6
convergenza, ma merita di essere analizzato soprattutto con lo scopo di
evidenziare i principali punti deboli dell’attuale disciplina e le problematiche che
deriveranno dall’applicazione delle nuove metodologie di valutazione dei crediti.
Per questo motivo si è scelto di strutturare il lavoro in quattro capitoli, il primo dei
quali passa in rassegna gli elementi di base di un sistema di Credit risk
management e fornisce delle indicazioni relative ai vincoli ed alle opportunità
derivanti, per le banche, dall’implementazione degli strumenti e delle metodologie
in esso contemplate.
Nel secondo capitolo, invece vengono illustrate le metodologie di valutazione dei
crediti in bilancio, prevista dalla normativa attualmente vigente, con lo scopo di
evidenziarne i principali punti deboli, ipotizzando possibili soluzioni per garantire
il ricongiungimento con le logiche del sistema di controllo dei rischi.
Il terzo capitolo introduce il processo di armonizzazione contabile,
evidenziandone le finalità, nonché le difficoltà incontrate e fornisce una breve
indicazione del contenuto e della struttura dei Principi Contabili Internazionali,
oltre ad illustrare le principali innovazioni introdotte da due Principi di
fondamentale importanza per le aziende di credito, mi riferisco allo IAS 37 e 39.
In conclusione del presente lavoro, si è scelto di riprendere la discussione sui
principali temi affrontati precedentemente, in modo da evidenziare i reali spazi
per un’effettiva convergenza tra i sistemi di controllo dei rischi e dei sistemi
contabili, alla luce dell’adozione dei Principi Contabili Internazionali.
7
In questo senso viene esaminato il fondamentale ruolo della disclosure quale
strumento di collegamento tra evidenze contabili e informazioni presenti
all’interno dei sistemi di controllo dei rischi, espressi all’interno di un documento
che si pone l’obiettivo di informare i soggetti terzi sulla situazione della banca.
8
Capitolo 1
Le nuove logiche di credit risk management, per la gestione del rischio di
credito
Sommario: -1. 1 L’importanza del sistema di risk management -1. 2 Il sistema di risk management:
caratteristiche -1. 3 I sistemi di rating -1. 4 Gli sviluppi della regolamentazione: gli accordi di Basilea
-1. 4. 1 L’Accordo di Basilea del 1988 -1. 4 .2 Il nuovo Accordo di Basilea sui requisiti di capitale
-1. 5 Prime conclusioni
1.1 L’importanza del sistema di credit risk management
L’attività di gestione e concessione del credito ha da sempre rappresentato nel
nostro paese la determinante di fondo della redditività degli istituti di credito
1
: il
modo in cui la banca affronta tale business ha un’influenza sulla performance
complessiva e sulla sua competitività
2
1
Sulle attività svolte dalla banca ed il loro peso specifico sulla gestione la conseguente necessità di adeguati
sistemi di controllo interni, si veda tra gli altri, L. Hinna, Il controllo dei rischi bancari generali. Un approccio
metodologico al management audit, Rirea, Roma, 1996, pagg. 23 e segg.
2
Per la nostra analisi è importante ricordare che l’azienda di credito è una realtà per sua natura complessa, è
un’azienda che opera nel settore terziario e che opera principalmente nel campo del credito e dei regolamenti
monetari, esercitando delle attività intermediazione e delle attività finanziarie che si affiancano e si intrecciano alla
prestazione di numerosi servizi. Le banche agiscono principalmente nell'ambito dei mercati diretti, ma sono
attivamente presenti anche sui mercati aperti.
Le funzioni esercitate dalla banca sono numerose:
1) Funzione creditizia: sono cioè intermediari tra coloro che offrono capitali e coloro che li richiedono
2) Funzione monetaria: la banca effettua pagamenti sia in moneta legale che in moneta bancaria
3) Funzione di trasmissione degli impulsi di politica monetaria: influenzano il processo di produzione e quindi il
PIL offrendo crediti
4) Funzione di servizi: offre ai clienti più vasti servizi di investimento e prestazioni complementari e collaterali.
