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INTRODUZIONE
Il termine “genitorialità” è stato utilizzato molto frequentemente in
dottrina, soprattutto negli ultimi dieci anni, in seguito all’emanazione
della legge delega n. 53 dell’8 marzo 2000 (attuata con il d.lgs. n.
151/2001), con la quale, per la prima volta, venne previsto un diritto
originario in capo al padre: la facoltà di poter astenersi dal lavoro per
curare ed assistere il figlio.
Le implicazioni che derivano dalla cosiddetta “tutela della
genitorialità” sono molteplici e hanno riflessi in diversi campi: sul diritto
del lavoro, sul diritto della sicurezza sociale, in ambito sociologico e,
soprattutto, sulla qualità della vita della persona. Quest’ultimo concetto,
negli ultimi decenni, ha assunto un’importanza fondamentale e,
principalmente, la legge delega n. 53/2000, attraverso la sua “politica dei
tempi”, ha cercato di incentivare le persone a crearsi uno stile di vita
confacente alle proprie aspirazioni, evitando il più possibile che le
persone debbano privarsi di una vita professionale per seguire le
esigenze di cura della famiglia o trascurare quest’ultima per gli impegni
lavorativi.
Attraverso la suddetta legge, il significato di “maternità” si è
ampliato notevolmente, passando da un concetto di assistenza e cura
relegato ai meri bisogni fisiologici del bambino ad uno esteso alle sue
necessità relazionali e affettive. Per di più, viene ribadito fortemente il
principio di pari opportunità, poiché viene prevista un’adeguata
redistribuzione dei carichi familiari per evitare che il lavoro di cura gravi
principalmente sulla lavoratrice madre e, di conseguenza, quest’ultima
possa subire penalizzazioni nella carriera professionale.
Con la presente ricerca si suol verificare se, nel nostro
ordinamento, la tutela della genitorialità trova attuazione, se, cioè, i
genitori vengono “affrancati dal bisogno” nel momento in cui nasce il
figlio. Questo lavoro è stato strutturato come segue: nel primo capitolo
saranno illustrati i passaggi fondamentali attraverso i quali la tutela della
maternità si è evoluta in tutela della genitorialità, senza tralasciare la
rilevante influenza delle direttive comunitarie in materia di congedi; nel
secondo verrà delineata la disciplina dei congedi nell’ordinamento
italiano, evidenziando anche le novità avvenute dopo l’emanazione della
5
legge delega n. 53/2000 e la successiva emanazione del “Testo Unico
delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità” emanata con d.lgs. n. 151/2001; nel terzo, invece, verrà
descritta la disciplina dei permessi e dei riposi giornalieri, i quali saranno
confrontati col sistema previgente; al quarto sono analizzate le garanzie
finalizzate alla salvaguardia del posto di lavoro del genitore che
usufruisce dei congedi per curare il figlio; nel quinto sono elencati tutti i
tipi di prestazioni economiche erogate a sostegno della maternità: sia
l’indennità di maternità, o di paternità (prestazioni economiche proprie
dei lavoratori e delle lavoratrici), sia le prestazioni economiche
tipicamente assistenziali, come gli assegni per il nucleo familiare e
quello di maternità, i quali realizzano un principio di sicurezza sociale,
poiché cercano di rimuovere almeno in parte lo stato di bisogno in cui
versano i genitori; in conclusione, si parlerà di conciliazione tra vita fa-
miliare e vita professionale, un argomento molto attuale, ma che ancora
divide l’opinione pubblica: viene specificato chiaramente che l’esigenza
di conciliazione non deve essere solo una questione delle donne, ma in
generale di tutti i genitori lavoratori, indipendentemente dal sesso.
Quest’ultima potrebbe apparire come una conclusione scontata, ma nella
vita di tutti i giorni si parla di conciliazione sempre in un’ottica
femminile, come se i lavoratori (uomini) non avessero interesse a
conciliare la vita familiare con la vita lavorativa.
A parere di chi scrive, una delle novità più significative della legge
delega n. 53/2000, attuata poi con il d.lgs. n. 151/2001, è la promozione
di una redistribuzione effettiva dei ruoli nelle famiglie; se questa venisse
pienamente realizzata, la discriminazione delle donne nelle assunzioni
lavorative diminuirebbe notevolmente, atteso che avrebbero
responsabilità familiari quasi al pari dei lavoratori. Ma occorre ricono-
scere che non sono sufficienti degli interventi legislativi per rimuovere
gli ostacoli alla redistribuzione effettiva dei ruoli familiari, ma deve
soprattutto cambiare il costume della società, che conta ancora troppo
sulla presenza di donne a tempo pieno in famiglia, funzionale alla cura
sia di anziani che di bambini.
