La tutela penale dell’ambiente e delle Aree Naturali Protette
- Marco Ghelfi -
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CAP. I : IL DIRITTO PENALE DELL’AMBIENTE.
FONTI E RIPARTI DI COMPETENZA
1. Diritto dell’ambiente e diritto penale dell’ambiente.
La trattazione di una materia complessa e disorganica come quella del c.d. “diritto
dell’ambiente” rende imprescindibile, già di per sé, il tentativo di individuare in
concreto l’ambito di operatività delle disposizioni che ne fanno parte: manca nella
realtà dei fatti un complesso organico di norme, e la produzione delle stesse
avviene spesso in modo confuso e disordinato, senza registrare il benché minimo
sforzo da parte del legislatore per individuare un pur labile punto di collegamento
tra le singole materie trattate.
La nozione di “ambiente” si presenta per tradizione come assolutamente vaga e
mutevole, ed il tentativo di fornirne una esaustiva definizione, operato da più
parti anche a livello legislativo
1
, ha portato a risultati caratterizzati da una
inevitabile genericità, connaturata all’essenza del concetto stesso di ambiente
2
.
Detta situazione risulta altresì generata dalla imprescindibile contrapposizione fra
1
Così, ad esempio, l’art. 1, comma 2, della l. n. 349/1986 (“Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in
materia di danno ambientale”), indicava i compiti del ministero stesso individuandone il campo di azione nella
“...promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della
collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la
difesa delle risorse naturali dall’inquinamento”, fornendo dunque elementi utili per l’individuazione del concetto in
esame. Ancora il Consiglio CEE, nel 1983, ratificava la nozione di ambiente come “insieme degli elementi che, nella
complessità delle loro reazioni, costituiscono il quadro, l’habitat e le condizioni di vita dell’uomo, quali sono in realtà
a quali sono percepiti”.
In giurisprudenza, l’ambiente è stato considerato come “un insieme, che pur comprendendo vari beni e valori, quali
la flora e la fauna, il suolo, l’acqua etc. si distingue ontologicamente da questi in quanto si identifica in una realtà
priva di consistenza materiale, ovvero in un contesto senza forma come è stato detto con espressione particolarmente
efficace. Ed è alla nozione di ambiente come complesso di cose che racchiude un valore collettivo costituente specifico
oggetto di tutela che, in sostanza, si riferisce la l. 349/86” (Cass. Civ. n. 4362 del 9 Aprile 1992); infine, nel progetto di
legge n. 3282 relativo all’inserimento nel c.p. del titolo VI-bis (relativo ai “delitti contro l’ambiente”) veniva prevista
l’introduzione di un art. 452 bis in cui era precisato che “agli effetti della legge penale l’ambiente è nozione unitaria
comprensiva delle risorse naturali, sia come singoli elementi che come cicli naturali e delle opere dell’uomo protette
dall’ordinamento per il loro interesse ambientale, artistico, archeologico, architettonico e storico”.
2
Con difficoltà evidenziata anche da A. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari II, Milano,
1993, 427. Nella medesima opera l’autore esclude altresì la possibilità di ricorrere al testo costituzionale per individuare
elementi definitori della nozione di ambiente.
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esigenze di tutela ambientale ed esigenze di sviluppo socio-economico, in un
quadro generale che ha conseguentemente portato alla realizzazione di un
sistema normativo in perenne bilico tra spinte naturalistiche ed interessi
industriali: ed è chiaro come questo abbia sovente implicato parecchie
contraddizioni interne alla normativa in materia.
In concreto dunque, non potendosi ricavare una nozione unitaria del concetto in
esame, può affermarsi come la stessa dovrà essere ricavata di volta in volta
tenendo conto delle diverse prospettive di veduta del legislatore stesso, il quale,
nella maggior parte dei casi, individua in un singolo elemento (aria, acqua, suolo,
paesaggio, e via dicendo) l’oggetto del suo interesse
3
.
