quantomeno, quella di azionisti con una rilevante
partecipazione azionaria, anche se di minoranza?
La seconda ipotesi è quella più veritiera e plausibile,
analizzando le percentuali di capitale sociale necessarie per
attivarsi, che, man mano, gli articoli del T.u.f. presentano.
Si considerano, poi, due articoli, in particolare. L’articolo
127 del T.u.f., circa il voto per corrispondenza; e, l’articolo
132 del T.u.f., circa l’acquisto di azioni proprie.
Il primo, permettendo il c.d. “voto a distanza”, dovrebbe dare
maggiore possibilità di intervento a tutti gli azionisti.
E’, veramente così, oppure gli elevati oneri economici e di
tempo ne limitano l’utilizzo? E, poi, l’azionista “piccolo”,
interessato al solo riscontro remunerativo della sua
partecipazione è interessato a tale opportunità di attivismo?
Si creano, per di più, dubbi circa la “menomazione” del ruolo
primario dell’assemblea, e della presenza “fisica” del socio,
per poter deliberare con consapevolezza.
Forse, il semplice “voto postale” è troppo riduttivo? E’
necessario dare spazio alle tecnologie informatiche e di rete
(Internet, E-Mail, ecc.)?
Si mostrerà che, ad oggi, tali problematiche non emergono
ancora con intensità, perché solo 7 società quotate hanno
inserito il voto per corrispondenza nello Statuto sociale.
L’articolo 132 del T.u.f., invece, è un chiaro esempio di
“tutela delle minoranze” e della “parità di trattamento” di
tutti gli azionisti, perché, per qualsiasi acquisto di azioni
proprie, obbliga l’utilizzo di un’offerta pubblica (O.p.a.),
ovvero, lo svolgimento di tale operazione solo sul mercato,
secondo le regole indicate (o “concordate”) dalla società di
gestione del mercato (Borsa Italia S.p.A.).
La “buy back mania” si sta sviluppando, anche in Italia, per i
possibili risvolti economici dovuti sia alla “stabilizzazione”
delle quotazioni dei titoli, sia all’annuncio di una
sottovalutazione del titolo medesimo, insita nel tentativo
stesso di acquisto di azioni proprie.
Si analizza, infine, al riguardo, il caso Telecom Italia.
CAPITOLO I
IL TESTO UNICO DELLA FINANZA:
“LA TUTELA DELLE MINORANZE”
1. INTRODUZIONE.
Già cinquanta anni fa, Tullio Ascarelli
1
, sosteneva che il
problema delle società per azioni non era quello di “tutelare i
gruppi di comando nel controllo, perché questi hanno già, per
definizione, il potere di tutelarsi benissimo da soli, ma,
occorreva disciplinare i medesimi nel controllo”.
Ampi sforzi, nel frattempo, sono stati fatti per redigere una
riforma. Questa, però, ha applicazione solo per le società con
titoli quotati nei mercati regolamentati dell’Unione Europea e
per quelle con titoli diffusi tra il pubblico (art. 119 T.u.f.).
L’espressione “tutela delle minoranze” costituisce il titolo, o
rubrica, della sezione II del capo II del titolo III della parte
IV del T.u.f., contenente la disciplina delle società con azioni
quotate. La cosa strana è che le leggi inerenti le facoltà di
“tutela”, non sono rubricate sotto questo unico Titolo. La
disciplina della sezione II è contenuta in undici articoli (artt.
125-135 T.u.f.), tutti raggruppati, e spazia dai poteri di
convocazione dell’assemblea, alla differenziazione dei
1
T. ASCARELLI, I problemi delle società anonime per azioni, in Riv. Soc.,
Milano, 1956, p. 17.
quorum costitutivi e deliberativi, alla identificazione della
facoltà del voto per corrispondenza, alla riduzione del quorum
per la denuncia al collegio sindacale e/o giudiziario,
all’esercizio dell’azione di responsabilità, al diritto di
ottenere copia degli atti depositati, al diritto di recesso,
all’acquisto di azioni proprie, al potere di de-listing,
all’aumento del capitale sociale. In altre sezioni, vi sono
ulteriori riferimenti, in particolare, gli articoli 141 del T.u.f.,
riguardante le associazioni di azionisti per l’esercizio del
voto in assemblea, e 148 del T.u.f., concernente il collegio
sindacale.
