m), nel valore della solidarietà e negli strumenti della perequazione
finanziaria previsti nel riformulato art. 119, nonché nell’attribuzione di
poteri sostitutivi allo Stato, di cui all’art. 120, secondo co.
3
. Peraltro, è
venuto meno il controllo preventivo sulle leggi regionali.
Si è aperta una stagione di grande opportunità per le regioni,
attraverso la quale potrebbe anche approdarsi a una notevole
differenziazione dell’offerta sanitaria nelle diverse zone del Paese
4
.
I LIMITI ALLA DIFFERENZIAZIONE DELL’OFFERTA
SANITARIA DA PARTE DELLE REGIONI: IN PARTICOLARE,
IL LIMITE DEI PRINCIPI FONDAMENTALI E LA
DETERMINAZIONE DEI LIVELLI ESSENZIALI DELLE
PRESTAZIONI
Affinché si realizzi l’impostazione descritta dal legislatore della
riforma, non occorre attendere che lo Stato definisca i nuovi principi
fondamentali della materia. Peraltro, tale definizione appare ben lungi
dall’essere portata a compimento. Invero, ai sensi dell’art. 1, quarto
co. della legge 5 giugno 2003, n. 131, proprio per orientare l’iniziativa
legislativa dello Stato e delle regioni, il governo era stato delegato ad
adottare, entro un anno, uno o più decreti legislativi, meramente
3
Cfr., sulla rimodulazione, sia pure implicita, della nozione di interesse nazionale da
parte del legislatore della riforma, GAMBINO S., Prospettive e limiti del nuovo
welfare regionale-locale. Alcune riflessioni introduttive, in Federalismi. it –
Osservatorio sul Federalismo e i processi di governo, n. 11/2004, pagg. 1 ss.
4
Cfr. il Piano sanitario nazionale 2003 – 2005, pag. 9: “In sintesi, alla luce dei
cambiamenti politici e giuridici avvenuti e di quelli tuttora in corso, il presente
Piano sanitario nazionale 2003 – 2005 si configura come un documento di indirizzo
e di linea culturale, più che come un progetto che stabilisce tempi e metodi per il
conseguimento degli obiettivi, in quanto questi aspetti operativi rientrano nei poteri
specifici delle regioni, cui il presente Piano è diretto e con le quali è stato costruito”
ricognitivi dei principi che si traggono dalle leggi vigenti, nelle
materie previste dall’articolo 117, terzo co. Cost. Tutto ciò, si noti
bene, in attesa dell’entrata in vigore delle leggi con le quali il
parlamento definirà i nuovi principi fondamentali in parola. Il termine
entro cui esercitare la delega è stato prorogato. Tuttavia, ad oggi,
nessuna delle leggi delegate previste è stata adottata. Inoltre, la
disposizione di delega stessa ha costituito oggetto di giudizio di
legittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 76 Cost., nonché per
contrasto con l’art. 11, secondo co. l. cost. n. 3/01. Per quanto
concerne la violazione dell’art. 76 Cost., si è sostenuto che esso non
prevederebbe la possibilità di esercitare la delega a scopo meramente
ricognitivo, quindi non innovativo, insomma senza forza di legge. Con
riguardo alla violazione dell’art. 11 l. cost. n. 3/01, è stato ritenuto
come, proprio perché non di mera ricognizione si trattasse, bensì di
vera legiferazione, fosse disattesa la riserva formale circa tutti i
progetti di legge in materie di legislazione concorrente. Recentemente,
la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di
legittimità costituzionale
5
.
5
Cfr. Corte costituzionale 13 – 28 luglio 2004, n. 280. Per quanto concerne la
violazione dell’art. 76 Cost., la Corte osserva quanto segue: “La delega legislativa
in esame può ( … ) essere assimilata, date le reciproche implicazioni tra attività
ricognitiva e attività di coordinamento normativo, a quella di compilazione di testi
unici, piuttosto frequenti a partire dalla legge 15 marzo 1997, n. 59, per il
coordinamento e la semplificazione di una pluralità di disposizioni vigenti in una
determinata materia. La prassi parlamentare relativa a questo tipo di delega mostra
una certa indistinzione nell’uso dei termini ‘delega’ o ‘autorizzazione’ da parte
delle rispettive leggi di conferimento ed anche casi di leggi formalmente di delega,
caratterizzate dall’assenza o vaghezza dei principi direttivi, le quali, nonostante il
nomen e la formale attribuzione della forza di legge ai relativi decreti, in realtà
consentono al governo soltanto il coordinamento di disposizioni preesistenti”.
Osserva ancora la Corte: “Si tratta perciò di un quadro ricognitivo di principi già
esistenti ( … ) destinato ad agevolare, contribuendo al superamento di possibili
dubbi interpretativi, il legislatore regionale nella fase di predisposizione delle
proprie iniziative legislative, senza peraltro avere carattere vincolante e senza
comunque costituire di per sé un parametro di validità delle leggi regionali ( … )”.
