INTRODUZIONE – La Tutela delle Minoranze e gli Investitori Istituzionali
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sia contabile che proprietaria, l’introduzione di discipline in materia di offerte
pubbliche, di insider trading, di privatizzazioni. Tutte volte, almeno
indirettamente, alla tutela del socio investitore o risparmiatore, e quindi, come
tale, di minoranza.
In questo contesto si inserisce il d.lgs. 58 del 24 febbraio del 1998,
che sintetizza in un unico corpo normativo gli istituti principali alla base del
sistema finanziario italiano, in virtù della legge delega n.52 del 6 febbraio
1996 volta a migliorare proprio la tutela del risparmio e dell’azionista di
minoranza. Peraltro, per le società che fanno appello al pubblico risparmio
(tale categoria quasi coincide con quella delle società quotate nei mercati
regolamentati) la disciplina tradizionale offerta dal diritto societario comune si
coniuga a quella del mercato mobiliare, la quale tende a proporre, più che una
distinzione tra azionisti di minoranza e di maggioranza, quella fra azionisti
imprenditori e azionisti risparmiatori, prescrivendo una serie di obblighi in
capo ai primi e speciali tutele per i secondi.
Il diritto del mercato mobiliare, e quindi delle società che vi
operano, sposta la tutela dal diritto soggettivo all’investimento, privilegiando
quindi la considerazione del contenuto economico della partecipazione
societaria, ferma restando la difficoltà di dissociare del tutto la tutela del socio
partecipante da quella del socio investitore. Inoltre non è più possibile (o
adeguato) parlare di minoranza come contrapposta ad una maggioranza, in
quanto vi è una tipologia differente di minoranze, che richiedono forme
diverse di tutela in relazione alla loro forza contrattuale e ai loro scopi.
E’ in questo contesto di qualificazione e tutela delle minoranze che
si inserisce il ruolo degli investitori istituzionali, visti ora sotto una luce
diversa rispetto a quella con cui erano stati considerati fino a ieri, anche in
INTRODUZIONE – La Tutela delle Minoranze e gli Investitori Istituzionali
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virtù delle esperienze di altri ordinamenti che hanno trovato negli investitori
istituzionali la figura equilibratrice del sistema di governo societario. La
maggiore considerazione di cui essi godono può essere evidenziata proprio
dall’analisi del Testo Unico della Finanza, laddove le norme sulla tutela delle
minoranze possono essere osservate con una chiave di lettura particolare: la
possibilità di evidenziare una volontà del legislatore di incentivare il piccolo
risparmiatore non tanto alla gestione autonoma del proprio risparmio, quanto
piuttosto all’adesione ai prodotti e ai servizi di investitori istituzionali
attraverso i quali viene garantita al risparmiatore stesso una migliore gestione
dei titoli e soprattutto maggiori possibilità di esercitare particolari diritti
riconosciuti dal TUF alle minoranze qualificate di azionisti.
L’inserimento degli investitori istituzionali all’interno del contesto
societario, oltre che dalla forza derivante dalla fiducia dei risparmiatori,
dipende dai meccanismi di corporate governance, cioè di equilibrio tra gli
attori della vita societaria; tale aspetto non è stato però affrontato in modo
deciso dal legislatore, nonostante, a livello internazionale, se ne sia
riconosciuta l’imprescindibilità per un corretto funzionamento delle società
quotate.
Pur non avendo il legislatore affrontato in modo diretto il fenomeno
del corporate governance, è comunque possibile trovare nel TUF degli
elementi chiaramente finalizzati ad equilibrare i rapporti tra le forze societarie,
secondo meccanismi tipici di altri ordinamenti. Ciò non vuol dire che il
legislatore abbia operato una semplice trasposizione dai codici esteri al TUF,
ma è evidente come abbia cercato, con opportuni adattamenti e nel rispetto
delle tradizioni, di applicare anche nel nostro diritto societario delle regole che
in altri mercati hanno fatto registrare dei buoni risultati.
INTRODUZIONE – La Tutela delle Minoranze e gli Investitori Istituzionali
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La tesi partirà quindi da una analisi del corporate governance,
cercando di individuare nei singoli ordinamenti esteri presi in considerazione,
gli aspetti recuperati dal legislatore italiano e quelli che, pur non essendo stati
ritenuti rilevanti, potrebbero invece avere effetti positivi se applicati anche in
Italia. Successivamente, verrà presa in considerazione una particolare
categoria di soggetti all’interno della società: gli azionisti di minoranza.
