,
8
2. IL QUADRO GEOGRAFICO, MORFOLOGICO,
GEOLOGICO
1
2.1 LA VAL BISAGNO
La Val Bisagno è una delle maggiori valli della Liguria e ha
tutti i caratteri tipici delle valli appenniniche.
Presenta un'ampia varietà di caratteristiche antropogeografi-
che, ancor più rilevanti se consideriamo la brevità della valle stes-
sa, che non supera i 25 km. di lunghezza.
Lungo il percorso, il torrente segue un cammino molto
tortuoso dove sono riscontrabili ben cinque gomiti e numerose
serpentine.
Il Bisagno ha origine dalle pendici meridionali del monte Spina
(ca. m. 800), presso il colle della Scoffera. La direzione iniziale è
NE-SW, ma muta dopo solo 2 km in N-S per poi seguire una linea
E-O all'altezza di Traso; al 10° km. ritorna alla direzione NE-SW
mantenuta però per soli 500 m., fino cioè alla Presa dove abbiamo
una nuova rotazione SE-NW. A Cavassolo il percorso ritorna E-O
ed è mantenuto, pur con numerosi gomiti, sino al Follo dove diven-
ta NE-SW. Così si mantiene sino a S. Gottardo, dove abbiamo
un'inclinazione tale da portare la direzione a N-S che muta nuova-
mente in NE-SW all'altezza di Staglieno. Qui il torrente prende la
definitiva direzione N-S che sarà mantenuta sino alla foce.
1
La redazione del presente capitolo è basata principalmente sui lavori di V.Taviani Festa, La valle del Bisagno,
Genova, 1953 e P. Stringa, La Val Bisagno. Cronologia del paesaggio tra spartiacque e mura di Genova, Genova,
1978, dove gli aspetti geografici e geologici sono stati trattati con completezza. Si rimanda a queste opere per gli
approfondimenti relativi.
,
9
La valle ha un andamento altrettanto tortuoso. L'orografia su-
bisce una serie di rotazioni che sono tra le più articolate delle valli
liguri sul versante marittimo.
Analizzandone i confini, a partire dalla sponda sinistra del tor-
rente, il solco vallivo è adiacente alla Val Fontanabuona, il cui tor-
rente Lavagna nasce dallo stesso massiccio da cui nasce il Bisa-
gno. Lo spartiacque tra le due valli procede dal monte Castelluzzo
(m. 850) e arriva sino al monte Bardo (m. 912), seguendo una
catena montuosa che, staccandosi da quella appenninica, va a
sprofondarsi nel mare con lo sperone di monte Moro tra Quarto e
Nervi. Dal monte Bastia la catena volge al Sud per il Fasce, dove
abbandona lo spartiacque sinistro della valle. Lo spartiacque dal
monte Riega precipita sulla sella di Bavari per risalire sui monti
Castellaro (m. 458) e Poggiasco (m. 550). La linea prosegue verso
il centro urbano per sparire tra S. Martino e Albaro.
Lo spartiacque destro divide in un primo momento la valle del
Bisagno da quella del Laccio e poi dalla Val Polcevera. La linea va
dal monte Spina (m. 961) fino al valico della Torrazza (m. 573), per
degradare fino al centro cittadino all'altezza dell'attuale Piazza Ma-
nin.
Di particolare interesse è un andamento peculiare dell'orogra-
fia: in due punti la valle è tagliata da una catena di monti che
uniscono le due opposte linee degli spartiacque; questi punti sono
fra la Presa e Cavassolo e fra Molassana e S. Gottardo e
corrispondono alle svolte più pronunciate del torrente. Queste
strettoie dividono la valle in tre parti e sono le tre sezioni
comunemente accettate dai geologi: la sezione alta, dalle sorgenti
,
10
al Ponte della Paglia, quella media dal Ponte della Paglia a giro
del Follo (fra il Montanasco e il Castelluzzo), la sezione bassa dal
giro del Follo alla Foce. I segmenti individuati presentano
caratteristiche omogenee sotto differenti aspetti, con conseguenze
complesse indotte in tutti i fenomeni storici e contemporanei di
infrastrutture viarie, urbane e rurali del territorio.
