geloso dell'autore: la paternità dell'opera.
Il diritto dell'autore, sull'opera da lui creata, quale diritto subiettivo, ha
una storia evolutiva molto giovane, se teniamo presente che la
normale evoluzione del nostro diritto comincia a formarsi più di
duemila anni fa: già Seneca si riferiva al libraio Doro come un
usurpatore delle opere di Cicerone, in quanto li spacciava come
propria creazione. Nell'antichità, non essendo possibile (se non in
maniera limitata) una produzione di un numero rilevante di copie
tratte dall'originale, non si poneva un problema di tutela economica:
l'autore traeva i mezzi di sostentamento direttamente dai committenti
dell'opera, o dalla città stessa che lo ospitava, o dai principi. Dal punto
di vista di tutela della paternità dell'opera, troviamo in alcuni classici il
racconto di episodi di "plagio", che, scoperti, portano
all'allontanamento dell'autore colpevole. Nell'antica Grecia le opere
erano liberamente riproducibili in mancanza di una regolamentazione,
ma il plagio veniva comunque condannato. A Roma invece, i diritti
patrimoniali non venicano riconosciuti agli autori, ma soltanto al
libraio che aveva l'opera. Anche qui veniva punito il plagio, e si
riconosceva all'autore il diritto di inedito, e il diritto di non pubblicare
l'opera. L'esigenza della tutela comincia a nascere con l'invenzione
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della stampa, e la conseguente nascita di un'attività editoriale che è
portatrice di rilevanti interessi economici legati alla diffusione di un
rilevante numero di opere stampate.
Una prima forma di tutela, viene quindi a formarsi grazie al cosiddetto
privilegio (di stampa), nella forma del brevetto o della lettera patente,
concesso inizialmente agli stampatori, e successivamente, come
gratificazione del lavoro creativo, anche agli autori; grazie a questo
privilegio, gli autori avevano la facoltà di prestare il consenso alla
pubblicazione della loro opera.
Caduto il sistema dei privilegi librari, e quello dei privilegi concessi in
materia di rappresentazioni sceniche, basati, gli uni e gli altri, prima
sull'arbitrio del principe, poi sull'istituto della "grazia giustificata", si
deve giungere allo statuto inglese della regina Anna (English
Copyright Act of Queen Anna) del 10 Aprile 1710, seguito dalle prime
leggi sul copyright degli stati americani del Connecticut,
Massachussets, Maryland e al diritto rivoluzionario francese (leggi
della costituente e della Convenzione, rispettivamente del 1791 e del
1793) per vedere profilarsi il moderno diritto d'autore.
In questi anni, venne così a mutare e a distinguersi nettamente la
situazione dell'autore nei confronti di quella dell'industriale che
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riproduce e diffonde l'opera, sia per quanto riguarda la finalità della
protezione, non più rivolta direttamente alla tutela di interessi
industriali e commerciali, sia per il carattere del diritto dell'autore e di
quello dell'industriale, aquistando quest'ultimo, sempre più la natura di
diritto derivato da quello del creatore dell'opera.
Ritornando a casa nostra, e volendo analizzare un pò come il
legislatore nostrano si è posto il problema di tutelare le opere
dell'ingegno, un primo intervento venne fatto dal governo
rivoluzionario piemontese nel lontano 1799, seguito successivamente
da una legge più completa emanata dalla Repubblica Cisalpina nel
1801. Da questo periodo, fino all'Unità d'Italia, quasi tutti gli stati
dello stivale si dotarono di una propria legge sul diritto d'autore, con
scarsissimi riscontri dal punto di vista della tutela reale, visti i limitati
ambiti applicativi. Per ovviare in parte a questo inconveniente, la
Toscana, lo stato Sardo, e l'Austria nel 1840 stipularono una
convenzione per una protezione comune del diritto d'autore. Il primo
vero intervento dell'Italia Unitaria, fu la legge speciale del 25 Giugno
1865 n. 2337, ad opera della commisione di unificazione legislativa,
che era addirittura accompagnata dalla celebre relazione al senato di
Antonio Scialoja. In seguito venne posto in essere il testo unico
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approvato con r.d. 19 Settembre 1882 n. 1012. Successivamente,
grazie all'opera evolutiva della giurisprudenza e della dottrina, si
giunse attraverso i progetti elaborati da Lucchini, Polacco e Roux al
dl. 7 Novembre 1925 n. 1950, convertito nella l. 18 Marzo 1926 n.