6
CAPITOLO PRIMO: Il passaggio dalla tutela della
maternità alla tutela del “genitore che lavora”
1.1 Le origini del d.lgs. 151/2001
Nel corso del Novecento vennero introdotti numerosi interventi
legislativi aventi ad oggetto la tutela della maternità: la prima disposi-
zione in materia fu adottata con la L. 17 luglio 1910 n. 520, con la quale
fu istituita la Cassa Nazionale di maternità, alla cui contribuzione parte-
cipavano le prestatrici di lavoro, il datore di lavoro e lo Stato. La Cassa
elargiva una prestazione economica alle operaie, le quali erano tenute ad
astenersi dal lavoro per quattro settimane senza retribuzione dopo il par-
to, prestazione erogata tanto per il parto quanto per l'aborto, sia spon-
taneo che terapeutico. Nel 1929 fu ampliata la sfera soggettiva di riferi-
mento della normativa, con l’istituzione della Cassa per le impiegate del-
le aziende industriali e per le dipendenti di quelle commerciali.
Con la legge n. 1347 del 5 luglio 1934, l'insieme di tutele per la
lavoratrice madre assunsero un taglio molto più garantistico, perché oltre
a prevedere una più rigorosa protezione della salute del nascituro e della
lavoratrice, sia durante la gravidanza che durante il puerperio, la legge
istituiva anche un sussidio di maternità a titolo di disoccupazione. Il pri-
mo intervento diretto ad attuare una tutela previdenziale mirata fu il r.d.l.
n. 1827 del 4 ottobre 1935, il quale introdusse una vera e propria assicu-
razione obbligatoria gestita dall'Inps, che versava alle iscritte un sussidio
al momento del parto; di esso, tuttavia, qualche anno dopo, con il r.d.l. n.
636 del 1939 fu decretata la sostituzione con l'assicurazione obbligatoria
per la nuzialità e la natalità, della quale beneficiavano tutti i lavoratori
senza distinzione di genere, esclusi gli stranieri e gli italiani di razza non
ariana (intervento legislativo fu soppresso con la legge n. 860/1950).
Con l'avvento della Costituzione, venne previsto l'impegno della
Repubblica a tutelare la maternità in riferimento alla sua funzione so-
ciale, senza distinzione di status professionale della donna. D'altro canto,
l'articolo 37, comma 1, stabilisce a favore della lavoratrice madre la rea-
lizzazione di condizioni idonee a permettere "l'adempimento della sua
7
essenziale funzione familiare e ad assicurare alla madre e al bambino una
speciale adeguata protezione". In riferimento alla Carta Costituzionale,
vennero emanate le leggi n. 860/1950 e n. 1204/1971, le quali hanno
previsto l'erogazione di una prestazione economica di maternità verso la
madre lavoratrice, con l'obiettivo di "sovvenire a una sua temporanea in-
capacità di produrre reddito e ad evitare che la maternità possa costituire
fonte di bisogno economico"1, nonché di tutelare il carico familiare che
la donna deve personalmente sostenere in riferimento alla gestazione, al
parto e alla cura del neonato nei primi mesi di vita.
Attraverso il d.lgs. n. 151 del 26 marzo 2001, in attuazione della
legge delega n. 53 dell'8 marzo 2000 (la quale è anche la legge di attua-
zione della direttiva 96/34/Ce), avvenne una notevole innovazione in
materia: vi fu un ampliamento della sfera soggettiva di applicazione del-
le norme a tutela della maternità, inoltre, per la prima volta, non sono più
solo le madri lavoratrici le destinatarie delle norme a tutela della ma-
ternità, ma anche i padri lavoratori, i genitori adottivi o affidatari, per re-
alizzare la tutela del figlio non solo dal punto di vista fisiologico, ma an-
che per quanto riguarda le sue esigenze relazionali e affettive. Con l'in-
novazione introdotta dal d.lgs. 151/2001, venne raggiunta una "tutela
della genitorialità" che soddisfa maggiormente le richieste di cura dei fi-
gli.