9
Da qualche anno, tuttavia, il mercato del credito ha sancito l’ormai definitiva
“obsolescenza dell’organizzazione produttiva esistente e tradizionale”
3
: è in atto
una vera e proprio reingegnerizzazione organizzativa e procedurale volta a
permettere il conseguimento di livelli di efficienza e di efficacia più elevati,
soprattutto con riferimento ai sistemi di controllo e gestione del rischio di credito
4
.
I motivi alla base di questa profonda trasformazione vanno ricercati
principalmente nei cambiamenti che hanno riguardato lo scenario competitivo, tra
i quali si segnalano:
- la diminuzione generalizzata dei tassi di interesse, frutto delle politiche orientate
alla stabilità, appoggiate dai paesi aderenti al Trattato di Maastricht prima, e
all’Unione Monetaria Europea poi, con il conseguente ridimensionamento del
margine di interesse.
Ciò comporta un ripensamento delle strategie da parte degli intermediari i quali
non possono più limitarsi ad operare una attività di trasformazione delle scadenze
e dei rischi delle risorse acquisite;
- la maggiore concorrenza nel mercato del credito, che spinge ad un’infelice e
dannosa politica di price competition, colpevole di un peggioramento
generalizzato della qualità creditizia dei portafogli di investimento, sia per un
allentamento dei criteri di selezione dei prenditori, sia per l’incapacità di misurare
3
Mottura P., Nuove strategie e riorganizzazione dell’attività di credito, in Bancaria, n. 2, 2000.
4
Zazzara C., Le implicazioni regolamentari dell’utilizzo dei modelli per il rischio di credito nel sistema bancario,
in rivista Bancaria, n. 5, 2000.
10
ed prezzare correttamente i rischi nelle nuove e meno note aree territoriali nelle
quali le banche decidono di espandere la propria attività di lending;
- una maggiore attenzione da parte dell’Autorità di Vigilanza
5
, manifestata
attraverso sia interventi dell’Autorità nazionali, volte a render più organica la
normativa dei controlli interni da un lato, e dall’altro in tema di requisiti
prudenziali con le proposte di modifica degli Accordi sul Capitale da parte del
Comitato di Basilea;
- lo sviluppo dei mercati mobiliare la quotazione del capitale bancario stimolano
l’interesse degli investitori verso l’andamento economico, la solidità patrimoniale
soprattutto livelli di performance degli intermediari creditizi.
L’innovazione finanziaria, il fenomeno della disintermediazione, le trasformazioni
dell’economia reale sono altri fattori strutturali, che hanno imposto alle banche un
ripensamento e una riorganizzazione tanto delle strategie di mercato quanto dei
processi operativi della concessione del credito, in considerazione della stretta
relazione esistente tra una corretta metodologia di valutazione del rischio di
credito, l’efficiente allocazione del capitale la creazione del capitale per gli
azionisti.
La direzione seguita dagli intermediari è stata quella di focalizzare l’attenzione
sullo sviluppo di Credit Risk management (Crm)
6
: in altre parole, sotto la spinta
5
Cacciamani C., Qualità dei prestiti ed equilibri di gestione delle aziende di credito, in Il Risparmio, n. 4, 1992.
6
Il Credit risk management può esser definito come “l’insieme integrato dei modelli e degli strumenti di
misurazione che consente, unitamente all’esistenza di idonee procedure organizzative, una gestione finalizzata ed
11
delle Autorità di Vigilanza le banche hanno iniziato ad adoperarsi per realizzare
un complesso integrato di modelli e strumenti di misurazione in grado, unitamente
all’esistenza di idonee procedure organizzative, di garantire una gestione mirata
ed ottimale del rischio di credito.
