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imprenditoriale le cui domande indagano, nella carriera lavorativa del soggetto,
la capacità di iniziativa e di direzione in ambito lavorativo ed extra-lavorativo,
oltre che l’eventuale aumento di responsabilità e di livello economico. L’obiettivo
principale di questa ricerca è quello di osservare, attraverso un campione di test
T.A.I. e questionari raccolti appositamente tra imprenditori con l’aiuto delle
Associazioni di Categoria, se le aree del T.A.I. che presentano validità
concorrente con la Scheda Performance siano le stesse individuate nel
passaggio di ricerca precedente e/o se emergano altre correlazioni.
Nell’occasione di questo nuovo studio si è voluta anche fare una sintesi
dell’esistente trasferendo in un database informatico i test T.A.I. compilati su
carta dalla redazione della versione attuale del test ad oggi. Questi test sono
stati raccolti grazie all’attività costante del Centro Imprenditoria Giovanile
(C.I.G.) dell’Università degli Studi di Verona che, nell’erogare corsi di
orientamento e formazione all’imprenditoria a giovani diplomati e laureati, ha
applicato con regolarità lo strumento, offrendo loro la possibilità di valutare le
proprie potenzialità, di svilupparle e di misurarne lo sviluppo stesso (Favretto,
Cubico, 2001). Vista l’ampiezza del database si procederà inoltre a nuove
verifiche di attendibilità e validità.
Lo studio si inserisce all’interno di un filone di ricerca che si pone
l’obiettivo di costruire strumenti in grado di rilevare nei soggetti la loro
propensione ad assumere ruoli imprenditoriali (Favretto, Pasini, Sartori, 2003) e
più in generale nell’ambito dello studio dell’imprenditorialità e della figura
dell’imprenditore. Infatti l’imprenditorialità è ancora terreno di esplorazione,
oggetto di numerosi studi nell’ambito di diverse discipline (economiche, sociali,
psicologiche). Tuttavia, pur essendo indubbia l’utilità di conoscere i fattori che
possono favorire la creazione d’impresa, allo scopo di offrire le condizioni di
sviluppo più opportune, ideando ed implementando progetti mirati, essa non
appare ancora in grado di essere spiegata in modo esauriente anche a causa
della varietà di definizioni dell’oggetto di ricerca e della scarsa attenzione
metodologica adottata (Battistelli, 2001).
Anche la Comunità Europea manifesta a più riprese (Commissione delle
Comunità Europee, 2003; Commissione Europea, 2000, et al.) la sua fiducia
6
nell’imprenditorialità come risorsa per la costruzione di nuovi posti di lavoro, ma
ne riconosce anche il valore individuale e sociale, come possibilità di
autorealizzazione; inoltre essa può contribuire alla lotta contro la
disoccupazione e rappresentare una risposta ad un mercato del lavoro che
richiede elevata flessibilità (Favretto, Cubico, 2001).
Di conseguenza, nonostante in alcune situazioni possa emergere in modo
apparentemente spontaneo in un determinato territorio, come nel caso del Nord
Est italiano tra gli anni ’70 e gli anni ’90, essa può essere stimolata e sostenuta
nelle sue necessarie evoluzioni, come ad esempio nella trasmissione
d’impresa, che, oltre ad essere un passaggio di proprietà può divenire un
elemento di innovazione del sistema (Ente Bilaterale Artigianato Veneto, 2003;
CUOA, 1996).
Affinché le strategie delle istituzioni formative ed economiche
raggiungano il loro scopo, comunque, è necessario che le macro-prospettive di
ricerca trovino un’integrazione per superare l’aspetto descrittivo e per poter
offrire un valido contributo multidisciplinare, anche attraverso l’uso di modelli
teorici più solidi (Battistelli, Favretto, 2003).
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1. L’IMPRENDITORIALITÀ E LA FIGURA DELL’IMPRENDITORE
1.1. INTRODUZIONE
L’Unione Europea, nel recente Libro Verde (Commissione delle
Comunità Europee, 2003), segnala che, nonostante il tasso di disoccupazione
attuale (7,4%) si sia ridotto rispetto a quello allarmante degli anni ’90 (11%), la
situazione costituisce ancora un problema di importanza primaria, essendo
questi valori ancora lontani
1
da quelli che il Consiglio europeo si era proposti nel
marzo 2000, nella strategia di Lisbona per il rinnovamento economico, sociale,
ambientale (Commissione Europea, 2003a).