Nell’ambito del governo societario il TUF ha riconosciuto loro una serie di
prerogative che modificano il corporate governance rispetto alla tradizione
precedente, ed è quindi opportuno analizzare i principali strumenti messi a
disposizione delle minoranze.
Avendo opportunamente deciso di espandere lo studio oltre i
confini nazionali, il terzo capitolo porterà ad un confronto tra gli strumenti di
tutela delle minoranze nel TUF e i meccanismi predisposti per regolare lo
stesso fenomeno negli altri ordinamenti; ciò al fine di evidenziare le differenze
ma anche i collegamenti che un particolare assetto normativo può avere con
differenti meccanismi di rapporti tra componenti societari.
Successivamente si analizzerà in modo più particolareggiato la
figura dell’investitore istituzionale, che come precedentemente detto, potrebbe
essere considerato l’elemento chiave nel governo societario, qualora il mercato
ne consentisse la reale affermazione e qualora le norme sulla tutela delle
minoranze portassero veramente i singoli investimenti dei piccoli risparmiatori
nei portafogli di tali categorie di investitori. Pertanto, verrà illustrata in linee
generali la situazione degli investitori istituzionali nel mercato finanziario
italiano (ancora una volta operando un confronto con le esperienze di altri
stati), e si cercherà di individuare sia le norme del TUF che effettivamente
favoriscono tali investitori, sia gli elementi del contesto italiano che di fatto
INTRODUZIONE – La Tutela delle Minoranze e gli Investitori Istituzionali
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non consentono il pieno dispiegarsi di tali effetti benefici, oltre ovviamente,
all’analisi di quei settori in cui (se veramente questa è stata la volontà del
legislatore) il TUF ha realmente favorito gli investitori istituzionali.
La caratteristica principale di questo studio è quella di affrontare il
tema in modo trasversale, senza rimanere confinato solo sul piano giuridico o
solo su quello economico, cercando di operare dei collegamenti tra le leggi e il
loro impatto economico.
L’obiettivo è innanzitutto quello di verificare la fondatezza delle
teorie secondo le quali nella disciplina della tutela delle minoranze ci sia un
forte incentivo al ricorso agli investitori istituzionali; poi c’è quello di capire
quanto tali norme abbiano effettivamente influito sugli investitori istituzionali,
e quanto, nel contesto italiano, gli investitori istituzionali possano essere in
grado di influire sul governo societario.
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
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Capitolo I
Il Corporate Governance
1.Premessa. – 2.Corporate governance in Italia. – 3.L’esperienza del Regno
Unito. – 4.(segue): il Cadbury Report. – 5.(segue): il Greenbury Report. –
6.(segue) il Rapporto Hampel. – 7.Il dibattito in Francia. – 8.(segue): il
Rapporto Vienot. – 9.(segue): il Rapporto Marini. – 10.Corporate governance
in Germania. – 11.(segue): origini e prospettive del dibattito. – 12.Studio
OCSE sul corporate governance. 13.Punti comuni.
APPENDICE: 1.Principi OECD per il corporate governance.
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
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1.Premessa. - Corporate governance tradotto letteralmente
significa Governo societario. Tuttavia tale espressione è ormai correntemente
utilizzata nel linguaggio giuridico (e non solo) in un’accezione ben più ampia
del suo significato letterale; con essa infatti si fa riferimento al sistema di
direzione e controllo delle aziende1 e cioè a quell’insieme di istituzioni e di
regole, giuridiche e tecniche, finalizzate alla realizzazione di un governo
dell'impresa che sia, non solo efficace ed efficiente, ma anche corretto, ai fini
della tutela degli azionisti (anche quelli di minoranza, i c.d. sleeping partners)
e di tutti i soggetti interessati alla vita dell’impresa (c.d. stakeholders)2.
Ai fini del corporate governance, quindi, assume rilevanza sia la
gestione dell'impresa affidata all'attività degli amministratori, sia il controllo
della amministrazione.
E’ evidente inoltre che il nuovo impiego della formula corporate
governance non è finalizzato ad esprimere un concetto nuovo, ma piuttosto a
qualificare con una comune denominazione, quasi a volerle etichettare, tutte le
componenti che concorrono a determinare il governo societario, facendo però
riferimento ad una specifica prospettiva di analisi della società per azioni:
quella che considera la società stessa nel contesto dei molteplici rapporti ed
interessi che gravitano intorno ad essa.
