5
E’ ormai diffusa la consapevolezza che alcuni comportamenti umani risultano
ambientalmente devastanti: l’assottigliamento dello strato dell’ozono nell’atmosfera,
l’innalzamento della temperatura terrestre, i detriti presenti nello spazio extra-
atmosferico, sono fenomeni di inquinamento globale che, al pari di altri riguardanti zone
più limitate, sono direttamente determinati dall’impatto tecnologico, o comunque ad
esso correlati.
La convinzione che l’uomo abbia la capacità di controllare lo stato dell’ambiente,
garantendo la qualità della vita per le generazioni future, risulta purtroppo smentita da
numerosi eventi che, nel corso dell’ultimo trentennio, hanno determinato catastrofi
ambientali o, quanto meno, danni alle persone, alla fauna, alla flora e alle risorse in
genere.
Per far fronte ad una situazione così allarmante appare necessaria innanzitutto la
progressiva e significativa affermazione dell’ambiente come “valore” cui il diritto deve
dare espresso ed inequivoco riconoscimento.
Ai tempi della Costituente italiana, i problemi ecologici erano tenuti in scarsa
considerazione; il vocabolo ambiente, e gli omologhi in altre lingue, risultavano
originariamente assenti dalla nostra e dalle Carte costituzionali precedenti, coeve, o di
poco successive.
In alcune manca tuttora, ma la materia è stata disciplinata da fonti subordinate; altre
carte sono state modificate per dare all’ambiente un riconoscimento testuale, così come
recentemente è avvenuto in Italia nel quadro della revisione del titolo V della
Costituzione.
Il vocabolo è stato invece inserito fin dal loro momento formativo nella maggior parte
delle Costituzioni più recenti.
E’ dunque maturata la comune preoccupazione di offrire una tutela giuridica
all’ambiente, secondo criteri che si richiamino alla logica dello sviluppo sostenibile,
assumendo parametri di riferimento appositamente scritti nelle Carte fondamentali o da
esse desumibili in via interpretativa.
Questo deve portare ad un nuovo modo di pensare il rapporto tra l’uomo e la natura,
poiché a nulla servirebbe un riconoscimento giuridico dell’ambiente se non
accompagnato da una nuova sensibilità che permetta di vivere e pensare l’ambiente in
termini meno devastanti.
6
Nei paesi occidentali economicamente più avanzati e segnatamente in quelli
appartenenti all’Unione europea le prospettive etiche hanno cominciato a farsi strada
nella formulazione delle disposizioni costituzionali.
Spunti in questo senso si trovano, ad esempio, nella Costituzione greca (1975-86), il cui
art. 24 avvicina l’ambiente naturale a quello culturale, affidando allo Stato la protezione
di entrambi.
L’etica non ha mancato di incidere sulla Costituzione portoghese del 1976, il cui art. 66
formula un programma davvero ambizioso.
Si tende ad un ambiente di vita umano sano ed ecologicamente equilibrato; si propone
di garantire la conservazione dei valori culturali; si vuole salvaguardare la capacità di
rinnovamento delle risorse naturali e della stabilità ecologica; si promuove l’educazione
ambientale e il rispetto dei principi ai quali essa si richiama.
Nella Carta spagnola l’art. 45 sancisce che al diritto di godere di un ambiente adeguato
corrisponde il dovere di conservarlo con un razionale utilizzo delle risorse naturali.
Alla carta tedesca è stata apportata una modifica nello stesso senso (art. 20a), con
l’intento di proteggere i fondamenti naturali della vita, anche in vista della
responsabilità per le future generazioni.
Per ultimo la Costituzione belga che è stata a sua volta modificata (art. 23.4), per
garantire a tutti il diritto alla protezione di un ambiente sano.
Sano, si noti, non salubre, proprio per accentuare che la qualità dell’ambiente è
importante di per sé e non soltanto per i suoi riflessi sulla salute umana.
Bisogna poi affrontare e soffermarsi attentamente sul difficile rapporto tra ambiente e
sviluppo, argomento che riporta l’attenzione sull’insostenibile livello di sviluppo di
alcuni paesi, sul degrado ambientale che in altri risulta connesso alla mancanza di
risorse finanziarie e tecnologiche, e sul rischio di perdere di vista il grave ed inesorabile
deterioramento delle risorse indispensabili per la vita.