Il termine “sistema” non è stato utilizzato a caso in quanto le logiche del Credit
risk management impongono che tutte le attività che attengono alla gestione del
rischio facciano parte di un progetto, integrato in un insieme di processi, coerente
con la struttura dell’ istituto di credito, condiviso da tutta l’ara di gestione crediti e
supportato da strutture organizzative, risorse umane e sistemi informativi
adeguati.
Il Credit risk management non è soltanto un insieme di modelli e strumenti nuovi.
E’ più propriamente un approccio globale alla gestione della banca
7
.
Per questo motivo ancor prima di pensare all’innovazione degli strumenti,
all’implementazione dei modelli, alla nuova pianificazione dei sistemi
organizzativi, è necessario modificare la cultura all’interno dell’ambiente ed
implementare un nuovo modo di fare banca.
Questo è il punto più delicato dell’intero processo di implementazione del
sistema di risk management, non è pensabile un approcci odi tipo top down, ma è
necessaria la condivisione e la partecipazione dei responsabili alle fasi di
ottimale del rischio di credito”; cfr. D’Auria C., Gaetano A., Pastore F., Profili evolutivi del credit risk
management nelle banche italiane, in Bancaria, n. 1, 2001.
7
Profumo A., Riorganizzazione e gestione del portafoglio crediti nell’esperienza di una grande banca, in
Bancaria, n. 2, 2000.
12
individuazione degli obiettivi da perseguire e di progettazione delle caratteristiche
del sistema, in funzione degli stessi: questa scelta presuppone la definizione dei
ruoli e le competenze di ciascuno, per evitare sovrapposizioni e altre inefficienze
legate alle capacità non adeguatamente sfruttate o erroneamente allocate.
A questo punto è possibile già vedere quanto sia complesso l’articolazione di un
sistema di credit risk management, ecco perché la pianificazione ed il suo
sviluppo deve esser posto su un arco temporale di lungo periodo.
Più importante ancora e, che tale articolazione deve esser vista, non in una logica
di adattamento ai vecchi sistemi di controllo, ma piuttosto come un cambiamento
radicale dell’approccio alla gestione del rischio di credito.
Per capire meglio le logiche innovative del CRM bisogna prima analizzare le
caratteristiche dei vecchi sistemi, tradizionalmente usati nelle aziende di credito
italiane nella gestione del rischio di credito, con particolare riferimento alle
metodologie di selezione e gestione dei fidi.
L’approccio precedente al CRM è privo di una logica di portafoglio, che consente
alla banche di diversificare efficientemente le proprie esposizioni, in quanto i
clienti vengono valutati, in relazione al loro merito di credito, basato su un’analisi
economica finanziaria che tiene conto delle prospettive strategiche e
dell’ambiente nel quale egli opera.
Il sistema bancario italiano purtroppo continua a fare ricorso ad un sistema di
limiti, basato su parametri:
13
- dimensionali, per controllare l’esposizione complessiva detenuta nei confronti di
una determinata controparte;
- temporali, per valutare la durata massima delle esposizioni esistenti;
- di concentrazione, per evitare una eccessiva esposizione verso un determinato
settore o area geografica.
La mancanza di un approccio di portafoglio reca con sé una scarsa attenzione al
monitoraggio delle esposizioni tenute, le banche individuano le difficoltà del
cliente solo quando queste divengono palesi ed emergono da dati come quelli
della Centrale dei Rischi, non permettendo alla banca di porre in esser validi
elementi per prevenire la situazione di crisi.
1.2 Il sistema di credit Risk management: caratteristiche
Per approfondire l’analisi del modello del Risk credit management bisogna prima
di tutto isolare ed individuare gli elementi che lo compongono
8
.
Trattandosi, tuttavia di un modello che ha per oggetto la misurazione e la
gestione del rischio è necessario, prima procedere ad un inquadramento teorico il
più possibile chiaro ed esaustivo del rischio.
