6
L’esigenza di superare le incoerenze teoriche dei sistemi contabili
nazionali e disporre così di una base informativa adeguata alla sfida lanciata
dall’idea di sviluppo sostenibile, ha spinto numerosi esperti e centri di
ricerca di tutto il mondo ad elaborare, sia a livello nazionale che
internazionale, proposte di modifica e modelli contabili alternativi a quello
vigente. I contributi più rilevanti provengono dall’Ufficio Statistico delle
Nazioni Unite (UNSO), dall’Ufficio Statistico dell’Unione Europea
(EUROSTAT), dalla Banca Mondiale e da alcuni paesi sviluppati con
politiche ambientali avanzate, in particolare Norvegia, Olanda, Germania,
Francia.
Anche in Italia sono stati avviati studi, soprattutto di carattere
metodologico, per pervenire alla costruzione di un sistema integrato di
contabilità ambientale. I contributi più rilevanti sono quelli di Carlucci M. e
Giannone A., di Cullino R. e quelli relativi alla collaborazione tra ISTAT e
Fondazione ENI Enrico Mattei.
Il presente lavoro costituisce un tentativo di analisi delle diverse
esperienze internazionali realizzate nell’arco degli ultimi decenni. Esso
propone una descrizione, seppur sommaria, delle principali problematiche
connesse allo sviluppo di una contabilità delle risorse naturali e dei diversi
metodi adottati, con l’intento di organizzare, secondo uno schema logico e
coerente, le principali esperienze ed i principali approcci sviluppati a livello
nazionale ed internazionale.
Precisiamo fin d’ora che la nostra attenzione è volta ad esaminare
proposte alternative - secondo l’ottica della sostenibilità - alla misura del
reddito di un paese, sostanzialmente trascurando le proposte alternative alla
misura del benessere. Le prime cercano con vari accorgimenti e ponendo
l’accento su particolari problemi di correggere le distorsioni che
caratterizzano l’attuale impianto contabile in modo da renderlo più
rappresentativo delle complesse interrelazioni economia - ambiente. Le
altre, invece, non condividono le motivazioni di fondo che informano il
tradizionale sistema di contabilità, a tal punto che lo rigettano in toto
proponendo indicatori alternativi radicalmente differenti da quelli
convenzionali.
Lo schema logico proposto in questo studio si articola in quattro
capitoli. Il primo esamina la struttura fondamentale ed i limiti principali del
Sistema di Contabilità Nazionale (SNA) e dei suoi più noti indici aggregati.
La mancata inclusione nel calcolo del PIL del valore economico delle
funzioni ambientali - fornitura di materie prime, assimilazione dei residui
inquinanti ed erogazione di servizi ambientali essenziali - rappresenta una
delle cause primarie della sua inidoneità sia come misura del reddito
nazionale, che come indicatore del benessere di un paese. Le ragioni di tale
inadeguatezza sono storiche e vanno imputate al sostanziale disinteresse
verso il problema della scarsità di risorse naturali che contraddistingue le
teorie economiche da cui è derivato l’attuale SNA. Nel secondo capitolo si
analizzano e si confrontano le principali proposte relative allo sviluppo di
7
una contabilità delle risorse naturali basate sulla modifica e correzione
dell’impianto contabile tradizionale. Tali proposte sono illustrate con una
serie di applicazioni concrete tratte dalle esperienze di vari studiosi e di
varie nazioni. Nei paesi in via di sviluppo, caratterizzati da una forte
dipendenza economica dalle materie prime, le proposte di modifica sono
tipicamente imperniate sulla valutazione del consumo del capitale naturale,
laddove nelle economie più avanzate sono i problemi legati alla stima del
danno da inquinamento e degli effetti del degrado ambientale ad attirare
l’attenzione dei revisori del SNA. Il terzo capitolo, invece, descrive le
esperienze di quelle nazioni che hanno adottato approcci alternativi basati
non sulla semplice modifica del sistema contabile convenzionale, ma sulla
costruzione di un vasto apparato informativo sull’ambiente che possa servire
da supporto ai policy makers. Nonostante la notevole varietà di approccio,
tali esperienze si contraddistinguono per il comune ricorso ad una
rappresentazione in termini fisici delle interrelazioni tra economia e
ambiente, ottenuta mediante la compilazione di conti satellite che registrano
le consistenze ed i flussi del patrimonio naturale, e per la tendenza a
sviluppare sistemi informativi complessi sull’ambiente. Nel quarto
capitolo, infine, viene analizzato un ulteriore modello di contabilità delle
risorse naturali - il cosiddetto approccio completo integrato - ed i diversi
sistemi contabili ad esso ispirati. L’aspetto fondamentale di tale modello è
l’integrazione dei due elementi tipici degli approcci precedenti, vale a dire la
rilevazione in termini fisici delle diverse risorse naturali e l’assegnazione
alle stesse di un valore monetario che ne permetta l’inserimento nel sistema
di conti nazionali tradizionale. Il capitolo si conclude con una breve analisi
dell’esperienza italiana in tal senso e della recente proposta elaborata dalle
principali istituzioni nazionali del paese impegnate sul fronte della
contabilità ambientale.