Dall’emergere della questione ecologica, sul finire degli anni ’60, ad oggi una delle
dimensioni fondamentali lungo cui si è sviluppato il dibattito sulla possibilità di
conciliare crescita economica e protezione delle risorse naturali è stata la variabile
tecnologica.
7
Se da un lato, infatti, appare evidente che la tecnologia costituisce una condizione
essenziale per il progresso dei sistemi industriali, determinante nel contribuire
all’incremento della qualità della vita e nel condizionare la competitività delle imprese e
delle nazioni, dall’altro questa variabile risulta, direttamente o indirettamente,
responsabile di buona parte dei problemi ambientali esistenti.
Sarà pertanto necessaria una ridefinizione del ruolo dell’innovazione tecnologica nelle
strategie di tutela delle risorse naturali, una tecnologia non più nemica dell’ambiente ma
al servizio dello stesso; così come indicato nel 1987 dalla Commissione Mondiale per
l’Ambiente e lo Sviluppo, in quella sede fu teorizzata la nozione di “Sviluppo
sostenibile” con la quale si voleva intendere: “una forma di sviluppo che soddisfa i
bisogni del presente senza compromettere le possibilità delle future generazioni di fare
altrettanto”.
Non resta poi che rendere effettiva la tutela dell’ambiente sia nell’ambito comunitario
che in quello statale.
Di certo l’intensa circolazione delle idee determina l’avvicinamento dei modelli
normativi dei singoli Stati, sia pure con le differenze che distinguono un sistema
dall’altro.
Tuttavia alla comune visione che la natura vada tutelata e che la sua protezione debba
essere più intensa di quanto fosse in passato, non corrisponde un’uguale sollecitudine
nel tradurre in termini operativi le linee programmatiche.
Ciascun ordinamento statale – pur rispettando le limitazioni di sovranità determinate
dalla sua appartenenza al sistema comunitario – deve poi raffrontarsi con le proprie
specifiche esigenze d’ordine politico ed economico; deve commisurare il “valore
ambiente” con altri valori riconosciuti dall’ordinamento; infine, deve stabilire, a
seconda dei casi, priorità e bilanciamenti.
Alla prova dei fatti i risultati si rivelano tuttora insoddisfacenti o comunque relativi e
parziali.
8
Cap.1 AMBIENTE:PROBLEMI GENERALI DELLA
TUTELA AMBIENTALE
1.1 Diritto dell’ambiente e diritto penale dell’ambiente.
La trattazione di una materia complessa e disorganica come quella del c.d. “diritto
dell’ambiente” rende imprescindibile, già di per sé, il tentativo di individuare in
concreto l’ambito di operatività delle disposizioni che ne fanno parte: manca nella realtà
dei fatti un complesso organico di norme, e la produzione delle stesse avviene spesso in
modo confuso e disordinato, senza registrare il benché minimo sforzo da parte del
legislatore per individuare un pur labile punto di collegamento tra le singole materie
trattate.
La nozione di “ambiente” si presenta per tradizione come assolutamente vaga e
mutevole, ed il tentativo di fornire una esaustiva definizione, operato da più parti anche
a livello legislativo
2
, ha portato a risultati connaturati da una inevitabile genericità,
legata all’essenza del concetto stesso di ambiente.
Detta situazione risulta altresì generata dalla imprescindibile contrapposizione fra
esigenze di tutela ambientale ed esigenze di sviluppo socio-economico, in un quadro
generale che ha conseguentemente portato alla realizzazione di un sistema normativo in
perenne bilico tra spinte naturalistiche ed interessi industriali: ed è chiaro come questo
abbia sovente implicato parecchie contraddizioni interne alla normativa in materia.
2
Così, ad esempio, l’art. 1, comma 2, della l. n. 349/1986 (“Istituzione del Ministero dell’ambiente e
norme in materia di danno ambientale”), indicava i compiti del ministero stesso individuandone il campo
di azione nella “...promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli
interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la
valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento”,
fornendo dunque elementi utili all’individuazione del concetto in esame. Ancora il Consiglio CEE, nel
1983, ratificava la nozione di ambiente come “insieme degli elementi che, nella complessità delle loro
reazioni, costituiscono il quadro,l’habitat e le condizioni di vita dell’uomo,quali sono in realtà a quali
sono percepiti”.
In giurisprudenza, l’ambiente è stato considerato come “un insieme, che pur comprendendo vari beni e
valori, quali la flora e la fauna, il suolo, l’acqua etc. si distingue ontologicamente da questi in quanto si
identifica in una realtà priva di consistenza materiale, ovvero in un contesto senza forma come è stato
detto con espressione particolarmente efficace.