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La legge del 1925 costitui' un grande passo in avanti per la tutela
legale delle opere dell'ingegno. Con essa furono superati grandi
contrasti dottrinali ed economici fra le categorie interessate degli
autori e degli editori, e si affermarono alcuni principi
fondamentamentali, tra cui: a) la previsione accanto ai diritti
patrimoniali, dei diritti personali o anche detti morali, il diritto alla
prima pubblicazione, alla paternità, e alla integrità dell'opera; b) la
soppressione di ogni formalità ammminisrativa quale condizione della
tutela; c) il termine di durata dei diritti di utilizzazione economica
dell'opera, determinato sulla vita dell'autore e sino a cinquanta anni
dalla morte di esso; d) il cosiddetto diritto demaniale sulle opere di
pubblico dominio.
Dopo solo quindici anni di applicazione, la legge del 1925 sembrava
anacronistica ed antiquata in relazione al progresso tecnologico che si
stava avendo in quegli anni cosi' fecondi di scoperte tecniche e
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scientifiche. La nascita della televisione, del microfilm, del cinema
"sonoro", crearono l'esigenza di una maggiore e più efficace tutela del
diritto d'autore e dei diritti ad esso connessi. Cosi', quasi in
contemporanea alla riforma del codice civile, naque la legge 22 Aprile
1941 n. 633, pubblicata il 16 Luglio 1941, entrata in vigore il 18
Dicembre 1942, e seguita dal regolamento di esecuzione emanato con
il r.d. 18 Maggio 1942 n. 1369. Nel corso degli anni la legge 633/41 è
stata oggetto di piccole e grandi modifiche che si sono rese necessarie
sia per l'evoluzione delle tecniche di riproduzione, sia dagli obblighi
assunti dall'Italia in sede internazionale. Tra gli adeguamenti
dell'ordinamento interno al diritto internazionale, di vitale importanza
per lo studio delle opere fotografiche, è il d. P. R. 8 Gennaio 1979 che
introduceva in Italia alcune modifiche alla Convenzione di Unione di
Berna nel testo riveduto a Parigi il 24 Luglio 1971, e ratificato
dall'Italia con l. 20 Giugno 1978 n. 399.
Nulla dice, specificatamente, la Costituzione della Repubblica Italiana
circa la protezione del diritto d'autore, e ciò a differenza di altre carte
costituzionali, ad esempio quella federale americana, quella brasiliana,
quella polacca, quella jugoslava. Ma il silenzio della nostra
Costituzione in realtà, non è assoluto, in quanto tra le righe si riesce a
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carpire una serie di principi che afferiscono direttamente alla tutela
dell'ingegno e dell'attività artistica che questo contribuisce a creare.
L'art. 2 ad esempio, riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo; l'art 4 impegna ciascun cittadino a svolgere, secondo le
proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che
concorra al progresso materiale o spirituale della società; l'art. 9
sancisce che la Repubblica promuove e garantisce lo sviluppo della
cultura e della ricerca scientifica e tecnica; l'art. 21 invece, garantisce
la partecipazione alla vita sociale del cittadino, attraverso la libertà di
espressione del pensiero che è incondizionata, salvo quando è
confliggente con altri interessi costituzionalmente garantiti; l'art 33
statuisce che l'arte e la scienza sono libere; sotto l'aspetto patrimoniale
il diritto d'autore trova il suo fondamento giustificativo nella tutela del
lavoro "in tutte le sue forme e applicazioni" (art. 35 comma 1).