Le regioni possono desumere direttamente i principi
fondamentali dalla legislazione vigente, distinguendoli dalle
disposizioni organizzative e procedurali non più cogenti e pertanto
superabili in sede di ridefinizione del proprio ordinamento
6
.
Con riguardo, poi, alla violazione dell’art. 11, secondo co. l. cost. n. 3/01,
inaspettatamente la Corte afferma quanto segue: “in determinate circostanze,
l’enunciazione di principi fondamentali relativi a singole materie di competenza
concorrente può anche costituire oggetto di un atto legislativo delegato senza
ledere attribuzioni regionali”
6
Cfr. Corte costituzionale 19 – 26 giugno 2002, n. 282: “( … ) nella fase della
transizione dal vecchio al nuovo sistema di riparto delle competenze, la
legislazione regionale concorrente dovrà svolgersi nel rispetto dei principi
fondamentali comunque risultanti dalla legislazione statale già in vigore”. Cfr., a
commento della citata sentenza, FORLENZA O., Definiti dai giudici della Corte
costituzionale i confini delle materie affidate alle regioni, in Guida al diritto, n.
38/2002, pagg. 88 ss.: “La possibilità di immediato esercizio da parte delle regioni
della potestà legislativa loro attribuita, senza attendere la previa definizione dei
principi fondamentali, sembra difficilmente negabile. ( … ) Affermata la possibilità
di immediato esercizio della potestà legislativa regionale, la Corte costituzionale
precisa ora che i principi fondamentali possono essere ricavati dalla legislazione
statale vigente, in tal modo attuandosi un’operazione non dissimile da quella già
compiuta con l’avvio del sistema regionale negli anni Settanta. ( … ) Il vero
problema è, semmai, rappresentato dall’identificazione dell’interprete e dei rimedi
predisposti per l’errata interpretazione. Infatti, nell’esperienza precedente, la
funzione interpretativa ‘unificatrice’, in ordine a quali fossero i principi
fondamentali, era attribuita in ultima istanza allo Stato, attraverso il controllo
preventivo di legittimità esercitato sulle leggi regionali. Con il sistema delineato
dalla revisione di cui alla legge 3/2001, è ogni singola regione ( salvo auspicabili
attività di coordinamento ) titolare del potere di interpretazione dei suddetti principi
fondamentali e, qualora tale operazione interpretativa non convinca, ciò non
impedisce l’entrata in vigore della legge regionale, che potrà essere eliminata
dall’ordinamento solo a seguito dell’accoglimento del ricorso proposto alla Corte
costituzionale dallo Stato o da altra regione”.
Cfr., successivamente, Corte costituzionale 20 novembre – 4 dicembre 2002,
n. 510: “Con la riforma del Titolo V, il quadro delle competenze è stato
profondamente rinnovato e in tale quadro le regioni possono esercitare le
attribuzioni, di cui ritengano di essere titolari, approvando – fatto naturalmente
salvo il potere governativo di ricorso previsto dall'art. 127 della Costituzione – una
propria disciplina legislativa anche sostitutiva di quella statale”.
È necessario comprendere come, alla luce del rinnovato Titolo V,
parte II della Costituzione, la nozione di principi fondamentali debba
essere intesa in modo affatto diversa da come è stata interpretata
finora. In altri termini, essa va ricostruita in senso restrittivo.
Com’è noto, infatti, la legislazione statale concernete i principi di
quella regionale, si è raramente attenuta al modello delle c. d. “leggi
quadro” o “leggi cornice”, risolvendosi sovente in una disciplina dal
carattere assai circostanziato e dettagliato. Tale disciplina di dettaglio,
poi, veniva meno con l’entrata in vigore delle leggi regionali
7
. Si
trattava di disposizioni statali c. d. “cedevoli”.
Una simile patologia poteva essere in gran parte giustificata dal
disimpegno che ha spesso caratterizzato la classe dirigente regionale,
Cfr., in senso contrario, ELIA L., Audizione del professor Elia nell’ambito
indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del Titolo V della
parte II della Costituzione, del 23 ottobre 2001, presso la 1° Commissione
permanente ( Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e
dell'interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione )
del Senato della Repubblica, il cui resoconto stenografico è consultabile on line
alla pagina
http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm01/Indagini%20con
oscitive/cost-001d.pdf; secondo il professor Elia, con la nuova formulazione
dell’articolo 117, non sarebbe stata più proponibile l’interpretazione secondo cui i
principi fondamentali venissero dedotti dalle leggi regolanti le diverse materie,
essendo invece necessario specifiche leggi di principio. Cfr., in senso conforme a
quanto sostenuto dal professor Elia, BALDASSARRE A., Audizione del professor
Baldassarre nell’ambito indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle
revisioni del Titolo V della parte II della Costituzione, del 24 ottobre 2001, presso
la 1° Commissione permanente ( Affari costituzionali, affari della Presidenza del
Consiglio e dell'interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica
Amministrazione ) del Senato della Repubblica, il cui resoconto stenografico è
consultabile on line alla pagina
http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/comm01/Indagini%20cono
scitive/cost-002b.pdf; anche secondo il professor Baldassarre, è molto difficile che,
nel nuovo quadro delle autonomie, si possa ritenere che la norme disciplinanti la
materia possano funzionare da norme di principio
7
Cfr. BARBERA A., AMATO G., Manuale di diritto pubblico, II, Bologna, 1997,
pagg. 382 ss.