Ed è alla nozione di ambiente come complesso di cose che racchiude un valore collettivo costituente
specifico oggetto di tutela che, in sostanza, si riferisce la l. 349/86” (Cass. Civ. n. 4362 del 9 Aprile
1992); infine, nel progetto di legge n. 3282 relativo all’inserimento nel c.p. del titolo VI-bis (relativo ai
“delitti contro l’ambiente”) veniva prevista l’introduzione di un art. 452 bis in cui era precisato che “agli
effetti della legge penale l’ambiente è nozione unitaria comprensiva delle risorse naturali, sia come
singoli elementi che come cicli naturali e delle opere dell’uomo protette dall’ordinamento per il loro
interesse ambientale, artistico, archeologico, architettonico e storico”.
9
In concreto dunque non potendosi ricavare una nozione unitaria del concetto in esame,
può affermarsi come la stessa dovrà essere ricavata di volta in volta tenendo conto delle
diverse prospettive di veduta del legislatore stesso, il quale, nella maggior parte dei casi,
individua in un singolo elemento (aria, acqua, suolo, paesaggio, e via dicendo) l’oggetto
del suo interesse
3
.
Considerazioni del tutto analoghe potranno essere avanzate anche qualora si tenti
difornire una precisa definizione di “diritto penale dell’ambiente”, concetto
che,ovviamente, interessa in particolar modo il nostro discorso.
Preliminare sarà anzitutto chiarire come la classificazione in esame si presenti di tipo
meramente convenzionale.
La stessa risulta infatti essere fissata sulla scorta di principi generali del diritto penale,
che individuano tale branca non in base alla materia trattata od alla collocazione che
trovano le singole disposizioni, bensì considerando le conseguenze positivamente
previste per i casi in cui siano trasgrediti i dettami normativi: nel concetto di diritto
penale dell’ambiente rientreranno dunque tutti quei precetti che, perseguendo
un’efficacie tutela dell’ambiente stesso, prevedono puntuali sanzioni penali come
conseguenza della loro inosservanza.
La complessità delle disposizioni in esame, determinata non solo dalla loro menzionata
disorganicità, ma anche dai frequenti richiami ad aspetti tecnici che
4
sovente ne rendono
più difficoltosa la lettura
5
, ha determinato l’esigenza di guardare alle stesse con
un’ottica che tenga conto di tali peculiarità, individuandone anzitutto una propria
dimensione rispetto al generale concetto di diritto dell’ambiente.
Ma la richiamata specificazione non può essere automaticamente tradotta in
un’autonomia da riconoscersi al diritto penale ambientale, o almeno non con riferimento
all’ordinamento giuridico penale nel suo insieme.
L’impossibilità di qualificare il concetto in esame quale branca del tutto indipendente
del diritto penale risiede, infatti, non solo nella mancanza di un reale coordinamento fra
le disposizioni in materia, ma anche nel fatto che lo stesso soggiace comunque a quelli
3
Con difficoltà evidenziata anche da F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari II,
Milano, 1993, 427.Nella medesima opera l’autore esclude altresì la possibilità di ricorrere al testo
costituzionale per individuare elementi definitori della nozione di ambiente.
4
L. RAMACCI, Manuale di diritto penale dell’ambiente, Padova, 2002, 16.
5
Si pensi, ad esempio, a quelle norme che contengono riferimenti a principi propri della chimica o della
fisica
10
che sono i principi generali del diritto penale, distinguendosi in seno al richiamato
ordinamento unicamente in ragione dell’oggetto della tutela: l’ambiente, appunto.
Tenendo inoltre conto delle partizioni del diritto penale elaborate in dottrina
6
, si potrà
sicuramente affermare come le disposizioni penali ambientali si presentino come dotate
di una ulteriore caratteristica: esse si collocano infatti quasi esclusivamente nell’ambito
del cd. diritto penale complementare (o speciale), risultando elaborate da leggi speciali
che delineano precise fattispecie di reato,e solo in minima parte appartengono al cd.
diritto penale fondamentale, che, com’è noto, è quello contenuto nel codice penale.
La menzionata peculiarità, tipica come detto del diritto penale ambientale, pur
sollevando tradizionalmente diverse perplessità si pone come frutto di una scelta precisa
da parte del legislatore
7
.