La “tutela delle minoranze” è un criterio ispiratore della
complessiva disciplina dettata dal T.u.f., e non solo della
sezione rubricata con tale nome
2
. Nel T.u.f., però, i profili di
tutela sono presenti, sia indirettamente attraverso la tutela del
risparmio, sia direttamente in tutto il testo normativo. Già la
legge delega del 6 febbraio del 1996, n. 52, consigliava ed
incitava una modifica della disciplina, secondo criteri, “che
rafforzassero la tutela del risparmio e degli azionisti di
minoranza”, ed incidessero sui poteri stessi di tutela. Difatti,
la stessa disciplina degli intermediari ha finalità di garanzia
per il risparmio, con la mediazione di soggetti abilitati,
caratterizzati da requisiti di professionalità ed onorabilità,
che permettono una “sana e prudente gestione” delle attività,
con riguardo alla tutela degli investitori, ed, inoltre, alla
stabilità e competitività del sistema finanziario. Il T.u.f.,
2
V. BUONOCORE, La riforma delle società quotate, Atti del convegno di studio, Santa
Margherita Ligure, 1998, in Quaderni di Giur. Comm., Milano, pag. 3.
ugualmente, ha cercato di muoversi in tal via, potenziando i
controlli interni ed esterni, ma, di più, ampliando i diritti
delle minoranze qualificate.
L’evoluzione stessa del mercato ha portato ad una tale svolta,
grazie alla privatizzazione, alla quintuplicazione della
capitalizzazione di borsa, avvenuta nel giro di pochi anni, al
riequilibrio dei conti pubblici e al conseguente calo dei tassi
di interesse, rendendo sempre più allettante l’investimento nei
titoli azionari, rispetto ai titoli del debito pubblico
3
.
Si imponeva una nuova filosofia societaria, che capisse la
mancanza di interesse dei “piccoli” azionisti a partecipare
alle assemblee, usufruendo dei diritti di voice, come forma
prima di tutela
4
, ma anche dei diritti di exit (si pensi alla
disciplina delle O.p.a.).
La legge delega, quindi, lasciava al legislatore delegato
ampio spazio, ma confini ben precisi. Scopo finale era quello
di garantire l’efficienza delle imprese, ed indirettamente
l’efficienza del mercato, con l’ausilio dei controlli interni ed
esterni sull’operato degli amministratori.
Il T.u.f. è diverso dalla mini riforma del 1974, legge n° 216.
Questa pensava all’azionista “assenteista” e rafforzava i
diritti patrimoniali, garantendo migliore tutela
dell’informazione e privilegiando il principio secondo il quale
in un mercato efficiente l’azionista “deluso” deve poter
3
AA.VV., Indagine cognitiva sull’evoluzione del mercato mobiliare italiano della
Commissione Finanze della Camera, in Riv. Soc., Milano, 1998, pag. 190/I e ss.
4
A. GAMBINO, Tutela delle minoranze, in La riforma delle società quotate, Atti del
convegno di studio, Santa Margherita Ligure, 1998, Quaderni di Giur. Comm., Milano,
pag. 135.
vendere agevolmente la propria quota, piuttosto di usufruire
di un potere di intervento. Il T.u.f., invece, cerca di rafforzare
gli strumenti endosocietari di tutela e di intervento nella
gestione sociale. Non vi è contenuta alcuna definizione di
“minoranza”, però, di volta in volta, è lo stessa norma ad
indicare chi o quale percentuale di capitale sociale ha il
diritto di esercitare una qualche forma di intervento.
Nella sezione II della parte IV, si possono delimitare quattro
gruppi
5
. Il primo gruppo comprende le disposizioni che
prevedono una percentuale qualificata di capitale sociale per
l’esercizio di alcuni diritti di autotutela (artt. 125, 128, 129
T.u.f.). Il secondo, individua le disposizioni che riconoscono
diritti di autotutela al singolo azionista a prescindere dal
numero di azioni, delle quali risulta titolare (artt. 127, 130,
131 T.u.f.). Il terzo, indica forme di tutela per l’investimento
dei soci, a prescindere che si tratti di soci che partecipano al
governo della società, o ne sono esclusi (artt. 132, 133
T.u.f.). Il quarto, individua i quorum costitutivi e deliberativi
dell’assemblea straordinaria (artt. 126, 134 T.u.f.).