Considerazioni del tutto analoghe potranno essere avanzate anche qualora si
tenti di fornire una precisa definizione di “diritto penale dell’ambiente”, concetto
che, ovviamente, interessa in particolar modo il nostro discorso.
Preliminare sarà anzitutto chiarire come la classificazione in esame si presenti di
tipo meramente convenzionale. La stessa risulta infatti essere fissata sulla scorta
di principi generali del diritto penale, che individuano tale branca non in base alla
materia trattata od alla collocazione che trovano le singole disposizioni, bensì
considerando le conseguenze positivamente previste per i casi in cui siano
trasgrediti i dettami normativi: nel concetto di diritto penale dell’ambiente
rientreranno dunque tutti quei precetti che, perseguendo un’efficacie tutela
dell’ambiente stesso, prevedono puntuali sanzioni penali come conseguenza della
loro inosservanza.
La complessità delle disposizioni in esame, determinata non solo dalla loro
menzionata disorganicità, ma anche dai frequenti richiami ad aspetti tecnici che
sovente ne rendono più difficoltosa la lettura
4
, ha determinato l’esigenza di
guardare alle stesse con un’ottica che tenga conto di tali peculiarità,
individuandone anzitutto una propria dimensione rispetto al generale concetto di
diritto dell’ambiente.
3
L. Ramacci, Manuale di diritto penale dell’ambiente, Padova, 2002, 16.
4
Si pensi, ad esempio, a quelle norme che contengono riferimenti a principi propri della chimica o della fisica.
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4
Ma la richiamata specificazione non può essere automaticamente tradotta in
un’autonomia da riconoscersi al diritto penale ambientale, o almeno non con
riferimento all’ordinamento giuridico penale nel suo insieme.
L’impossibilità di qualificare il concetto in esame quale branca del tutto
indipendente del diritto penale risiede, infatti, non solo nella mancanza di un
reale coordinamento fra le disposizioni in materia, ma anche nel fatto che lo
stesso soggiace comunque a quelli che sono i principi generali del diritto penale,
distinguendosi in seno al richiamato ordinamento unicamente in ragione
dell’oggetto della tutela: l’ambiente, appunto.
Tenendo inoltre conto delle partizioni del diritto penale elaborate in dottrina
5
, si
potrà sicuramente affermare come le disposizioni penali ambientali si presentino
come dotate di una ulteriore caratteristica: esse si collocano infatti quasi
esclusivamente nell’ambito del cd. diritto penale complementare (o speciale),
risultando elaborate da leggi speciali che delineano precise fattispecie di reato, e
solo in minima parte appartengono al cd. diritto penale fondamentale, che, com’è
noto, è quello contenuto nel codice penale.
La menzionata peculiarità, tipica come detto del diritto penale ambientale, pur
sollevando tradizionalmente diverse perplessità si pone come frutto di una scelta
precisa da parte del legislatore
6
.
Il dibattito in materia è da sempre molto acceso, e la dottrina si è da tempo divisa
fra coloro che considerano opportuna una integrazione dello stesso codice penale
per mezzo dell’inserimento di nuove fattispecie, che prevedano dunque reati
specificamente ecologici
7
, ed altri autori che, dal canto loro, ritengono più idonea
una sistemazione di nuovi crimini nelle legislazioni speciali a tutela dei singoli
beni ambientali
8
.
La risoluzione della diatriba nella seconda direzione poggia, a livello legislativo, su
precise scelte poste in essere per garantire una protezione dell’ambiente il più
concreta possibile: la semplice previsione di nuovi “reati ecologici” da inserire nel
5
In particolare F. Mantovani, Diritto penale, Padova, 1992, 136.
6
G. Gregori, P. J. Da Costa Jr., Problemi generali del diritto penale dell’ambiente, Padova, 1992, 40.
7
Così F. Bricola, Politica criminale e politica penale dell’ordine pubblico, in La questione criminale, 1975, 221.
8
Così invece F. Finlandese, La tutela penale dell’ambiente. Aspetti generali, in Giustizia penale, 1983, 594.
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codice, e ciò prescindendo da una valida organizzazione amministrativa dei beni
ambientali, si rivela infatti inidonea ad offrir loro un’efficacie protezione.