8
Capitolo primo
ORIGINI E LIMITI DELLA CONTABILITÀ
NAZIONALE.
1.1. ORIGINI E PRINCIPALI AGGREGATI DELLA
CONTABILITÀ NAZIONALE.
La contabilità nazionale è l’insieme delle informazioni statistiche che
descrive l’attività economica di un paese. Sebbene le sue origini risalgano
alle prime stime del reddito nazionale eseguite nel XVII secolo in Inghilterra
da Sir William Petty e Gregory King, è solo negli anni ’30 di questo secolo
che essa assume l’attuale carattere di attività organizzata, svolta in modo
sistematico e continuativo da organismi governativi a tale scopo preposti.
Due furono i fattori fondamentali che determinarono quella che fu definita
una ”rivoluzione statistica”
1
nel periodo tra le due guerre. Primo tra questi
fu la necessità di disporre di stime attendibili del reddito nazionale in base
alle quali calcolare i potenziali introiti fiscali e pianificare la spesa pubblica
a fini bellici. Il secondo fattore, connesso alla grande depressione
economica degli anni trenta, fu l’esigenza di quantificare quelle variabili
macroeconomiche alle quali sia le teorie del ciclo economico, che l’analisi
keynesiana attribuivano fondamentale importanza. La diffusione della
“Teoria Generale” di Keynes, infatti, assegnando a consumi, investimenti e
spesa pubblica la determinazione del livello di produzione d’equilibrio,
diede un impulso decisivo alla contabilità nazionale. Stime del reddito
nazionale e delle principali variabili aggregate da inserire nelle equazioni
keynesiane furono da allora intraprese pressoché in ogni paese.
Attualmente esistono diversi sistemi standardizzati di contabilità
nazionale. Il più noto è sicuramente il Sistema di Conti Nazionali delle
Nazioni Unite, comunemente chiamato SNA (System of National
Accounts). Il SNA venne pubblicato nel 1968 dall’Ufficio Statistico delle
Nazioni Unite successivamente alla profonda revisione subita dal primo
sistema standardizzato di contabilità nazionale elaborato nel secondo
dopoguerra in seguito alla diffusa esigenza di comparabilità dei risultati
economici dei singoli paesi. Oggetto fondamentale del SNA prima maniera
è la misurazione delle transazioni economiche che danno origine a flussi di
produzione e reddito e a variazioni nel livello di accumulazione del
capitale. Nel 1977, con la pubblicazione del manuale comunemente
chiamato M60, il SNA è stato integrato con l’aggiunta di conti che
esprimono le consistenze (stock accounts) e conti che permettono il
raccordo tra flussi e consistenze attive e passive all’inizio e alla fine dello
stesso periodo. Nonostante le integrazioni permangono i seguenti limiti:
1
Patinkin D. (1982) p. 246.
9
Figura 1 : Il flusso circolare della produzione e del reddito.
• mancata o inadeguata rilevazione contabile del consumo di
risorse naturali;
• mancata o inadeguata rilevazione contabile del degrado
ambientale.
Per questo nei primi anni ’80 è iniziata una nuova fase, non ancora giunta a
conclusione, di revisione del SNA.
In ogni caso, oggi il SNA costituisce il modello contabile di
riferimento a livello internazionale. Sebbene diversi tra loro, i sistemi
contabili dei singoli paesi ad economia di mercato possono essere di norma
considerati delle approssimazioni del SNA
2
.
Si deve al SNA, ad esempio, la descrizione, attraverso il flusso
circolare del reddito e della spesa (Figura 1), del sistema economico, vale a
dire dell’insieme di relazioni che s'instaurano tra i soggetti economici nello
svolgimento di quattro funzioni fondamentali: produzione, consumo,
accumulazione e ridistribuzione del reddito e della ricchezza. A base del
flusso circolare del reddito e della spesa vi è la nota coincidenza tra Prodotto
finale, somma dei Redditi corrisposti ai fattori produttivi e Spesa totale.