8
L’analisi dei rischi di un’azienda di credito è fondamentale, in quanto sull’ azienda nell’esercitare la sua attività
caratteristica, incombono una serie di rischi, come: RISCHI RIGUARDANTI L'INTERMEDIAZIONE CREDITIZIA,
RISCHI FINANZIARI, RISCHI DI IMMOBILIZZO, RISCHI ECONOMICI, RISCHI DI ANELASTICITA'
FINANZIARIA, RISCHI DI INSOLVENZA, RISCHI RIGUARDANTI GLI INVESTIMENTI FINANZIARI, RISCHI
DI INSTABILITA' DEL MERCATO DEI CAPITALI, RISCHIO DI CAMBI, RISCHIO DI SBALZI NELLE
QUOTAZIONI DEI TITOLI, RISCHIO DI OSCILLAZIONE DEI TASSI.
14
A) IL RISCHIO DI CREDITO E LA PERDITA ATTESA
Il rischio di un prestito è un concetto ampio, non ci si può tuttavia accontentare di
definizioni troppo ampie, che forniscono scarse indicazioni operative
9
, come
quelle che inquadrano il rischio di credito come la “probabilità che l’operazione di
prestito non dia alcun contributo positivo alla redditività dell’azienda, o finisca
con l’incidere sfavorevolmente sui risultati di esercizio
10
; d’altro canto non
sembrano adeguati neppure gli approcci che definiscono il rischio creditizio come
mero rischio di insolvenza, legato alla probabilità che una o più controparti della
banca non siano in grado di ripagare, in tutto o in parte, le somme ricevute a
titolo di prestito.
Prima di tutto però, dobbiamo dire che all’interno del portafoglio di una banca il
manifestarsi di un certo numero di eventi di insolvenza è un fenomeno che entro
certi termini può esser ritenuto fisiologico ed inevitabile
11
.
Quindi ciò che bisogna capire è che l’ esposizione al rischio di una banca è
caratterizzata dal fatto che le perdite registrate si discostino effettivamente da
quelle attese
12
.
Tale fenomeno è legato principalmente alle variazioni del merito creditizio delle
controparti che l’istituto ha in portafoglio: pertanto il rischio non va limitato al
9
Ruozi R., Sull’attendibilità dei bilanci e sulla loro validità a fini di previsione delle insolvenze, in Bancaria, n. 1,
1974
10
Cfr. G. DELL’AMORE, Economia delle aziende di credito. I prestiti bancari, Giuffrè, Milano, 1951.
11
Polato M., La rappresentazione del rischio creditizio nel bilancio bancario: disciplina civilistica e paradigmi
emergenti, Università di Udine, Dipartimento di finanza dell’impresa e dei mercati finanziari, Working paper n. 1,
2002.
12
Carosio G., Misurazione e gestione del rischio di credito: l’evoluzione della regolamentazione in sede
internazionale, in Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e di borsa, 2000.
15
solo fenomeno di insolvenza (rischio di insolvenza), ma anche al possibile
peggioramento (o miglioramento) del merito creditizio che comporta un
incremento (diminuzione) della probabilità di insolvenza della controparte stessa
(rischio di migrazione).
Appare opportuno, quindi definire il rischio di credito come il rischio associato
alle variazioni inattese del merito creditizio delle controparti nei confronti delle
quali esiste un’esposizione, il cui impatto va ad incidere sul valore attuale dei
flussi di cassa futuri, ossia sul valore della posizione creditoria detenuta dalla
banca.
Questa definizione permette inoltre di individuare gli elementi chiave del rischio
di credito, il cui approfondimento teorico è essenziale ai fini della costruzione di
un modello di misurazione e gestione del rischio creditizio che pretenda di essere
efficiente; in aggiunta pone preliminarmente il problema delle interrelazioni
esistenti tra rischio inteso come perdita inattesa, legata all’elemento incertezza, e
stima, sotto forma di perdita attesa, legata all’elemento incertezza, e stima, sotto
forma di perdita attesa, dei relativi effetti economici negativi.