abituata a considerare il governo locale come una tappa, la più breve
possibile, di una carriera politica, il cui vero scopo consisteva
nell’approdare a cariche di responsabilità a livello nazionale; ciò ha
spinto il legislatore centrale a emanare disposizioni sostanzialmente
provvedimentali, in grado di soddisfare immediatamente taluni
bisogni fondamentali della cittadinanza
8
.
Ebbene, questo modo di concepire i rapporti tra lo Stato e le
autonomie regionali era già stato incrinato con l’entrata in vigore degli
artt. 2 e 4 della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, i quali
avevano modificato, rispettivamente, l’art. 122 e l’art. 126 Cost.,
prevedendo l’elezione a suffragio universale e diretto del presidente
della regione e lo scioglimento del consiglio regionale in caso di
approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del presidente
eletto direttamente, nonché in tutti gli altri casi in cui il presidente
medesimo venisse meno. La novella costituzionale del 1999 aveva
disciplinato un vero e proprio meccanismo per il radicamento sul
territorio e per la responsabilizzazione della classe politica regionale,
di cui solo adesso incominciano a percepirsi i benefici
9
.
Tanto ricordato, occorre constatare che gli antichi rapporti tra i
sistemi politici e istituzionali Stato – regioni sono stati travolti,
appunto, dalla riscrittura del Titolo V della Costituzione. L’inversione
del criterio della residualità, disposto dall’art. 117, quarto co. Cost.,
con l’affermazione, in capo alle regioni, della potestà legislativa
generale, nonché la riformulazione dell’art. 117, terzo co. Cost., per
cui alla legislazione statale è riservata la sola determinazione dei
principi fondamentali, dovrebbero escludere la possibilità, per lo
Stato, di invadere gli spazi delle regioni attraverso la tecnica delle
8
Cfr. BIN R., Relazione su ‘Il “regionalismo differenziato”’, tenuta in occasione
del Ciclo di Seminari del Dottorato di ricerca in Diritto costituzionale presso
l’Università degli Studi di Bologna, 11 marzo 2002
9
Cfr. BIN R., Relazione su Il ‘“regionalismo differenziato”’, cit.
disposizioni cedevoli
10
.
10
Cfr. Corte costituzionale 19 giugno – 26 giugno 2002, n. 282: “La nuova
formulazione dell’art. 117, comma 3, rispetto a quella previgente dell’art. 117,
comma 1, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale
a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione
dei principi fondamentali della disciplina”. Cfr., a commento della citata sentenza,
LUCIANI M., I diritti costituzionali tra Stato e regioni ( a proposito dell’art. 117,
comma 2, lett. m ), della Costituzione ), in Sanità pubblica, n. 9/2002, pag. 1037: “
( … ) la Corte, parlando di una ‘competenza statale, limitata alla determinazione
dei principi fondamentali della disciplina’, sembra dar ragione alla tesi che legge
nell’art. 117, comma 3, ultimo periodo, Cost., una grande novità rispetto al testo
previgente, in quanto, con la nuova versione, lo Stato non può più adottare una
normazione di dettaglio ( ancorché cedevole ), poiché gli viene espressamente
affidata soltanto la determinazione dei principi fondamentali, restando la
normazione di dettaglio affidata alle regioni”.
Cfr., inoltre, D’ATENA A., La Consulta parla... e la riforma del Titolo V
entra in vigore, consultabile on line alla pagina
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/riforma/datena-
20020925.html : “Il secondo obiter dictum che merita di essere segnalato riguarda
la competenza concorrente. La sentenza, in particolare, sottolinea che ‘la nuova
formulazione dell’art. 117, terzo comma, rispetto a quella previgente dell’art. 117,
primo comma, esprime l’intento di una più netta distinzione fra la competenza
regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla
determinazione dei principi fondamentali della disciplina’. La prospettiva aperta
dall’inciso sembra abbastanza trasparente. Esso, conformemente ad alcune
indicazioni espresse in sede dottrinale, dovrebbe preannunciare l’abbandono di
talune convenzioni interpretative affermatesi nel vigore del vecchio art. 117,
comma 2: convenzioni, che, discutibili allora, ora – ed è questo il segnale che la
Corte probabilmente intende dare – non risultano più prponibili. La maggiore tra
esse dovrebbe essere costituita dall’ammissione che, nelle materie assoggettate alla
competenza concorrente, lo Stato intervenga con norme di dettaglio ( cedevoli o
cogenti che siano ). Infatti, una volta accolto il duplice presupposto che, su tali
materie: a) il potere di legiferare spetta alle Regioni; b) la competenza dello Stato è
limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina ( per
riprendere le espressioni usate dalla sentenza ), non si vede in che modo potrebbe
giustificarsi l’adozione, da parte di quest’ultimo, di prescrizioni che principi non
siano”.