1.2 Influenze culturali e sociali determinanti nel passaggio
dalla tutela della maternità, alla "tutela della genitorialità"
Nel 1998 il Governo presentò il disegno di legge 4624, il quale
venne confrontato con un progetto di legge d'iniziativa popolare denomi-
nato "Le donne cambiano i tempi" del 1990. Con tali disposizioni si in-
tendeva perseguire degli obiettivi molto ambiziosi: la parità uomo-
donna, il diritto alla formazione e la necessità di ridurre la frenesia dei
tempi delle città. Attraverso l'intreccio tra tempo di lavoro, tempo per sé
e tempo di cura venne individuata la chiave per migliorare l'organizza-
zione dei tempi sociali, per cercare di superare le rigidità normative e
creare, quindi, un equilibrio socialmente sostenibile. La legge delega n.
53/2000 ha una matrice culturale di natura femminista, e si è concretiz-
1 Alesse A., Previdenza sociale (tutela della salute e della maternità), voce Dizionario Dir. Lav., in
IRTI (a cura di), Dizionario del Diritto Privato, Giuffrè, 2010 (in corso di pubblicazione). p. 575
8
zata in forme di "consapevolezza sociale diffusa"2, nel senso che questa
legge "prende atto di alcuni mutamenti avvenuti nei comportamenti delle
famiglie e anche della propensione femminile a partecipare sempre di
più alla ripartizione del lavoro sociale"3.
Un ulteriore obiettivo della legge delega n. 53/2000 è la "difesa
delle basi minime di dignità della donna, nel momento in cui veniva im-
pedito di fatto alla donna di conciliare il suo ruolo di madre con il diritto,
altrettanto fondamentale, a realizzarsi ed emanciparsi socialmente attra-
verso il lavoro"4. Si cerca, infatti, di rendere effettivo questo diritto per la
donna mediante la "maggior neutralizzazione possibile degli effetti di-
sincentivanti e condizionanti che la normativa produceva sull'occupa-
zione e sulle carriere femminili"5; nonché attraverso il coinvolgimento
sempre più marcato del padre lavoratore.
Non solo questa legge cerca di promuovere un equilibrio tra le di-
seguaglianze, ma il legislatore ha voluto recuperare "il senso compiuto
del valore della maternità inteso come formula ampia e sintetica, com-
prendente non soltanto il diritto alla maternità ed alla salute della donna
gestante e puerpera, ma anche il diritto alla vita e alla salute sia del na-
scituro che del bambino. Ciò in specie nella fase successiva al parto, do-
ve, al di là del primissimo periodo del puerperio, si è passati da una tute-
la della madre in quanto tale, ad una tutela della funzione che essa è de-
putata a svolgere (...) passando da un concetto di assistenza e cura confi-
nato alle mere esigenze fisiologiche del bambino ad uno esteso alle sue
necessità relazionali e affettive"6.
Precisamente, già dall'art. 1 della l. 53/2000 si intuisce che l'inter-
vento legislativo risente di studi non propri del diritto del lavoro, ma di
altre discipline come la sociologia. Tali discipline operano sinergica-
mente per migliorare la qualità della vita delle persone che lavorano,
come si evince dagli studi elaborati dal gruppo Echange et Project con-
fluito nel successivo Rapporto Supiot. Alain Supiot, infatti, arriva a pro-
porre un progetto di recupero della qualità della vita dell’individuo attra-
2 Del Punta R., La nuova disciplina dei congedi parentali, familiari e formativi, in Riv. It. Dir. Lav.,
2000, I, P.155
3 Del Punta R., op. cit. p. 155
4 Del Punta R., op. cit. p. 156
5 Del Punta R., op. cit. p. 156
6 Del Punta R., op. cit. p. 157
9
verso una concezione più “comprensiva del tempo di lavoro, il quale non
è più inteso solamente come “unità di misura” della prestazione, ma nel-
la sua “unità”7. Per ottenere una vita soddisfacente per l’individuo, oc-
corre che vi sia una concordanza dei “tempi” (di lavoro, di non lavoro, di
cura, ecc..) e quest’ultima si può raggiungere adeguando il lavoro
all’essere umano, come viene enunciato all’art. 13 della Direttiva
93/104/CE, partendo in primo luogo dalla dimensione di genere del la-
voro. Secondo Supiot, attraverso una riformulazione delle regole
sull’organizzazione del tempo di lavoro, si può realizzare il binomio qua-
lità della vita – flessibilità del lavoro.