Fra tutti, il
sistema
standardizzato di
contabilità nazionale
a noi più vicino, è il
Sistema Europeo di
Contabilità (SEC)
elaborato dalla
Comunità Europea
sulle tracce generali
del SNA e adottato
dai paesi membri dal
1970.
I conti
nazionali, redatti dai
paesi ad economia di
mercato sulla scorta
delle indicazioni
fornite dal SNA,
offrono il supporto informativo per valutare l’andamento economico di un
paese e la sua evoluzione nel tempo. I dati in esso contenuti sono
sintetizzati da alcuni indicatori aggregati che costituiscono la base delle
decisioni interne di politica economica e dei confronti internazionali tra
diversi paesi. Il più noto tra tali indicatori è senza dubbio il Prodotto
2
Mentre per gli ex paesi socialisti il modello contabile di riferimento era costituito dal
Sistema del Prodotto Materiale (MPS).
Fonte : adattato da Dornbush R., Fisher S., 1985.
BENI E SERVIZI
(D)
FATTORI PRODUTTIVI
(A)
REDDITI
(B)
SPESE
( C )
PRODUTTORI
CONSUMATORI
10
Interno Lordo (PIL), che misura il valore, a prezzi di mercato, dei beni e
servizi finali prodotti all’interno di un paese in un dato periodo. Il PIL è un
flusso netto espresso in termini monetari - di norma a prezzi di mercato
3
- in
modo tale da rendere omogenei gli elementi eterogenei che lo compongono.
Il PIL può essere calcolato con tre metodi. Il primo (Metodo Reale)
si basa sul concetto di valore aggiunto, vale a dire l’incremento di valore
realizzato dal processo produttivo, calcolato come differenza tra produzione
totale e consumi intermedi
4
. Il secondo (Metodo Personale) calcola il PIL
come somma dei redditi dei fattori nei quali si è composto. Infine con il
terzo (Metodo del Bilancio) si ottiene il PIL sottraendo dalla domanda
finale il valore delle importazioni di beni e servizi.
Il processo produttivo che genera il PIL causa il deterioramento dello
stock di capitale fisso esistente
5
. Tale usura, nota in contabilità con il
termine di ammortamento, rappresenta la quota di produzione che deve
essere sottratta al consumo per mantenere intatta la capacità produttiva del
sistema economico. Deducendo l’ammortamento dal PIL si ottiene il
Prodotto Interno Netto (PIN), che costituisce l’aggregato più idoneo per
le analisi di lungo periodo basate sulle teorie dello sviluppo economico.
Facendo invece riferimento alla produzione realizzata - sia sul
territorio nazionale sia all’estero - da unità produttive residenti, si parla di
Prodotto Nazionale Lordo (PNL), ottenuto aggiungendo al PIL i redditi
netti provenienti dall’estero.
1.2. I LIMITI DELLA CONTABILITÀ NAZIONALE.
In tutte le economie mondiali, il Prodotto Interno Lordo è l’indicatore
comunemente usato per valutare la situazione economica di un paese.
Economisti, politici, amministratori pubblici fanno sempre riferimento a tale
indice oltre che per descrivere l’andamento economico generale di un paese,
anche per giudicare la validità di un programma governativo o l’efficacia di
un intervento di politica economica. Il PIL è, quindi, una variabile
economica di grande impatto e significato politico.
Il PIL presenta tuttavia una serie di limiti, sia di carattere teorico sia di
carattere operativo, che ne riducono fortemente la validità, sia come misura
della produzione effettiva di un paese che come indicatore del reddito e del
benessere sociale e che mettono in crisi l’intero sistema di contabilità.
L’individuazione di tali limiti ha sollevato critiche sempre più numerose e
ha successivamente stimolato l’elaborazione di indicatori alternativi.
3
Questo principio non è applicato in modo uniforme poiché alcune componenti del PIL, ad
esempio la produzione del settore pubblico, non hanno un prezzo di mercato e quindi sono
valutate al loro costo.
4
E’ il metodo più usato in Italia e in tutti i paesi che elaborano tavole annuali di tipo input-
output.
5
Il deprezzamento del capitale fisso nel tempo può risultare sia dall’usura fisica causata
dalla produzione che dall’invecchiamento tecnologico (obsolescenza).
11
Una delle prime critiche rivolte alla moderna contabilità nazionale
riguarda l’enfasi posta sulle transazioni monetarie che hanno luogo nel
mercato e la conseguente mancata o inadeguata rilevazione di quelle attività
produttive che sono esterne al mercato
6
oppure prive di un prezzo di
mercato
7
. La produzione nazionale effettiva risulta quindi sottostimata,
specialmente nei paesi in via di sviluppo dove l’autoconsumo e lo scambio
informale rappresentano tuttora una parte rilevante dell’attività totale.