Se analizziamo la valle dal punto di vista delle pendenze,
sono individuabili cinque aree con caratteristiche comuni. Partendo
dalla foce troviamo in prima battuta l'ampia piana costiera, formata
da recenti alluvioni fluviali, dove sono presenti, a partire dalla
confluenza con il rio Ferreggiano, rilievi collinari dolci in particolare
sul versante orientale, verso S. Martino d'Albaro. Oltre Marassi
l'aumento delle pendenze fa sì che la dinamica insediativa sia più
caratterizzata da parametri di soleggiamento piuttosto che da
quelli di acclività. In prossimità dello sperone di Montanasco, dove
abbiamo la prima decisa rotazione della valle, ritroviamo una zona
pianeggiante con insediamenti su entrambi i versanti. La chiusa al
Ponte della Paglia ci porta in una zona a pendenze estremamente
pronunciate. Qui il popolamento di fondovalle è quasi inesistente;
gli insediamenti sono a quote più elevate, nelle zone dotate di
migliore esposizione, quali quelle della Val Lentro e di Canate.
L'ultimo tratto presenta pendenze medie ed insediamenti sparsi,
quali quelli di Bargagli e Davagna. Qui si conservano caratteri
insediativi più simili a quelli che l'intera valle doveva avere nel
passato, con ampi tratti boscosi, specialmente nei fianchi vallivi di
,
11
maggiore acclività, alternati a tratti ridotti a fasce, coltivati ad orti e
frutteto
2
.
Dal punto di vista idrografico, lo schema della valle presenta
una certa asimmetria concentrando la maggior parte dei bacini
laterali sul fianco destro. Solo tre valli sono presenti a sinistra:
quella del Lentro, quella di Montesignano e quella di Quezzi; di
converso sul lato destro troviamo le valli del Rio Torbido, di
Geirato, di Trensasco, di Cicale, del Veilino, per citare solo le più
importanti.
Dal punto di vista geologico la Val Bisagno è una valle autoc-
tona, non formata cioè da terreno di riporto. Appartiene quasi inte-
ramente al periodo cretacico, inclusa nell'unità litologica dei calcari
marnosi detti albarese che dal braccio occidentale dell'anfiteatro
genovese si stende fino a Chiavari
3
.
La parte alta presenta un alternarsi di argilloscisti e calcari
marnosi. All'altezza di Bargagli il torrente entra trasversalmente
nella roccia dura, incontrando l'affioramento delle ardesie, in conti-
nuità col versante destro della Fontanabuona
4
. La confluenza col
Lentro presenta l'affioramento perpendicolare dei calcari marnosi
del monte Antola, in continuità con la fascia costiera. Dal Ponte
della Paglia inizia un'articolata superficie di "Argilliti di Montoggio",
che occupa la media vallata. Il calcare riappare a Montanasco,
2
P. Marchi, Genova e le valli Bisagno e Polcevera, Genova, 1979.
3
M. P. Guerrieri Rota, La Podesteria del Bisagno ai tempi di Colombo, La storia dei genovesi (Atti del congresso),
Genova, 1985.
4
Per lo studio della struttura geologica della Val Bisagno vedi G. Rovereto, Geomorfologia delle Valli liguri, Atti della
Regia Università di Genova, 1904;
,
12
fonte della maggior parte del materiale da costruzione delle abita-
zioni del centro storico genovese.
L'alternarsi della zona scistosa e di quella calcarea influisce
sulla linea dei versanti, contribuendo a renderla ben definita.
Interessanti sono anche le piccole pianure alluvionali di fondo-
valle che presentano coltri di colmamento molto profonde.
La valle presenta anche la particolarità di proseguire sotto il
mare per una lunghezza notevole e questa è una testimonianza
degli sconvolgimenti tellurici vissuti in questa zona. Secondo A.
Issel
5
, durante il periodo quaternario, una fascia estesa del litorale
ligure si è sommersa di 900 m.
2.2 IL COMPLEMENTO COSTIERO
Il versante costiero del comprensorio bisagnino comprende
l'ultimo tratto della piana alluvionale della Foce, la collina di Albaro,
la valle del torrente Sturla, che nasce nella zona di Bavari (monte
Riega) e il crinale appenninico che qui si sviluppa per correre
lungo tutta la Riviera conferendogli un'unità paesaggistica,
caratterizzata nel primo tratto da un gruppo montuoso proiettato
verso il mare dall'andamento obliquo della media Val Bisagno.