Cfr., ancora, PANUNZIO S., Audizione del presidente dell’A. I. C.
nell’ambito indagine conoscitiva sugli effetti nell'ordinamento delle revisioni del
Titolo V della parte II della Costituzione, del 23 novembre 2001, presso la 1°
Commissione permanente ( Affari costituzionali, affari della Presidenza del
Consiglio e dell'interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica
Amministrazione ) del Senato della Repubblica, il cui resoconto stenografico è
consultabile on line alla pagina
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/speciali/senato/resoconto.ht
ml: “A me non sembra – è un’opinione del tutto personale, la espongo
problematicamente, poi ( come tutto il resto ) potrà essere oggetto di riflessione da
parte dei colleghi nel parere che vi potremo trasmettere – che, se le regioni non
legiferano, possa in via suppletiva legiferare lo Stato. E questo sempre per il
motivo di cui parlavo prima: qui vi è un rovesciamento del presupposto su cui si
fondano le competenze legislative di Stato e regioni. In precedenza, la possibilità
per la legge statale di disciplinare nel dettaglio in via suppletiva si fondava sulla
sua competenza generale; oggi questa competenza generale non c'è più e mi
sembrerebbe difficile continuare a ragionare nello stesso modo”.
Cfr., ora, Corte costituzionale 18 dicembre 2003 – 13 gennaio 2004, n. 12.
Cfr, a commento della citata sentenza, MENICHETTI E., La nuova potestà
legislativa concorrente: allo Stato spettano solo i “principi di disciplina”,
consultabile on line alla pagina
http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/site/itIT/Rubriche/Politiche_Sociali
_e_Sanitarie/Giurisprudenza/Documento/Menichetti_potesta_concorrente.html:
‘La Corte costituzionale, su ricorso delle regioni Marche, Toscana, Campania e
Umbria, con decisione n. 12/2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 52, comma 39, e dell’articolo 64 della legge 28 dicembre 2001, n. 448
( Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato –
legge finanziaria 2002 ) nella parte in cui dispone incentivazioni nella misura di
circa 2.500.000 euro complessivi a favore degli allevamenti ippici “per lo sviluppo
dell’ippoterapia e per il miglioramento genetico dei trottatori e dei galoppatori” e
prevede che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabilite
le disposizioni per l’attuazione del presente comma e per l’erogazione degli
incentivi da parte dell’Unione nazionale per l’incremento delle razze equine (
UNIRE )”.
La Corte distingue tra i due diversi oggetti della disposizione impugnata: da
una parte, l’incentivazione della ippoterapia, consistente in un trattamento medico
che prevede l’impiego dei cavalli ai fini della cura di forme di patologie quali
l’autismo e perciò inquadrabile nell’alveo della potestà concorrente “tutela della
salute”; dall’altra, il miglioramento genetico dei trottatori e dei galoppatori,
ascrivibile, invece, alla materia “agricoltura”, come si evince sia dalla lettura
dell’art. 75 del d. P. R. 24 luglio 1977, n. 616, il quale trasferisce alle regioni le
funzioni amministrative concernenti “l’ippicoltura per il mantenimento degli
stalloni di pregio, per l’ordinamento del servizio di monta e per la gestione del
deposito di cavalli stalloni, nonché gli interventi tecnici per il miglioramento delle
Sennonché, l’asserita impossibilità, per lo Stato, all’indomani
dell’entrata in vigore della riforma, di dettare norme suppletive di
dettaglio in materia di legislazione concorrente ha destato non poche
perplessità
11
.
È utile ricordare come tale prassi ricevette l’autorevole avallo
della Corte costituzionale, in ossequio all’esigenza di salvaguardare
insopprimibili esigenze di pratico funzionamento dell’ordinamento
giuridico, che non può tollerare situazioni di stallo dovute alla
eventuale inerzia legislativa degli enti tenuti all’adeguamento ai nuovi
produzioni equine”, sia dall’art. 66 del medesimo d. P. R. n. 616, il quale, a sua
volta, elenca, tra le funzioni amministrative nella materia agricoltura e foreste, il
“miglioramento e incremento zootecnico”.