Numerose osservazioni sono poi state avanzate anche in relazione
all’inadeguata contabilizzazione del tempo libero, dei servizi di beni di
consumo durevoli, delle plusvalenze o minusvalenze realizzate in seguito
alla variazione del prezzo delle attività, etc.. Gli incrementi di produttività
realizzati mediante una riduzione dell’orario di lavoro - e conseguente
maggiore disponibilità di tempo libero - a parità di output prodotto vengono
ignorati nel calcolo convenzionale del PIL. Lo stesso incremento di
produttività ottenuto mediante un aumento della quantità prodotta, a parità
di fattori produttivi utilizzati, viene invece registrato come variazione
positiva del PIL e dà quindi luogo ad una “crescita economica”. Lo stesso
genere di osservazioni possono essere avanzate nei riguardi dei servizi
prodotti dallo stock di beni di consumo durevole, i quali sono solo in parte
inclusi nel calcolo del PIL, infatti vengono contabilizzati per esempio i
servizi resi dalle abitazioni, ma non quelli resi dalle automobili private.
A partire poi dagli anni ’60, con la nascita dei primi movimenti
ecologisti, la contabilità nazionale ha subìto una nuova serie di critiche, in
alcuni casi dettate da convinzioni etiche molto radicali, relative al rapporto
tra produzione e ambiente. Nei paesi industrializzati, infatti, i sempre più
diffusi fenomeni di inquinamento e degrado naturale hanno rivelato
l’esistenza di complesse interrelazioni tra attività produttiva e ambiente che
vengono, tuttavia, completamente ignorate dalle stime convenzionali del
PIL. In molti paesi in via di sviluppo, inoltre, elevati tassi di crescita del
PIL sono ottenuti grazie allo sfruttamento intensivo delle risorse naturali e
non danno atto della continua e spesso irreversibile erosione del patrimonio
naturale del paese. Dal punto di vista ambientale, le principali critiche
avanzate da economisti ed ecologisti allo schema di contabilità nazionale
riguardano:
• il contributo dei beni e servizi ambientali al sistema economico;
• il trattamento contabile delle spese per la difesa ambientale;
• il deprezzamento dello stock del capitale naturale.
6
Ad esempio, la produzione di sussistenza, il lavoro domestico, il volontariato, etc..
7
Ad esempio, i servizi pubblici, il baratto, etc..
12
Figura 2: Sistema economico e ambiente.
1.2.1. I beni ed i servizi forniti dall’ambiente.
Come affermato in precedenza, lo scopo della moderna contabilità
nazionale è la descrizione delle attività di produzione e consumo che
formano il complesso sistema economico di un paese. Analogamente al
capitale riproducibile
8
ed al capitale umano, l’ambiente naturale fornisce un
flusso di beni e servizi che costituiscono un input indispensabile allo
svolgimento di attività di produzione e consumo. Dalla biosfera, ad
esempio, vengono estratti minerali ed altre materie prime necessarie alla
produzione agricola ed industriale. L’ambiente naturale provvede poi allo
smaltimento dei rifiuti e all’assorbimento di scarichi ed emissioni
inquinanti. Infine, la natura assicura il funzionamento di meccanismi
ecologici essenziali per la sopravvivenza del pianeta e garantisce inoltre la
disponibilità di luoghi ameni a fini ricreativi.
A questo punto
sembra necessario
precisare alcuni
termini del discorso
riguardo alle funzioni
economiche
dell’ambiente. Nella
sua accezione più
generale, il termine
“ambiente naturale”
9
viene adoperato per
designare l’insieme
delle condizioni
esterne che
determinano il modo
di vita e l’evoluzione
delle società umane.
L’aria, l’acqua, le
risorse del suolo e del
sottosuolo, le
comunità degli esseri
viventi sono i singoli elementi di tale complesso fisico dal quale dipende la
sopravvivenza dell’intero genere umano. Dal punto di vista economico,
8
Il Capitale Riproducibile - da alcuni autori indicato anche con il termine di capitale
economico - è costituito dai beni durevoli che sono oggetto di proprietà e hanno valore
monetario. Esso va tenuto distinto dal Capitale Naturale, che invece è costituito da quei
beni - tra cui l’atmosfera, le risorse del sottosuolo, gli ambienti fisici naturali, gli organismi
viventi - la cui esistenza, produzione e riproduzione è il risultato dell’attività naturale
(Carlucci, Giannone, 1990).