Il dibattito in materia è da sempre molto acceso, e la dottrina si è da tempo divisa fra
coloro che considerano opportuna una integrazione dello stesso codice penale per
mezzo dell’inserimento di nuove fattispecie, che prevedano dunque reati specificamente
ecologici
8
, ed altri autori che, dal canto loro, ritengono più idonea una sistemazione di
nuovi crimini nelle legislazioni speciali a tutela dei singoli beni ambientali
9
.
La risoluzione della diatriba nella seconda direzione poggia, a livello legislativo, su
precise scelte poste in essere per garantire una protezione dell’ambiente il più concreta
possibile: la semplice previsione di nuovi “reati ecologici” da inserire nel codice, e ciò
prescindendo da una valida organizzazione amministrativa dei beni ambientali, si rivela
infatti inidonea ad offrir loro un’efficacie protezione.
E’ in particolare affermando la natura necessariamente sussidiaria dell’intervento penale
in materia ecologica che, per alcuni autori, risulta giustificata la strada prescelta
10
.
A prescindere da ciò è comunque indubitabile che la degradazione ambientale non possa
essere affrontata esclusivamente con strumenti di tipo repressivo, né tanto meno con
6
In particolare F. MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1992, 136.
7
G. GREGORI, P. J. DA COSTA JR., Problemi generali del diritto penale dell’ambiente, Padova, 1992.
8
F. BRICOLA, Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico, in La questione criminale,
1975, 40.
9
Così invece F. FINLANDESE, La tutela penale dell’ambiente. Aspetti generali, in Giustizia penale,
1983, 594.
10
A. POTOTSCHNIG, Gli inquinamenti dell’aria e dell’acqua: evoluzione della disciplina normativa, in
Gli inquinamenti.Profili penali, Atti del V Simposio di studi di diritto e procedura penali, promossi dalla
Fondadazione Luzzani, Milano, 1974, 45.
11
norme penali completamente svincolate da collegamenti funzionali e sistematici con
discipline amministrative dirette alla prevenzione delle infrazioni.
E’ forse in tale prospettiva che potrà essere condivisa l’esistenza di numerose ed
eterogenee discipline di settore, le quali, pur offrendo un quadro disorganico e
frammentato dell’insieme delle norme poste a tutela dell’ambiente, tentano di
perseguire in maniera più incisiva ed articolata una concreta protezione dei singoli beni
ambientali.
12
1.2 Il reato ecologico: costruzione della fattispecie e sua lesione.
La previsione di reati specificamente ecologici, sia essa contenuta nel codice penale od
espressa in leggi speciali, si pone, comunque, come unico modo per assicurare ai valori
ambientali quella protezione immediata di cui abbisognano nell’era presente
11
.
Tale risultato potrà anzitutto essere ottenuto arricchendo la tipologia penalistica dei beni
tutelati, alla cui violazione sono connessi puntuali provvedimenti repressivi o
preventivi, con beni naturali autonomamente intesi: la presenza di sempre più articolate
categorie di tali “beni-interessi ecologici” accanto a quelle tradizionali riferite ad acqua,
aria e suolo (si pensi all’evoluzione delle disciplina a tutela degli animali, delle piante,
degli equilibri climatici, e via dicendo), testimonia chiaramente lo sforzo del legislatore
per rendere effettiva la protezione dell’ecologia nel suo insieme.
Ma è altrettanto chiaro come il muoversi in tale direzione, avendo cura cioè di
soffermarsi in maniera puntuale sui differenti aspetti che possono essere coinvolti in
un’effettiva tutela ambientale, non sempre garantisce interventi coordinati e coerenti:
neanche con riferimento alla medesima materia.
Il problema immediatamente conseguente è quello relativo alla possibilità o meno di
riconoscere carattere tassativo alle richiamate fattispecie.
Il ricorso ad una descrizione dettagliata ed esauriente dei comportamenti vietati,
ancorché auspicato da quell’esigenza di determinatezza delle stesse fattispecie che
caratterizza la moderna legislazione penale, è, nella realtà dei fatti, assai difficile da
perseguire: è proprio detta difficoltà determina nella formulazione delle norme
ecologiche un certo numero di peculiarità.
