XIII
detto, testo dai tratti largamente positivi, anche se non certo immune da
difetti, ad un ridimensionamento così radicale da portare molti, anche
avvocati ed operatori giuridici esperti della materia, a ritenere che, a quel
punto, sarebbe stato preferibile mantenere l’allora vigente articolo 727 del
codice penale.
Ho passato ore ed ore a reperire materiale in internet, a ricostruire l’iter
parlamentare, e, soprattutto, a cercare di capire, analizzando con le
competenze in mio possesso il testo normativo e prescindendo dalle parole di
politica e varia propaganda, nonchè dal personale coinvolgimento emotivo
nella vicenda, se effettivamente sarebbe stato meglio non cambiare nulla.
Soprattutto una disposizione sembrava, alla lettera, capace di svuotare
gran parte del senso della normativa in via di diventare legge, capace in
concreto di ridurre, anzichè aumentare, il grado di tutela per milioni di
animali: l’art. 19 ter, che andava ad inserirsi tra le disposizioni di
coordinamento e transitorie del codice penale.
In sintesi, vi si stabiliva che la parte più significativa delle fattispecie di
reato relative agli animali, quelle che la nuova disciplina collocava tra i
delitti, non si sarebbero applicate ai “casi previsti dalle leggi speciali” in
materia di animali e nemmeno alle manifestazioni “storico culturali”
autorizzate dalla regione competente.
Quindi niente più sanzioni penali generali, eccettuato quello che restava
dell’art. 727, rimasto contravvenzione, per cacciatori, sperimentatori,
allevatori, trasportatori, operatori dei mattatoi, dello spettacolo e dei giardini
zoologici, qualora avessero inflitto agli animali sofferenze ingiustificate, oltre
la soglia del dolore, qualora li avessero uccisi senza almeno rispettare le
relative regole?
XIV
Migliaia di e-mail e fax indirizzati ai parlamentari non hanno impedito
che l’articolo in questione rimanesse al suo posto, fra interpretazioni
contrastanti anche da parte di chi, se non lo ha proposto, lo ha tuttavia
tollerato... In questo lavoro ne tratto con un certo approfondimento, sperando
che la giurisprudenza accolga la tesi che si tratta di una norma inutile, in
quanto non fa altro che ribadire che ciò che le leggi – purtroppo – ancora
permettono, non può essere sanzionato.
Il danno potenziale è però enorme: anche l’interpretazione secondo cui
l’art. 19 ter configura una pressochè totale impunità nei “settori speciali” è
semplice e lineare, in quanto strettamente letterale, per cui non è solamente
una remota ipotesi la possibilità che qualcuno la adotti.
La non applicazione alle manifestazioni “storico culturali”, poi, non
permette all’interpretazione di andare oltre, alla meglio, all’affermazione
secondo cui, se si va oltre le regole previste nell’autorizzazione, allora scatta
la sanzione penale, ma, verosimilmente, solo quella del ridimensionato nuovo
articolo 727. In pratica tutta una consolidata giurisprudenza anche di
Cassazione ferma nel condannare l’uso di pungoli e le più varie sevizie
inflitte in molte delle c.d. feste popolari, è minata alle basi... timori purtroppo
ben che giustificati, dato che le sfrenate corse dei carri del Molise hanno già
la loro legge regionale di autorizzazione, che non stabilisce regole ma si
limita ad indicare un elenco di manifestazioni: chi valuterà che cosa sia e se
effettivamente sussista, il carattere “storico culturale”?
Il ragionamento giuridico ha solo in parte ridimensionato le
preoccupazioni dettate dalla passione emotiva, e tale parziale
ridimensionamento è venuto dalla ricostruzione del come una parte sempre
maggiore della giurisprudenza, partendo dalla formulazione quasi
ottocentesca dell’originario articolo 727 e poi attraverso la sua riforma datata
XV
1993, sia riuscita a leggerlo nel senso di norma che tutela in primis gli
animali, come esseri senzienti, capaci di emozioni e sofferenza.
Peccato che ancora una volta, come già nel 1993, si sia persa l’occasione
di “dirlo per legge”: la Camera dei Deputati aveva approvato in prima lettura
un Titolo dedicato ai “Delitti contro gli animali”, ma poi è passata la versione
del Senato, per cui, secondo la lettera, una lettera pesante, perchè indica,
assieme alla collocazione all’interno del codice, qual è il bene protetto ed il
suo rango, tuttora si puniscono non i delitti contro gli animali, ma quelli
contro il sentimento per gli animali. E ciò nonostante indirizzi pressochè
univoci nel primo senso siano presenti persino nella Costituzione europea e la
tutela minima che molte normative di attuazione di direttive europee
concedono direttamente agli animali.