L'art. 1 della l. n. 53/2000 afferma che "la presente legge promuo-
ve un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione,
mediante: a) l'istituzione dei congedi dei genitori e l'estensione del soste-
gno ai genitori di soggetti portatori di handicap; b) l'istituzione del con-
gedo per la formazione continua e l'estensione dei congedi per la forma-
zione; c) il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la
promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale".
Si può constatare che la legge delega n. 53/2000 è una norma pro-
mozionale (si comprenderà ancor meglio nei prossimi capitoli) poiché
"cerca di incidere in positivo sulla distribuzione dei carichi familiari, in-
centivando l'uomo a fruire dell'astensione facoltativa, in qualche misura
a scapito della donna"8 (il padre lavoratore, infatti, potrebbe fruire di un
periodo di sette mesi complessivi di astensione facoltativa lasciandone
quattro a disposizione della madre), in tal modo si rende più appetibile il
congedo parentale paterno, piuttosto che quello materno. Pertanto, da
questo primo articolo della legge delega n. 53/2000 si evince che, per la
prima volta, nel diritto del lavoro riceve un'attenzione particolare il c.d.
"tempo di non lavoro" e/o tempo libero e/o tempo liberato, prima consi-
derato solamente come "tutto ciò che è fuori dal lavoro"9. Ora il tempo di
non lavoro si può considerare come una "invenzione sociale cruciale per
l'organizzazione di vita di una società moderna"10.
7
Supiot L., Alla ricerca della concordanza dei tempi (le disavventure europee del “tempo di
lavoro”) Lavoro e diritto, n. 1, inverno 1997, p. 15 e ss.
8 Del Punta R, op. cit. p. 161
9 Calafà L., Congedi e rapporto di lavoro, CEDAM, Padova, 2004, p. 14
10 Balbo L., Tempo di lavoro, tempo per se, in (a cura di) L. Balbo, Tempo Libero e società di massa
nell'Italia del Novecento, 1995,.Milano., Franco Angeli, pag. 67
10
Quest’ultima definizione ha, di conseguenza, anche un riflesso sul
valore del tempo libero, il quale è sempre meno funzionale alla legge del
lavoro, ossia è sempre meno vissuto come pausa per recuperare le ener-
gie spese sull' attività lavorativa; il tempo libero è soprattutto visto come
mezzo per soddisfare bisogni nuovi della società, non riconducibili al la-
voro. Si può dedurre che "il contratto di lavoro è chiamato a farsi carico
di una quantità crescente di nuove aspirazioni"11. Occorre specificare che
non si può identificare il tempo libero semplicemente con il tempo fuori
dal lavoro (perché buona parte di esso viene impiegato nel lavoro dome-
stico familiare), ma nemmeno con lo svago (perché riguarda principal-
mente le attività dedicate alla soddisfazione della persona).
Fanno parte, quindi, del tempo libero tutte le attività orientate, in
primo luogo, verso l'espressione della persona. "Si può dedurre con cer-
tezza che finora tutto ciò che è fuori dal lavoro professionale o monetiz-
zato è stato definito inesattamente come tempo libero, infatti oggi nessun
studioso di sociologia inquadrerebbe il lavoro familiare o di cura tra le
attività del tempo libero, perché questo è il prodotto della liberazione di
almeno due tempi vincolati: quello della produzione e quello della cura
di adulti e bambini"12. In particolare, sono le donne che impiegano una
gran parte del loro tempo nel lavoro rivolto alla cura della famiglia e del-
la prole e di esso è stato messo in evidenza l'insostituibile valore eco-
nomico e sociale. I confini tra lavoro e non lavoro sono difficili da stabi-
lire e molte sono le sovrapposizioni, viste le molteplici prestazioni con-
nesse con il lavoro di riproduzione e di cura.
Di conseguenza, il beneficiario delle norme del Testo Unico
(d.lgs. n. 151/2001) non è solo il soggetto lavoratore come contraente
debole, ma un soggetto titolare di diversi diritti, tutelati sia a livello co-
stituzionale che comunitario; il lavoratore e la lavoratrice diventano per-
sone inserite in una complessità sociale, sia personale che lavorativa, per
questo motivo vengono qualificati come genitori lavoratori13.