Questo sistema, designato come "Montagna di Fascia"
6
, pre-
senta il paesaggio geologico tipico dei calcari marnosi cretacei
della Liguria. I rilievi hanno una linea di vetta ben definita
caratterizzata da creste sottili o da slanciate sporgenze piramidali
5
A. Issel, Liguria geologica preistorica, Genova, 1892, 2 volumi
6
D. Moreno, Dal documento al terreno. Storia e archeologia dei sistemi agro-silvo-pastorali, Bologna, 1990
,
13
e da ripidi versanti che raramente lasciano spazio a litorali ben
definiti.
La formazione delle rare spiagge è databile, sul piano
geologico, ad epoche recenti, sostanzialmente determinata dagli
apporti detritici dei torrenti e dallo sgretolamento delle rocce
marnose disposte a picco sul mare
7
.
La morfologia uniforme del gruppo montagnoso è di tanto in
tanto interrotta da brevi vallate a V, con la notevole eccezione
della valle trasversale del torrente Sturla, che separa la montagna
dai contrafforti collinari di S. Martino e di Albaro. La testata della
valle Sturla presenta un affioramento scistoso della media Val
Bisagno, che, col superamento della sella di Bavari, provoca un
contrasto di pendenza tra gli scisti e il calcare marnoso del bacino
dello Sturla. Altro elemento idrografico di un qualche interesse è
quello formato dal torrente Nervi che separa la cresta di monte
Moro da quella di monte Giugo. La restante mezza dozzina di rii
individuabili lungo la fascia costiera sono tutti di modestissima
entità.
Questa zona presenta una situazione geografica particolar-
mente varia e accidentata, molto più collegabile al rapporto monte-
mare che in altre zone.
L'intero comprensorio è caratterizzato da una certa uniformità
pedologica dovuta alla preponderanza della roccia madre calcarea
che ha originato suoli petrosi e asciutti, molto adatti alle colture
arboree come la vite, l'olivo e alberi da frutta
8
.
7
F. Bensa, E. La Barbera, F. Taggiasco, Particolari aspetti evolutivi delle spiagge liguri, Genova, 1979
8
M.P.Guerrieri Rota, La Podesteria del Bisagno cit.
,
14
3. IL TERRITORIO IN ETA' PREISTORICA E
PREROMANA
3.1 L’ETA’ PREISTORICA
Scarse e frammentarie sono le informazioni reperibili per il
territorio bisagnino in epoca preistorica.
Ricerche archeologiche hanno portato all'individuazione di re-
perti relativi ad un periodo compreso tra il Paleolitico Medio e
l'Eneolitico/Prima età del Bronzo, con prevalenza di pezzi relativi al
Mesolitico
9
.
I ritrovamenti sono concentrati in particolare alle spalle della
Riviera, nella cornice che va da Monte Bastia al passo Monte
Becco e sul passo del Monte Traso, in prossimità della linea di co-
municazione con il bacino idrografico del torrente Lavagna.
Sul Monte Bastia, nei pressi di Trensasco, sono emersi reperti
riconducibili alla seconda età del ferro e frammenti ceramici relativi
alla prima espansione romana
10
. Gli interventi di epoca
quattrocentesca hanno profondamente sconvolto l’assetto
territoriale rendendo difficile la lettura del terreno e non
consentendo di chiarire se si è di fronte ad un possibile
insediamento abitativo stabile. Ad ogni modo è possibile ipotizzare
che nel I secolo a. C. genti indigene influenzate da traffici ad
ampio raggio, avevano avviato un processo di sistemazione del
territorio
11
.
9
A. Del Lucchese, A Salonio, Appennino genovese, in “Archeologia in Liguria III. 1. Scavi e Scoperte 1982-86.
Preistoria e protostoria” a cura di P. Melli e A. Del Lucchese, Genova, 1987, p. 91.
10
A. Del Lucchese, A Salonio, Appennino genovese, cit. p. 92.
11
Lo scavo, eseguito a campioni in 25 diverse posizioni, ha portato alla luce un unico filare di una struttura in grossi
blocchi squadrati, posta lungo la linea di crinale. Si è rilevato anche un muro a grossi blocchi calcarei che potrebbe
,
15
Nella vicina località di Costa Bottuin, si sono ritrovati materiali
databili dalla fine dell’età del Bronzo
12
.