Nel T.u.f. assistiamo, principalmente, ad un mutamento
strutturale, ad una evoluzione di norme già presenti in
massima parte nel Codice Civile. La disciplina dell’assemblea
straordinaria (art. 126 T.u.f.) è presente già negli artt. 2369
c.c. e seguenti, del Codice Civile. Il T.u.f. trasforma in
costitutivi i quorum deliberativi indicati nel Codice Civile
(50% più uno, in prima convocazione; 33.33% più uno, in
5
A. P. MASSAMORMILE, Minoranze e autonomia statutaria, in Riv. Soc., Milano, 2001,
marzo/giugno, pag. 613.
seconda; 20% più uno, in terza convocazione), ed individua
un unico quorum deliberativo per ogni tipo di convocazione (i
due terzi di capitale presenti in assemblea). In questo modo,
essendo rapportati al capitale presente, i quorum varieranno
in funzione della minore o maggiore partecipazione dei soci
alla riunione assembleare. Analizzando tale articolo, si può
parlare di “normativa premiale”
6
, perché si nota che il
maggiore grado di tutela è correlato al sacrificio,
corrispondente, di attivarsi intensamente da parte delle
minoranze, non sempre disposte a mobilitarsi e ad intervenire
nelle assemblee. In queste ultime, se gli azionisti partecipano
in misura nettamente eccedente rispetto ai quorum minimali
indicati, si può esercitare un maggiore potere di
condizionamento rispetto alla maggioranza. Al contrario, se
vanno deserte, le “maggioranze” sono altamente
avvantaggiate. Tipica arma a doppio taglio. Se i soci
perseverano sulla strada dell’assenteismo, i gruppi di
comando saranno favoriti. Invece, se iniziano a frequentare
direttamente e/o indirettamente le assemblee, la regola del
quorum deliberativo dei due terzi del capitale presente,
favorirà il diritto di voice o, per lo meno, il confronto
ragionato e “concertato”.
Il T.u.f. eleva, quindi, il peso delle minoranze in misura
direttamente proporzionale al tasso di partecipazione dei soci
alla vicenda assembleare. Più alta è la partecipazione, più alta
è la quota di voti favorevoli necessaria per deliberare e più
6
P. MONTALENTI, Corporate governance: la tutela delle minoranze nella riforma delle
società quotate, in Giur. Comm., 1998, pag. 329/I.
intenso il potere di interdizione da parte delle minoranze.
Altra interessante novità, è la facoltà di inserire nello Statuto
un quorum maggiore per la assemblea di terza convocazione.
Tale possibilità è estendibile, sia sotto un profilo letterale, sia
sotto un profilo sistematico, anche alle altre due convocazioni
precedenti, in linea con la “ratio” generale del T.u.f. di
rafforzare il “peso” delle minoranze azionarie
7
. Inoltre, si
deve tenere presente che, parlando di poteri e di diritti di
tutela, si fa riferimento ad azioni con diritto di voto.
Tali quorum sono da applicarsi anche alle deliberazioni di
aumento di capitale, riservato in sottoscrizione ai dipendenti
della società emittente, o di società che la controllano o ne
sono controllate, e che ne escludono il diritto di opzione, a
condizione che l’aumento non ecceda l’uno per cento del
capitale sociale (art. 134 T.u.f.).
Anche la disciplina di convocazione dell’assemblea (art. 125
T.u.f.) subisce importanti cambiamenti. La percentuale di
capitale sociale è ridotta al dieci per cento, ed è indicato un
termine temporale agli amministratori per decidere (entro
trenta giorni). I soci devono indicare gli argomenti da trattare
e gli amministratori possono non convocare l’assemblea
“nell’interesse della società”.
Nel T.u.f., l’amministratore ha una più ampia discrezionalità,
rispetto alla norma del Codice Civile. La relazione con
“l’interesse della società”, come parametro di riferimento,
estende il potere dell’amministratore di rifiutare la
7
ASSONIME, La tutela delle minoranze nel T.u.f., Circolare n. 33/2000, in Riv. Soc., n° 2,
pag. 316/I, Milano, 2000.
convocazione, oltre ai casi di illiceità, impossibilità od
estraneità alla competenza assembleare, anche per un
semplice nocumento all’immagine della società, oppure alla
immotivazione della domanda, o alla sua reiterazione. Ad
equilibrare ciò, vi è sempre la possibilità di rivolgersi al
Tribunale. Se, poi, la richiesta proviene da almeno il venti per
cento del capitale sociale, si applica il Codice Civile e il
consiglio di amministrazione non potrà intervenire per
respingere la richiesta.
