Introduzione
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servizio) finale di quanto non vi contribuisca il suo patrimonio intangibile, vale a dire il
talento e le conoscenze dei suoi dipendenti, l’efficienza dei suoi sistemi di gestione, la
natura del suo rapporto con i clienti, che insieme costituiscono il suo capitale intellettuale.
Oggi che la conoscenza è diventata la principale materia prima e il frutto principale
dell’attività economica, l’intelligenza delle organizzazioni (cioè persone intelligenti che
lavorano in modi intelligenti) è passata dal ruolo di comparsa a quello di protagonista.
Per le persone che distribuiscono denaro alle aziende, ossia gli investitori, e le persone
che lo distribuiscono all’interno delle aziende, cioè i manager, il capitale intellettuale è
diventato talmente essenziale che è lecito affermare che un’organizzazione che non
gestisce sapere non sa badare ai propri affari.
C’è un solo problema: cercare di individuare e gestire un patrimonio fatto di
conoscenze è un po’ come “tentare di pescare a mani nude”. Si può fare, ma l’oggetto
dello sforzo è molto sfuggente. Prima che un’azienda possa utilizzare al meglio le sue
idee, i suoi dirigenti devono capire come e perché il capitale intellettuale è rimasto fino
a quel momento non gestito e rendersi conto del costo pauroso di questa negligenza:
denaro sprecato e opportunità sperperate.
Il nostro lavoro inizia con l’analisi dei tre elementi costitutivi del capitale intellettuale,
ossia il capitale umano, il capitale organizzativo e il capitale relazionale, discutendo
successivamente le attuali metodologie di valutazione dello stesso.
Si è proseguito con un’accurata discussione sul problema della gestione della
conoscenza e dei diversi processi ad essa relativi.
Abbiamo provveduto inoltre a studiare un probabile percorso di sviluppo e di
valutazione del capitale intellettuale, notando che non esiste ancora un unico metodo o
indice di valutazione affermato ma ci si deve affidare ad un’analisi strutturata in base
allo scopo della misurazione.
In conclusione è stato riportato un esempio dei possibili principi di gestione e
interazione dei tre capitali e, al contempo, dei vari processi di gestione della
conoscenza.
Il Capitale Intellettuale
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1.IL CAPITALE INTELLETTUALE
“E’ il capitale intellettuale la forza
dominante, l’elemento più ambito
della nuova era. Nella new economy
sono le idee, i concetti, le immagini –
non le cose – i componenti fondanti
del valore.”
JEREMY RIFKIN
1.1 LA CONOSCENZA COME CAPITALE INTELLETTUALE
La nozione di capitale intellettuale è diffusa nel mondo delle scienze umane fin dagli
anni ’60. E’ un’espressione coniata nell’ambito dell’economia della conoscenza, una
branca specializzata degli studi economici che s’interessa alla misura del valore delle
attività educative, creative, d’invenzione nell’ambito delle attività produttive umane.
Già negli anni ’60 ad esempio, si valutava che il capitale intellettuale negli Usa
pesasse per il 30% circa nella creazione del Prodotto Interno Lordo (PIL)
nazionale
1
.
L’espressione capitale intellettuale in quel contesto era però intesa come aggregato di
risultati produttivi di grandi sistemi (ad esempio la resa economica degli investimenti
nel settore dell’educazione, scolastica e universitaria o nell’area della formazione
professionale continua).
Nel corso degli anni ’80 i termini in questione hanno cambiato significato in modo
sostanziale. Capitale intellettuale è diventato un termine di riferimento per capire e
valutare le imprese che basano la realizzazione del prodotto/servizio su fattori
intangibili di conoscenza e sapere professionale.
Le premesse per questa mutazione sono nell’avvento di un’economia nuova basata
su nuove abilità di comunicazione e scambio, cui normalmente ci si riferisce come
mercato della conoscenza, il sostrato vitale fra l’altro della new economy.