Al passo delle Giunche, nei pressi del monte Fasce, sono
venuti alla luce reperti del Mesolitico recente e dell'età del
Rame/Bronzo antico; anche a Nasoni-Monterotondo, lungo la
strada Apparizione-Uscio, si sono ritrovate tracce risalenti a un
periodo tra il Mesolitico recente e l'età del Rame. Sempre lungo
questa strada è emerso un livello agricolo pastorale dell'età del
Bronzo finale.
La presenza delle rilevanze archeologiche in prossimità dei
passi o delle selle intervallive, unitamente alla disponibilità di fonti
atte a favorire la sosta di animali di passaggio, indicano una fre-
quentazione legata sostanzialmente alla caccia. L'ipotesi è ulte-
riormente confermata dalla prevalenza di ritrovamenti litici di punte
di freccia e armature microlitiche
13
.
Non è da escludere che queste postazioni siano all'origine
della formazione dei numerosi "castellari", di cui si è reperito
traccia in zona così come in numerose altre località liguri.
Queste robuste fortificazioni erano poste a difesa di villaggi,
pascoli e campi coltivati
14
. Di semplice struttura, erano formati da
essere interpretato come segno di confine. Il materiale ceramico ha presentato frammenti di recipienti di produzione
locale e vasi di importazione centro italica. Si veda al proposito R. Burlando, Brevi notizie di archeologia locale, in “La
voce di Pino” Bollettino parrocchiale di S. Pietro di Pino, nr. 38, maggio-giugno-luglio-agosto, 1994.
12
G. Meriana, Valli di Genova: il levante, Genova, 1993, p. 26.
13
A. Del Lucchese, A Salonio, Appennino genovese, cit. p. 92.
14
I Castellari erano fortezze di mura ciclopiche nel vero senso della parola cioè, indipendentemente dalla mole dei
materiali, muri a macerie di pietre non tagliate senza connessioni di cementi.
Sui castellari, tra gli altri, si vedano gli studi di N. Lamboglia, I castelli liguri e romani in Valle Argentina in “Rivista
Ingauna e Intemelia”, prima serie, luglio-dicembre 1937, pp. 106-115; IDEM, Esplorazioni archeologiche e storico-
topografiche sui monti di Sanremo, in “Rivista Ingauna e Intemelia”, n. s., X, 1 (gennaio – marzo 1955), pp. 1-10;
,
16
anelli di cinte murarie solitamente eretti su cime già difese natural-
mente almeno su un versante ed in taluni casi a quote superiori ai
mille metri. A volte racchiudevano al loro interno campi e capanne.
Si può ipotizzare che accampamenti temporanei, sorti per la
stagione di caccia, abbiamo via via assunto un carattere si
stabilità, anche in conseguenza del passaggio da un'economia di
caccia ad una agricola e di allevamento.
Recenti studi micromorfologici del suolo
15
, effettuati
nell'ambito della "Montagna di Fascia", hanno dimostrato come già
in epoca preistorica vi sia stata un'intensa frequentazione legata
alla pastorizia ed allo sfruttamento agricolo (estese opere di
disboscamento
16
).
Uno sviluppo economico in questa direzione implica
necessariamente un controllo diretto del territorio e delle
conseguenti vie di comunicazione, vie di comunicazione che
almeno in prima battuta possono aver ricalcato le piste tracciate
dagli animali.
Una possibile ricostruzione dell'apparato viario evidenzia la
presenza di percorsi di crinale, riconoscibili lungo lo spartiacque
del Peralto, sulla displuviale fra Bisagno e Polcevera, lungo il
IDEM, Castellari liguri sopra Bordighera, in “Rivista Ingauna e Intemelia”, n. s., XXVI (1971), pp. 76-77; U.
Formentini, Conciliaboli Pievi e Corti nella Liguria di Levante. Saggio sulle istituzioni liguri nell’antichità e nell’alto
medio evo, in “Memorie dell’Accademia Lunigiana di Scienze “Giovanni Cappellini”, VI, 1925; Guebhard, in Congres
Prehistorique de France, III sess. 1907, 1923-24; R. Maggi, P. Melli, Uscio (Genova). Scavi 1981-82. Rapporto
preliminare, citato in “Genova preromana e dintorni”; M. Tizzoni, Appunti per uno studio dei castellari liguri, in
“Giornale Storico della Lunigiana e del territorio Lucense”, n. s., XXVI-XXVII (1975-1976), pp. 94-111; R. Urgese
Rolandi, Considerazioni sui castellari della Liguria, in “Rivista di Studi Liguri”, XLIII (1977), pp. 190-200.