E’ in particolare affermando la natura necessariamente sussidiaria dell’intervento
penale in materia ecologica che, per alcuni autori, risulta giustificata la strada
prescelta
9
.
A prescindere da ciò è comunque indubitabile che la degradazione ambientale
non possa essere affrontata esclusivamente con strumenti di tipo repressivo, né
tanto meno con norme penali completamente svincolate da collegamenti
funzionali e sistematici con discipline amministrative dirette alla prevenzione
delle infrazioni.
E’ forse in tale prospettiva che potrà essere condivisa l’esistenza di numerose ed
eterogenee discipline di settore, le quali, pur offrendo un quadro disorganico e
frammentato dell’insieme delle norme poste a tutela dell’ambiente, tentano di
perseguire in maniera più incisiva ed articolata una concreta protezione dei
singoli beni ambientali.
9
A. Pototschnig, Gli inquinamenti dell’aria e dell’acqua: evoluzione della disciplina normativa, in Gli
inquinamenti.Profili penali, Atti del V Simposio di studi di diritto e procedura penali, promossi dalla Fondazione
Luzzani, Milano, 1974, 45.
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2. Il reato ecologico: costruzione della fattispecie e sua lesione.
La previsione di reati specificamente ecologici, sia essa contenuta nel codice
penale od espressa in leggi speciali, si pone, comunque, come unico modo per
assicurare ai valori ambientali quella protezione immediata di cui abbisognano
nell’era presente
10
.
Tale risultato potrà anzitutto essere ottenuto arricchendo la tipologia penalistica
dei beni tutelati, alla cui violazione sono connessi puntuali provvedimenti
repressivi o preventivi, con beni naturali autonomamente intesi: la presenza di
sempre più articolate categorie di tali “beni-interessi ecologici” accanto a quelle
tradizionali riferite ad acqua, aria e suolo (si pensi all’evoluzione delle disciplina a
tutela degli animali, delle piante, degli equilibri climatici, e via dicendo),
testimonia chiaramente lo sforzo del legislatore per rendere effettiva la protezione
dell’ecologia nel suo insieme. Ma è altrettanto chiaro come il muoversi in tale
direzione, avendo cura cioè di soffermarsi in maniera puntuale sui differenti
aspetti che possono essere coinvolti in un’effettiva tutela ambientale, non sempre
garantisce interventi coordinati e coerenti: neanche con riferimento alla
medesima materia.
Il problema immediatamente conseguente è quello relativo alla possibilità o meno
di riconoscere carattere tassativo alle richiamate fattispecie.
Il ricorso ad una descrizione dettagliata ed esauriente dei comportamenti vietati,
ancorché auspicato da quell’esigenza di determinatezza delle stesse fattispecie
che caratterizza la moderna legislazione penale, è, nella realtà dei fatti, assai
difficile da perseguire: è proprio detta difficoltà determina nella formulazione delle
norme ecologiche un certo numero di peculiarità.
Anzitutto può essere rilevata la tendenza ad accentuare nella costruzione delle
norme penali in questione l’indicazione di quello che è il fine perseguito, anche a
scapito della precisa descrizione del fatto vietato: in tali ipotesi, la valorizzazione
formale delle finalità del disposto comporta una sorta di sopravalutazione
dell’oggetto della tutela rispetto alla fattispecie concreta, nel senso che
10
G. Gregorio, P. J. Da Costa Jr, Problemi generali, cit., 48.
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quest’ultima funge unicamente da indizio dell’avvenuta lesione del bene giuridico,
la cui esatta accezione potrà ricavarsi solo valutando elementi esterni a quelli
descrittivi contenuti nella norma stessa
11
.
Nella loro effettiva applicazione tali tipi di norme affidano una grande
discrezionalità al giudice, prestandosi dunque agli incerti destini forniti da una
interpretazione giurisprudenziale di tipo evolutivo.