Entro il 2010 l'Unione Europea mira a «diventare l'economia basata sulla
conoscenza più concorrenziale e dinamica del mondo, in grado di promuovere
una crescita economica sostenibile accompagnata da un miglioramento
quantitativo e qualitativo dell'occupazione e da una maggiore coesione sociale»
(Commissione delle Comunità Europee, 2003, pp. 4-5). Recentemente il
Consiglio Europeo di Bruxelles (25-26 marzo 2004) ha convenuto di dare
priorità alle due tematiche sulle quali occorre intervenire nei prossimi anni e
sulle quali basare la nuova strategia europea per l’occupazione: crescita
sostenibile e nuovi e migliori posti di lavoro (Unioncamere del Veneto, 2004).
A questo scopo, la Commissione Europea sottolinea la necessità di sfruttare
meglio la possibilità di creare lavoro grazie all'attività imprenditoriale e definisce
l’imprenditorialità «uno stato mentale e un processo volto a creare e sviluppare
l'attività economica combinando disponibilità a rischiare, creatività e/o
innovazione con una sana gestione nell'ambito di un'organizzazione nuova o
esistente» (Commissione delle Comunità Europee, 2003, p. 6). «Si tratta della
motivazione e della capacità del singolo, da solo o nell'ambito di
un'organizzazione, di riconoscere un'occasione e di trarne profitto al fine di
1
Secondo la Relazione sulla situazione economica del Veneto nel 2003, (Unioncamere del
Veneto, 2004) con un tasso di occupazione del 64,3%, si sta profilando per l’Unione Europea il
mancato raggiungimento dell’obiettivo intermedio fissato per il 2005 che prevede un tasso di
occupazione pari al 67%, per giungere nel 2010 ad un tasso di occupazione del 70%.
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produrre nuovo valore o il successo economico. Creatività o innovazione sono
necessarie per entrare in un mercato esistente rimanendo competitivi, per
cambiarlo o persino crearne uno nuovo. Per trasformare in successo
un'iniziativa imprenditoriale è necessaria la capacità di combinare creatività o
innovazione con una sana gestione e di saper adattare un'impresa per
ottimizzarne lo sviluppo in tutte le fasi del suo ciclo di vita. E' un processo che
va ben oltre la gestione quotidiana e riguarda le ambizioni e la strategia di
un'impresa» (Commissione delle Comunità Europee, 2003, pp. 5-6).
L’imprenditorialità, quindi, è un fattore di crescita economica, innovazione e
concorrenzialità. Inoltre, l’importanza dell’imprenditorialità sta nella capacità di
costituire uno strumento di sviluppo personale e di contribuire a promuovere la
coesione economica e sociale, di stimolare la creazione di posti di lavoro e di
inserire nel mercato del lavoro i disoccupati e le persone in posizione di
svantaggio (Commissione delle Comunità Europee, 2003). Nella Carta Europea
per le piccole imprese (Commissione Europea, 2002, p. 8), si riconosce che «lo
spirito imprenditoriale è un’abilità umana valida e produttiva».
La riscoperta del fenomeno imprenditoriale si può ricondurre, tra gli altri
fattori, al declino del fordismo, con il conseguente spostamento dell’attenzione
dagli investimenti all’innovazione (CUOA, 1996); anche nel Libro Verde
(Commissione delle Comunità Europee, 2003) si delinea la storia di questo
spostamento da un’economia dominata dalle grandi industrie, nella quale
determinate dimensioni erano indispensabili per realizzare economie di scala,
sfruttare i mercati esteri e mantenere il passo con i regolamenti e le nuove
possibilità tecnologiche, ad un’economia nella quale per il vantaggio
competitivo, più dell’accumulazione del capitale, conta l’innovazione costante
dei prodotti, delle tecniche, delle forme organizzative, della cultura aziendale e
sociale. Le grandi imprese quindi hanno razionalizzato le proprie attività
attraverso processi di ristrutturazione, esternalizzazione o ridimensionamento.
«Per effetto di questo spostamento di accento, un ruolo determinante viene
ormai riconosciuto alla intelligenza e creatività degli uomini, e in particolare
degli uomini che, a vario titolo, si trovano ad esercitare il potere decisionale e
ad assumere il rischio delle decisioni: ossia degli imprenditori» (CUOA, 1996, p.