Gli interessi della persona vengono rivalutati e anche le istanze e-
xtralavorative di cui la persona stessa è portatrice all'interno del contratto
di lavoro; in questo modo, attraverso la valorizzazione dell'elemento del-
11 Calafà L., op. cit. p. 18
12 Calafà L., op. cit. p.19
13 Del Punta R., La nuova disciplina dei congedi parentali, familiari e formativi, in Riv. It. Dir. Lav.,
2000, I, p.149
11
la libera scelta dell'individuo, si intende conseguire un notevole miglio-
ramento della qualità della vita dei lavoratori stessi. Si rileva, inoltre, che
vi è stata un'evoluzione passando dalla dimensione temporale della pre-
stazione di lavoro alla considerazione del tema del tempo di lavoro per i
suoi aspetti sociali più significativi. Secondo parte della dottrina14, vi è
stata una riscoperta dell'autonomia individuale, in quanto è presente una
vera e propria domanda reale (…) di determinare una propria identità e
questa domanda è aumentata ulteriormente dal momento in cui si sono
accentuate le differenze nel mondo del lavoro (di genere, di razza, di im-
pegno di tempo, ecc..). Queste diversità sociali devono essere riconosciu-
te perché se non garantite, si convertono in discriminazioni. Altri15, inve-
ce, evidenziano che occorre ripensare alle condizioni dello scambio nel
contratto di lavoro, dove l'obbligazione lavorativa non dev’essere consi-
derata solo come messa a disposizione di energie psicofisiche. Infatti, te-
nendo presente che al centro dell'analisi del concetto di "qualità della vi-
ta" c'è il cittadino come insieme di bisogni (la cui realizzazione
dev’essere garantita nel contesto in cui vive), occorre, pertanto, prendere
in considerazione nell'ambito del contratto di lavoro stesso, anche lo svi-
luppo di una serie di sopravvenienti esigenze dei lavoratori.
Dal legame tra libertà, responsabilità e uguaglianza delle opportu-
nità si può comprendere anche l'uso del termine felicità, attraverso la teo-
ria dell'uguaglianza delle capacità fondamentali che presuppone l'abban-
dono dell'approccio utilitaristico del benessere attraverso un approccio
basato sulla distribuzione delle risorse sul territorio e tra le persone. In-
fatti, come afferma Amarthya Sen, "ciò che conta per vivere una vita di
qualità è la capacità di funzionare e queste capacità non sono che le pos-
sibilità di funzionare bene e rappresentano dunque, la nostra libertà di
scelta"
16
. Da queste considerazioni sulla qualità della vita, prendono cor-
po tutti gli strumenti del diritto promozionale (comprese le azioni positi-
ve) e viene valorizzata fortemente l'individualità delle persone; tutto ciò
porta ad approfondire il legame con il concetto di felicità. In questo mo-
dello, identificabile come pursuit of happiness, la felicità non è intesa so-
14 D'Antona M., L’autonomia individuale e le fonti del diritto del lavoro, in Giornale dir. Lav., 1991,
p.455 e ss.
15 Romagnoli U., Il diritto del secolo, E poi?, Diritto del mercato del lavoro, 1999, editoriale
16 Longato F. , La felicità un diritto dell’uomo? Sul rapporto tra felicità, benessere, vita buona e diritti
umani nella filosofia pratica contemporanee, in Ragion pratica, 16/2001, pp. 163-194
12
lo nel senso di stare bene (salute, benessere economico, ecc..), ma so-
prattutto la felicità di un individuo si misura in base a quanto egli stesso
giudica soddisfacente la propria vita e, quindi, possa accedere a un'esi-
stenza che può ritenere più o meno riuscita. Tale modello si concretizza
in condizioni di tutela e di promozione in base alle quali ogni persona
può condurre uno stile di vita confacente alle proprie aspirazioni.
Di primo acchito, le considerazioni appena svolte sembrerebbero
estranee al diritto del lavoro, in realtà sono analoghe alla teoria che so-
stiene che "la razionalità di sintesi del diritto del lavoro non deve essere
valutata intorno ad un unico valore, bensì all'insieme dei valori espressi
dal sistema giuridico e dall'ambiente sociale"17. Pertanto, la razionalità
del diritto del lavoro non si riferisce solo, ad esempio, all'efficienza eco-
nomica, ma ad una serie di valori non economici fondamentali per l'indi-
viduo come l'equità, la sicurezza, la dignità, la salute e la libertà, dove il
diritto del lavoro ha la finalità di aiutare il lavoratore ad operare scelte
che gli possano garantire un'esistenza felice.