In un’accezione più ampia, il termine corporate governance
contraddistingue anche il movimento di pensiero, e il dibattito che riguarda
l’intera struttura dell’attività economica del Paese o, meglio, la struttura del
mercato.
Si tratta di un dibattito critico e propositivo; esso, infatti, ha origine
1
Il Cadbury Report definisce il Corporate governance come "il sistema attraverso cui le società sono
amministrate e controllate" (paragraph 2.5).
2
Vedi P.G. JAEGER e P. MARCHETTI, Corporate governance, in Giur.Comm., 1997, I, p.625.
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
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quale critica del sistema previgente, procede ad individuare gli elementi ed i
comportamenti non idonei al suo buon funzionamento, sino a pervenire alla
definizione dei rimedi più opportuni, o, meglio, delle regole da adottare a
fronte dei difetti riscontrati.
Più specificamente, nell’analisi delle regole afferenti il controllo
risulta coinvolto l’intero sistema di garanzie offerte agli attori interessati
all’esistenza ed al permanere delle imprese; dal loro corretto operare, pertanto,
deriva la certezza dei rapporti sul mercato ed il rispetto dei principi generali
che ispirano l’intera economia.
Si è anche parlato metaforicamente di un effetto–domino, per il
quale la disamina delle regole sui controlli, dunque sull’organizzazione
societaria, richiama quella dei meccanismi di allocazione ottimale del
controllo nelle società aperte al pubblico, rinviando a sua volta alle regole di
funzionamento del market for corporate control (c.d. mercato del controllo) e,
quindi, a più generali questioni di politica economica, se non di politica tout
court, che investono la struttura e l’articolazione dei mercati finanziari e, da un
punto di vista strettamente giuridico, i principi generali dell’ordinamento3.
Di qui l’utilizzo del termine corporate governance per indicare le
modalità con cui si accede all’attività d’impresa e con cui le imprese sono
gestite, gli strumenti attraverso i quali vengono risolti i conflitti di interesse tra
i vari partecipanti al processo produttivo e tutelati produttori e finanziatori, i
canali di crescita delle imprese, ossia, in sintesi, un articolato insieme di
meccanismi di mercato, istituzionali e normativi.
Nei paragrafi che seguono, oltre a descrivere il fenomeno del
corporate governance e a illustrare gli elementi essenziali che intorno ad esso
3
Vedi L.A.BIANCHI, Corporate governance: considerazioni introduttive, in Riv.Soc., 1996, p.407.
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
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si sono sviluppati, si cercherà principalmente di evidenziare gli aspetti
riguardanti gli azionisti di minoranza e gli investitori istituzionali.
2.Corporate governance in Italia. - In Italia non è, fino ad oggi,
esistito un organico sistema normativo-operativo di corporate governance, pur
essendoci una pluralità di disposizioni sparse (nel diritto societario, nella
disciplina relativa ai bilanci, nelle prescrizioni di tecnica aziendale, nelle
Raccomandazioni Consob,...) che incidono in modi diversi sul sistema di
governo delle imprese.
C’è però da rilevare che, di recente, tali problematiche sono state
oggetto di crescente interesse anche nel nostro Paese. Innanzitutto il verificarsi
di gravi e diffusi fenomeni di patologia di impresa (da crisi produttive e/o
finanziarie, a richieste di commissariamento, a vicende giudiziarie che hanno
coinvolto gli amministratori di alcune tra le maggiori società italiane),
fenomeni ai quali hanno troppo spesso concorso sistemi di controllo e, più in
generale, sistemi di governo aziendale inefficienti ed inefficaci4.
D’altra parte la crescente globalizzazione dei mercati, la maggiore
libertà o totale liberalizzazione nella circolazione dei capitali, la sempre più
istantanea ed intensa comunicazione/comunicabilità tra mercati, le
privatizzazioni5, la attuazione degli accordi di liberalizzazione nella
prestazione dei servizi finanziari, opera della WTO, che renderanno l’industria
finanziaria il primo settore privo di barriere protezionistiche al livello
mondiale, hanno determinato lo svilupparsi di una vera e propria concorrenza
4
Vedi P. MARCHETTI, Corporate governance e disciplina societaria vigente, in Riv.Soc., 1996, pp. 418ss.