Anzitutto può essere rilevata la tendenza ad accentuare nella costruzione delle norme
penali in questione l’indicazione di quello che è il fine perseguito, anche a scapito della
precisa descrizione del fatto vietato: in tali ipotesi, la valorizzazione formale delle
finalità del disposto comporta una sorta di sopravvalutazione dell’oggetto della tutela
rispetto alla fattispecie concreta, nel senso che quest’ultima funge unicamente da indizio
dell’avvenuta lesione del bene giuridico, la cui esatta accezione potrà ricavarsi solo
valutando elementi esterni a quelli descrittivi contenuti nella norma stessa
12
.
11
G. GREGORIO, P. J. DA COSTA JR, Problemi generali, cit., 48.
12
C. PALAZZO, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova, 1979, 329
13
Nella loro effettiva applicazione tali tipi di norme affidano una grande discrezionalità al
giudice, prestandosi dunque agli incerti destini forniti da una interpretazione
giurisprudenziale di tipo evolutivo.
Ma anche nei casi in cui il legislatore dà maggior rilievo alla descrizione del fatto
rispetto alle finalità perseguite dalla norma, a ben vedere le cose non cambiano un
granché.
Le proposizioni normative in parola lasciano infatti trasparire spesso un ampio grado di
indeterminatezza dato dal fatto che raramente si riferiscono ad elementi naturalistici,
costrette come sono a descrivere oggetti che, per forza di cose, debbono la ragione della
loro sussistenza alle condizioni attuali della cultura e della civiltà: si pensi ad esempio
alle nozioni di “inquinamento”, “degradazione”, “costruzione”, “scarico” e via dicendo,
sulle quali si regge ogni legislazione penale ecologica
13
.
La precaria formulazione dei reati ecologici costituisce così indizio sicuro di come la
costruzione della lesione-tipo dei beni giuridici in questione risulti preminentemente
attestata sulla frontiera del pericolo piuttosto che su quella del danno: tale regola ha, in
particolare, valore pressoché generale in tema di delitti di inquinamento atmosferico e
marino, ossia in tutte quelle ipotesi in cui non sia possibile calcolare in maniera precisa
il nesso causale dei contributi offerti da molteplici agenti inquinanti ad un’unica lesione
dell’ambiente.
Poiché il danno costituisce un’alterazione della situazione preesistente ad opera
dell’azione di un soggetto
14
, sarà tale quel reato che comporti un’effettiva e riscontrabile
lesione di un bene ambientale protetto: ipotesi di reati ambientali così configurati non
sono estremamente frequenti in materia di inquinamento, e ciò a causa della loro
difficoltosa applicabilità, ma, ancorché episodici, fattispecie contenenti le richiamate
caratteristiche possono essere rinvenute, ad esempio, in tema di tutela delle acque.
Proprio in virtù dei menzionati presupposti, la concezione dei reati in esame quali reati
di pericolo ha esercitato un grande fascino sul legislatore moderno, sia per il fatto che,
in un certo senso, ha reso le cose più semplici, sia per la buona prova che tale tendenza
ha dato di sé in altri rami del diritto penale complementare.
13
C. CICALA, La tutela dell’ambiente nel diritto amministrativo, penale e civile, Torino, 1977, 93.
14
Secondo la classica definizione fornita da CARNELUTTI, Il danno e il reato, Padova, 1930, 17.
14
La peculiarità del reato di pericolo risiede nel fatto che legge trasferisce il momento
consumativo dello stesso da quello della “lesione” a quello della “minaccia”
15
, in
maniera che il suo perfezionamento venga in essere nel momento in cui il bene tutelato
si trovi in una condizione oggettiva di possibile
16
o probabile
17
lesione: dal punto di
vista politico criminale il ricorso a tali fattispecie permette di realizzare congiuntamente
finalità di repressione e di prevenzione, permettendo così di avanzare la frontiera
protettiva di quei beni e valori considerati meritevoli di particolare tutela.
Ultima annotazione va fatta relativamente alla tradizionale distinzione dottrinale fra
pericolo concreto e pericolo astratto (o presunto): mentre nella prima ipotesi la reale
sussistenza del pericolo stesso dovrà essere accertata caso per caso, nella seconda
eventualità non sarà necessaria una analoga operazione, poiché la minaccia al bene
protetto (e, dunque, l’integrazione del reato) viene dedotta dalla legge per il solo fatto
che sono stati integrati gli estremi della fattispecie in oggetto.
Dunque l’unica alternativa all’attuale modello di tipizzazione del reato ambientale come
reato di pericolo astratto viene individuata in fattispecie incentrate,più che sulla effettiva
lesione del bene tutelato,sulla sua effettiva messa in pericolo e, quindi,sullo schema del
pericolo concreto.
