VII
tutti. I principi di interdipendenza, indivisibilità ed indissociabilità dei
diritti umani, per esempio, enunciati ufficialmente nella Dichiarazione di
Vienna del 1993, faticano ancora oggi ad essere recepiti. Da molte parti,
viene dato maggior risalto e considerazione ai diritti civili e politici, cioè a
quei diritti sui quali poggia la tradizione dello stato democratico, come la
liberà di espressione, di pensiero, di religione, di voto. È infatti lo stato
democratico l’organizzazione sociale che più di tutte è in grado di
riconoscere e rispettare i diritti umani. L’essere umano però ha anche
un’altra dimensione, che è quella fisica. È impossibile immaginare un
uomo libero, capace di poter esprimere liberamente il proprio pensiero, di
non venire accusato ingiustamente, di non correre il rischio di essere
torturato, ma che è analfabeta, è costretto a mendicare o a prostituirsi per
non morire di fame, è ammalato e vive sulla strada. È questo il paradosso
che purtroppo si evince dalla Carta dei diritti umani. Certo i diritti
economici, sociali e culturali sono riconosciuti in essa, ed in molteplici
forme. Anzi sembra addirittura che il panorama dei diritti umani
riconosciuti internazionalmente, anche se migliorabile, sia vastissimo e
potrebbe facilmente consentire una vita dignitosa a tutti gli esseri umani.
È invece sull’effettività che questi diritti quasi si annullano. Manca la
volontà politica di osservare le regole create e di istituire dei meccanismi di
controllo capaci di prevedere e sanzionare i comportamenti non conformi.
Nel campo dei diritti civili e politici, questo meccanismo esiste. È stato
creato dallo stesso Patto internazionale sui diritti civili e politici che,
all’articolo 28 prevede la costituzione di un Comitato dei diritti umani, con
il compito di esaminare i rapporti degli stati, le “denuncie” sia stato contro
stato che individuali (previste dal Protocollo facoltativo) ed interpretare il
Patto mediante la formulazione di General comments.
Nel campo dei diritti economici, sociali e culturali, dopo un inizio non
molto confortante, si è andati seguendo la tendenza attuale, aperta
appunto dal Comitato dei diritti umani, vale a dire quella di istituire un
organo composto da personalità indipendenti, in grado non solo di
esaminare formalmente i rapporti degli stati, ma anche di entrare nel
VIII
merito degli stessi. È grazie a questo tipo di analisi che il Comitato è in
grado di far svolgere un ruolo dinamico ai diritti economici, sociali e
culturali, facendoli in un certo senso “rivivere” ed ampliandoli ed
attualizzandoli mediante le Osservazioni generali. Questi Comitati non
sono certo delle corti internazionali; si possono invece definire degli organi
quasi-giurisdizionali, ma che offrono, seppur con vistose differenze fra di
loro, un controllo preciso e puntuale dei diritti enunciati nei due Patti e
nella loro attività conducono la tutela dei diritti umani verso un suo
sviluppo ed una sua trasformazione.
In questo particolare periodo storico, nel quale la globalizzazione
dell’economia sta ormai condizionando tutti gli scambi ed i rapporti
economici, mai come ora, i diritti economici, sociali e culturali devono
essere tutelati. Un esempio mi sembra illuminante per descrivere la
situazione economica dell’attuale villaggio globale. Secondo Carlos
Fuentes, scrittore e giornalista messicano, che di recente ha scritto un
interessante articolo su El Paìs, se potessimo ridurre la popolazione della
terra alle dimensioni di un villaggio di cento abitanti, si otterrebbe il
seguente risultato: ci sarebbero 57 asiatici, 21 europei, 14 americani (sia
del nord che del sud) e 8 africani. La metà della ricchezza complessiva del
villaggio sarebbe nelle mani di sole sei persone, tutte di nazionalità
statunitense, ottanta vivrebbero in case di pessima qualità, settanta
sarebbero analfabete, cinquanta sarebbero denutrite, una moribonda e
l’altra sul punto di nascere. Inoltre solo una delle cento persone avrebbe
un’istruzione a livello universitario, e nessuna avrebbe un computer. Si
capisce dunque perché l’interdipendenza e l’indivisibilità di tutti i diritti
umani sia ormai una necessità, un’estrema esigenza che non può più
soggiacere a nessuna ideologia e si comprende anche perché i diritti
economici, sociali e culturali, non devono essere più considerati
programmatici o dei non-diritti, ma bensì dei diritti umani fondamentali,
la cui violazione deve essere sanzionata internazionalmente.