1
G. P. Bonani, La sfida del capitale intellettuale, Franco Angeli, Milano 2002, pag. 88
Il Capitale Intellettuale
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Nel contesto della nuova economia, infatti, le società di valutazione finanziaria
internazionali, a parità di valore di bilancio ufficiale (net book value), assegnano ai
diversi tipi d’impresa un valore percentualmente più alto in base alle loro
opportunità riconosciute di sviluppo.
1.2 CAPITALE TANGIBILE E INTANGIBILE
L’idea del capitale intellettuale si contrappone logicamente, ma s’integra
funzionalmente, con quello che i diversi esperti e praticanti chiamano capitale
finanziario dell’organizzazione. Quest’ultimo è la piattaforma per così dire fisica su
cui s’instaura la valutazione economica dell’azienda.
E’ la parte da sempre visibile del patrimonio aziendale fatto di costruzioni,
attrezzature, disponibilità finanziarie e procedure normative che le fanno interagire.
Introdurre il concetto di capitale intellettuale significa sottolineare una dimensione
sicuramente già nota ma non sempre ritenuta decisiva nel processo di affermazione
delle imprese.
VALORE DI MERCATO
Valore contabile
l il
Asset fisici
s t isi i
Asset ec.finanziari
t . i i i
Capitale intellettuale
it l i t ll tt l
Capitale Umano
it l Capitale Strutturale
it l t tt l
Organizzativo/
interno
i ti
i t r
Relazionale/
esterno
l i l
t r
•Innovazione
•Processi
•Know-How
•Database
•PDCA
•Benchmarking
•Reputation
•Customer satisfaction
•Customer loyalty
•Brand awareness
Fig. 1.1: L’approccio “nova.innovazione nel management”
L’uso del concetto fa emergere il patrimonio invisibile o intangibile dell’azienda e lo
porta a fattore comune con gli altri valori economici e finanziari.
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La parte “invisibile” del bilancio può essere classificata come una “famiglia dei tre”:
1. Struttura Interna: è data dai brevetti, concetti, modelli, sistemi amministrativi e
reti informatiche. Queste sono create dagli impiegati e sono generalmente “di
proprietà” dell’organizzazione e aderiscono ad essa. Talvolta tali beni possono
essere acquistati dall’esterno. Anche la “cultura” o lo “spirito” appartengono alla
Struttura Interna. Essa assieme alle Risorse Umane costituisce quello che
generalmente si chiama “organizzazione”
2
.
2. Struttura Esterna: consiste nelle relazioni con clienti e fornitori, nei marchi e
nella reputazione o “immagine”. Alcuni di questi possono essere legalmente
considerati “proprietà”, ma il confine non è così marcato come nel caso della
Struttura Interna, in quanto gli investimenti in questi elementi non possono essere
fatti con lo stesso grado di confidenza. Il valore di tali beni è principalmente
influenzato dalla capacità dell’azienda di risolvere i problemi dei suoi clienti e, in ciò,
vi è sempre un elemento d’incertezza. I beni intangibili non sono particolarmente
liquidi e a differenza dei beni materiali possono essere o non essere di proprietà
dell’azienda.
Questo flusso diretto verso l’esterno crea relazioni, network, immagine, ossia gli
elementi della struttura esterna dell’organizzazione.
A causa della scarsità delle risorse finanziarie per investimenti in beni intangibili, il
loro sviluppo è in gran parte autofinanziato. In altre parole i beni invisibili si
accoppiano nella sezione delle fonti di finanziamento con una parimenti invisibile
finanza, gran parte della quale forma il capitale invisibile.
3. Competenze delle persone: è l’abilità delle persone ad agire in varie situazioni.
Include le capacità, l’istruzione, l’esperienza, i valori e le abilità sociali.