Le leggi non possono permettersi di spingersi troppo avanti rispetto alla
società, pena la mancanza di effettività, la disapplicazione di fatto -
fenomeno che avviene già in non trascurabile misura specialmente nei
laboratori, anche universitari, come evidenziato anche da recenti fatti di
cronaca - ma porsi in retroguardia o dar modo a chi vi si trova di farsi forte di
disposizioni ambigue e soprattutto di una collocazione sistematica passibile
di dare ampi spazi alle “necessità” intese secondo criteri esclusivamente
umani, è qualcosa di più di un’occasione perduta.
Il punto meriterebbe un’ampia trattazione, con approfondimenti di
carattere filosofico-giuridico, il che era nelle intenzioni, ma il tempo non lo
ha consentito e forse la sede non sarebbe stata delle più adatte, dovendo
l’argomentazione investire anche il diritto civile che, ancora ben più indietro
sul punto rispetto al diritto penale, considera gli animali solo ed
esclusivamente come beni patrimoniali.
L’esiguità del tempo a disposizione per questo lavoro non ha purtroppo
permesso di sviluppare nemmeno una parte importante appartenente a pieno
XVI
titolo al tema della tutela penale degli animali, e che, anzi, ne costituisce
l’inscindibile aspetto pratico, cioè quella relativa agli strumenti procedurali e
processuali, dalla fase della denuncia, per passare a quella delle indagini, del
giudizio, per poi giungere a quella dell’eventuale condanna e della
conseguente fase esecutiva di irrogazione della pena.
Qualcosa in tema di prova si è detto, si è accennato alla confisca,
strumento per togliere le vittime dalle mani dei loro presunti o flagranti
maltrattatori, qualche considerazione è stata svolta sulla pena, ma sono tutti
aspetti che avrebbero meritato ben maggiore attenzione e su cui spero di
avere l’opportunità di tornare in successive occasioni.
Qui però mi pare che, comunque, un breve approfondimento, anche
prendendo spunto dal contesto e dal periodo in cui è stata approvata la legge
189 – la stagione estiva, che stiamo vivendo anche ora – vada abbozzato.
In quel periodo del 2004, uno dei maggiori argomenti, se non l’unico,
avanzato ad ogni piè sospinto, per far inghiottire l’indigesto boccone delle
modifiche peggiorative al testo iniziale, era stata l’urgenza di avere a
disposizione uno strumento più efficace di deterrenza proprio in
considerazione dell’estate, stagione di vacanze per gli uomini e di abbandoni
per decine e decine di migliaia di cani e gatti, senza contare gli animali
“esotici” che alcuni hanno iniziato a prendersi in casa.
Gli abbandoni, si sa, o si dovrebbe sapere, così come tutti i reati, e non
solo quelli contro gli animali, si combattono innanzitutto con la prevenzione,
cioè con l’educazione al rispetto della vita ed alla convivenza con il
prossimo, anche non umano, educazione non solo fatta di parole ma
soprattutto di esempi, il che richiede un impegno delle istituzioni ad ogni
livello – anche sul campo, con misure specifiche, come, in questo caso, le
sterilizzazioni dei “randagi” - che purtroppo è dato ben di rado di vedere: la
XXIV
INTRODUZIONE
The greatness of a Nation and its
moral progress can be judged by the
way its animals are treated.
La grandezza di una nazione ed il suo
progresso morale si possono giudicare
dal modo in cui tratta gli animali.
MAHATMA GANDHI
Il presente lavoro propone inizialmente un panorama della normativa
penale relativa agli animali precedente la legge 189 del 2004, normativa che
consiste essenzialmente in due articoli del codice penale, l’art. 638, dove gli
animali vengono considerati solo in quanto bene patrimoniale, e, soprattutto,
l’art. 727, rubricato “Maltrattamento di animali”, senza dimenticare che, a
partire dagli anni ’70 e poi, in modo decisamente più massiccio, dagli anni
’90, è stata introdotta una legislazione speciale di ampiezza crescente, quasi
interamente derivante dall’adempimento di obblighi comunitari.
Particolare attenzione viene posta all’evoluzione dell’interpretazione
giurisprudenziale dell’art. 727 c.p., in quanto disposizione generale cardine in
materia di tutela degli animali.
L’art. 727, reato contravvenzionale sanzionato con la sola ammenda, è
inserito tra quelli relativi alla “polizia dei costumi”, ed infatti il bene
XXV
giuridico da esso tutelato è stato a lungo individuato nella morale pubblica ed
in particolare nel comune sentimento di pietà verso gli animali, il che è
particolarmente evidente nella sua formulazione originaria.