È per questo che ho voluto incentrare la mia tesi di laurea su questo
argomento. La frequenza delle lezioni e lo studio dell’esame di Tutela
IX
internazionale dei diritti umani del prof. Papisca, hanno radicato in me la
convinzione della necessità, nell’ordine internazionale, della tutela dei
diritti economici, sociali e culturali.
Il mio lavoro è diviso in tre parti: nella prima mi sono soffermata
sullo sviluppo dei diritti umani, sui principi di interdipendenza ed
indivisibilità ed inoltre ho affrontato sinteticamente la tutela generale degli
stessi. Nella seconda parte ho affrontato nello specifico i diritti economici,
sociali e culturali, sia nel loro sviluppo storico, che nella loro previsione in
importanti documenti, sia universali che regionali. Mi sono soffermata
inoltre sui dibattiti incentrati sulla natura di questi diritti e sul fatto che
alcuni autori li ritengano giustiziabili o meno. Infine nella terza parte del
mio lavoro, ho affrontato lo studio del più importante organo di tutela di
questi diritti, cioè il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali,
organo sussidiario del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite,
analizzando, oltre la sua composizione ed il suo funzionamento, anche la
sua giurisprudenza.
1
PARTE PRIMA
2
1 UNA RICOSTRUZIONE STORICA
1.1 PRIMA DELLA GRANDE GUERRA
La crescente importanza assunta dai diritti umani nel diritto
internazionale è un fenomeno relativamente recente, che si può far risalire
con l’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite nel 1945.
Precedentemente a questa data nella realtà del diritto internazionale e
delle relazioni internazionali non si faceva menzione né di individuo né di
popolo. Infatti, nel periodo che intercorre tra la pace di Westfalia, 1648,
(avvenimento che per molti giuristi segna convenzionalmente la nascita del
diritto internazionale) e la fine del XIX° secolo, soggetti di questo diritto
vengono considerati solo gli stati.
Alcuni autori spesso sono soliti riferirsi, come primo riferimento ai
diritti umani, alla Magna Charta inglese del 1215. La maggior parte degli
storici e dei giuristi critica invece questa posizione, mettendo in risalto lo
spirito della Charta come compromesso riguardo alla distribuzione del
potere fra il re John e la nobiltà inglese. Egli concedeva di proprio e buon
volere “spontanea et bona voluntate nostra”, ad alcuni gruppi di persone
specifiche libertà “has libertates suscriptas”
1
.
Attraverso l’evoluzione storica dei diritti umani, tre aspetti
dell’esistenza umana sono stati primariamente salvaguardati: l’integrità
umana, la libertà e l’eguaglianza. Assiomatico a questi tre aspetti è il
rispetto della dignità di ogni essere umano. Essi sono maturati all’inizio in
idealistiche asserzioni ed in vaghi principi per poi divenire il sistema
normativo che conosciamo oggi.
E’ generalmente riconosciuto che il nocciolo dello sviluppo dei diritti
umani si possa ritrovare nel pensiero inglese, francese ed americano del
diciassettesimo secolo. I princìpi iniziali di questo pensiero e di questa
filosofia riguardavano principalmente la necessità di restringere il potere
1
F.Battaglia, Dichiarazioni dei diritti, Enciclopedia del diritto, volume XII, Milano, Giuffré, 1964, pag.414.
3
dei sovrani. Successivamente, la nozione di diritti umani si sviluppò ed
emerse quella che il popolo non poteva essere subordinato a nessuno se
non a sé stesso.