Le competenze non possono essere di proprietà di nessuno al di fuori della persona
che le possiede, perché fino a prova contraria gli impiegati sono membri volontari
delle organizzazioni. Tuttavia un’eccezione può essere fatta per includere le
competenze nel bilancio d’esercizio, in quanto è impossibile immaginare
un’organizzazione senza personale. I dipendenti tendono ad essere leali se trattati
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G. P. Bonani, La sfida del capitale intellettuale, Franco Angeli, Milano 2002, pag. 89-91.
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equamente e avvertono una sensazione di responsabilità condivisa. Ecco perché le
organizzazioni sono generalmente liete di pagare dei bonus a coloro che vanno in
pensione o devono essere licenziati.
Questi bonus variano da stato a stato ma spesso prendono la forma di uno stipendio
ridondante, di accordi “paracadute”, di pensioni. Sebbene tali impegni di solito non
vengono registrati come passività di bilancio, essi possono essere visti come
promesse o impegni alla stregua dei contratti di leasing o di affitto e dunque come
una forma di finanziamento invisibile delle competenze degli individui.
Fig. 1.2: Il ruolo delle Risorse Umane
Come evidenziato dalla figura, il patrimonio (asset) invisibile è fatto prima di tutto
dalle Risorse Umane che hanno capacità più o meno elevate di prestazione e
creazione. Un’impresa manifatturiera di qualità ha bisogno di progettisti attivi e
creativi nell’area dei nuovi prodotti e di esecutori “perfetti”, efficienti riproduttori
nell’area di fabbricazione.
L’eccellenza intellettuale di entrambi questi gruppi professionali è definita come un
asset organizzativo (una risorsa patrimoniale) importante. Così come lo è la
disponibilità e la precisione informativa del centralinista e di ogni altro operatore
front-line nelle organizzazioni di servizio.
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Quelli appena citati sono esempi di brainpower (poter mentale) applicato a
differenti funzioni dell’organizzazione e che costituiscono il capitale intellettuale. Un
altro esempio è dato dalla capacità di networking del responsabile di marketing o di
vendita. Le liste di contatti e clienti registrati su carta o nella memoria di PC sono
oggetti fisici, costituenti del capitale organizzativo d’impresa. Il ruolo specifico (il know-
how) con cui il responsabile effettivamente usa quelle liste, realizza i contatti e
completa il risultato è capitale intellettuale. Le liste dei contatti o dei clienti
dell’organizzazione si possono materialmente vedere. Le modalità di azione (anche
se “ispezionabili” dall’esterno) sono un patrimonio nascosto dell’operatore che le
realizza. Peraltro nell’organizzazione tutti sanno che alcune persone hanno know-
how (cioè valgono professionalmente) e altre no; e che alcuni addetti sono un peso
per l’impresa, mentre altri sono un continuo investimento produttivo.
La nozione di capitale intellettuale ha poi a che vedere con la proprietà
intellettuale
3
dell’impresa. Questa si traduce in oggetti stabili (legalmente tali) come
marchi, brevetti, licenze, che hanno valore strutturale e una valutazione economica
definita nel bilancio aziendale.
Come componente del capitale intellettuale d’impresa, la proprietà intellettuale è da
intendere in modo più ampio. Essa include non solo il sapere esplicitato, ma anche il
cosiddetto sapere tacito
che è nelle menti delle Risorse Umane e che può essere fatto emergere attraverso le
attività innovative di lavoro: progetti, ricerche, applicazioni creative, ecc.
Fra le risorse invisibili dell’impresa vi sono una serie di comportamenti organizzativi
che non corrispondono ad organigrammi e procedure strutturate ma che li integrano
attraverso la sensibilità attiva di chi li mette in essere. A cominciare dalla strategia
generale del top management per finire all’ultima applicazione quotidiana del
customer care, tutto si ricomprende nell’area di implementazione del capitale
intellettuale d’impresa.
La tabella seguente dà una prima sommaria lista delle componenti dell’intelligenza
visibile o nascosta delle organizzazioni.