Trattandosi in entrambi i casi di materie ricadenti nella potestà legislativa
concorrente ( art. 117, comma 3 Cost.) e non, invece, di potestà legislativa
esclusiva dello Stato, la Corte sottolinea due importanti corollari: 1) “il legislatore
statale deve limitarsi alla predisposizione di un principio di disciplina, che la
regione possa svolgere nell’esercizio delle competenze legislative ad essa
spettanti”; 2) la potestà regolamentare nelle materie di competenza concorrente
spetta alle regioni.
Sotto il primo profilo, la Corte censura la puntuale previsione secondo la
quale “a favore degli allevamenti ippici sono previste, per l’anno 2002, risorse
nella misura massima di 2.582.284,50 euro complessivi per lo sviluppo
dell’ippoterapia ( … )”, che non risulta certamente qualificabile come norma di
principio, e pertanto esorbita dai limiti posti nell’art. 117, terzo comma, ultima
frase, della Costituzione.
Sotto il secondo profilo, il conferimento al Ministro dell’economia e delle
finanze del potere di dare attuazione alla disposizione impugnata, viola la chiara
previsione dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, che attribuisce la potestà
regolamentare allo Stato nelle sole materie di competenza legislativa esclusiva’
11
Cfr. RUGGERI A., La riforma costituzionale del titolo V e i problemi della sua
attuazione, con specifico riguardo alle dinamiche della normazione ed al piano dei
controlli, in AA.VV., Il nuovo titolo V della parte II della Costituzione: primi
problemi della sua attuazione, 2002, 51 ss.; MANFRELLOTTI R., La
sussidiarietà nella riforma del titolo V della Costituzione: dal dibattito politico alle
soluzioni normative. Riflessi sul sistema delle fonti, in AA.VV., Il diritto
costituzionale comune europeo. Principi e diritti fondamentali, Napoli, 2002, 352
ss.
principi fissati dallo Stato
12
.
Non è mancato chi si sia domandato come potere garantire, oggi,
tale adeguamento e, più in generale, il rispetto, si noti bene, ancora
una volta dinanzi a un inadempimento legislativo, di numerose
clausole, rientranti nella potestà legislativa esclusiva e tuttavia in
grado di interessare trasversalmente materie di competenza
concorrente
13
. In altri termini, ci si chiede come possa lo Stato
12
Cfr. Corte costituzionale 11 luglio – 22 luglio 1985, n. 214: “Né la legge dello
Stato deve essere necessariamente limitata a disposizioni di principio, essendo
invece consentito l'inserimento anche di norme puntuali di dettaglio, le quali sono
efficaci soltanto per il tempo in cui la regione non abbia provveduto ad adeguare la
normativa di sua competenza ai nuovi principi dettati dal Parlamento. La pretesa di
una parte della dottrina, secondo cui nell'ipotesi prospettata la precedente
normativa regionale impedirebbe allo Stato di integrare la legislazione di principio
con quella di dettaglio, non può essere seguita dalla Corte. Con essa, infatti, si
perverrebbe all'assurdo risultato che la preesistente legislazione regionale, in
difetto del necessario adeguamento a quella statale successiva, vanificherebbe in
realtà quest'ultima, i cui (nuovi) principi resterebbero senza effettiva applicazione,
sicché risulterebbe compromessa l'intera regolamentazione della materia alla quale
essi si riferiscono”
13
Cfr. ANTONINI L., Sono ancora legittime le normative statali cedevoli? Intorno
ad una lacuna "trascurata" del nuovo Titolo V, consultabile on line alla pagina
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/dibattiti/riforma/antonini.html: “ ( …
) La legislazione statale, infatti, a differenza di quella regionale, non potrebbe mai
arrivare per prima, con norme di principio e di dettaglio, su una materia della
competenza concorrente. Questa interpretazione dell’assetto configurato dal nuovo
titolo V porterebbe, quindi, alla sintesi per cui la legge regionale, nel sistema delle
fonti, risulterebbe collocata in un regime “privilegiato” di separazione rispetto alla
legge statale. La fonte regionale, infatti, potrebbe intervenire anche in prima battuta
a fronte delle inerzie del legislatore statale sui principi, mentre quest’ultimo non
potrebbe intervenire con normative cedevoli di dettaglio per prevenire il mancato
adeguamento regionale agli stessi principi. ( … ) Non può non essere comunque
rilevato l’ulteriore aspetto problematico, attinente ( … ) alla dinamica concreta del
rapporto tra l’ordinamento statale e quello regionale. Il nuovo testo costituzionale (
… ) non ha disposto strumenti idonei a superare le inadempienze del legislatore
regionale derivanti dal mancato adeguamento ai principi fondamentali posti dalla
legislazione statale. Si tratta di una lacuna grave, non solo con riguardo ai principi
fondamentali, ma anche in considerazione delle numerose clausole trasversali
presenti nella competenza esclusiva statale ( … ) Nel II comma dell’art. 117 Cost.,
adempiere al proprio ruolo di garanzia delle istanze unitarie del Paese.