Si può, altresì, dubitare dell’efficacia di tale norma in ragione
delle difficoltà che ha la minoranza ad ottenere una
convocazione di assemblea con autonomo O.d.G. (ordine del
giorno), sia per il potere degli amministratori di decidere
“sull’interesse per la società”, sia per le percentuali
richieste
8
. La complessità di riunire un elevato numero di soci
è dovuta al disinteresse stesso alla gestione da parte dei
piccoli soci investitori, al loro assenteismo, alla
consapevolezza dell’impossibilità di incidere realmente sulla
formazione della volontà sociale con la loro presenza in
assemblea.
L’articolo 128 del T.u.f. abbassa le soglie indicate dal Codice
Civile per la denuncia al collegio sindacale e al Tribunale,
permettendo, inoltre, anche l’autonomia statutaria di ridurle
ulteriormente. L’articolo 129 del T.u.f. modifica il Codice
Civile per quanto riguarda l’azione sociale di responsabilità
contro gli amministratori.
8
ASSONIME, op. ult. cit., vedasi nota precedente.
L’azione, lasciata alla sola “maggioranza”, nel Codice Civile
(art. 2393 c.c.), è inopportuna (tale norma è ancora valida per
le società non quotate). Quest’ultima, non avrebbe mai
causato una denigrazione della propria immagine, accusando
un consiglio da essa stessa nominato. Le sole volte che
capitava, erano in occasione del fallimento della società
stessa, o in occasione di un mutamento di maggioranza (con
lo scopo, in quest’ultimo caso, di colpire la passata gestione).
L’individuare, sia una certa percentuale che una permanenza
di possesso, è legato allo scopo di evitare azioni
opportunistiche di speculatori di breve periodo, disinteressati
alla gestione della società. La società è chiamata in giudizio e
può anche transigere o rinunziare ad agire, se vi è l’assenso di
una quota prestabilita di capitale sociale (20%, nel Codice
Civile; 5%, nel T.u.f). Il T.u.f., invece, dà maggiori poteri
alle minoranze qualificate e stabili (cinque per cento del
capitale detenuto da almeno sei mesi).
Anche in tale articolo è consentita l’autonomia statutaria di
riduzione dell’aliquota partecipativa prevista. Vi è, però, una
contraddizione: tale opportunità è relativa alla sola aliquota
di proposizione dell’azione, e non alla percentuale necessaria
per impedire che la società rinunci ad intervenire. Ciò
provoca un bel problema. Qualora si riducesse la quota
necessaria per l’azione di responsabilità, in caso di rinuncia
da parte della società, la “minoranza”, che aveva agito deve
cercare ulteriori soci per contrastare la società stessa.
Analizzando, attentamente, l’articolo 125 del T.u.f., si nota
che è più difficile ottenere una convocazione dell’assemblea,
che non intraprendere l’azione sociale di responsabilità
9
.
Questo perché la convocazione, anche se costa meno ed
impegna poco i soci di minoranza, impatta sulla società
stessa, in termini di impegno organizzativo, di spesa e di
rischio per l’imprevedibilità, che una assemblea può
comportare. Si spiega, così, l’indicazione di un quorum
elevato non raggiungibile certo dalla minoranza “minima”,
perché priva di occasioni di incontro, mezzi, volontà e
capacità professionali, ma, sicuramente, alla portata degli
investitori istituzionali, o di chi detiene pacchetti azionari
rilevanti. La convocazione dell’assemblea diviene, perciò, un
segnale di ostilità da parte di un gruppo di azionisti che può
mirare a contendere il controllo con la maggioranza, o un
monito agli amministratori, affinché cambino qualcosa, se
non vogliono correre il rischio di perdere un importante
sostegno finanziario, e vedere precipitare la quotazione dei
titoli. Il fantasma della contendibilità del controllo dovrebbe
imprimere una sterzata all’azione della “maggioranza”,
producendo effetti benefici per entrambi i soggetti coinvolti.
Dell’articolo 127 del T.u.f., che prevede il voto per
corrispondenza, se indicato nello Statuto, parlerò più
diffusamente in un secondo momento.
Oltre ad articoli che fanno riferimento a determinate
percentuali, vi sono norme che riconoscono diritti
all’azionista, in quanto tale, prescindendo dall’entità della
sua partecipazione.
9
ASSONIME, op. ult. cit., vedasi nota n° 7.
L’articolo 130 del T.u.f. ne è un esempio, perché consente al
socio, a proprie spese, di prendere copia dei documenti
depositati presso la sede, per assemblee già convocate. Oltre
al fatto che i costi possono frustrare tali iniziative, queste
ultime si dimostrano più a vantaggio di investitori
professionali, ai quali serve preventivamente conoscere ogni
cosa per valutare, in via extra assembleare, il comportamento
più opportuno da tenersi.