Un primo riconoscimento dei diritti dell’uomo lo si può ritrovare,
quindi, già in alcuni documenti del XVIII° secolo, come per esempio nelle
dichiarazioni degli stati americani (1776-1789). Sono esse delle vere e
proprie costituzioni, elaborate dai Padri fondatori, con l’intento di
costruire nuove istituzioni politiche nel nuovo mondo. Questo è però solo
un primo passo. Mano a mano che si procede dalle dichiarazioni della
Virginia (1776), della Pennsylvania o del Maryland, fino alla costituzione
federale degli Stati Uniti (1787) appare chiara la necessità della previsione
di una tutela, di una garanzia, che non si limiti a suddividere i poteri, ma
che preveda l’intervento dei giudici.
E’ però nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del
1789, che troviamo il più alto riconoscimento dell’uomo. Uomo come
cittadino, che rivendica i suoi diritti fondamentali nei confronti dello stato.
La Dichiarazione francese è stata sicuramente influenzata dall’esperienza
americana, ma è soprattutto espressione dell’illuminismo e del pensiero
giusnaturalistico.
Nel diciannovesimo secolo, si possono citare alcuni esempi che
possono essere definiti come antecedenti alla protezione più specifica che
si svilupperà nel secolo successivo. Innanzitutto è da ricordare il
Protocollo della Conferenza di Londra del 3 febbraio 1830, che pose fra le
condizioni per riconoscere l’indipendenza della Grecia il rispetto della
libertà della religione musulmana. Anche il trattato di Berlino del 13 luglio
1878 è importante in quest’ambito, in quanto fece dipendere il
riconoscimento dei nuovi stati balcanici alla loro adesione al principio di
non discriminazione su base religiosa
2
.
2
AAVV, Judicial protection of human rights at international level, vol 1, Milano, Giuffrè, 1991.
4
1.2 DOPO IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
Dopo la Grande guerra il concetto di nazione, e poi di popolo, si
specificano e trovano riconoscimento grazie a due grandi leaders politici,
Lenin e Wilson, nel diritto di autodeterminazione dei popoli. Questi due
statisti però, strutturano la loro riflessione a partire da due punti di vista
diversi. I problemi che si prospettavano in quel periodo erano quello
dell’autodeterminazione dei popoli all’interno degli stati e quello
dell’indipendenza dei popoli coloniali.
Per Wilson era necessario rivedere i confini, facendo in modo che i
popoli che aspiravano all’autodeterminazione avessero la possibilità di
scegliere autonomamente il proprio ordinamento giuridico ed il proprio
sovrano (cd. autodeterminazione interna). Per quanto riguarda i popoli
coloniali egli metteva sullo stesso piano il loro diritto di
autodeterminazione e le esigenze delle potenze coloniali.
Diversa e drastica è invece l’ottica di Lenin. Egli sosteneva la
necessità di creare nuove autorità indipendenti per i popoli coloniali (cd.
autodeterminazione esterna) e la ridefinizione dei confini degli stati
esistenti per soddisfare le legittime aspirazioni dei popoli.
3
In tutto il movimento politico e culturale di quel periodo, che portò
poi, grazie a W. Wilson, alla creazione della prima organizzazione
internazionale universale, la Società delle Nazioni, degni di nota sono i
programmi di due associazioni molto attive: la “Pace dal diritto” fondata
verso la fine del XIX° secolo e animata in quegli anni dal professor Hyssen,
e la “Lega dei diritti dell’uomo”. I loro programmi erano molto semplici e si
articolavano in diversi punti, fra i quali:
a) riconoscimento e applicazione più ampia del principio delle nazionalità;
b) completamento dell’opera giuridica delle Conferenze dell’Aja
4
;
3
A.Cassese, I diritti umani nel mondo contemporaneo, Bari, Laterza, 1994.
4
Per Sistema dell’Aja, si intendono due conferenze svoltesi nella città olandese nel 1899 e nel 1907. Tenute
sotto l’impulso dello zar Nicola II°, sono state un contributo notevole alla creazione dell’odierna
organizzazione internazionale.