5
Per maggiori approfondimenti sul tema vedi M. CALDERONI, Per Ciampi e Prodi il Testo Unico approvato
ieri collocherà l’Italia all’avanguardia nel continente… , in Il Sole 24 Ore del 21.02.1998; D. PREITE, Investitori
istituzionali e riforma del diritto delle società per azioni, in Marchetti (a cura di), Le privatizzazioni in Italia.
Saggi, leggi e documenti, Milano, 1995, p.255ss.
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
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normativa tra i diversi ordinamenti nazionali6. Infatti i flussi di capitali resi
disponibili dal mercato globale si orienteranno verso quei Paesi che saranno in
grado di creare, attraverso un’efficace normativa, sistemi di mercato e di
relazioni societarie sufficientemente attraenti, alimentando così il flusso delle
risorse finanziarie indirizzato al proprio sistema produttivo.
Si parla infine di un processo di finanziarizzazione dell’economia,
nel senso che il canale del finanziamento bancario starebbe diventando sempre
meno utilizzabile, in termini di convenienza e di facilità di accesso, rispetto al
mercato finanziario, per cui la disciplina societaria dovrebbe porsi l’obbiettivo
di agevolare l’accesso delle imprese al mercato.
Di qui la crescente attualità e criticità del dibattito sul corporate
governance. Già nel 1995 la Consob, nella sua relazione annuale, ha rilevato
l’esigenza di una riforma in grado di incidere sul governo delle imprese e sul
loro controllo dall’interno, e sufficientemente organica, ossia rivolta all’intero
sistema di governo societario, piuttosto che a suoi singoli aspetti, considerati
isolatamente.
E’ stata perciò istituita presso il Ministero del Tesoro un’apposita
Commissione, presieduta dal Direttore Generale, prof. Mario Draghi, la quale
ha predisposto il testo del decreto legislativo previsto dalla legge-delega7.
Appare senz’altro opportuna la scelta di trattare contestualmente le
norme su intermediari e mercati finanziari e quelle relative al governo
societario: la qualità dei sistemi di governance adottati dalle imprese è infatti
un importante elemento di competitività nei mercati finanziari, in quanto da
essa scaturisce una significativa quota di valore, incorporata nei prodotti
6
Vedi G. GRAZIANO, “Corporate governance”: modelli internazionali e linee guida per l’Italia, in Soc., 1996,
pp. 141ss.
7
Vedi P. MARCHETTI, Osservazione sui profili societari della bozza di T.U. dei mercati finanziari, in Riv.Soc.,
1998, p.105.
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
15
finanziari emessi dalle imprese stesse.
La predisposizione di un adeguato sistema di norme per il governo
delle imprese quindi, oltre a rappresentare una risposta decisa ai fenomeni di
patologia di impresa di cui si è detto, vuole contribuire in modo incisivo alla
crescita degli scambi delle azioni e degli altri strumenti finanziari e creditizi,
ed innescare un circolo virtuoso, che renda più attraente per le imprese la
quotazione nei mercati regolamentati8.
Il testo Draghi appare perfettamente in linea con tale impostazione;
il suo filo conduttore è infatti la centralità del mercato dei capitali di rischio e
la convinzione che sia ormai indispensabile consentire o, meglio, promuovere,
il ricorso delle imprese ad esso. Nell’opera di creazione ed ammodernamento
normativo che ne consegue è indispensabile garantire a coloro che investono,
la disponibilità di informazioni ampie ed esaustive (trasparenza) e la
correttezza ed efficienza della gestione delle società emittenti titoli (obiettivo
raggiungibile innanzitutto attraverso un adeguato sistema di controlli); tutela
del risparmio e tutela degli azionisti di minoranza, i due criteri guida indicati
dalla legge-delega del decreto Draghi, significano proprio perseguimento dei
suddetti obiettivi.
Rilevata la centralità del ruolo del mercato nelle scelte di
investimento e la necessità di predisporre una normativa in grado di assicurare
un efficiente sistema di controlli alle società emittenti ed un’ampia
informazione al mercato9, si è scelto di non adottare modelli specifici mutuati
da altri Paesi, in quanto ciò avrebbe significato importare organi e strutture
societarie totalmente estranee alla tradizione giuridica del nostro ordinamento.
8
Vedi D. SINISCALCO, Una riforma con lo scopo di far crescere il mercato, in Il Sole 24 Ore del 12.06.1997.