Lo strumento per un simile fine non può essere rinvenuto nel
potere sostitutivo di cui all’art. 120 Cost.
Ai sensi dell’art. 120, secondo co. Cost., il governo può
sostituirsi a organi delle regioni, delle città metropolitane, delle
province e dei comuni quando lo richiedano la tutela dell’unità
giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge
definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano
esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di
leale collaborazione.
Nonostante l’ambigua formulazione, la disposizione non
contemplerebbe la possibilità che la sostituzione possa sospingersi
fino al livello della normazione primaria; l’intervento sostitutivo
sarebbe limitato alla sola funzione amministrativa. In altre parole, il
governo non potrebbe sostituirsi al legislatore regionale.
Né varrebbe, a demolire la tesi contraria alla sostituzione
legislativa in via diretta, l’entrata in vigore dell’art. 8, primo co. l. n
131/03, il quale dispone che, nei casi e per le finalità previsti
dall’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il presidente del
infatti, è facile notare la presenza di molti elementi dinamici che mantengono allo
Stato un ruolo importante, dato il loro carattere trasversale. Basti pensare alla
competenza a determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117,
comma 2, lett. m), soprattutto considerando che la nostra Costituzione, nella sua
Parte prima, prevede una forte ed avanzata connotazione sociale, ad esempio più
intensa e strutturata di quella tedesca. Esistono, inoltre, materie riservate alla
competenza statale esclusiva dal carattere trasversale ed ampio, come quella
“ordinamento civile” e quella “tutela della concorrenza” ( art. 117, comma 2, lett. e
), destinate ad interessare molte delle materie di competenza concorrente o primaria
regionale ( … )”
Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente per
materia, anche su iniziativa delle regioni o degli enti locali, assegna
all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti
dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei
ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del ministro
competente o del presidente del Consiglio dei ministri, adotta i
provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito
commissario. La disposizione si conclude con la previsione secondo la
quale alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il presidente
della giunta regionale della regione interessata al provvedimento
14
. Per
tutti coloro che sostengono la tesi della sostituzione legislativa in via
diretta, è pacifico che essa dovrebbe avvenire nelle forme del decreto
legge.
Invero, la Corte costituzionale non si è ancora espressa sulla
sostituzione legislativa. Tuttavia, essa ha chiarito più volte i limiti
entro i quali il legislatore statale può prevedere e disciplinare il potere
sostitutivo nei confronti delle regioni. Perché possa ritenersi legittima
la previsione del potere di sostituzione dello Stato alle regioni, è
necessario che l’esercizio dei poteri sostitutivi sia previsto e
disciplinato dalla legge, la quale deve altresì definirne i presupposti
sostanziali e procedurali; che la sostituzione riguardi il compimento di
atti o attività prive di discrezionalità nell’an; che il potere sostitutivo
sia esercitato da un organo di governo o sulla base di una decisione di
questo; che la legge predisponga congrue garanzie procedimentali, in
conformità al principio di leale collaborazione
15
. Inoltre, la Consulta
ha sancito che il potere sostitutivo di cui al secondo comma dell’art.
120 Cost. concorre a configurare e a limitare l’autonomia dell’ente nei
14
Cfr. SCACCIA G., Il potere di sostituzione in via normativa nella legge n. 131 del
2003. Prime note, consultabile on line alla pagina
http://www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/anticipazioni/poteresostituti
vo/
15
Cfr. Corte costituzionale 19 luglio 2004, n. 240
cui confronti opera la sostituzione e deve quindi trovare fondamento
esplicito o implicito nelle norme o nei principi costituzionali che tale
autonomia prevedono e disciplinano
16
.
Ora, la lettura del testo dell’art. 120, secondo co. Cost., alla luce
delle pronunce della Corte costituzionale, porta alla conclusione per
cui, al legislatore statale, è imposto un limite assai severo. Esso ha la
sola potestà di definire i casi e le procedure dell’esercizio del potere
sostitutivo; il legislatore statale non ha certo il potere di delineare
ipotesi atipiche di decreti legge
17
.
Grazie alle precisazioni della Corte, può ammettersi che l’inciso
“anche normativi”, di cui all’art. 8, primo co. l. n 131/03, legittimi il
governo a disciplinare le sole procedure dell’esercizio del potere
sostitutivo; entro questi limiti, il governo medesimo può anche
ricorrere al decreto legge
18
.