15
AA.VV. Appennino genovese, cit.; R. Maggi et al. Note sugli scavi del Castellaro di Uscio, Genova, 1981-85 in
"Preistoria alpina", vol. 21 (1985).
16
E. Sereni, Il sistema agricolo del debbio nella Liguria antica, in "Memorie dell'Accademia Lunigianense di Scienze",
1953.
,
17
confine meridionale del bacino imbrifero nella costa della Scoffera
e S. Oberto, con ramificazioni minori nelle aree di Molassana e
Calvari, dove sono riscontrabili tracce di percorsi provenienti da
Capenardo.
La valle, del resto, è un itinerario naturale sia verso la Pianura
Padana sia verso l'Italia centrale.
I ritrovamenti di castellari sono tutti in corrispondenza di nodi
viari, nelle zone di passaggio obbligate. Tale è la situazione delle
evidenze trovate a Castelluccio dell'Olmo a Molassana, dove si è
rinvenuta ceramica appartenente all'età del ferro (IV - V secolo a.
C.)
17
, a Traso dove si sono rinvenute ceramiche grezze
preromane
18
, nella zona dell'attuale via G. Contubernio d'Albertis
(un fortilizio in questa zona è ricordato ancora in un catasto del
1642), e a Bavari.
Da non sottovalutare poi l'aspetto militare di questi insedia-
menti. Le popolazioni autoctone dovettero far fronte a progressivi
contatti con altre popolazioni che assunsero, in prima battuta, la
forma di veri e propri scontri. In seguito possiamo pensare ad un
progressivo processo di assimilazione e fusione tra gli originali
abitanti della regione e gli invasori con, in particolare, i Celti.
La tradizionale periodizzazione delle invasioni celtiche è stata
ormai messa in discussione a causa del ritrovamento, sempre più
frequente in Liguria, di iscrizioni con onomastica celtica o
protoceltica anteriore alla data ufficiale che stimava il IV secolo
17
Si veda al proposito S. Bazzurro et al., Lo scavo del castello di Molassana, in “Archeologia Medievale, I, Firenze,
1994.
18
Per i ritrovamenti di Traso si veda AA.VV. Archeologia di superficie e lettura storica del territorio: il caso di Traso
(Genova), in “Archeologia Medievale”, IV, Firenze, 1977.
,
18
come momento dell’invasione
19
. Anche gli storici classici
tendevano, del resto, ad utilizzare il termine ligures in riferimento
generico a tutte le popolazioni della Gallia meridionale
20
, senza
distinguere tra autoctoni e Gallo-Celti. La probabile penetrazione
celtica avvenne tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a causa di
motivazioni sostanzialmente economiche
21
.
Plutarco ricorda la comune origine delle popolazioni liguri al
servizio dei romani, con altre popolazioni celto-galliche
testimoniata dallo stesso grido di battaglia, Ambrones
22
.
Lo stesso commercio di prodotti tipici delle regioni del Nord
Europa, quale l’ambra, di cui erano quasi monopoliste le
popolazioni liguri, confermerebbe questo stretto legame.
Il Cervetto
23
evidenzia come per alcuni studiosi il toponimo
Molassana sia di diretta discendenza celtica, dall’originario
significato di altezza in analogia alle località di Malsen, Mulhasen,
Mulchusen in Spagna e Francia.
I castellari fungevano, poi, da centri religiosi: le vette dei
massicci montani utilizzate per i “castelli “ racchiudevano anche
19
A. Maggiani, A. L. Prosdocimi, Leponzio-Ligure, in “Studi Etruschi”, 44, 1976. M.G. Tibiletti Bruno, Ligure,
Leponzio, Gallico, in Popoli e civiltà dell’Italia antica, 6, Roma, 1978. G. Bermond Montanari, Genua, in “Studi
Etruschi”, 47, 1969. F. M. Gambari, G. Colonna, Il bicchiere con iscrizione arcaica da Castelletto Ticino e
l’introduzione della scrittura nell’Italia Nord-Occidentale, in “Studi Etruschi”, 54, 1986.
