce precise regole e requisiti patrimoniali) al
principio di vigilanza prudenziale (che invece lascia agli
intermediari la libertà di scelte operative nel rispetto di alcuni
vincoli tra cui quello della patrimonializzazione).
Basilea 2, ovvero, il “Nuovo Accordo per la vigilanza bancaria”, è la
dimostrazione della tendenza all’armonizzazione e convergenza
delle singole realtà nazionali verso una linea di condotta omogenea
e comune a livello internazionale che riguarda non solo le banche
ma anche tutte le imprese.
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Il nuovo Accordo si propone di raggiungere obiettivi precisi:
a) consentire alle banche una misurazione più completa ed accurata
del rischio;
b) promuovere la stabilità dei sistemi finanziari;
c) mantenere condizioni di parità concorrenziale tra le banche.
L’Accordo prevede alcune “regole” che le banche devono seguire
nella gestione delle proprie attività, identificando una serie di
adempimenti da porre in essere ogni qualvolta viene effettuata una
operazione di prestito.
Lo scopo primario di tutti gli adempimenti che la banca deve attivare
per l’erogazione di un prestito, è di garantire un’adeguata
capitalizzazione rispetto ai rischi assunti, in particolare riguardo al
“rischio di credito”. Basilea 2 impone quindi alle banche di
quantificare con esattezza il rischio di credito e di analizzare
attentamente le caratteristiche dei soggetti ai quali viene erogato il
prestito, attenendosi strettamente alle regole predisposte
dall’Autorità di Vigilanza.
L’Accordo di Basilea 2 sta spingendo inoltre le banche ad adottare
lo strumento dei rating interni
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per razionalizzare i processi di
erogazione e monitoraggio del credito.
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Internal rating based (IRB).
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Tale valutazione si realizza attraverso la stima distinta dei due profili
che configurano il rischio di credito nel suo complesso: la qualità del
debitore, espressa dalla probabilità della sua insolvenza (probability
of default), e la rischiosità dell’operazione di finanziamento,
espressa dal tasso di perdita in caso di insolvenza (loss given
default – LGD).
L’obiettivo di questo lavoro è di illustrare ed analizzare le
metodologie di stima della Loss Given Default, alla luce dei principi
stabiliti dal Nuovo Accordo di Basilea sull’adeguatezza patrimoniale
delle banche. In particolare si porrà attenzione a pregi e limiti dei
metodi proposti in letteratura, attraverso valutazioni che metteranno
in evidenza la variabilità della LGD in funzione dei fattori che la
determinano.
Nel primo capitolo viene inquadrato il sistema regolamentare di
Basilea 2, basato sui “tre pilastri“: si focalizza l’attenzione sul
requisito di capitale (primo pilastro), determinato con modalità di
calcolo sempre più precise e legate al rischio reale.
Dopo una esauriente spiegazione del rischio di credito, verranno
analizzate le componenti utili alla determinazione dello stesso: verrà
discusso il parametro LGD, evidenziandone il significato e
l’importanza ai fini di una corretta stima dei requisiti patrimoniali.
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Nel secondo capitolo, verranno analizzati i metodi di stima della
Loss Given Default: tra questi si esaminano i metodi impliciti e i
metodi espliciti basati sui prezzi di mercato. Dopo aver confrontato
pregi e limiti di ciascun metodo, si giunge alla conclusione della
necessità di un metodo più adatto alle caratteristiche delle banche
commerciali europee.
Nel terzo capitolo verrà esposto il metodo esplicito “economic
LGDr”, come soluzione alle caratteristiche del contesto bancario
europeo. Nell’utilizzo di tale approccio, si evidenzia l’estrema
importanza della scelta del tasso di attualizzazione: per valorizzare
la teoria, sarà esposta un’applicazione al mercato italiano, che
confermerà la variabilità della LGD stimata in funzione del tasso
adoperato.
Nell’ultimo capitolo viene analizzato il tasso di recupero, quale
fattore determinante per una corretta stima della LGD: si esporranno
i fattori per la sua determinazione e il processo di stima del
parametro.
Non mancherà uno sguardo al contesto bancario italiano
relativamente ai tempi ed alle procedure di recupero più utilizzate.