Altra possibilità del singolo azionista è il recesso, in caso di
fusione o di scissione, che comporti l’assegnazione di azioni
in società non quotate (art. 131 T.u.f.), ampliando i casi già
elencati nel Codice Civile (cambiamento dell’oggetto o del
tipo della società, trasferimento della sede sociale all’estero).
Poi, vi è l’articolo 132 del T.u.f., che indica le modalità di
acquisto delle azioni proprie, e del quale parlerò in seguito.
Vi è, infine, l’articolo 133 del T.u.f., che, come il precedente,
dà una garanzia a tutti i soci, in quanto “investitori”,
assicurando, in caso di de-listing, che la società ottenga, o
abbia già ottenuto, l’ammissione in un altro mercato
regolamentato, che mostri le medesime caratteristiche di
tutela. Norma che, assicurando la concorrenza tra i mercati e
la possibilità alle società di scegliere chi offre i servizi
migliori, concede un notevole vantaggio anche allo stesso
investitore, che gode di una sempre continua efficienza ed
efficacia del mercato stesso.
Le associazioni degli azionisti (art. 141 T.u.f.), con la
raccolta delle deleghe all’interno della sola associazione, e la
possibilità del voto divergente, agevolano, per così dire, la
partecipazione dei “piccoli” azionisti alle assemblee, ed
ostacolano la tendenza all’assenteismo. E’ una forma di tutela
“diretta” dei loro interessi ed un modo di partecipazione, nei
limiti del realizzabile, al governo della società quotata. Il
collegio sindacale (art. 148 T.u.f.), dal canto suo, deve essere
composto da almeno tre membri, oppure cinque, se così
prospettato nello Statuto. Nel primo caso, uno solo è di
designazione delle minoranze, mentre, nel secondo caso, ben
due elementi sono espressione delle minoranze. Se si
considerano, inoltre, i nuovi poteri e diritti di tali persone, sia
singolarmente presi, sia nel numero di due, si comprende il
notevole ruolo di “monitoraggio”, che assumono i sindaci,
grazie al T.u.f..
Molto importante risulta essere la questione delle
“minoranze”, perché, da un lato, la “subordinazione” delle
stesse alle decisioni della “maggioranza”, è il “costo”
necessario per un efficiente funzionamento di ogni
organizzazione collettiva, specie se si tratta di società di
grande dimensione o ad azionariato diffuso, caratterizzate,
spesso, dal fenomeno di separazione tra la proprietà ed il
controllo, e/o dall’assenteismo degli azionisti risparmiatori.
Dall’altro canto, però, l’eccessiva compressione dei diritti
patrimoniali e corporativi produce una gestione meno
efficiente e disincentivante l’investimento stesso del
risparmio
10
.
10
P. MONTALENTI, op. ult. cit., vedasi nota n° 6.
La “tutela delle minoranze” è, quindi, la ricerca di un punto
di equilibrio tra possibilità di governare e protezione di chi
dal governo è escluso, tra stabilità ed efficacia dell’agire del
gruppo di controllo e garanzie per chi investe capitale di
rischio, senza salire sul ponte di comando
11
. Essendo
necessario potenziare il mercato e gli scambi, occorreva
massimizzare il flusso di capitale di rischio verso le imprese.
La “tutela delle minoranze” è una tutela della possibilità degli
imprenditori stessi, se onesti, di reperire enormi quantità di
capitale di rischio
12
. Modo migliore per incentivare il
“rischio” era quello di compensarlo ed equilibrarlo con una
maggiore “tutela” riservata agli azionisti. Tutela che, il
decreto legislativo n° 58 del 1998, ha “innalzato”, sia tramite
la via di tipo imperativo, sottoponendo i vari istituti alla
legge, sia lasciando una certa autonomia di deroga alle
specifiche regole.
C’è da augurarsi
13
che i diritti delle minoranze non rimangano
“lettera morta”, ma si intensifichino sempre più e divengano
uno stimolo per una gestione sempre più trasparente ed
efficiente delle imprese.
11
P. MONTALENTI, op. ult. cit., vedasi nota n° 6.
12
L. STANGHELLINI, Le azioni di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci, in
sito Internet Magistra.it, 2000.
13
A. MAZZONI, Gli azionisti di minoranza nella riforma delle società
quotate, in Giur. Comm., 1998, pag. 485/I.