20
S. Giorcelli Bersani, Alla periferia dell’impero. Autonomie cittadine nel Piemonte sud-orientale romano, Torino,
1994.
21
La leggenda secondo cui l’etrusco Arrunte avrebbe attirato con i fichi ed il vino i Celti nella propria città, a Chiusi,
per rifarsi di un torto che un giovane e potente chiusino gli aveva recato, denunciano esplicitamente il movente
economico della grande migrazione. S. Giorcelli Bersani, Alla periferia…, cit.
22
Plutarco Le vite degli uomini illustri. Vita di Caio Mario. Qui è ricordato come il grido di battaglia lanciato dai Liguri,
al servizio dei romani nel corso della battaglia di Aque Sextiae, fosse lo stesso delle tribù avversarie celto-galliche.
Un’ondata migratoria di queste popolazioni sembra fosse pervenuta nel territorio ligure dall’area dello Jutland.
23
L. A. Cervetto, Su e giù per la Liguria…in Val Bisagno, in “Il Cittadino” del 3 settembre 1887.
,
19
l’area sacrale raggruppando, quindi, in un unico ambito il
compascuo, l’estrema ridotta difensiva ed il centro di culto
24
delle
singole comunità.
I confini di queste comunità non erano necessariamente
determinati dall’andamento orografico dei crinali; spesso sono i
boschi a svolgere una funzione confinaria
25
. Le selve erano le aree
dove, in tempo di pace, si svolgevano attività di pacifico vicinato ed
erano aperte ad un uso promiscuo anche per ragioni di culto. In
caso di ostilità divenivano una terra di nessuno a protezione di
ogni contendente e i culti praticati assumevano valore
apotropaico
26
.
I castellari liguri rientrano a pieno diritto nel grandioso
fenomeno megalitico che percorre l’intero continente europeo
agganciandosi a fenomeni similari di altre regioni, non ultima la
zona nuragica dei “casteddi” della non lontana Sardegna
27
.
Questa organizzazione territoriale non sembra, comunque,
aver condizionato lo sviluppo successivo del territorio e di quello
24
Sugli aspetti dell’organizzazione territoriale ligure si veda E. Sereni, Comunità rurali nell’Italia antica, Roma, 1955;
Id., La comunità rurale e i suoi confini nell’Italia antica, in “Rivista di studi liguri”, XX, 1954; G. Mengozzi, La città
italiana nell’alto medioevo, Firenze, 1931. P. M. Conti, Luni nell’Alto Medioevo, Padova, 1967.
25
La determinazione degli antichi confini delle comunità dei castellari è stata anche dedotta dal persistere di queste
realtà in epoche successive. La soluzione di una contesa, sorta nel secolo XVI tra il Marchese Doria e gli uomini
della valle di Sturla e Fontanabuona, a proposito dell’alta valle d’Aveto, stabiliva il confine politico sullo spartiacque,
ma riconosceva il diritto degli uomini di quelle valli di usare liberamente del pascolo che veniva a trovarsi al di là di
quel confine politico stesso, il quale era manifestamente intervenuto a dividere l’antichissima comunità compascuale.
P. M. Conti, Luni nell’Alto…, cit., A. Ferretto, Il distretto di Chiavari preromano, romano e medievale, Chiavari, 1928.
Ancora, analoghe sopravvivenze di consuetudini preistoriche sono rispecchiate in contese tra Triora e Briga (A.
Ferraironi, Convenzioni medievali tra Triora e paesi vicini, Roma, 1944) e persino nel nostro secolo, in un esposto
presentato dai frazionisti di Cassego e Scuratabò al Commissariato agli Usi Civici per il Piemonte e la Liguria contro
le pretese avanzate da Comuneglia nel 1953.
26
P. M. Conti, Luni nell’Alto, cit.. Sui culti comuni nelle selve compascuali si veda E. Sereni, La comunità rurale…, cit.
27
L. Cimaschi, Ricognizione archeologica-topografica della Riviera di Levante, in “Giornale Storico della Lunigiana”,
IV, 3-4, 1953.