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I. Le principali innovazioni di Basilea 2
1. Da Basilea 1 a Basilea 2
Nel corso degli anni ottanta si è passati dal privilegiare la vigilanza
strutturale (che definisce analiticamente le scelte aziendali tanto da
influenzare la struttura competitiva del sistema di intermediazione
finanziaria) al porre importanza alla vigilanza prudenziale (che lascia
liberi gli intermediari di articolare le proprie scelte strategiche ed
operative), con l’obiettivo di aumentare la competitività tra le banche
e migliorarne l’efficienza.
Nel luglio del 1988 è stato emanato l’International Convergence of
Capital Measurement and Capital Standards da parte del Baseel
Committe on Banking Supervision. Il comitato è stato fondato nel
1975 dai Governatori delle Banche Centrali del cosiddetto “Gruppo
dei Dieci G10“ (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone,
Svezia, Regno Unito, Stati Uniti, Belgio, Olanda, Svizzera,
Lussemburgo e Spagna).
Con il Baseel Accord del 1988 (Basilea 1), si indicava un requisito
patrimoniale minimo obbligatorio dell’ 8% rispetto alle attività della
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banca ponderate per fattori di rischio standard definiti dalla stessa
normativa: erano previste quattro categorie di ponderazioni (0%,
20%, 50%, 100% ), in cui le attività della banca erano collocate sulla
base di tre criteri (liquidità dell’attività, natura dei debitori, paesi di
residenza di questi).
Il coefficiente di solvibilità che serve per salvaguardare la stabilità
delle banche e del sistema bancario è definito dal prodotto tra
l’esposizione di ciascun debitore e il coefficiente di ponderazione.
L’Accordo di Basilea 1 presentava alcuni limiti: l’accantonamento
dell’ 8% risultava eccessivo per una controparte poco rischiosa e
riduttivo per una controparte troppo rischiosa: l’analisi del solo
rischio di credito, non teneva conto del grado di diversificazione del
portafoglio e la vita residua delle esposizioni.
Per risolvere queste inadeguatezze, si è proceduto in un primo
momento con l’introduzione dell’emendamento del 1996,
estendendo i requisiti di capitale anche al rischio di mercato per le
poste di negoziazione del portafoglio delle banche (trading book), ed
accettando le risultanze dei modelli interni sviluppati dalle banche a
fini gestionali, una volta validati dalle Autorità di Vigilanza.
In seguito, il Baseel Commette nel giugno 1999 ha pubblicato il
documento A New Capital Adeguacy Framework, che per la prima
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volta tratteggiava la struttura del nuovo Accordo. Con una radicale
innovazione del rapporto tra controllori, controllati e terze parti, il
documento rendeva pubbliche le riflessioni del Comitato con
l’esplicito scopo di farne oggetto di valutazioni e controdeduzioni da
parte di tutti gli attori del mercato.
Questo processo si è ripetuto più volte: nel gennaio del 2001 il
Comitato di Basilea ha pubblicato una seconda proposta “The New
Baseel Capital Accord“, poi raffinata nel 2003 e infine
definitivamente articolata nel giugno 2004.
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2. I tre pilastri
Il Nuovo Accordo si articola in tre grandi pilastri:
- i requisiti di capitale (capital adeguacy);
- i processi di vigilanza su base individuale (supervisory review );
- la disciplina di mercato (market discipline).
Il Primo Pilastro rappresenta la novità principale della normativa e
introduce un requisito patrimoniale per fronteggiare i rischi tipici
dell’attività bancaria e finanziaria (estendendo la regolamentazione
anche al rischio operativo e di mercato); sono previste tre
metodologie di determinazione del requisito patrimoniale
caratterizzate da diversi gradi di complessità.
Per il Secondo Pilastro, l’accordo sottolinea l’importanza di
un’attività di vigilanza che, superando i confini del controllo formale
e l’ambizione di regolamenti uniformi, approfondisca anche su base
individuale l’adeguatezza del patrimonio e dei processi gestionali
delle singole banche in relazione alle loro specifiche strategie.