9
Per una distinzione tra i termini “ambiente naturale”, “capitale naturale”, “spazio naturale”
e “risorse” si veda Carlucci M., Giannone A. (1980) pag. 88.
Fonte: Jacobs (1990)
AMBIENTE
NATURALE
ENERGIA
ATTIVITÀ
PRODUTTIVE
MATERIE
PRIME
CONSUMO
DEPOSITO
ASSIMILAZIONE
(RICICLO)
RESIDUI
13
invece, l’ambiente può essere visto come uno stock di capitale naturale che
eroga un flusso di beni e servizi indispensabili per lo svolgimento di ogni
attività economica.
Perciò, fatte queste precisazioni, in primo luogo, l’ambiente fornisce
risorse naturali, alcune delle quali vengono utilizzate dagli individui in
modo diretto (ad esempio aria, acqua, piante ed animali) mentre altre
(materie prime e fonti di energia) costituiscono input necessari nei processi
produttivi. Tali risorse sono essenzialmente di tre tipi:
• risorse non rinnovabili (carbone, gas, etc.) disponibili in quantità data in
quanto il loro processo rigenerativo avviene in tempi non apprezzabili su
scala umana e per le quali si pone il problema del possibile esaurimento;
• risorse rinnovabili (animali, piante, aria e acqua pulite etc.) la cui
consistenza viene mantenuta nel tempo qualora il ritmo di estrazione non
superi la velocità di riproduzione e crescita della risorsa stessa;
• risorse inesauribili (sole, vento, maree, geotermia, etc.) la cui entità non
viene modificata dall’azione umana.
In secondo luogo, l’ambiente provvede all’assimilazione dei residui
generati dai processi biologici - ad esempio i residui organici delle piante e
degli animali e l’anidride carbonica - e dei prodotti indesiderati delle attività
umane di produzione e consumo - rifiuti, scarichi ed emissioni inquinanti.
Qualora la produzione di residui inquinanti ecceda la capacità assimilativa
dell’ambiente, si assiste alla progressiva concentrazione di sostanze dannose
che costituiscono uno dei fenomeni più preoccupanti della civiltà
industriale.
Infine, l’ambiente naturale garantisce l’erogazione di alcuni sevizi
ambientali il cui valore economico è meno evidente, ma non per questo
meno importante. Esistono essenzialmente due categorie di servizi
ambientali:
• la disponibilità di luoghi ameni (parchi naturali, aree protette, spazi
ricreativi, etc.) il cui uso e godimento contribuiscono direttamente ad
innalzare il livello di benessere individuale e sociale;
• Il mantenimento di funzioni ecologiche essenziali alla sopravvivenza
della biosfera (stabilizzazione degli ecosistemi, regolazione del clima,
etc.), che risultano di difficile identificazione, ma sono, tuttavia, di
cruciale importanza per la prosecuzione della vita sul nostro pianeta.
Le funzioni economiche dell’ambiente naturale sono schematicamente
rappresentate nella Figura 2 che offre un’immagine del sistema economico
più completa e realistica di quella delineata nella Figura 1.
Dal confronto risulta chiaro come gli schemi contabili convenzionali
non evidenziano, né tantomeno quantificano
10
, il contributo dell’ambiente
alle attività di produzione e consumo ed offrono perciò un’immagine
10
Ciò presuppone la valutazione in termini monetari delle diverse funzioni economiche
dell’ambiente e delle variazioni nella sua consistenza, che costituisce a tutt’oggi uno dei
compiti più difficili ed ambiziosi di quel filone dell’economia ambientale noto nella
letteratura anglosassone con il nome di “benefit assessment”.
14
distorta dell’economia di un paese. Gli effetti esterni negativi del processo
produttivo (inquinamento e degrado ambientale) non sono infatti
internalizzati nella funzione di produzione dell’economia, mentre agli input
forniti dall’ambiente viene implicitamente attribuito un valore nullo. La
presenza di effetti negativi esterni - noti anche col nome di “esternalità
negative” o “diseconomie esterne” - crea una divergenza tra costo privato e
costo sociale della produzione e costituisce una delle cause del cosiddetto
“fallimento del mercato”. In tali circostanze la capacità di formulare scelte
di politica economica ed ambientale idonee a promuovere lo sviluppo
sostenibile di un paese risulta estremamente ridotta. Se infatti consideriamo
la definizione contenuta nel Rapporto Brundtland
11
, un processo di sviluppo
è sostenibile se soddisfa i bisogni della generazione presente senza
compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare i loro. In
questa definizione risulta implicita la necessità di conservare la base di
risorse naturali ed ambientali per mantenere un determinato livello di
benessere
12
, sia nei paesi economicamente dipendenti dalle risorse naturali -
la gran parte dei paesi in via di sviluppo - che nei paesi ad economia
industriale avanzata.