5
c) costituzione di una libera Società delle nazioni pacifiche e risolute a
sottomettere le loro controversie senza alcuna eccezione all’arbitrato e a
mettere le loro forze al servizio della pace generale
5
.
Da questi e da altri movimenti culturali scaturirono le idee e le forze
che portarono alla condivisione dei famosi “Quattordici punti di Wilson”,
enunciati nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti il 18 gennaio
1918.
La Società delle Nazioni, l’organizzazione internazionale istituita dopo
la prima guerra mondiale per stabilire un sistema di pace e di sicurezza
mondiale, non prevedeva nessun riconoscimento alla causa dei diritti
umani. Nonostante ciò il Covenant della Società delle Nazioni prevedeva
alcune disposizioni riconducibili al rispetto di questi diritti, per esempio
l’abolizione del traffico di donne e bambini, la prevenzione ed il controllo
delle malattie, trattamenti equi per i nativi ed i popoli coloniali. Inoltre con
la creazione del sistema dei mandati si è voluto sottolineare la condotta
degli stati mandatari che dovevano amministrare questi territori
assicurando l’assenza di discriminazioni fondate sulla razza o sulla
religione.
Non fu quindi prima dei terribili eventi causati dalla seconda guerra
mondiale che il diritto internazionale dei diritti umani poté trovare
riconoscimento. Le atrocità perpetrate dai nazisti nei confronti della loro
stessa popolazione e di quelle degli stati occupati, convinsero gli Alleati a
creare un sistema nel quale i diritti umani e le libertà fondamentali
fossero garantiti, elementi che per i fondatori delle Nazioni Unite erano dei
prerequisiti per la creazione di un sistema politico internazionale stabile
ed equo.
5
I.Claude, Il sistema dell’Aja, Il Mulino, Bologna, 1970.
6
1.3 L’AVVENTO DEI DIRITTI UMANI
La Carta delle Nazioni Unite, firmata a San Francisco il 26 giugno
1945 ed entrata in vigore il 24 ottobre 1945, è il frutto di uno sforzo
diplomatico che si può far iniziare già dai primi anni della seconda guerra
mondiale, nel 1941 con la Carta Atlantica e nel 1942 con la Dichiarazione
delle Nazioni Unite. La Conferenza di San Francisco fu l’apogeo di tutto
questo movimento politico mirante alla creazione di un nuovo ordine
mondiale. E’ nella stessa Carta che troviamo un primo, reale
riconoscimento dei diritti umani. L’articolo 1, paragrafo 3, stabilisce tra i
fini dell’organizzazione: “… e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di
razza, di sesso, di lingua o di religione”. Questo fine viene poi ripreso negli
articoli 55 e 56 come compito, come obbligo ad agire, obbligo a carico degli
stati parte. Un’altra disposizione importante della Carta è quella
dell’articolo 68, secondo la quale “il Consiglio economico e sociale
istituisce commissioni per le questioni economiche e sociali e per
promuovere i diritti dell’uomo”. E’ proprio alla luce di questo articolo che è
stata creata nel 1946 la Commissione dei diritti dell’uomo.
Il primo testo riguardante la materia dei diritti umani è stata la
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, adottata il 10 dicembre
1948. Si tratta di un documento elaborato in seno alla Commissione dei
diritti dell’uomo e che risente, nella sua enunciazione, del contesto
storico-politico di quel periodo. Negli anni della sua elaborazione, 1946-
1948, l’ONU contava 58 membri, di cui 14 si potevano ricondurre all’area
politica occidentale, 20 erano latino-americani, 6 socialisti, 4 africani e 14
asiatici. I paesi cosiddetti in via di sviluppo si potevano quasi interamente
ricondurre all’area politica occidentale, perciò si può facilmente rilevare
che in occasione del dibattito sulla Dichiarazione le differenze furono fra
occidente ed oriente, cioè fra occidente industrializzato e liberista e paesi
ad economia socialista dell’est. I paesi socialisti, che in un primo momento
non parteciparono ai lavori del “Comitato di redazione” a causa del diniego
7
dei paesi occidentali ad inserire nel testo un riferimento ai diritti
economici e sociali, collaborarono successivamente alla redazione dello
stesso. Si astennero però poi nel momento della votazione finale perché la
maggior parte degli emendamenti da loro presentati era stata respinta.