Il Terzo Pilastro rappresenta la conferma dell’importanza del
mercato come regolatore dei sistemi capitalistici, anche nel settore
finanziario; è dunque necessaria una informativa pubblica
(disclosure) più dettagliata sulla gestione delle banche e, in
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particolare, sull’adeguatezza della loro patrimonializzazione, in
grado di mettere il mercato nella possibilità di penalizzare le banche
più rischiose incentivandole verso comportamenti più virtuosi.
Il comitato ritiene fondamentale l’applicazione di tutti e tre i pilastri in
quanto interagiscono reciprocamente e sono fondamentali per
un’ efficace regolamentazione del patrimonio.
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3. I Requisiti Patrimoniali: un approfondimento relativo
al rischio di credito
Il Primo Pilastro prevede un nuovo sistema di requisiti patrimoniali,
determinati con modalità di calcolo sempre più precise e legate al
rischio reale.
La normativa prevede tre tipi di rischi da coprire: rischio di credito,
rischio di mercato e rischio operativo. Il patrimonio di vigilanza è
così determinato:
( RPM + RPO ) + 8% * RWA ≤ PATRIMONIO DI VIGILANZA (2)
Dove:
- RPM : rischio di mercato;
- RPO : rischio operativo;
- RWA : rischio di credito.
Il rischio di mercato è il rischio di variazione del valore di mercato di
uno strumento o di un portafoglio di strumenti finanziari connesse a
variazioni inattese delle condizioni di mercato (prezzi azionari, tassi
d’interesse, tassi di cambio e volatilità di tali variabili).
Per i rischi di mercato, Basilea 2 rimanda all’Emendment to the
Capital Accord to Incorporate Market Risk del gennaio 1996, e
norma brevemente le sole problematiche del trading book (posizioni
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in strumenti finanziari e commodities detenute con scopi di
negoziazione o di copertura dei rischi) che hanno attinenza con il
rischio di credito.
Il rischio operativo è definito come «il rischio di perdite derivanti
dalla inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane
e sistemi interni, oppure da eventi esogeni
2
».
Il rischio in esame è invece introdotto per la prima volta da Basilea 2
nella regolamentazione della adeguatezza del capitale e prevede tre
possibili approcci: quello dell’indicatore di base, quello
standardizzato e quello avanzato.
Il rischio di credito, invece, si configura come la possibilità che una
variazione inattesa del merito creditizio di una controparte, generi
una corrispondente variazione inattesa del valore corrente della
relativa esposizione creditizia.
E’ necessario richiamare l’attenzione su alcuni punti fondamentali
per capire il significato di tale definizione.
Il rischio di credito comprende due diversi casi: il rischio
d’insolvenza (si verifica quando il debitore interrompe i pagamenti) e
il rischio di downgrading o migrazione
3
. In base a questa
2
Baseel Committee on Banking Supervision, 2006 a .
3
Il rischio di migrazione si configura nella possibilità che il rating del debitore possa spostarsi
da una classe di rischio all’altra.
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considerazione il rischio va misurato e gestito facendo riferimento
ad una distribuzione discreta, o continua, nella quale l’ insolvenza
rappresenta unicamente l’evento estremo, preceduto da altri eventi
in cui il debitore resta solvibile, ma la probabilità della sua
insolvenza futura si fa via via sempre più elevata. Solo in questo
modo si possono cogliere adeguatamente entrambe le categorie di
rischio.
Un secondo concetto implicito nella definizione di partenza riguarda
il fatto che, affinché si possa parlare realmente di rischio, occorre
che la variazione del merito creditizio della controparte sia inattesa:
in altre parole, l’evoluzione attesa delle condizioni economico-
finanziarie dell’affidato viene sempre adeguatamente considerata in
sede di stima della probabilità di insolvenza e del connesso tasso
attivo.
Un terzo punto da richiamare riguarda il concetto di esposizione
creditizia. Il rischio di credito, non si limita agli impieghi classici di
una banca (titoli o prestiti in bilancio), ma si estende infatti anche
alle posizioni fuori bilancio come le garanzie prestate, gli strumenti
derivati negoziati over the counter e le transazioni in titoli, in valute o
derivati in attesa di regolamento.
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