1.2.2. Le spese per la difesa ambientale.
Sembra anzitutto opportuno specificare alcuni concetti relativi alla
nozione di “spesa difensiva”. L’elemento concettuale fondamentale che
contraddistingue le spese di carattere difensivo è la connessione più o meno
stretta con gli effetti negativi esterni conseguenti ad atti di produzione o di
consumo
13
. Sono perciò escluse dalla categoria di spese difensive tipi di
spesa quali, ad esempio, la spesa per l’alimentazione, l’abbigliamento e
l’abitazione, da taluni erroneamente attribuite alla necessità di difesa contro
la fame ed il freddo
14
. Secondo la classificazione elaborata da Leipert
(1989), l’aggregato delle spese difensive include:
• le spese indotte dalla concentrazione spaziale delle attività
produttive e dai conseguenti fenomeni di urbanizzazione, come
ad esempio il costo del trasporto pendolare, dell’abitazione,
delle attività ricreative;
• le spese sostenute in relazione all’aumento dei rischi associati
all’attività industriale, quali ad esempio le spese per la
protezione civile e la sicurezza sociale;
11
World Commission on Environment and Development (1987)
12
Esula dalle finalità di questo studio analizzare le varie sfumature attribuite al concetto di
sviluppo sostenibile. In breve la sostenibilità può fare riferimento all’insieme della
ricchezza materiale (capitale naturale e capitale riproducibile), oppure al solo capitale
naturale, cioè alla base fisica della produzione (Pearce, Markandya, Barbier, 1989). La
prima accezione, che a volte viene indicata con l’espressione “sostenibilità debole” fa
riferimento solo al benessere della specie umana e ritiene che il capitale naturale ed il
capitale riproducibile siano sostituibili, mentre la seconda, definita “sostenibilità forte”
ritiene che occorra lasciare alle generazioni future lo stesso stock di capitale naturale e che
questo non possa essere sostituito dal capitale riproducibile.
13
Secondo la definizione di Oslon M. (1977) e di Hueting R. (1980) che contestano la
definizione data da Jaszi G..
14
Repetto R. (1989).
15
• le spese relative a problemi di traffico automobilistico, tra cui
spese per riparazioni e spese mediche conseguenti ad incidenti
stradali;
• le spese determinate da difficili condizioni di vita e di lavoro o
da modelli di consumo negativi, come ad esempio l’uso di
droghe e il consumo di alcool e sigarette;
• le spese indotte dall’eccessivo consumo di risorse naturali
provocato da processi di crescita economica non sostenibili.
L’ultimo gruppo classificato da Leipert identifica la categoria di spese
difensive di carattere ambientale come un sottoinsieme della categoria più
ampia delle spese a carattere difensivo.
Le spese difensive di carattere ambientale, finalizzate, appunto, ad
evitare o ridurre le esternalità di tipo ambientale, ovvero a contenere o
compensare, in qualche modo, i danni che ne derivano, possono essere
definite come le spese connesse alla perdita di funzioni ambientali, vale a
dire dei beni e servizi erogati dall’ambiente nell’ambito di attività produttive
o di consumo. Seguendo il criterio proposto dall’O.N.U. e riportato in
Cullino (1992), tali spese possono essere classificate in relazione al
momento in cui vengono effettuate rispetto al verificarsi del danno
ambientale, reale o potenziale, cui si riferiscono come segue :
• spese sostenute per evitare il danno ambientale, come nel
caso di spese per l’adozione di tecnologie “pulite” o per
l’installazione di impianti di abbattimento di sostanze nocive
“alla fonte”;
• spese finalizzate al ripristino di beni ambientali danneggiati
da attività economiche, come ad esempio la decontaminazione
di aree colpite da incidenti nucleari, il disinquinamento di tratti
di mare o fiumi interessati da versamenti di sostanze nocive, il
recupero di aree degradate etc.;
• spese sostenute allo scopo di allontanarsi o di proteggersi da
danni ambientali inevitabili e irreparabili, come ad esempio
le spese di trasferimento verso luoghi di residenza meno
inquinati, l’installazione di pannelli isolanti contro
l’inquinamento acustico e di filtri per la potabilizzazione
dell’acqua;
• spese rivolte a compensare gli individui per i danni subiti a
causa del danno ambientale, come nel caso di spese mediche
per curare malattie respiratorie o allergie provocate da
inquinamento atmosferico.