6
La Dichiarazione, che non è vincolante giuridicamente, è comunque
un documento molto importante. Come disse Eleanor Roosevelt, l’allora
presidente della Commissione dei diritti umani, essa proclama uno
standard comune di diritti umani ai quali tutti gli uomini e tutte le nazioni
si devono conformare. Essa, nella sua forma definitiva, contiene una lista
di diritti civili e politici, nonché economici, sociali e culturali; diritti che
possono essere goduti da tutti senza discriminazione alcuna. E’
significativo il fatto che non sia previsto nessun meccanismo di controllo
dei diritti enunciati, questo perché non si è voluto dare rilevanza giuridica
alla Dichiarazione.
Nel tempo però, essa si è rivelata come uno strumento potenzialmente
giuridico, specialmente in alcune sue parti e per i valori generali in essa
enunciati, nonostante il dibattito riguardo al suo status legale sia ancora
aperto. Le si può comunque attribuire una forza trainante eccezionale,
caratteristica dei grandi testi politici e religiosi. La Dichiarazione ha infatti
eroso le resistenze degli stati, e costituisce inoltre, uno dei parametri
fondamentali in base ai quali la Comunità internazionale può
delegittimare gli stati che non riconoscono i diritti in essa previsti.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite in quegli stessi anni diede
mandato alla Commissione di elaborare un documento giuridico
vincolante, che trasponesse i diritti riconosciuti nella Dichiarazione
Universale in diritto positivo, e che prevedesse dei meccanismi di
supervisione e di controllo. Questo compito fu ben più arduo di quanto si
potesse allora immaginare. Il dibattito si incentrò oltre che sui meccanismi
di implementazione, specialmente sulla relazione fra diritti civili e politici e
quelli economici, sociali e culturali.
6
Si astennero anche Sudafrica ed Arabia Saudita ma con motivazioni diverse.
8
Alla fine invece di creare un singolo trattato che prevedesse la protezione
di entrambe le categorie di diritti, si decise di preparare due diverse
convenzioni. I due Patti, uno sui diritti civili e politici, l’altro sui diritti
economici, sociali e culturali, furono firmati nel 1966, ed entrarono in
vigore nel 1976.
Essi costituiscono i pilastri portanti di tutto il sistema giuridico di
protezione e tutela dei diritti umani esistente. Sono due strumenti di
notevole importanza perché, oltre ad essere stati ratificati da moltissimi
stati, sono degli strumenti giuridici articolati che, oltre a prevedere
un’estesa categoria di diritti, prevedono anche una loro tutela. Per
motivazioni storico-politiche, quest’ultima è più pregnante nel caso dei
diritti civili e politici, con la creazione di un Comitato dei diritti dell’uomo
(o Comitato dei diciotto) previsto dall’articolo 28, e con la previsione di
ricorsi individuali mediante un Protocollo facoltativo entrato in vigore
anch’esso nel 1976.
Oltre ai documenti di portata generale, il diritto internazionale dei
diritti umani si è arricchito negli anni di una serie di trattati di portata più
specifica, cioè che riguardano il riconoscimento e la tutela di determinate
categorie di diritti, specialmente quelli che storicamente sono stati più
violati.
Per citarne alcuni:
• Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio
(1951);
• Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di
discriminazione razziale (1969);
• Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli,
inumani o degradanti (1987);
• Convenzione sui diritti del bambino (1990).
9
In aggiunta a queste importanti convenzioni a carattere specifico, nel
dopoguerra in seno alle varie organizzazioni intergovernative regionali
sono stati elaborati documenti riguardanti la materia dei diritti umani.
Giunti a questo punto dunque, si può affermare che si sia sviluppato
da cinquant’anni a questa parte un processo di progressiva
internazionalizzazione dei diritti umani che ha trasformato il sistema
internazionale per quanto riguarda sia gli aspetti giuridici sia politici.
