INTRODUZIONE
Quando nel 1984 si costituì l'Auditel con lo scopo dichiarato di porre fine a
una situazione confusionaria nell'ambito delle rilevazioni degli ascolti televisivi,
non si poteva prevedere la crescita esponenziale del suo potere. L'efficacia di
quella misura riconosciuta utile sia agli inserzionisti pubblicitari sia alle emittenti,
si rivelò prestissimo lo strumento più certo per mutare le quantità di ascolto in
qualità. Da termometro, l'Auditel in pochissimo tempo è divenuto la febbre delle
tv influenzandone il linguaggio, determinandone i palinsesti, definendone i
contenuti.
L'Auditel, che voleva "solo" quantificare gli ascolti, divenne invece subito il
modo per sancire, con l'attendibilità della quantità, la qualità dei programmi. Si
passò in breve dalla fiducia nel fatto che “i produttori sanno cosa è meglio”, che
accompagnò per anni la Tv pubblica, alla retorica del consumatore: “lasciate che
sia l’audience a giudicare”, vero e proprio motto della TV commerciale. Auditel
divenne in breve la prova democratica del successo e l'elemento cardine intorno
a cui far ruotare la televisione. E il telecomando lo scettro di un potere fittizio
dell’audience.
Nel giro di poche stagioni il linguaggio dei broadcasters cambia: più rapido,
al passo con i nuovi ritmi del consumismo e dello zapping televisivo. I contenuti
sono molto più emozionanti che intelligenti perché la corsa verso l'ascolto si
misura con i contatti che durano pochi secondi e, a catalizzare l'attenzione, si sa,
ci riescono meglio i bikini dei documentari.
Più contatti, più soldi. La composizione del campione Auditel e il modello
teorico che sottende lo strumento sono gli elementi che definiscono il pubblico e
che lo fanno oscillare dall'idea di cittadino a quella di consumatore: merce di
scambio per le agenzie di pubblicità.
Inoltre, l'Auditel, nella sua costante misura dell’imprevedibilità
dell’audience, non poteva immaginare di inventare la "gente" e, soprattutto, “ciò
che la gente vuole”. Rinchiusa nei dati che la definiscono spesso con variopinti
appellativi quali delfini, impegnati, raffinate, appartate, a differenza della classe,
del ceto, del popolo, è l'indiscussa protagonista della società dell'informazione in
cui viviamo. Esiste visibilmente solo per le rappresentazioni televisive, sulle
scrivanie dei manager e sui quotidiani. Vive sempre il presente perché
imprevedibile. E’ disomogenea al massimo per assicurare rappresentatività ai
prodotti a lei destinati e, al contempo, omogenea per rendere possibile il
processo creativo dei programmi.
La costruzione del pubblico Auditel si accompagna così ad una
semplificazione della produzione televisiva, di “ciò che la gente vuole”. La
classificazione e strutturazione dei programmi dentro generi stabiliti, la
segmentazione del tempo in unità regolari, la collocazione dei programmi in fasce
orarie fisse e la programmazione dentro un flusso uniforme immediatamente
riconoscibile, sono le strategie che i network hanno sviluppato per rendere
compatibile l’ottimizzazione dell’audience con un ipertesto televisivo altrettanto
ottimizzato.
Negli anni la funzione primaria dell'Auditel - misurare in modo equo gli
ascolti in riferimento agli spazi pubblicitari per una quantificazione unanime delle
tariffe – ha ceduto il passo alle sue funzioni latenti: provare il successo di
personaggi, programmi, palinsesti e reti, dall'informazione allo spettacolo,
tramite lo share. Insomma, lo strumento da mezzo si è trasformato in un fine,
obbedendo, anzi sancendo la legge del mercato. La quantità di ascolti garantisce
perché "prova" la qualità dei programmi. Nel giro di pochi anni è così accaduto
che le funzioni latenti dell'Auditel hanno contribuito a determinare due fenomeni
importanti: l'omogeneizzazione culturale della programmazione da un lato e
l'omologazione del pubblico dall'altro.