9
21). L’attenzione torna a concentrarsi sull’individuo, sulla sua capacità di
accettare un certo livello di imprevisto, sulla sua energia innovatrice. «La
“meccanizzazione del progresso”, per dirla con Schumpeter, ha mostrato la sua
intrinseca fragilità rispetto a sviluppi imprevisti e non programmabili della storia,
che hanno travolto la pianificazione a lungo termine, le routines organizzative,
le gerarchie precostituite. Da allora in poi, le cose sono andate sempre più
avanti verso la riscoperta dell’innovazione, dell’intelligenza e creatività degli
uomini, dei rapporti di cooperazione e dei contesti culturali. Si è allora scoperto
che le piccole imprese delle aree ad imprenditorialità diffusa – come nel caso
del Nord Est italiano, ad esempio – riuscivano a fare i conti con la maggiore
complessità in modo più efficace di quanto non fosse possibile alle grandi
imprese fordiste, tanto potenti nei mezzi mobilitati quanto lente nelle reazioni e
rigide rispetto al mutare delle situazioni» (CUOA, 1996, pp. 22-23).
Il riconoscimento, anche da parte dell’Unione Europea, della centralità della
persona e di aspetti personali quali creatività, disponibilità a rischiare e
innovazione (aspetti e caratteristiche personali che hanno rappresentato e
rappresentano l’oggetto di studio privilegiato della psicologia dell’imprenditore),
porta a considerare implicitamente l’importanza della ricerca sull’argomento,
che, con il suo apporto descrittivo ed esplicativo, può contribuire nell’orientare il
sostegno all’imprenditorialità secondo i canali più adeguati. «Comprenderne la
rilevanza economica e sociale non è sufficiente e sempre più emerge l’esigenza
di capire e spiegare il fenomeno per facilitarne lo sviluppo e contribuire a ridurre
gli ostacoli ed i problemi» (Battistelli, Favretto, 2003).
La stessa Unione europea afferma che «un posto di lavoro non è solo un modo
per guadagnare soldi. Nella scelta della carriera le persone hanno altri criteri,
quali sicurezza, livello d'indipendenza, varietà dei compiti ed interesse per il
lavoro. Consentendo livelli retributivi più elevati l'imprenditorialità può stimolare
la soddisfazione di ‘bisogni superiori’, quali l'autorealizzazione e l'indipendenza.
Il British Household Survey
2
ha mostrato che oltre ai motivi concreti (soldi e
posizione sociale), molti scelgono di diventare imprenditori per realizzarsi più
2
Indagine presso le famiglie in Gran Bretagna: British Household Survey (2002), Findings from
the household survey, SBS Performance Analysis (Unità per l’analisi del rendimento dei servizi
alle piccole imprese).
10
pienamente (libertà, indipendenza e sfida)» (Commissione delle Comunità
Europee, 2003, pp. 7-8). Quindi, l’Unione Europea si considera direttamente
coinvolta nell’identificare «i fattori chiave per realizzare un clima favorevole alle
iniziative imprenditoriali e all'attività delle imprese» (Commissione delle
Comunità Europee, 2003, pp. 10-11), cercando di accrescere il livello
dell'imprenditorialità europea, adottando l'approccio e le politiche più adeguate
per aumentare il numero degli imprenditori e promuovere la crescita delle
imprese. Inoltre sottolinea l’importanza di creare una società che attribuisca il
giusto valore allo spirito imprenditoriale, sviluppando atteggiamenti più positivi
verso l’imprenditorialità e incoraggiando tra i giovani, anche attraverso
programmi scolastici superiori e universitari, una cultura dell’imprenditorialità
(Commissione Europea, 2000), nella quale vi sia un atteggiamento più positivo
nei confronti del rischio e la consapevolezza che anche i possibili insuccessi
devono essere considerati principalmente un’occasione di apprendimento
(Commissione Europea, 2002). A questo proposito Ronca ribadisce che
«l’ambito educativo ha un ruolo fondamentale nel porsi obiettivi educativi tesi a
promuovere nei giovani un modo di pensare e di agire più attivo e indipendente
per la determinazione e la negoziazione del proprio futuro» (1995, p. 14). La
scuola per prima, quindi, deve promuovere negli allievi atteggiamenti, valori e
motivazioni che li rendano «autonomamente capaci di reperire informazioni e
supporti per la soluzione dei problemi e per sviluppare le competenze
necessarie per attivare un comportamento ad intraprendere» (Ronca, 1995, p.