L'inclusione della disciplina dei diritti d'autore nel libro del lavoro del
Codice Civile conferma questo assunto, in quanto la creazione
dell'opera d'ingegno è considerata dalla legge come particolare
espressione del lavoro intellettuale. Secondo alcuni, principi cardine
del diritto d'autore sono riscontrabili anche nell'art. 42 dove si fa
riferimento alla proprietà privata come metodo di sfruttamento dei
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diritti patrimoniali dell'opera.
1.2 Natura giurica e interessi tutelati.
La presenza, nel diritto d'autore, di elementi di patrimonialità e, al
tempo stesso, l'esigenza di tutela dell'opera quale riflesso della
personalità dell'autore hanno determinato, nella dottrina giuridica, la
formazione di contrapposte teorie quanto alla individuazione della
natura giuridica del diritto d'autore. Le due grandi matrici di diritti
(quelli morali e quelli patrimoniali), in realtà derivano dal fatto che
un'opera è stata sempre considerata in dottrina come l'unione tra il
corpus mysticum (l'opera considerata come bene immateriale, la vera e
e propria idea creativa, il frutto dell'ingegno per intenderci) e il corpus
mechanicum (costituito dal supporto su cui l'opera è espressa); da
questa dicotomia, nascono appunto le teorie sul moderno diritto
d'autore.
Il concetto che l'opera è frutto dell'ingegno, e che le facoltà mentali
come l'ingegno stesso, la fantasia, la creatività, ci rendono differenti
gli uni dagli altri, ci identificano, è il punto di partenza di quella parte
della dottrina che, non ritenendo prevalente l'elemento economico, ha
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considerato il diritto d'autore come una facoltà nella quale l'elemento
personalistico è preponderante, mentre quello patrimoniale
immediatamente successivo, ma sempre subordinato ad esso. Questa
tesi, secondo cui l'elemento patrimoniale, risulta per le ragioni
suddette, secondario rispetto a quello morale, trae origine e spunto
dalla teoria monistica dell' Urheberpersōnlichkeitsrechtes,
compiutamente elaborata da Gierke.
Su basi simmetricamente opposte, si fonda la concezione
anglosassone e soprattutto nordamericana del diritto d'autore, che
individua nel copyright uno strumento diretto ad assicurare al titolare
del diritto, per un periodo limitato, i profitti che possono derivare dalle
utilizzazioni economiche dell'opera, a lui riservati in esclusiva. Di
coseguenza, le teorie anglosassoni, mettono in secondo piano
l'elemento morale, e le gratificazioni che esso può dare, preferendo a
questo, le gratificazioni che lo sfruttamento economico di un'opera
comporta.
La tesi prevalente nella dottrina italiana e che trova riscontro nella
legislazione vigente è quella che a differenza del sistema tedesco,
considera e disciplina separatamente i due diversi aspetti del diritto
d'autore, quello morale e quello patrimoniale, salvi i necessari
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collegamenti in relazione agli atti ed attività che possano interessare
entrambi gli aspetti.
L'inquadramento dell'istituto del diritto d'autore in un sistema di tutela
del lavoro intellettuale è stato proposto da taluna dottrina, la quale non
ha mancato di osservare come lo stesso titolo originario di acquisto
del diritto sia individuato nella creazione «quale particolare
espressione del lavoro intellettuale» (art. 2576 c.c. , art. 6 l.a. ).
Secondo la dottrina in questione, l'enunciazione di una tale
giustificazione della tutela da parte del legislatore trova il suo
riscontro formale, come detto sopra, nell' art. 35 della Costituzione
italiana dove il lavoro viene tutelato «in tutte le sue forme ed
applicazioni».
1.3 Diritti patrimoniali.
Come ampiamente annunciato in precedenza, il diritto d'autore in
Italia è concepito come un' unione di diritti patrimoniali e di diritti
morali, che vengono tutelati senza dare preferenza all'uno piuttosto
che all'altro.