9
Vedi R. SABBATINI, Sulla riforma Draghi l’Authority dà la parola ai mercati, in Il Sole 24 Ore del
06.05.1998.
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
16
Una lettura anche superficiale dei sistemi di corporate governance
adottati nei Paesi oggi più industrializzati, ci segnala infatti con immediatezza
che ognuno di essi ha assunto caratteristiche specifiche, risultato delle
sedimentazioni storiche, dei contesti istituzionali-regolamentari e della
struttura dei mercati finanziari propri dei singoli Paesi10.
D’altra parte però dall’analisi dei diversi ordinamenti si rileva
anche che, pur essendo diverse le strutture societarie adottate, e, quindi, gli
organi responsabili del governo aziendale, risultano fondamentalmente
analoghe le funzioni cui tali strutture sono destinate, essendo comuni le
esigenze da soddisfare.
Non è però né utile, né forse possibile procedere ad un allineamento
dell’ordinamento nazionale rispetto a quello di altri Paesi considerati più
evoluti sul piano del corporate governance (ed in quest’ultimo senso rileva il
caso della V Direttiva CEE, finalizzata all’armonizzazione del diritto
societario nei Paesi membri, con particolare riferimento al tema dei poteri e
delle responsabilità dei consigli di amministrazione, tuttora in sospeso).
Dal momento che le esigenze da soddisfare e, conseguentemente, le
funzioni da svolgere sono sempre le stesse, sarà invece possibile individuare
dei principi e delle regole o norme tecniche di comportamento di valenza
generale, ossia recepibili in qualsiasi ordinamento societario, e vigilare
efficacemente sul rispetto delle stesse per ottenere un buon corporate
governance11. Inoltre i vari studi sul corporate governance generalmente
concordano sul fatto che tali regole non devono necessariamente avere la
forma di legge, ma è invece opportuno stabilire come norme vincolanti
10
Vedi J. FRANKS e C. MAYER, Capital markets and corporate control: a study of France, Germany and the
UK, in Ec.Policy, 1990, pp.191ss.
11
Vedi F. COLOMBO, L’Europa alla ricerca di regole condivise, in Imp., 1995, II, pp.30ss.
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
17
soltanto i principi generali e lasciare agli Enti di categoria il compito di
determinare le norme attuative 12. Tale sistema consente notevoli vantaggi,
perché le norme di comportamento attuative risultano più flessibili ed
adattabili nel tempo (al variare delle esigenze), e nello spazio (di settore in
settore, di caso in caso). In tale prospettiva si è rilevata anche la necessità di
lasciare ampio spazio alla libertà statutaria13. Recependo in modo pregevole le
suddette valutazioni, la riforma Draghi, non solo, come già anticipato, non ha
cercato di trasferire nell’ordinamento societario italiano modelli stranieri, ma
ha avviato un processo di delegificazione in materia di corporate governance,
riservando alla legge soltanto la determinazione dei principi, la disciplina delle
regole più rilevanti e l’allocazione dei poteri e lasciando ampi spazi
all’autonomia statutaria.
In tal modo le imprese potranno personalizzare il proprio modello
di governance in base alle proprie specifiche caratteristiche ed esigenze,
mentre sarà poi il mercato ad individuare, premiandoli attraverso la dinamica
degli investimenti, i modelli e gli strumenti più efficienti, efficaci e tutelanti.
Lo stesso Draghi14 ha segnalato l’ampio spazio lasciato dal Testo
Unico italiano all’autoregolamentazione e quindi anche ai "codici di
12
Tale impostazione è quella accolta dal sistema anglosassone e dalla giurisprudenza comunitaria. Anche in Italia
la coesistenza di modelli di proprietà e di controllo piuttosto eterogenei, suggerisce l’opportunità di non
introdurre norme cogenti di corporate governance (che mal si adatterebbero a tale realtà); l’allora ministro C.A.
Ciampi ha indicato la strada della libertà statutaria , come l’unica percorribile nell’attuazione della riforma della
corporate governance in Italia.
Per maggiori approfondimenti si veda anche L. CAPRIO, Autoregolamentazione, informativa e tutela delle
minoranze: profili economici, in Assogestioni, Quaderni di documentazione e ricerca n.14, Roma, 1996, pp.77
ss.; D. SINISCALCO, La libertà di governance, in Il Sole 24 Ore del 20.08.1997; M. CALDERONI, Draghi:
<<Con la nostra riforma la Borsa sarà più competitiva>>, in Il Sole 24 Ore del 27.08.1997.