Parte della giurisprudenza, richiamando l’aumentata sensibilità nei
confronti degli animali maturata nel corso del tempo e rilevando l’ingresso
nell’ordinamento di leggi speciali che tutelano gli animali in quanto tali,
inizia ad un certo punto ad incamminarsi sulla strada di un’interpretazione
evolutiva dell’art. 727, il che porta a contestare il reato di maltrattamenti
anche in relazione a condotte omissive o causative di sofferenze non
necessariamente atroci.
Tappa particolarmente significativa di tale evoluzione è una sentenza
della Pretura di Amelia del 1987 in cui, incentrando la ricostruzione
dell’elemento materiale del reato sul concetto di “maltrattamento-dolore”, si
afferma che oggetto di tutela dell’art. 727 è “anche” l’animale in sè e che il
reato è integrato quando la condotta fa sì che l’animale superi la sua specifica
soglia di reattività al dolore.
Tale orientamento riceve l’autorevole avallo della Corte di Cassazione a
partire da una sentenza del 1990, nella quale viene affermato che l’animale è
il principale bene tutelato e che il danno cui bisogna guardare è il dolore
inflitto all’animale, non necessariamente consistente in una lesione fisica.
Si illustra poi come tale orientamento giurisprudenziale, oltre ad essere
un fattore determinante della novella dell’art. 727 ad opera della legge
473/93, da tale riforma prende ulteriore forza per giungere a nuove frontiere
di tutela, come si può notare specialmente nell’esame della contrastata
giurisprudenza in materia venatoria, con particolare riferimento alla condotta
di detenzione in condizioni incompatibili con la natura dell’animale, condotta
XXVI
espressamente inserita, assieme a quella dell’abbandono di animali domestici
o che abbiano acquisito abitudine alla cattività, proprio con la riforma in
parola.
Oltre a quest’ultimo, sono diversi i tratti di progresso rinvenibili nel
nuovo testo dell’art. 727, fra cui il riferimento alle caratteristiche etologiche
dell’animale, l’aggravante prevista nei casi di uso di mezzi particolarmente
dolorosi e di morte conseguente al maltrattamento, nonchè la fattispecie
autonoma di reato integrata dalla condotta di chi organizza o partecipa a
spettacoli o manifestazioni che comportino strazio o sevizie per gli animali.
Nonostante ciò la nuova lettura dell’oggettività giuridica dell’art. 727
non riceve copertura normativa, mentre persiste la lacuna della non punibilità
della c.d. eutanasia ingiustificata dell’animale proprio.
Tale lacuna, come si avrà modo di osservare, affianca quello che si può
considerare il movente principale verso una nuova legge di riforma, ovvero la
presa di coscienza che i combattimenti fra animali sono divenuti una fonte di
reddito non secondaria della criminalità organizzata (c.d. zoomafia
1
).
Da qui nasce la legge 189 del 2004, che viene analizzata nei suoi aspetti
generali e nelle singole fattispecie rilevanti da un punto di vista penale nel
terzo ed ultimo capitolo del lavoro.
Si evidenziano dapprima i tratti positivi, fra cui l’inserimento di quasi
tutti i reati contro gli animali tra i delitti, che però ha come risvolto negativo
la necessità di provare in ogni caso la sussistenza del dolo, non essendo state
previste le correlative ipotesi colpose, la previsione quale autonoma
fattispecie di reato, sanzionata con la sola reclusione, dell’uccisione di
animali, nonchè la configurazione delle fattispecie volte a contrastare
combattimenti e competizioni clandestine.
1
Sul tema si veda il documentato saggio di TROIANO C., Zoomafia. Mafia, camorra &
gli altri animali, Torino, 2000.
XXVII
Particolare attenzione viene poi riservata agli aspetti negativi della
nuova normativa, i più rilevanti dei quali, purtroppo, la investono nel suo
complesso.
Come si è accennato nella premessa, infatti, rimane aperta la
problematica relativa all’oggettività giuridica, dato che il nuovo Titolo IX bis
del codice penale sanziona i “Delitti contro il sentimento per gli animali”,
mentre si apre la nuova questione concernente l’art. 19 ter, disp. coord. e
trans. del codice penale, disposizione che è passibile di essere interpretata
come una sorta di depenalizzazione di fatto negli ampissimi settori regolati
dalle leggi speciali in materia di animali, e che configura un’ulteriore deroga,
in relazione a manifestazioni “storico-culturali” autorizzate in sede regionale,
che presenta, oltretutto, profili di possibile illegittimità costituzionale.