Auditel palinsestista, quindi? Indirettamente. Sembra evidente che l'effetto
perverso dell'Auditel sia diventato negli anni l'elemento che più di tutti ha
condizionato la logica stessa della televisione. La ricerca dell'ascolto, anche per
pochi secondi, ha infatti esaltato la semplicità e la concisione del linguaggio, la
velocità del ritmo, determinando una sinergia perfetta tra domanda e offerta e
definendo una programmazione emotiva e una televisione generalista
corrispondente al suo pubblico.
Ma è soprattutto l’interpretazione dei dati a suscitare le maggiori
perplessità, il fatto che questi vengano usati semplicisticamente per valutare
successi e insuccessi dei programmi. L’Auditel fa notizia, anzichè fornire
esclusivamente i dati per le tariffe pubblicitarie e far pensare qualcuno a dove
investire meglio il denaro degli sponsor. Entrando nell'ambito dell'informazione
diventa opinione pubblica e giudice della televisione. Creatore e carnefice.
L’Auditel avrà pur tante colpe e difetti, ma dei tanti possibili percorsi di
lettura che lo strumento offre, delle pagine e pagine che ogni giorno fornisce,
risulta sempre più usato, oltre quello della media degli ascolti, quello che ne
denuncia la componente competitiva tra le reti: lo share. Ma tanto cosa importa?
Aveva ragione Karl Kraus: <Tanto si va avanti. E’ l’unica cosa che va avanti>.
Parte prima
UN QUADRO STORICO
QUANDO I MULINI ERANO BIANCHI:
LA TELEVISIONE PUBBLICA
1
La televisione pubblica ha origini storiche legate alle caratteristiche
economiche e culturali caratterizzanti l'Europa della ripresa post bellica, che si
distingueva dagli Stati Uniti dove il modello prevalente fu da subito quello
commerciale. L'intervento dello Stato, infatti, si rese necessario per sopperire
alla mancanza di un flusso adeguato di risorse private, alla limitata dimensione
del mercato dei beni di consumo (e quindi della relativa pubblicità), e prese la
forma di finanziamenti dei programmi e delle trasmissioni attraverso il canone. In
Italia fu soprattutto il compito culturale/educativo di cui fu investito il servizio
radiotelevisivo, celebre la trasmissione “Non è mai troppo tardi” del maestro
Manzi, a giustificare il controllo dello Stato delle trasmissioni in ambito nazionale.
Secondo Lord Reith, primo presidente della Bbc, compito del broadcasting
pubblico era “istruire, informare, intrattenere”, una sorta di missione da
adempiere con assoluta dedizione. “All'interno di un ideale pedagogico, la
programmazione aveva una cadenza settimanale e in essa trovavano posto, in
armonico equilibrio, tutti i generi, i programmi e i contenuti che i dirigenti
televisivi ritenevano essenziali per un consumo televisivo bilanciato da parte del
grande pubblico.”
1
In quest’ottica i palinsesti si configuravano come una “dieta
mediale” consigliata, nella quale erano perfettamente suddivise dosi di svago e di
impegno e dove programmisti-registi
2
figuravano essere gli chef responsabili
della buona visione. Come ci suggerisce McQuail “il servizio televisivo pubblico
implica una particolare visione della responsabilità dei media nei confronti del
pubblico. Il servizio televisivo è definito come un'attività senza fini di lucro che
dovrebbe avere come prima finalità quella di servire l'interesse pubblico, non solo
compiacendo gli ascoltatori ma venendo incontro ad un'ampia gamma di
esigenze comunicative e contribuendo al benessere generale della società.”