Lo strumento appropriato attraverso il quale lo Stato può
garantire le istanze unitarie del Paese è stato indicato dalla stessa
Corte costituzionale
19
. Esso consiste nell’attrazione, da parte dello
Stato medesimo, ai sensi dell’art. 118, primo co. Cost., in forza del
principio di sussidiarietà e adeguatezza, di funzioni amministrative in
materie rientranti nella potestà legislativa esclusiva e soprattutto
concorrente. Tale attrazione comporta, in ossequio a elementari
esigenze di legalità, rilevanti conseguenze sull’esercizio della
funzione legislativa. Le conseguenze in parola consistono in ciò, che
solo la legge statale, per ragioni di uniformità, può porre in essere la
16
Cfr. Corte costituzionale 27 gennaio 2004, n. 43
17
Cfr. DICKMANN R., Note sul potere sostitutivo nella giurisprudenza della Corte
costituzionale, in Federalismi. it – Osservatorio sul federalismo e i processi di
governo, n. 20/2004, pagg. 8 ss.
18
Cfr. DICKMANN R., La Corte costituzionale attua ( ed integra ) il Titolo V (
osservazioni a Corte cost. 1° ottobre 2003, n. 303 ), in Federalismi. it –
Osservatorio sul federalismo e i processi di governo, n. 12/2003, pag. 7
19
Cfr. Corte costituzionale 25 settembre – 1° ottobre 2003, n. 303
disciplina delle funzioni amministrative attratte, ancorché esse, si
ribadisce, siano in materie di potestà legislativa concorrente
20
. V’è di
più. Nel legiferare circa le funzioni amministrative attratte, lo Stato, si
noti bene, può anche adottare disposizioni di dettaglio
21
. In altre
parole, attraverso l’applicazione del principio di sussidiarietà e
adeguatezza, lo Stato, assumendo determinate funzioni
20
Cfr. Corte costituzionale 25 settembre – 1° ottobre 2003, n. 303, Considerato in
diritto, punto 2. 1.: “( … ) Un elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto
nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni
amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col
rendere meno rigida, come si chiarirà subito appresso, la stessa distribuzione delle
competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative,
generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo
diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza. E’ del resto coerente con la matrice teorica e con
il significato pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un
livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è
comprovata un’attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando
l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione
amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza
conseguenze sull’esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di
legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano
organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole
Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni
amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale
possa attendere a un compito siffatto”
21
Cfr. Corte costituzionale 25 settembre – 1° ottobre 2003, n. 303, Considerato in
diritto, punto 16.: “( … ) Non può negarsi che l’inversione della tecnica di riparto
delle potestà legislative e l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato
dovrebbe portare ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in
materie di legislazione concorrente, e tuttavia una simile lettura dell’art. 117
svaluterebbe la portata precettiva dell’art. 118, comma primo, che consente
l’attrazione allo Stato, per sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni
amministrative e delle correlative funzioni legislative, come si è già avuto modo di
precisare. La disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una
temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi
non irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di
funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e
che non possono essere esposte al rischio della ineffettività ( … )”
amministrative, deroga all’ordinario riparto di potestà legislativa.
Pertanto, sottolinea la Corte, la legge statale che attrae le funzioni
amministrative e che le disciplina deve, per potersi considerare
costituzionalmente legittima, corrispondere a una valutazione
dell’interesse pubblico proporzionata, non irragionevole. Inoltre, la
legge in parola deve essere oggetto di un accordo stipulato con la
regione interessata.
L’assunzione in sussidiarietà di funzioni amministrative è ben
diversa dal potere sostitutivo. In caso di attrazione in sussidiarietà, con
legge, di funzioni amministrative, la competenza per il relativo
esercizio diventa statale; in caso di esercizio sostitutivo, la
competenza dell’adozione dell’atto rimane dell’ente sostituito.
In questa sede, interessa trarre alcune conclusioni circa la tecnica
delle disposizioni statali cedevoli.
Riassumendo quanto esposto, tale tecnica, con l’entrata in vigore
del nuovo Titolo V, parte II della Costituzione è stata ritenuta non più
esperibile. Tuttavia, proprio all’indomani della riforma costituzionale,
la Consulta, allo scopo di tutelare le istanze unitarie del Paese, ha
riconosciuto la tecnica in parola come legittima.
Appare utile, allora, distinguere le disposizioni cedevoli in due
categorie: quelle che, espressamente e originariamente, nascono come
tali e che, in chiave dinamica, vengono provvisoriamente poste
nell’ambito di competenze altrui soltanto per soddisfare primarie
esigenze di funzionamento pratico del sistema; le altre, invece, che
non sono originariamente ed espressamente qualificate come cedevoli,
ma che, anzi, vengono legittimamente poste in essere alla luce di
competenze attribuite all’organo che le adotta, e che, in un secondo
momento, in conseguenza di eventuali mutamenti del quadro
costituzionale, conservano ancora, in via statica, provvisoria, la
propria validità, in forza del principio di continuità dell’ordinamento,
per poi cedere il passo alle disposizioni regionali eventualmente
adottate in materia
22
.
Dopo la Novella costituzionale e la sentenza n. 303/03 della
Corte, la situazione relativa all’applicazione delle norme cedevoli è la
seguente. La cedevolezza dinamica non è ammessa in via di principio,
tranne le ipotesi descritte dalla sentenza 303/03 medesima. La
cedevolezza statica continua invece a essere generalmente ammessa
23
.