Ma anche nei casi in cui il legislatore dà maggior rilievo alla descrizione del fatto
rispetto alle finalità perseguite dalla norma, a ben vedere le cose non cambiano
un granché.
Le proposizioni normative in parola lasciano infatti trasparire spesso un ampio
grado di indeterminatezza dato dal fatto che raramente si riferiscono ad elementi
naturalistici, costrette come sono a descrivere oggetti che, per forza di cose,
debbono la ragione della loro sussistenza alle condizioni attuali della cultura e
della civiltà: si pensi ad esempio alle nozioni di “inquinamento”, “degradazione”,
“costruzione”, “scarico” e via dicendo, sulle quali si regge ogni legislazione penale
ecologica
12
.
La precaria formulazione dei reati ecologici costituisce così indizio sicuro di come
la costruzione della lesione-tipo dei beni giuridici in questione risulti
preminentemente attestata sulla frontiera del pericolo piuttosto che su quella del
danno: tale regola ha, in particolare, valore pressoché generale in tema di delitti
di inquinamento atmosferico e marino, ossia in tutte quelle ipotesi in cui non sia
possibile calcolare in maniera precisa il nesso causale dei contributi offerti da
molteplici agenti inquinanti ad un’unica lesione dell’ambiente.
Poiché il danno costituisce un’alterazione della situazione preesistente ad opera
dell’azione di un soggetto
13
, sarà tale quel reato che comporti un’effettiva e
riscontrabile lesione di un bene ambientale protetto: ipotesi di reati ambientali
così configurati non sono estremamente frequenti in materia di inquinamento, e
ciò a causa della loro difficoltosa applicabilità, ma, ancorché episodici, fattispecie
11
C. Palazzo, Il principio di determinatezza nel diritto penale, Padova, 1979, 329.
12
C. Cicala, La tutela dell’ambiente nel diritto amministrativo, penale e civile, Torino, 1977, 93.
13
Secondo la classica definizione fornita da Carnelutti, Il danno e il reato, Padova, 1930, 17.
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contenenti le richiamate caratteristiche possono essere rinvenute, ad esempio, in
tema di tutela delle acque.
Proprio in virtù dei menzionati presupposti, la concezione dei reati in esame quali
reati di pericolo ha esercitato un grande fascino sul legislatore moderno, sia per il
fatto che, in un certo senso, ha reso le cose più semplici, sia per la buona prova
che tale tendenza ha dato di sé in altri rami del diritto penale complementare.
La peculiarità del reato di pericolo risiede nel fatto che legge trasferisce il
momento consumativo dello stesso da quello della “lesione” a quello della
“minaccia”
14
, in maniera che il suo perfezionamento venga in essere nel momento
in cui il bene tutelato si trovi in una condizione oggettiva di possibile
15
o
probabile
16
lesione: dal punto di vista politico criminale il ricorso a tali fattispecie
permette di realizzare congiuntamente finalità di repressione e di prevenzione,
permettendo così di avanzare la frontiera protettiva di quei beni e valori
considerati meritevoli di particolare tutela.
Ultima annotazione va fatta relativamente alla tradizionale distinzione dottrinale
fra pericolo concreto e pericolo astratto (o presunto): mentre nella prima ipotesi la
reale sussistenza del pericolo stesso dovrà essere accertata caso per caso, nella
seconda eventualità non sarà necessaria una analoga operazione, poiché la
minaccia al bene protetto (e, dunque, l’integrazione del reato) viene dedotta dalla
legge per il solo fatto che sono stati integrati gli estremi della fattispecie in
oggetto.
14
Richiamando la tradizionale definizione di Antolisei, Reati formali e materiali, reati di pericolo e di danno, in
Rivista penale, 1922, 16.
15
Così secondo R. Petrocelli, L’antigiuridicità, Padova, 1959, 118.
16
Così, invece, secondo M. Gallo, I reati di pericolo, ne Il foro penale, 1969, 38.
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3. Ambiente e Costituzione.