3
Nel modello pubblico, poichè l'attività televisiva è collocata al di fuori delle
logiche di mercato, l'offerta può prescindere dalla domanda, ed è rivolta a
garantire il rispetto di alcuni valori collettivi (pluralismo, tutela delle minoranze
1
Enrico MENDUINI, prefazione a Ien ANG, Cercasi audience disperatamente, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 13
2
Figura professionale della Rai a metà tra il programmista, responsabile della scaletta e dei contenuti, e il
regista, responsabile del linguaggio audiovisivo in http://www.educational.rai.it
3
Denis MCQUAIL, L'analisi dell'audience, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 168
sociali, linguistiche e culturali); le motivazioni sociali sono connesse alla
diffusione e all'influenza della comunicazione televisiva sulla società e, in
particolare, sono rivolte alla tutela di alcune fasce sociali, come ad esempio i
minori. A garanzia di un servizio così delicato sono chiamati a vegliare i
Parlamenti tramite nomine pubbliche ai vertici (è il caso della Rai dove i membri
del Consiglio di Amministrazione sono nominati dai presidenti delle due camere)
o speciali organi di controllo. L’esigenza di sapere se e quanto questo compito
venisse svolto correttamente e nel rispetto del pubblico fu quindi importante.
“Per le televisioni europee erano fondamentali l'utilità sociale, l'apprezzamento e
il consenso del pubblico. Erano dunque cruciali indagini di tipo qualitativo cui i
vari enti radiotelevisivi assolvevano sia attraverso propri uffici
4
sia coinvolgendo
la ricerca.”
5
Anche per la Tv, come per la politica, è probabile che l'attenzione
all'opinione pubblica nasca, nei suoi primi anni, non ancora per la necessità
commerciale di saggiare la consistenza dell'audience, quanto per una insorta
necessità di legittimazione sociale del mezzo televisivo. La televisione
intraprendeva diverse strategie nei confronti dell'opinione pubblica: cercarne
l'assenso, redarguirla (famosi gli ammonimenti di Mike Bongiorno). Il rapporto
tra Tv e audience nei primi quindici anni di vita della televisione italiana è
pressochè diretto e quasi esclusivamente epistolare. Dalla fine degli anni ‘60 alle
lettere si uniscono le telefonate che, sul finire degli anni ‘70, entrano anche nella
diretta Tv. I primi sondaggi di opinione esterni alla televisione pubblica furono
introdotti in Italia sul finire degli anni ‘70 e consistevano principalmente in
interviste personali semi direttive e indagini telefoniche coincidenziali, ovvero
fatte entro mezz’ora dal termine di una trasmissione. Solo dopo il fatidico 1976
6
vennero applicati, ad opera della società italiana di ricerche di mercato Lcm
Graman, metodi più intensivi di rilevazione dell’ascolto. Presso 500 famiglie fu
installato un primo prototipo di meter
7
con il compito di registrare lo stato del
televisore (acceso-spento e frequenza sintonizzata), i dati raccolti venivano
4
La RAI aveva sempre analizzato, in qualità (gradimento) e quantità le reazioni degli ascoltatori ai suoi
programmi, anche nel contesto europeo (UER) e mondiale (Unesco, UIT, ecc.) . Si ricordano autorevoli strutture
come il "servizio opinioni" (con alcuni grandi professionisti tra cui Minniti), le indagini di ascolto e di gradimento,
la "verifica dei programmi trasmessi" (che dipendeva dal Consiglio di Amministrazione ) ed altre.
http://www.romacivica.it
5
Enrico MENDUINI, prefazione a Ien ANG, Cercasi audience disperatamente, op. cit. p. 13
6
Anno ufficiale di nascita delle prime televisione private, Bergamo TV, Telemilano, TVA http://www.amicus.it
7
Primo apparecchio per la rilevazione degli ascolti, registrava lo stato del televisore (acceso-spento) e la
frequenza sulla quale era sintonizzato, fu poi sostituito dal più avanzato people-meter, vedi paragrafo 4
incrociati con quelli individuali dei diari di ascolto compilati su un campione di
1500 persone. Nel 1981 la Lcm Graman si unì alla società inglese AGB research e
per conto della Rai installò il meter nelle case di 1740 famiglie.