Da queste considerazioni si desume che il tempo di lavoro acquista
il carattere dell'eterogeneità, così diviene essenziale adeguare il lavoro
all'essere umano, come viene affermato nell'art. 13 della Direttiva
93/104, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di la-
voro. Si dichiara, di conseguenza, la necessità di rendere conciliabile per
ciascun lavoratore e lavoratrice i diversi aspetti della propria vita, che
appaiono sotto le forme del lavoro remunerato, lavoro gratuito, tempo
libero o riposo.
Non ci si può dimenticare un altro principio importante ai fini di
questa ricerca: il principio di pari opportunità tra donne e uomini. Infatti,
solo attraverso l'uguaglianza e il rispetto della vita privata e familiare si
può raggiungere una regolamentazione del tempo di lavoro in una pro-
spettiva allargata alle obbligazioni familiari, che non sia fonte di nuove
discriminazioni.
1.3 L'importanza del lavoro di cura
È molto importante considerare l’esigenza di conciliazione e lo si
può intuire dalla dimostrazione che "tutte le ricerche su bambini, adulti e
17 Del Punta R., L'economia e le ragioni del diritto del lavoro, in Giornale dir. Lav., 2001, pag. 3 e ss.
13
anziani convergono nel riconoscere un andamento esponenziale al rap-
porto tra quantità e qualità del lavoro di cura e incremento delle aspetta-
tive della popolazione rispetto all'educazione, al tempo libero e alla stes-
sa durata della vita"18. È interessante notare che, fino a pochi anni or so-
no, le politiche sociali prendevano come soggetto di riferimento prima di
tutto il lavoratore come presunto capofamiglia e titolare di un rapporto di
lavoro subordinato tipico, generalmente di sesso maschile, fino a che non
è stata emanata la legislazione sulla maternità. Da quel momento, il sog-
getto di riferimento delle tradizionali politiche sociali cambia di genere a
seconda che ci si riferisca al capofamiglia per il sostegno economico o a
chi lavora per agevolare la conciliazione con il lavoro di cura.
Finora, nel secondo caso, si presume che ci si rivolga alla donna in
quanto madre, alla quale subentra il padre solo a seguito di rinuncia da
parte della madre lavoratrice subordinata. In questo modo, "un primo pa-
radigma di cambiamento in atto che si realizza non tanto nell'inclusione
del lavoro di cura nella nozione di lavoro, sul piano della relativa indiffe-
renza del genere di chi lo svolge. Va in questa direzione il passaggio dal-
le sole politiche di conciliazione a quelle che promuovono la redi-
stribuzione dei ruoli familiari (...) che consentono di riequilibrare le scel-
te, non solo tra lavoro professionale e lavoro di cura, ma anche tra i ge-
neri, consentendo al tempo liberato dal lavoro professionale delle donne
di non doversi trasformare necessariamente in lavoro di cura di familia-
ri"
19
.
Ma come si qualifica in realtà il lavoro di cura? Parte della dot-
trina20 identifica il lavoro di cura come quel lavoro collegato a bisogni
"concreti", ma che non si esprimono attraverso veri e propri circuiti di
mercato. Secondo altra parte della dottrina21, il lavoro di cura corri-
sponde al "diritto di essere utili", ossia la garanzia che nella società vi
sia un'adeguata offerta di occasioni di lavoro che, anche al di fuori del
18 Gottardi D., Lavoro di cura. Spunti di riflessione, Lavoro e Diritto, a. XV, n.1 inverno 2001, pag.
121
19 Gottardi D., op. cit. pag. 123
20 Zoppoli L.,(a cura di F. A. Cappelletti, L. Gaeta), Lavoro e non lavoro nella stagione dello
sviluppo senza occupazione, in Diritto, lavoro, alterità. Figure della diversità e modelli culturali,
Napoli, ESI, 1998, p. 212
21 D'Antona M., (a cura di F. Amato), La grande sfida delle trasformazioni del lavoro: ricentrare le
tutele sulle esigenze del lavoratore come soggetto, in I destini del lavoro. Autonomia e
subordinazione nella società postfordista, Milano, Franco Angeli, 1998