10
2 INTERNAZIONALIZZAZIONE DEI DIRITTI UMANI
L’internazionalizzazione di diritti umani è un processo complesso,
iniziato alcune decine di anni fa, e che assieme ad altri processi di
mutamento del sistema sta incidendo in maniera rilevante nella realtà
internazionale. Esso in questa fase storica si allaccia e si compenetra con
l’interdipendenza complessa, cioè con quella interazione sempre più
stretta fra sistema ed ambiente, tra politica internazionale e realtà sociali;
impone un mutamento di grandezze nelle problematiche economiche,
politiche, culturali e sociali. Questi mutamenti portano ad una dimensione
mondiale delle problematiche, che si inseriscono all’interno del
tradizionale ordine internazionale. Per questo esso non può più limitarsi a
regolare rapporti interstatali, ma è necessaria una sua trasformazione,
una sua riconversione verso valori universali che consentano il governo
dell’interdipendenza. Questa, accompagnata da altri fenomeni, come per
esempio la globalizzazione economica e politica, portano a far emergere
l’esigenza della creazione di un sistema valoriale capace di gestire questa
fase di transizione; fase che è dominata da una serie di conflitti, e che non
è scontato sfoci in un’evoluzione pacifica e solidale
7
.
L’internazionalizzazione dei diritti umani si pone dunque come una
chiave di volta, un mezzo per gestire questa fase e si compone a sua volta
di tre elementi inscindibili:
a) il riconoscimento dei diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo,
sfociato nella creazione di strumenti di diritto internazionale, la
cosiddetta codificazione;
b) la progressiva tutela di questi diritti;
c) la trasformazione in questo senso della politica internazionale e delle
politiche estere degli stati
8
.
7
Papisca-Mascia, Le relazioni internazionali nell’era dell’interdipendenza e della globalizzazione,
Padova,Cedam,1994
8
Papisca, I diritti economici, sociali e culturali nel sistema delle relazioni internazionali in, AAVV, Diritti
economici, sociali e culturali nella prospettiva di un nuovo stato sociale, Padova,Cedam, 1990.
11
Per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti e delle libertà
fondamentali dell’uomo si entra qui nella materia della creazione del
diritto internazionale dei diritti umani. Esso si pone in maniera
relativamente autonoma nei confronti del diritto internazionale anche se si
fonda su basi metodologiche affini. Innanzitutto se ne discosta per l’idea di
soggetto: nonostante i destinatari delle norme così prodotte siano gli stati
è fuor di dubbio che gli individui e le “comunità naturali” nelle quali
l’individuo esplica la propria personalità siano anch’essi da considerare
come dei soggetti originari. A fianco dunque della soggettività formale degli
stati si riscontra la soggettività degli individui, determinata dal carattere di
queste norme che sono costantemente orientate teleologicamente verso di
essi
9
.
Prima del 1945 però gli individui erano considerati come un oggetto
nell’ambito del diritto internazionale. Essi erano presi in considerazione
solo in termini di nazionalità, la quale era il legame fra essi ed il loro stato.
Gli stati a loro volta non erano in nessun modo condizionati da norme
internazionali nel trattamento dei loro cittadini, al contrario lo erano solo
nei confronti dei cittadini di altri stati. Dopo la seconda guerra mondiale la
posizione dell’individuo è cambiata considerevolmente; essi da oggetti di
diritto solo diventati portatori di diritti e correlativi doveri.
Oltre all’individuo ha assunto rilevanza la soggettività di alcune
“comunità naturali” e di queste primariamente quella del popolo. Il popolo
come soggetto di diritto internazionale non è ancora definito ufficialmente
in nessun documento giuridico. Questa mancata identificazione non è
certo dovuta ad una svista o ad una sua minore importanza. E’ da
considerarsi invece come una precisa scelta politica, peraltro in via di
modificazione, dovuta al fatto che il popolo in quanto soggetto distinto
dallo stato di appartenenza, porta a mettere in discussione almeno due
degli attributi essenziali dello stato, ovvero la sovranità e l’integrità
territoriale.
9
P. De Stefani, Il diritto internazionale dei diritti umani, Padova, Cedam, 1994