La complessità della fattispecie costituita dalle spese difensive di
carattere ambientale è indicativa della complessità delle interconnessioni che
caratterizzano le attività economiche e l’ambiente naturale. I macro-
aggregati forniti dagli attuali sistemi di contabilità sono incapaci di riflettere
queste complesse interrelazioni e per questo sono numerose le critiche che
ha sollevato l’attuale trattamento contabile riservato alle spese difensive.
16
La rilevazione delle spese difensive, collegata al tentativo di costruire
un sistema integrato di conti nazionali economico - ambientali, non si
presenta, certo, senza problemi. Questa rilevazione è, infatti, caratterizzata
da forti anomalie in quanto si assiste a disparità di trattamento tra spese
aventi la stessa natura, ma sostenute da settori economici differenti, oppure
finanziate in forme differenti all’interno dello stesso settore economico. Se,
infatti, a fronte di un danno ambientale, lo Stato interviene accollandosi i
costi delle misure riparatrici, le relative spese sono considerate come finali e
quindi incluse nel calcolo del PNL, andando ad accrescere, “ceteris
paribus”
15
, il reddito nazionale. Qualora gli stessi interventi vengano
effettuati dalle imprese, eventualmente costrette da provvedimenti di natura
legislativa o amministrativa, essi sono considerati, a seconda dei casi, come
investimenti o come spese intermedie, venendo rispettivamente aggiunti o
sottratti nel calcolo del valore aggiunto.
E’ stato, poi, osservato
16
che, contabilizzando le spese difensive
ambientali come spese finali, si può verificare la seguente incongruenza: il
reddito di un paese può essere più elevato quando accade che un dato
volume di beni e servizi viene prodotto arrecando danni ambientali anche
irreversibili, intervenendo in un secondo tempo per porvi rimedio, rispetto al
caso in cui, lo stesso volume di beni venga prodotto con tecnologie “pulite”
o “eco-compatibili”
17
. Pertanto, non solo il reddito nazionale non varia nella
direzione che parrebbe auspicabile per riflettere il degrado ambientale
causato dalle attività economiche, ma addirittura esso può muoversi nella
direzione opposta, cioè registrando trend positivi a fronte di un degrado o un
consumo dello stock di capitale naturale
18
.
È importante, comunque, notare che una semplice sottrazione delle
spese difensive ambientali dal PIL non consentirebbe di ottenere un PIL
“sostenibile” ma solo un PIL “corretto” in senso ambientale; si
tratterebbe, infatti, soltanto di una semplificazione metodologica assimilare
il consumo di capitale naturale alle spese sostenute per correre ai ripari dai
danni conseguenti a tale consumo.
L’anomalia nella rilevazione contabile delle spese difensive crea,
quindi, due ordini di difficoltà. Se da un lato, infatti, risulta chiaro che il
contributo di tali spese alla formazione del PNL non debba dipendere da
quale settore le sostiene, dall’altro resta tuttora irrisolto il problema di quale
approccio adottare per correggere tale anomalia negli attuali schemi
contabili.
15
Come osserva Peskin (1981), rimuovendo l’ipotesi di “ceteris paribus” non è possibile
stabilire a priori quale sia la reazione dei macro-aggregati all’effettuazione di tali spese.
16
Drechster (1976).
17
La stessa considerazione può essere estesa al confronto internazionale dei redditi.
18
Si deve però evidenziare come queste incongruenze del reddito nazionale appaiano
inaccettabili solo nell’ipotesi in cui si richieda che tale indicatore debba riflettere in qualche
modo il degrado ambientale, il che è tuttora oggetto di dibattito.
17
1.2.3. Il deterioramento dello stock di capitale naturale.
Un’ulteriore critica che viene mossa al SNA riguarda la mancata
inclusione nel calcolo del reddito nazionale del costo del deterioramento
delle risorse naturali e ambientali. Mentre gli immobili, le attrezzature e gli
altri elementi del capitale riproducibile partecipano alla formazione del
reddito mediante i costi di manutenzione e l’ammortamento
19
, il capitale
naturale non viene considerato nonostante sia ugualmente suscettibile di
degrado qualitativo e di variazioni nella consistenza conseguenti al suo
utilizzo. Le implicazioni di tale asimmetria nel trattamento contabile del
capitale produttivo sono evidenti: lo sfruttamento commerciale di risorse
naturali quali ad esempio legname, petrolio, minerali, contribuisce ad
aumentare il reddito nazionale senza che sia fornita indicazione alcuna sulle
conseguenze di tale attività in termini di riduzione nella capacità produttiva
futura. In altre parole, un vantaggio di natura temporanea - l’incremento del
reddito - viene ottenuto al prezzo di un perdita permanente del patrimonio
naturale, come già si è verificato in alcuni paesi in via di sviluppo che hanno
raggiunto formidabili livelli di crescita semplicemente consumando il loro
stock di risorse naturali. Tale paradossale situazione corrisponde al caso in
cui, ad esempio, un produttore di latte si compiacesse dei proventi derivanti
dall’uccisione e vendita di tutto il suo bestiame senza rendersi conto che
così facendo compromette ogni potenziale di reddito futuro distruggendo la
sua base produttiva.