Si è parlato di esposizione; troppo spesso si associa all’ammontare
dell’esposizione il volume di rischio sopportato, considerando i due concetti come
sinonimi; ciò sarebbe vero solo se ogni esposizione avesse la medesima
probabilità di generare il medesimo ammontare di perdite, ma è molto difficile
16
che ciò si realizzi, dal momento che ogni esposizione è caratterizzata da una sua
propria probabilità di insolvenza e da uno specifico tasso di recupero.
La determinazione dell’esposizione assunta nei confronti delle singole controparti
è una procedura tutto altro che facile scontata: basti pensare, a titolo di esempio,
alle operazioni di fido come le aperture di credito in conto corrente, dove il cliente
ha la facoltà di determinare l’ammontare del credito concessogli e per la banca
non è possibile a priori conoscere l’esatto ammontare dell’esposizione, che varia
in funzione dell’utilizzato.
Tuttavia, analoghe difficoltà insorgono anche per le operazioni di prestito
caratterizzate da piani di rientro predefiniti, come, ad esempio, i mutui: ai fini del
calcolo dell’esposizione media la banca deve tenere anche in considerazione
l’eventualità che il cliente rientri anticipatamente rispetto al piano di rimborso.
Recentemente è stato osservato che sulle linee di credito ad utilizzo discrezionale
l’ammontare dell’esposizione al momento dell’insolvenza (exposure at default)
tende ad esser superiore rispetto al livello di utilizzo corrente; viceversa, nei
prestiti con piano di rientro predefinito, l’esposizione residua al verificarsi
dell’isolvenza è normalmente inferiore a quella corrente
13
.
Da ciò si deduce che l’exposure at default dovrebbe esser considerata a valori di
mercato piuttosto che a valori di bilancio: l’importo iscritto nell’attivo dello stato
patrimoniale alla voce “Crediti”, infatti, non può tenere conto delle condizioni di
13
Cfr. De Laurentis G., Rating interni e credit risk management. L’evoluzione dei processi di affidamento bancari,
Bancaria Editrice, Roma, 2001.
17
mercato alle quali l’operazione è stata conclusa e, pertanto, non permette di
valutare appieno i reali effetti dell’eventuale insolvenza; se si trattasse di
obbligazioni quotate, al contrario, il loro diverso valore di mercato sarebbe
riflesso proprio nella loro quotazione.
L’EAD (exposure at default) così calcolata rappresenta uno dei tre elementi
essenziali ai fini del calcolo della perdita attesa, ossia dell’ammontare medio che
la banca si attende di subire sulla specifica posizione creditoria, con riferimento
ad uno specifico orizzonte temporale.
L’ammontare in questione, ovvero, l’EAD, dipende dal prodotto di una serie di
fattori i quali sono:
- la probabilità di insolvenza della controparte;
- la percentuale attesa di perdita in caso di insolvenza della medesima controparte.
Per giungere ad una stima della probabilità d’insolvenza, che rappresenta un
attributo della controparte affidata, le banche possono adottare differenti approcci.
Le analisi di fido tradizionali, che si basano sul giudizio soggettivo
dell’analista
14
, tenendo conto delle informazioni di natura qualitativa oltre che
qualitativa, ma spesso più che produrre una probabilità di insolvenza vera e
propria, conducono al giudizio diretto di accettazione/rifiuto dell’operazione.
Occorre ricordare, che presso gli istituti di credito italiani, hanno un’ampia
diffusione i modelli di credit scoring, i quali si snodano attraverso un processo
14
L’analista può esser a seconda dei casi: un responsabile della funzione di controllo dei crediti, ovvero il
relationschip manager, o ancora il credit analyst della banca.
18
finalizzato all’attribuzione al cliente di un punteggio (score), che rappresenta
l’espressione qualitativa legata alla probabilità che si verifichi l’insolvenza.
Tali modelli non hanno normalmente come risultato la formulazione di una
probabilità di insolvenza, ma possono essere utilizzati per determinare tale
probabilità, ad esempio attraverso il passaggio ai sistemi di rating.