Preliminare risulta anzitutto registrare come nella Costituzione italiana non vi sia
alcuna disposizione che consideri l’ambiente in maniera diretta, tanto che
dottrina e giurisprudenza erano originariamente pervenute, con non poco
travaglio, alla costruzione della nozione giuridica dell’ambiente in modo assai
limitato e talora anche frammentario: il percorso accennato aveva preso le mosse
da un lavoro interpretativo avente ad oggetto gli artt. 2, 9 e 32 del testo
costituzionale, contenenti dispositivi a tutela, rispettivamente, dei diritti
inviolabili dell’uomo nelle formazioni sociali in cui svolge la sua personalità, del
paesaggio e della salute.
Il quadro in tal modo delineato portò ad affermare come non potesse essere
riconosciuto all’ambiente un rilievo giuridico autonomo, ponendosi lo stesso come
concetto che finiva con il ricomprendere eterogenei istituti volti alla tutela delle
bellezze paesistiche e culturali, alla lotta contro gli inquinamenti ed alla tutela del
territorio (attività urbanistica).
In un primo sviluppo parte della dottrina si soffermò in particolare su di una
lettura congiunta delle attività tutelate secondo i principi richiamati dagli artt. 9 e
32 Cost.
17
: i risultati raggiunti portarono ad affermare come la nozione di
ambiente finisse con il racchiudere quanto ineriva ad una coerente e scrupolosa
gestione sanitaria, unitamente ad un’altrettanto efficace attività urbanistica
territoriale.
Le argomentazioni addotte a sostegno di tali conclusioni risiedevano nella pacifica
relazione esistente fra ciascun individuo e l’ambiente che lo circonda, con una
corretta qualità di vita direttamente dipendente dal naturale contesto in cui,
necessariamente, ciascun individuo risulta inserito.
Ma anche il richiamato filone dottrinale, unitamente ad altri che, ad esempio,
ritenevano il concetto di ambiente come concernente le energie e le risorse
naturali e culturali, appariva in qualche modo limitativo: lo stesso risultava infatti
17
Mentre ai sensi dell’art. 9 Cost. “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, il disposto dell’art. 32 Cost. statuisce che
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività…”.
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ridotto ad una situazione giuridica soggettiva individuale, trascurando dunque la
dimensione collettiva del concetto in esame ed i suoi connessi risvolti
pubblicistici.
Ed è proprio in detta prospettiva che andranno richiamati parte degli interventi
giurisprudenziali operati in materia dalla Corte costituzionale, che hanno portato
all’elaborazione di una nozione giuridica dell’ambiente sicuramente più consona a
quelle che sono le sue reali sfumature.
Nel soffermarsi dunque su quelli che sono i stati i citati interventi del Collegio in
materia, potrà essere anzitutto richiamata la l. n. 349/1986, istitutiva del
Ministero dell’ambiente: il contenuto del testo normativo, fornendo altresì alcune
indicazioni sulla cui scorta poteva individuarsi il concetto di ambiente, ha indotto
proprio la Suprema Corte ad evidenziare lo sforzo compiuto dal legislatore per
dare “riconoscimento specifico alla salvaguardia dell’ambiente come diritto
fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività”, nonché
per “creare istituti giuridici per la sua protezione”
18
.
La Corte ha successivamente avuto modo di precisare come l’ambiente stesso si
ponga quale “elemento determinativo della qualità della vita” dell’essere umano, la
cui protezione persegue dunque non finalità meramente naturalistiche, bensì
l’esigenza di assicurare, secondo valori diffusi in seno all’intera collettività, un
idoneo habitat naturale in cui l’uomo possa vivere ed agire: la tutela ambientale,
pur anche non in maniera diretta, risulta comunque imposta da quei precisi
precetti costituzionali che sono appunto gli articoli 9 e 32 Cost., ed il concetto
stesso di ambiente “assurge a valore primario ed assoluto” proprio in virtù delle
richiamate disposizioni
19
.
Una definizione ancor più esaustiva ed appagante del concetto in esame è stata
infine fornita in una più recente sentenza della Corte
20
, nella quale viene
affermato come, “in una corretta e moderna concezione”, l’ambiente stesso
costituisce un valore costituzionale dal contenuto costantemente integrabile
poiché, in esso, risultano sommati tutta una serie di ulteriori valori non
18
Corte Cost., sent. 28 luglio 1987, n. 210.