14).
È importante quindi che le diverse macro prospettive di ricerca
(economico-sociale; psicologia dell’imprenditore per l’individuazione dei tratti;
prospettiva interazionista e psico-sociale), trovino quanto prima un’integrazione,
per poter superare l’aspetto descrittivo e giungere ad un più proficuo contributo
multidisciplinare, attraverso l’uso di modelli teorici più solidi. Infatti la
conoscenza ancora limitata di ciò che può influenzare e determinare scelte di
carriera di tipo imprenditoriale, non può che riflettersi sulle strategie adottate
dalle istituzioni formative ed economiche per stimolare e supportare il
fenomeno, facendo sì che queste strategie siano quantomeno insufficienti, se
11
non inefficaci (Battistelli, 2001). Il CUOA (1996), nella ricerca sulle nuove
imprenditorialità nel Veneto, finalizzata all’estensione della legge 44 al Centro e
Nord Italia, denuncia questa mancanza di approfondimento sui fattori che
possono stimolare l’imprenditorialità: «la politica dell’imprenditorialità è stata –
salvo rare eccezioni – trascurata: essa non ha infatti creato una tradizione e
una cultura istituzionale adeguate al fenomeno imprenditoriale. Non che siano
mancati aiuti alle imprese e alle nuove imprese: ma si è trattato di aiuti distribuiti
in modo disorganico, senza prendere di petto l’essenza del problema
imprenditoriale, ossia la complessità e unicità di ciascun business
imprenditoriale» (CUOA, 1996, p. 6). Continua inoltre con il riconoscere che il
successo imprenditoriale poggia su un sistema di fattori che integrandosi,
danno vita alla cosiddetta formula imprenditoriale, nella quale è la mediazione
intelligente dell’imprenditore che fa sì che i diversi fattori, di volta in volta
chiamati in causa per spiegare il successo delle imprese, si uniscano a fare
sistema; occorre che, oltre all’esistenza di potenzialità astratte di business,
entrino in gioco uomini disposti ad assumere il rischio dell’esplorazione e che
conducano il processo che porta dalle potenzialità ai prodotti, ai servizi, alle reti
di relazioni, aderenti alle condizioni concrete di specifici luoghi e momenti
(Albertini et al., 1993).
La prospettiva psicologica è al centro di questo studio del soggetto
imprenditore, della sua azione e dell’influenza sull’economia e sulla realtà
sociale nella quale opera (Battistelli, Favretto, 2003), di conseguenza emerge
con forza l’utilità della ricerca sulla psicologia imprenditoriale; tuttavia, il quadro
che si ottiene da questa ricerca è ancora eterogeneo, a causa della varietà di
definizioni dell’oggetto di ricerca, ma anche della scarsa attenzione
metodologica adottata. Da alcuni anni, comunque, l’evoluzione dei metodi e
delle teorie di alcune aree della ricerca psicologica e una maggiore
consapevolezza dell’importanza di utilizzare metodologie adeguate stanno
aprendo nuove prospettive di sviluppo ed emergono tentativi di rendere la
ricerca in grado di essere non solo descrittiva, ma anche esplicativa (Battistelli,
2001). «Il focus della ricerca psicologica si va lentamente spostando da
un’attenzione quasi esclusiva sulla persona dell’imprenditore (con le classiche
12
ricerche sui tratti di personalità e motivazioni) alla più ampia analisi
dell’imprenditore che agisce nella realtà mettendo in atto, attraverso
comportamenti più o meno appropriati, decisioni e scelte che determinano una
serie di conseguenze sul piano personale, sociale ed economico. Si delinea
quindi una maggiore attenzione ai processi che vengono messi in atto e
all’insieme di interazioni tra le diverse variabili implicate (che sono individuali,
culturali ed educative, sociali ed economiche, politiche)» (Battistelli, Favretto,
2003, p. 249). Un approccio che più di altri considera l’insieme delle variabili
implicate è quello interazionista, che definisce l’imprenditorialità come
l’interazione tra l’insieme delle caratteristiche personali (sesso, età,
caratteristiche di personalità, motivazioni, abilità, aspettative, valori,
rappresentazioni del lavoro, progetti e strategie personali) e le variabili
appartenenti al contesto familiare e socio-economico (Favretto, Pasini, Sartori,
2003).