Ebbene, le dettagliatissime disposizioni di cui al d. lgs. n. 502/92,
così come modificato dal d. lgs. n. 229/99, rientrano nella seconda
tipologia delle norme suppletive, quella delle prescrizioni “statiche”:
tali disposizioni, alla luce del mutato quadro costituzionale, sono
immediatamente superabili in sede di legislazione regionale. In
particolare, ci si riferisce agli articoli del c. d. “decreto Bindi” in tema
di organizzazione delle asl e delle aziende ospedaliere, ma soprattutto
in tema di accreditamento; il d. lgs. n. 229/99 ha recato una disciplina
fortemente penalizzante per i soggetti che intendano agire per conto e
a carico del servizio sanitario nazionale, imponendo tetti al numero
massimo delle strutture accreditabili, nonché al volume delle
prestazioni erogabili, comprimendo, così, anche il diritto di libera
scelta del paziente.
Si esaminerà più oltre se e in quale misura le regioni abbiano
voluto scardinare l’impianto deciso a livello nazionale.
In base alla riforma costituzionale, lo Stato non potrà peraltro
emanare disposizioni regolamentari in materie diverse da quelle di sua
competenza esclusiva
24
e i regolamenti vigenti in settori di
22
Cfr. SANTINI M., Il tema della cedevolezza e le sue residue applicazioni dopo la
riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, in Federalismi. it –
Osservatorio sul federalismo e i processi di governo, n. 10/2003, pagg. 2 ss.
23
Cfr. SANTINI M., Il tema della cedevolezza e le sue residue applicazioni dopo la
riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, cit., pag. 24
24
Cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Generale, Parere 11 aprile 2002, n. 1/02: “( … )
le disposizioni sopra riferite, attributive della potestà regolamentare al Ministro (
… ), debbono ritenersi venute meno a seguito della emanazione del nuovo Titolo V
della Costituzione che, per quanto concerne la legislazione concorrente, esclude (
competenza regionale sono da considerarsi in ogni caso recessivi
rispetto a norme di legge o di regolamento regionali
25
.
… ) lo Stato possa disciplinare le materie predette nella loro intera estensione e,
per giunta, a livello regolamentare. Nel nuovo sistema di legislazione concorrente
spetta, invero, allo Stato solo il potere di determinare i tratti della disciplina che
richiedono, per gli interessi indivisibili da realizzare, un assetto unitario ( i
cosiddetti principi fondamentali ). Va riconosciuto, invece, alla legge regionale (
legittimata, nel nuovo sistema, ad avvalersi, per i tratti della disciplina di sua
spettanza, anche di regolamenti regionali di attuazione ) il compito di dare vita a
discipline diversificate che si innestino nel tronco dell'assetto unitario espresso a
livello di principi fondamentali”; Consiglio di Stato, Adunanza Generale, Parere 17
ottobre 2002, n. 1636/02: “( … ) l’Adunanza generale ritiene che non sia
esercitabile da parte dello Stato la potestà regolamentare su materie non riservate
alla sua competenza legislativa esclusiva, basata su una normativa primaria
anteriore alla nuova Costituzione. Così come è precluso al legislatore statale, dopo
la riforma del Titolo V, dar vita a nuove competenze regolamentari statali al di là
delle aree attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Spetta,
invece, in tali ambiti, alla legge regionale ( in sede di competenze concorrente o
generale ) procedere alla gestione normativa della materia, decidendo con norme di
carattere generale o di volta in volta, se alla disciplina della materia debba
provvedere direttamente la legge regionale stessa o, in tutto o in parte, anche la
normativa regolamentare”; Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti
Normativi, Adunanza del 10 febbraio 2003, n. 335/03: “Al riguardo si osserva che
( … ) l’intesa fra lo Stato e le Regioni non può ritenersi sufficiente a modificare la
disciplina del riparto di competenze sulla rispettiva potestà regolamentare,
trattandosi di disciplina non disponibile in quanto stabilita in modo diretto e
completo dalla Costituzione nel nuovo testo del Titolo V; l’intesa perciò, pur
raggiunta nella sede della apposita Conferenza, non può valere di per sé a fondare
l’esercizio della potestà regolamentare dello Stato su materie non riservate alla sua
competenza legislativa esclusiva, non essendo tale potestà comunque esercitabile,
anche se attribuita da una legge approvata in vigenza del precedente testo del
Titolo V”
25
Cfr. Corte costituzionale 10 – 23 luglio 2002, n. 376: “( … ) mentre la sorte dei
regolamenti che fossero stati legittimamente emanati, prima della riforma, ( … )
discenderebbe dal principio di continuità, per cui restano in vigore le norme
preesistenti, stabilite in conformità al passato quadro costituzionale, fino a quando
non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza
nel nuovo sistema”