Nel lavoro si tratterà ampiamente il punto dando conto delle diverse
interpretazioni delle deroghe, di un primo intervento della giurisprudenza di
legittimità, nonchè della prima legge regionale applicativa della seconda
parte dell’art. 19 ter, sostenendo, per quanto riguarda le leggi speciali, che la
norma in questione, anche per i moventi che l’hanno ispirata, non faccia altro
che ribadire il principio di non contraddizione, di cui è espressione l’art. 51
c.p., e prendendo atto che la seconda deroga pare non superabile in via
interpretativa, con il risultato che rimarrebbe applicabile, sussistendone i
presupposti, il solo art. 727 nella versione attuale.
La parte conclusiva è poi dedicata ad un esame critico delle singole
disposizioni di interesse penalistico della legge 189, fra cui, in particolare, il
nuovo art. 727, che, oltre ad essere stato ridimensionato, ha visto riformulata
la condotta di detenzione incompatibile con la natura dell’animale, nel senso
che, per l’integrazione del reato, è ora necessario che tale detenzione sia
produttiva di gravi sofferenze. Tale modificazione, in effetti, non fa che
esplicitare in sede normativa quello che la Cassazione ha sempre affermato
sul punto, ovvero che, essendo il reato di danno, è necessario che sussista e
XXVIII
sia provata la grave sofferenza, intesa come superamento della soglia del
dolore. Il tratto negativo sembra da rinvenire nel fatto che la
normativizzazione di questo consolidato orientamento giurisprudenziale può
diventare la base per interpretazioni restrittive, specialmente con riguardo ai
facilmente prospettabili aggravamenti sul piano probatorio.
In ultimo si dà conto di due disegni di legge presentati praticamente
all’indomani dell’approvazione della legge 189, caratterizzati dal comune
intento di eliminare almeno gli aspetti maggiormente negativi, prevedendo,
tra l’altro, l’abrogazione dell’art. 19 ter disp. coord. e trans. del codice penale
e la correzione della riformulazione dell’art. 727, di cui si è appena detto.
Tali disegni di legge sono decaduti con la fine della XIV Legislatura e
non risulta che al momento siano stati ripresentati, per cui, nell’attesa di un
nuovo intervento del Legislatore, si chiude con l’auspicio, confortato dalle
prime sentenze successive alla legge 189, che la giurisprudenza non arretri
rispetto ai risultati già raggiunti sotto il previgente art. 727 c.p.
1
CAPITOLO I
L’ART. 727 C. P. DALLE ORIGINI ALLA RIFORMA DEL 1993
1. La formulazione originaria dell’art. 727 c.p. e la sua oggettività
giuridica
Tralasciando al momento l’art 638 c.p., che, tuttora vigente, punisce la
“Uccisione o danneggiamento di animali altrui”, delitto contro il patrimonio,
come chiaramente fa capire la sua collocazione sistematica ed il linguaggio
utilizzato, che non lascia alcun dubbio sulla considerazione dell’animale
come una res nel senso, se si vuole, più crudo del termine, la norma del
codice penale che costituisce in certo modo un embrione di tutela degli
animali
2
, in quanto prende atto, se non altro sul piano naturalistico, che si
tratta di una res particolare, capace di soffrire, è l’art. 727 c. p.
2
Meritano comunque di essere ricordate due leggi: la l. 12.6.1913, n. 611 e la
praticamente coeva al codice l. 12.6.1931, n. 924. In particolare la prima, in parte tuttora
in vigore, all’art. 1 estendeva l’ambito di applicazione e specificava alcune condotte punite
dall’art. 491 c.p. (poi art. 727), stabilendo che “(1)Fermo il disposto dell’art. 491 c. p.
sono specialmente proibiti gli atti crudeli su animali, l’impiego di animali che per
vecchiezza, ferite o malattie non siano più idonei a lavorare, il loro abbandono, i giochi
che importino strazio di animali, le sevizie nel trasporto di bestiame, l’accecamento degli
uccelli ed in genere le inutili torture per lo sfruttamento industriale di ogni specie
animale. (2) I contravventori saranno puniti a termini del citato art. 491 c. p.”. Va
sottolineato che la condotta dell’abbandono sarà inserita nell’art. 727 solo nel 1993 e che
le limitazioni nello sfruttamento economico di qualsiasi animale sono da considerarsi in
linea di principio avanzate anche per la normativa odierna: la l. 20.7.2004 n. 189 ha
abrogato tale disposizione. Anche la l 924/31, riformata poi nel 1941, nonostante l’esiguità