Le opere dell'ingegno sono suscettibili, per loro natura, di godimento
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comune, plurimo e contemporaneo, in diverse forme, in diverse
modalità, ed in diversi luoghi. Si giustifica quindi una protezione delle
utilità patrimoniali di cui esse sono capaci, derivanti dal successo,
dalla notorietà, dal favore che incontrano nel pubblico. Proprio sulla
base degli elementi che l'opera suscita nel pubblico, viene riconosciuta
all'opera, ma più indirettamente all'autore un compenso. Il compenso,
è l'oggetto dei diritti patrimoniali. Senza i diritti patrimoniali, non
vogliamo pensare che l'attività creativa si fermerebbe - perchè a
questo mondo esisterà anche qualcuno che non è attaccato al denaro -
ma forse la creazione di opere di ogni genere subirebbe una radicale e
traumatica frenata, tale far cadere uno stato, una società, un popolo, in
un profondo sonno culturale.
Il diritto esclusivo di pubblicazione e di utilizzazione economica
dell'opera in ogni forma e modo, originale o derivato, è previsto e
disciplinato dagli articoli 12 e seguenti della l.a.. In tali norme è
individuato il fascio di prerogative che vengono riconosciute all'
autore come sfruttamento economico della sua opera. Ovviamente in
questa sede verranno analiticamente trattate, solo quelle che si
adattano alla tutela delle opere fotografiche, e saranno volutamente
tralasciate quelle disposizioni del legislatore del 41 che ad una prima
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lettura sono tipiche di un'altra forma di arte.
Questi diritti sono tra loro indipendenti e l'esercizio di uno di essi, non
esclude l'esercizio esclusivo di ciascuno degli altri diritti. Questo
principio generico, espresso dall'art. 19 l.a., contempla l'ipotesi, assai
probabile, che un'opera possa essere sfruttata sotto diversi punti di
vista e secondo diverse attività differenti, e che ciascuna di queste
forme di utilizzazione è indipendende ed autonoma dalle altre. Tale
regola si riferisce a quelli "insiemi di facoltà" che costituiscono il
diritto d'autore, ovvero la facoltà di riproduzione, di elaborazione, di
comunicazione e di distribuzione al pubblico. Non soltanto questi
settori sono tra loro autonomi ed indipendenti, ma anche all'interno di
essi esistono dei sotto-insiemi costituiti da singoli diritti di
sfruttamento, come ad esempio la riproduzione permanente e quella
temporanea nel settore della riproduzione.
Dal punto di vista del diritto primario d'autore il principio
dell'indipendenza delle facoltà economiche conosce un unico limite,
dato dal cosiddetto esaurimento: l'immissione in commercio di uno o
più esemplari di un'opera accompagnata dal consenso dell'autore, o
del suo avente causa, esaurisce il diritto di controllare le successive
forme di circolazione dell'esemplare dell'opera. L'esaurimento in
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realtà, ha una portata più limitata di quanto si pensi, in quanto essa è
limitata esclusivamente all'immisione in commercio, e di conseguenza
non si può applicare ad altre facoltà economiche riconosciute dalla
legge.
Vero caposaldo dei diritti di utlizzazione economica, è il diritto di
pubblicare l'opera, che viene riconosciuto in maniera piena ed
esclusiva all'autore. Il terzo comma dell' art. 12 l.a., precisa che si
considera pubblicazione dell'opera, la prima forma di esercizio del
diritto di utilizzazione, e dunque, ogni atto di utilizzazione economica
dell'opera, ne costituisce una pubblicazione rilevante ai sensi della
legge sul diritto d'autore.
Individuare il momento in cui un'opera è pubblicata, o comunque
pubblicata per la prima volta, è di vitale importanza sotto diversi
profili. In primis profili economici, ma anche più prettamente
giuridici, in quanto per alcuni tipi di opere il momento della
pubblicazione è a tutti gli effetti fattispecie costitutiva del diritto
d'autore, può determinare il momento da cui decorre la durata di esso,
e può avere rilevanza ai fini dell'assoggettabilità a pegno,
pignoramento e sequestro dei diritti patrimoniali.
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