La valutazione di pericolosità in concreto,in un caso,è affidata alla P.A..,ancorché
sanzionata penalmente;e nell’altro,rimessa direttamente al giudice penale,in quanto
rilevante ai fini della tipicità .
La distinzione in esame è oggetto di particolari dispute in dottrina,anzi non da tutti è
accettata l’identità tra il pericolo astratto e quello presunto.
Alcuni ad esempio sostengono l’impossibilità di teorizzare per quanto riguarda il
pericolo astratto di “ un pericolo generico e indeterminato che non deve essere accettato
volta per volta” si tratterebbe di un concetto inammissibile perché “se il pericolo è
probabilità di un evento temuto, non si può concepire una species di pericolo in cui
questa probabilità manchi.
15
Richiamando la tradizionale definizione di ANTOLISEI, Reati formali e materiali, reati di pericolo e
di danno, in Rivista penale, 1922, 16.
16
Così secondo R. PETROCELLI, L’antigiuridicità, Padova, 1959, 118.
17
Così, invece, secondo M. GALLO, I reati di pericolo, ne Il foro penale, 1969, 38.
15
Il pericolo in conseguenza è sempre concreto” e dunque in taluni casi”in realtà non si ha
una forma speciale di pericolo,ma una presunzione di pericolo,la quale non ammette
prova in contrario.La distinzione,quindi,va sostituita con l’altra fra reati di pericolo
concreto e reati di pericolo presunto.”
18
Altri ancora accettano l’esistenza del pericolo astratto ma lo distinguono dal pericolo
presunto,per cui nella prima figura rientrerebbero tutti quei reati in cui “il pericolo non è
requisito tipico ma è dato come insito nella stessa condotta,perché ritenuta come tale
pericolosa,ed il giudice si limita a riscontrare la conformità della condotta concreta al
tipo legale” mentre nella seconda figura rientrerebbero le condotte criminose in cui “il
pericolo non è necessariamente insito nella stessa condotta,poiché al momento di essa è
possibile controllare l’esistenza o meno delle condizioni per il probabile verificarsi
dell’evento lesivo,ma esso viene presunto juris et de jure,per cui non è ammessa
neppure la prova contraria della sua concreta esistenza.”
19
Le fonti del diritto dell’ambiente
Come già solo superficialmente accennato,non esiste attualmente un sistema proprio
delle fonti del diritto dell’ambiente costruito sulla individuazione di particolari atti o di
particolari procedimenti per la produzione normativa in questa materia.
E’dunque inevitabile prendere atto della necessità di ricondurre la disciplina giuridica
rivolta alla tutela dell’ambiente a tutte le tipologie di atti di produzione normativa
riconosciute generalmente nell’ambito dell’ordinamento,tenendo conto, d’altronde,che
la complessità strutturale e le peculiarità che connotano in sé l’oggetto della tutela
rendono,di fatto,indispensabili interventi normativi caratterizzati dalla continuità nel
tempo e dalla collocazione a tutti i livelli territoriali.
La constatazione di questi dati rende ragione delle principali caratteristiche negative che
accomunano i diversi livelli della normazione a tutela dell’ambiente: eccessiva
proliferazione e difficoltà di coordinare gli interventi dei diversi tipi di fonti;carattere
18
F.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale,parte generale, XIV ed.,Giuffrè ed.,Milano 1997.
19
F.MANTOVANI,Principi di diritto penale,Cedam, Padova 2002. In questa sede pur rimandando ai
dibattiti in dottrina utilizzerò le categorie del pericolo astratto e presunto,per designare fattispecie in cui
l’elemento del pericolo è insito nella condotta stessa,e dunque situazioni in cui a differenza del pericolo
concreto non necessiteranno di un accertamento in tal senso da parte del giudice.
16
frequentemente “emergenziale” della normativa;incertezze sul piano dogmatico che
conducono spesso a determinare delle vere e proprie “rotture” del sistema delle fonti del
diritto e dei principi che ne sorreggono la sistematica, con tutte le inevitabili
ripercussioni sul piano della coerenza complessiva e della chiarezza interpretativa.
Di qui l’esigenza sempre più forte di un’opera di razionalizzazione del diritto
dell’ambiente, che più volte nell’ultimo decennio si è tentato di avviare, ma che ancora
sembra alquanto lontana dal raggiungimento di risultati soddisfacenti.