13
Vedi R. SABBATINI, Draghi: adesso la riforma passa dai nuovi statuti, in Il Sole 24 Ore del 18.03.1998;
G.B. BISOGNI, Autonomia ed eteronomia nella disciplina dei rapporti associativi della publicy held
corporation, in Riv.Soc., 1997, p.649ss; M. JENSEN e W. MECKLING, Theory of the firm: managerial
behaviour, agency costs and ownership structure, in Jour.Fin.Ec., 1976, p.305ss.
14
Vedi G. CUNEO, Corporate, attenzione agli errori, in Il Sole 24 Ore del 04.03.1998.
Per maggiori approfondimenti sul tema vedi M. DRAGHI nel discorso inviato al Convegno organizzato
dall’Università Cattolica di Milano il 17 marzo 1998.
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
18
autodisciplina promossi dalle associazioni di categoria o dalle società di
gestione dei mercati, ove le società sono quotate", sostenendo inoltre che se le
società seguiranno il percorso virtuoso loro indicato potranno essere evitati i
costi di una regolamentazione pubblica, "che mortificherebbero l’autonomia
privata e penalizzerebbero l’offerta di investimento"; se invece le nuove
opportunità non verranno colte, sarà inevitabile il ricorso alla legge "per
prevenire disfunzioni e comportamenti opportunistici in grado di minare le
basi dello sviluppo del mercato."15
3.L’esperienza del Regno Unito. - Il Regno Unito è probabilmente
il Paese che ha contribuito in modo più significativo alla definizione del
suddetto tipo di approccio alla tematica del corporate governance ed alla
individuazione di quei principi generali e di quelle regole di comportamento
che sono in buona parte contenute anche nel testo Draghi.
In tale Paese, infatti, l’esigenza di ristrutturare il sistema di
corporate governance delle società ha portato alla costituzione di autorevoli
commissioni di studio che ne hanno esaminato aspetti specifici16: nomina,
composizione, compiti e funzionamento del CdA; responsabilità del CdA
nell’informativa societaria e ruolo dei revisori dei conti; remunerazione degli
amministratori; ruolo degli azionisti; ruolo degli auditors.
Alla base di tali iniziative risiede la preoccupazione per il
progressivo ridursi della fiducia riposta dagli operatori e dagli investitori
nell’attendibilità delle informazioni societarie offerte ai mercati e
15
Vedi M. DRAGHI nel discorso inviato al Convegno organizzato dall’Università Cattolica di Milano il 17
marzo 1998.
16
Si tratta degli aspetti sui quali la cronaca più recente ha richiamato l’attenzione, segnalandoli come aspetti
"critici"per il buon funzionamento delle società e per la tutela degli investitori .
CAPITOLO I – Il Corporate Governance
19
nell’efficacia dei meccanismi di controllo sia interni alle società (in primis il
consiglio di amministrazione) sia esterni ad esse (società di revisione),
fenomeno conseguente al verificarsi di improvvisi (ed imprevisti) episodi di
gravissimo dissesto finanziario di primarie società nazionali.
Perciò nel maggio 1991, è stata costituita la Commissione Cadbury,
su iniziativa dell’autorità di gestione del mercato azionario (London Stock
Exchange), dell’autorità di controllo sull’informazione societaria (Financial
Reporting Council), dell’associazione di categoria delle imprese industriali
(Confederation of British Industry) e dei professionisti della contabilità
societaria (Accountancy Profession).
A tale proposito, la presenza, tra i promotori della Commissione,
degli organi di gestione del mercato azionario e delle massime associazioni
imprenditoriali, è indicativa della convinzione che il corporate governance,
lungi dall’essere un fatto privato delle singole imprese, influenza direttamente
gli equilibri socio-economici e politico- istituzionali, ed i principali obiettivi di
politica economica.
I lavori della Commissione Cadbury (e delle altre che ad essa hanno
fatto seguito) sono stati guidati dall’idea che un buon sistema di corporate
governance è un requisito essenziale sia per lo sviluppo ed il corretto
funzionamento dei mercati finanziari, perché alimenta la fiducia degli
investitori, sia per la competitività e lo sviluppo dell’intera economia
nazionale, perché assicura l’efficienza delle imprese.