,
20
bisagnino in particolare, anche perché non pare che la
popolazione ligure abbia dato origine ad una entità statale
omogenea sottoposta ad una qualche forma di autorità centrale.
Gli insediamenti più tardi non rispecchiano necessariamente
la disposizione dei castellari, a testimonianza di una cesura
temporale nel popolamento della zona.
E' interessante rilevare che recenti prospezioni archeologiche,
effettuate nell'attuale area di Piazza della Vittoria, hanno portato a
ipotizzare l'esistenza di un insediamento palafitticolo ascrivibile al
neolitico
28
. Se le successive analisi troveranno conferma ci
troveremo di fronte al primo insediamento precostiero non in
caverna della Liguria.
Allo stato attuale non disponiamo comunque, di testimonianze
archeologiche e tanto meno documentali che possano dare un
quadro dell'evoluzione territoriale antica.
I Liguri non furono conosciuti direttamente dagli scrittori
dell’Antichità se non dopo la fondazione della colonia focese di
Marsiglia e l’opinione degli scrittori classici è stata tutt’altro che
lusinghiera.
Da rilevare che anche la frammentarietà della
documentazione archeologica ha fatto a più riprese sostenere
l’opinione che i Liguri si siano attardati ad uno stadio di civiltà
sostanzialmente neolitico, sino alla conquista romana (si veda A.
Issel, 1908, L. Bernabò Brea, 1947). L’opinione non è condivisibile
28
La prospezione è avvenuta attraverso un carotaggio che ha portato alla luce un campione prelevato da un grosso
frammento ligneo di quercia, impaccato in uno strato antropizzato. Il frammento è probabilmente un manufatto che,
assieme ai risultati di un secondo carotaggio avvenuto nelle vicinanze, fornisce sufficienti indizi di un'occupazione
umana. R. Maggi, Una palafitta neolitica in Val Bisagno?, in La città ritrovata. Archeologia urbana a Genova. 1984-
1994, a cura di P. Melli, Genova, 1996, p. 376
,
21
in quanto basata solo sulle assenze di rilevanze archeologiche che
possono essere dovute ad un difetto di ricerca. In effetti, scavi
effettuati recentemente testimoniano di una “fase poladiana” del
Bronzo Antico
29
.
3.2 I PRIMI ABITANTI
Degli antichi abitanti del comprensorio bisagnino non ci sono
pervenute notizie dirette.
G. Poggi, nel suo studio sulla tavola del Polcevera
30
, individua
alcune tribù riconducibili alla popolazione Genuate stanziate nel
territorio in esame. In particolare cita gli Arba della zona di Albaro,
i Nervin a Nervi, i Bavai a Bavari
31
, quelli della Doria lungo il
torrente e i Bargai nelle vicinanze di Bargagli. Allo stato attuale,
comunque, nessuna ricerca documentale e/o archeologica ha
suffragato le conclusioni dello studioso che sembrano essere
dettate da una visione un po’ troppo “romantica” del passato
genovese.
Sulle antiche popolazioni abbiamo alcune possibili
testimonianze indirette provenienti dall'esame della toponomastica,
quale il tipico suffisso ligure antico -asko, riscontrabile in Val
Bisagno ad esempio nella località Montanasco e Trensasco
32
.
29
Uno scavo effettuato nella grotta di Pertusio (Triora, IM) ed uno nella caverna di Ponte di Vara o di Varè, presso
Pietra Ligure, hanno restituito materiale bronzeo utilizzato per le sepolture. A. Del Lucchese, R. Maggi,
Considerazioni sulla cronologia dell’età del Bronzo in Liguria, in “Rivista di Studi Liguri, XLVIII, 1984.
30
G. Poggi, Genoati e Vituri. Saggio storico sugli antichi liguri. La Tavola di Bronzo, Genova, 1900.
31
La prof. Petracco Sicardi fa derivare il termine Bavari dall'etnico Baiuvari, e lo indica quale indizio di un probabile
stanziamento primario di un gruppo di Bavari. G. Petracco Sicardi, R. Caprini, Toponomastica storica della Liguria,
Genova, 1981
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La forma –asko utilizzata in Liguria in numerosi toponimi relativi a torrenti, è, per il Poggi, derivante dal greco
ασχ dal significato di impetuoso, irrefrenabile. G. Poggi, Genoati e Vituri…, cit.