19
Corte Cost., sent. 17 dicembre 1987, n. 641.
20
Corte Cost., sent. 7 maggio 1994, n. 302.
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unicamente limitabili al solo aspetto estetico-culturale, sanitario od ecologico
dello stesso. Un’effettiva e completa tutela non potrà infine prescindere da una
concreta partecipazione sia dei competenti soggetti pubblici, nel rispetto del
trincio di leale collaborazione, sia dei membri della collettività statale, dei quali
non potrà ovviamente trascurarsi il positivo contributo per un’effettiva tutela dei
beni ambientali
21
.
I menzionati interventi da parte della Corte, unitamente ad altri successivi, hanno
dunque dato la possibilità di delineare in maniera sufficientemente chiara il
valore conferito all’ambiente dal testo costituzionale: in occasione degli stessi il
Collegio ha inoltre avuto modo di sottolineare più volte, sempre ribadendo la
rilevanza che riveste una concreta tutela ambientale, il ruolo svolto in materia dal
diritto penale (dell’ambiente), giustificando la severità delle sanzioni previste
considerandole quale imprescindibile deterrente alle purtroppo continue
violazioni dei dispositivi in materia.
21
G. Di Nardo, G. Di Nardo, I reati ambientali, Padova, 2002, 5.
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4. Proliferazione di fonti e criteri ordinatori. Accenni alle fonti.
L’accennata assenza di un qualsiasi riferimento diretto all’ambiente nel testo
costituzionale, unitamente al ritardo con cui la Suprema Corte ha preso posizione
in materia, hanno avuto rilevanti ed ovvie ricadute sull’intero sistema normativo,
riversandosi sul piano formale e procedimentale della produzione del diritto e
favorendo fenomeni di produzione extra ordinem: tali incertezze sul piano
dogmatico hanno così comportato vere e proprie “rotture” con lo stesso sistema
delle fonti, ed in parte anche con quei principi che ne sorreggono la sistematica
22
.
Una delle caratteristiche precipue del diritto ambientale risulta peraltro essere la
accentuata proliferazione delle fonti abilitate ad innovarne i contenuti oggettivi, e
la mancanza di un reale coordinamento fra i diversi livelli di produzione
normativa (internazionale, comunitario e nazionale) ha come inevitabile epilogo
l’alta probabilità di conflitti ed incongruenze, che possono appunto investire
norme e discipline promanate da organi appartenenti ad istituzioni differenti.
Le vie per ovviare a dette situazioni si discostano, come poc’anzi accennato, da
quelle che sono le strade generalmente percorribili: escluso risulta sicuramente il
possibile ricorso al criterio gerarchico, consideratane la inadeguatezza a risolvere
antinomie tra norme appartenenti ad ordinamenti che, quand’anche
reciprocamente coordinati, si presentano come autonomi e distinti.
Ritenendo generalmente inutilizzabili anche altri criteri tipici dell’ordinamento
interno (non solo gerarchico dunque, ma anche cronologico, e via dicendo), sono
state cercate e proposte soluzioni alternative: parte della dottrina si è così
appellata al fine della “migliore protezione dell’ambiente”, con conseguente
prevalenza da riconoscersi a quella disposizione che assicuri un livello di tutela
ambientale più efficace
23
.
Altri ancora, con ovvio riferimento a contrasti insorti con normative comunitarie,
hanno richiamato direttamente quel principio di sussidiarietà sancito nel trattato
22
Come osservato da B. Caravita, A. Morrone, Fonti di diritto ambientale, in Diritto dell’ambiente, Bologna, 2001,
59.
23
Tesi sostenuta fra l’altro da T. Scorazzi, Il coordinamento tra norme nazionali, comunitarie e internazionali, in
previsione di un testo unico in materia ambientale, in Razionalizzazione della normativa, Milano, 1994, 39.