Si procede costruendo campioni di clienti insolventi e campioni di clienti solventi,
per ciascuno dei quali viene individuato uno specifico set di informazioni che
alimenterà il modello statistico (dati anagrafici, indici di bilancio
storici/prospettici, dati qualitativi, dati andamentali) con i relativi pesi; la tecnica
più utilizzata per elaborare tali informazioni è l’analisi discriminante lineare.
Questa procedura individua le variabili più significative assegna loro i relativi pesi
ottimali che consentono di rispettare alcune regole-obiettivo, quali la
massimizzazione della differenza tra le medie degli score delle controparti
solventi e le medie di quelle insolventi, e la minimizzazione della varianza degli
score di ognuno dei due gruppi attorno alle proprie medie
15
.
In sede di costruzione del modello la banca può incontrare difficoltà nel creare
campioni che siano significativi a causa della qualità non ottimale delle
informazioni che possiede: entrambi questi elementi sono essenziali per ridurre la
possibilità di errore e pervenire a giudizi affidabili.
15
Per un’analisi della teoria accennata, si veda Altman, E. I., Financial rations, in Journal of Finance, Settembre
1998.
19
In sede di validazione la banca si deve preoccupare che i modello sia coerente,
stabile e possegga un’elevata capacità discriminante, tale capacità si misura
attraverso una serie di test che mettono in luce la consistenza del modello, ossia
verifichino la performance dello stesso su un campione diverso da quello
utilizzato in sede di costruzione, analizzino i cosiddetti outliers, ossia quei
fenomeni rappresentati da clienti insolventi aventi score elevato, verifichino la
capacità previsiva del modello.
Ai fini della stima della perdita attesa rimane da determinare l’ultima variabile,
ossia il tasso di perdita condizionato al verificarsi del default.
Tale tasso esprime la perdita che la banca subisce al verificarsi dell’insolvenza del
debitore, in considerazione della totale o parziale impossibilità di recuperare per
via stragiudiziale o giudiziaria il credito erogato, comprensivo degli interessi
connessi al ritardo rientro delle somme e delle spese accessorie sostenute.
Questa grandezza è funzione del tasso di recupero del credito, ovvero la
percentuale dell’esposizione creditizia, maggiorata da una serie di elementi, che il
creditore è in grado effettivamente di recuperare in caso di default del cliente la
cui stima è complicata in quanto tale grandezza è influenzata da una serie di
fattori, i quali sono:
1. la gravità dello stato di insolvenza del debitore;
2. la tipologie di attività da questo detenute, che determina la facilità con la quale
esse possono essere liquidate per rimborsare i creditori;
20
3. il tipo di procedura di recupero;
4. i tempi necessari al recupero, i quali variano a seconda del tipo di procedura, ma
anche dell’area geografica nella quale risiede il debitore
16
;
5. i costi di procedura di recupero, i qual ovviamente aumentano al dilatarsi del
tempo necessario per completare la procedura;
6. la forma tecnica dell’impiego;
7. la presenza di garanzie o di forme di seniority o , all’opposto, di subordinazione
del debito;
8. il valore effettivo delle garanzie ed il loro grado di liquidità;
9. lo standing del garante.
Come si è detto si tratta di un insieme molto ampio di fattori sulla maggior parte
dei quali la banca non ha il diretto controllo: ciò solleva il problema della stima
del tasso di recupero, resa difficoltosa dalla disponibilità di campioni storici
eccessivamente limitati e dalla impossibilità di considerare nella stima tutti i
fattori, precedentemente citati, per la mancanza di database sufficientemente
strutturati.
La banca si ritrova, così, a dover provvedere a valutazioni che tengono conto
esclusivamente delle caratteristiche delle singole operazioni, oppure,
alternativamente, del singolo settore di appartenenza del debitore.
16
Al sud Italia i tempi necessari ad escutere le garanzie sono nettamente maggiori rispetto al nord del paese.