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G. P. Bonani, La sfida del capitale intellettuale, Franco Angeli, Milano 2002, pag. 91.
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Fig. 1.3: Le componenti dell’intelligenza visibile
Oltre a questi aspetti cruciali ce ne sono altri che distinguono il capitale intellettuale
dagli “asset tangibili” di un’organizzazione
4
:
1. Il capitale intellettuale è l’unico asset che si rivaluta nel tempo invece di
deprezzarsi. I macchinari, gli edifici e gli altri asset simili iniziano a perdere di valore
dal giorno stesso in cui vengono acquistati; il know-how delle persone, invece, è in
continua evoluzione e genera nuove
conoscenze. Il compito principale del manager moderno è quello di far crescere e
rendere produttivo il know-how delle persone, trasformando il capitale intellettuale
in valore per il cliente.
2. Il capitale intellettuale di un’organizzazione non si “consuma” con l’uso e non
diminuisce a mano a mano che viene usato, anzi, è probabile che aumenti. Mentre è
possibile vendere il prodotto/servizio frutto del capitale intellettuale, il know-how
resta e può essere utilizzato nuovamente un numero infinito di volte.
3. A differenza degli asset tradizionali che sono posseduti nella quasi totalità
dall’organizzazione, il capitale intellettuale appartiene principalmente alle persone
4
Aa.Vv., Learning and Knowledge, Espansione, Sperling & Kupfer Editori, N.1-1/2002, pag.44.
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che ne fanno parte. La distinzione, che talvolta diviene contrapposizione, tra i
diversi detentori dei due principali mezzi di produzione tradizionali, il lavoro che è
delle persone e il capitale che normalmente viene fornito dall’impresa, nella nuova
economia basata sulla conoscenza viene superata perché è la persona il principale
detentore sia del lavoro sia della nuova forma di capitale, per l’appunto quello
intellettuale.
Questa nuova e dirompente prospettiva pone al management odierno una serie
d’interrogativi cui occorre trovare una risposta efficace. Il paradosso dei giorni
nostri sembrerebbe essere che proprio nel momento in cui le persone diventano la
risorsa più importante e più critica per il successo futuro di un’azienda, gli
imprenditori non sono in grado di poter offrire un posto di lavoro sicuro.
1.3 IL CAPITALE INTELLETTUALE: DEFINIZIONI E STRUTTURA
Esaminando quanto detto finora, manca una definizione operativa di capitale
intellettuale. Thomas A. Stewart descrive, senza però darne una definizione, il
capitale intellettuale come la somma dei brevetti, dei procedimenti, delle
competenze dei dipendenti, delle tecnologie, delle informazioni su clienti e fornitori,
e del know-how che un’azienda possiede
5
.
Altri studiosi hanno proposto definizioni troppo vaghe per essere tradotte nei
programmi e nelle azioni di manager e dipendenti; ecco alcune di queste: “Il sapere e
il know-how accumulati da un individuo sono la fonte dell’innovazione e della
rigenerazione”
6
; “capacità, competenza ed esperienza […] annidate nel cervello
umano”
7
. Si avvicina maggiormente l’idea espressa da Hugh McDonald: “Il saper
che esiste in seno ad un’organizzazione può essere usato per creare un vantaggio”
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in altre parole, la somma di tutto ciò che coloro che lavorano in una data azienda
sanno, e che le assicura un margine competitivo. Questa definizione riguarda quel
che il capitale intellettuale fu, più che quello che è oggi.
5
T. A. Stewart, Il Capitale Intellettuale: la nuova ricchezza, Ponte alle Grazie, Milano 1999, pag. 112.
6
S. Albert e K. Bradley, The Management of Intellectual Capital, Business Performance Group Limited,
London 1995, pag.1.
7
K. E. Sveiby e T. Lloyd, Managing Know-How, Bloomsbury, London 1987, pag.35-36.
8
T. A. Stewart, Brainpower, in “Fortune”, 3 giugno 1991, pag. 44.