Le ragioni di tale incoerenza vanno ricercate nel disinteresse del
pensiero economico neoclassico - e delle principali teorie economiche
contemporanee da esso derivate - verso il problema della scarsità di risorse
naturali. Nell’analisi dei processi produttivi, la “terra” - termine generico
tradizionalmente usato per indicare l’insieme delle risorse naturali e
ambientali - venne trascurata e identificata come un forma di capitale
perfettamente sostituibile
20
e quindi del tutto assimilabile dal punto di vista
analitico al capitale riproducibile.
21
Un ulteriore aspetto della questione del consumo di capitale naturale
riguarda la sua stretta connessione col problema della misurazione del
reddito di una nazione. Secondo la definizione ormai classica proposta da
Hicks, infatti, il reddito nazionale è l’ammontare massimo che una nazione
può consumare in un determinato periodo senza ridurre la consistenza del
19
Mentre la manutenzione ha la funzione di assicurare il regolare funzionamento del
capitale, l’ammortamento serve a ricostituirne la consistenza che si riduce per effetto
dell’uso che ne viene fatto.
20
L’ipotesi di perfetta sostituibilità tra capitale riproducibile e capitale naturale riveste
tuttora un ruolo cruciale nell’analisi delle implicazioni del concetto di sviluppo sostenibile.
Se la necessità di mantenere intatto lo stock di capitale naturale complessivo da consegnare
alle generazioni future trova un consenso pressoché unanime, risulta ampiamente dibattuto
il fatto che ciò possa tradursi nella conservazione dello stock esistente di capitale naturale
oppure che il consumo della base naturale sia ammesso qualora venga compensato con un
incremento del capitale riproducibile. Quest’ultima posizione è strenuamente sostenuta da
Solow (1974) e da Hartwick (1978) mentre è aspramente combattuta da Pearce (1991) e
Maler (1990).
21
Daly H. E., Cobb J. B. (1989).
18
proprio patrimonio iniziale
22
. Se nella funzione di produzione dell’economia
viene incluso anche lo stock di capitale naturale, il consumo di quest’ultimo
deve essere sottratto dal PIL al fine di ottenere una stima corretta del
reddito nazionale
23
. Le conseguenze di tale mancata sottrazione, riguardo
alle politiche economiche di un paese, sono notevoli: una sovrastima del
reddito nazionale indurrà un livello di consumi superiore a quello massimo
sostenibile e si otterrà così un’inevitabile erosione della base di capitale
naturale.
1.3. AMBIENTE E BENESSERE: IL DIBATTITO
ATTUALE.
Compiendo uno sforzo interpretativo ed una generalizzazione
24
, i
limiti indicati in precedenza possono farsi rientrare entro due grandi
categorie di omissioni: quelle di carattere sociale e quelle di carattere
naturalistico. Le prime riguardano la produzione di beni e servizi effettiva
ma non contabilizzata in aumento del PIL; le seconde riguardano, invece, la
mancata inclusione nel calcolo del PIL del consumo di capitale naturale e/o
dei danni ambientali.
In linea con la schematizzazione appena accennata, nell’ambito del
dibattito sull’ipotesi di una correzione del PIN, le proposte volte alla
realizzazione di un sistema contabile integrato e completo possono essere
suddivise sulla base di una delle due motivazioni che seguono:
• l’opportunità di dare alla contabilità nazionale una dimensione
più orientata alla misura del benessere;
• l’opportunità di aggiungere una valutazione del
depauperamento del patrimonio naturale a fianco dei costi
inclusi nel calcolo del PIN.
Vedremo nei prossimi due paragrafi come è stato affrontato il
problema della correzione del PIN secondo i suddetti differenti profili.
22
Il concetto di reddito proposto da Hicks incorpora il concetto di sostenibilità e risulta
quindi superfluo qualificarlo in tal senso (Daly, Cobb, 1989).
23
Analogamente a quanto accade per il capitale riproducibile.
24
Si veda M. Bresso (1994).