2Il business del vino rappresenta un caso straordinario di
globalizzazione ancora studiato da numerosi esperti nel mondo, e che
interessa tutti i settori economici dal primario, al secondario, al
terziario. Basti per esempio, analizzare come si divide il costo globale
medio di una bottiglia di vino, tra i diversi settori : 10% ai coltivatori
di vite, 30% alle aziende vinicole, 37% ai trasportatori, grossisti e
rivenditori, e il 23% alle tasse nazionali.
La globalizzazione, non è un fenomeno nuovo al mercato del vino ma
con il passare degli anni è diventata sempre più significativa.
Un indicatore del sempre maggiore grado di globalizzazione del
settore, è fornito dalla quota di produzione globale esportata, che è
cresciuta dal 15% al 25% durante gli anni ‘90.
Gli economisti pensano alla globalizzazione, come semplicemente
alla diminuzione dei costi di transazione facendo business in tutte le
parti del mondo e la considerano quindi un fenomeno positivo in
grado di conservare e preservare risorse.
3Per una parte consistente dell’opinione pubblica mondiale, però, la
globalizzazione è considerata uno dei peggiori mali dell’economia
mondiale, guardando principalmente o esclusivamente alle
conseguenze negative causate dalla globalizzazione soprattutto nelle
aree povere del mondo.
Alcune delle critiche dei cosiddetti gruppi “no global”si articolano
nella denuncia delle conseguenze negative indotte dalla
globalizzazione, come l’omogeneizzazione dei prodotti e dei bisogni
offerti, la crescita e lo sviluppo delle multinazionali e la scomparsa
delle piccole aziende, con i loro prodotti, in grado di soddisfare una
domanda più individualistica.
Per quanto riguarda il vino, l’opinione pubblica anti-globalizzazione
teme che una realtà economica caratterizzata da centinaia di anni da
un’industria contadina, con i suoi elementi distintivi, e con l’ampia
varietà dei vini che differisce di anno in anno a seconda delle
condizioni climatiche o della sperimentazione dei coltivatori, possa
4presto essere difficile da distinguere da ogni altra industria high-tech,
con un ridotto numero di grandi imprese che offre prodotti
standardizzati per tutti i mercati.
La prima coltivazione di uva da vino, probabilmente risale a circa
6000 anni fa e venne piantata nella zona estesa tra il Mar Nero ed il
Mar Caspio.
Le conoscenze relative alla coltivazione delle migliori specie di uva
da vino, Vitis Vinifera gradualmente si diffusero verso Occidente
attraverso l’Egitto, la Grecia, e forse vennero introdotte nella Spagna
meridionale a partire dal 2500 AC. Gli Etruschi cominciarono la
coltivazione di uva da vino nel Centro Italia usando varietà originarie
del posto a partire dall’ottavo secolo AC.
La produzione di vino venne introdotta nella Francia meridionale dai
Romani intorno al 600 a.C. e venne diffusa nel nord del Paese nel
primo e secondo secolo.
5Solo intorno 400 d.C. la produzione di uva da vino, e la produzione di
vino si diffusero e si affermarono in quello che noi oggi chiamiamo
“vecchio mondo” e nel nord Africa. Il Medio Oriente e il mondo
arabo non furono mai particolarmente toccati da questo fenomeno per
motivi religiosi legati al Corano.
I primi esploratori del Nuovo Mondo introdussero la coltivazione
delle viti da vino per la prima volta in Sud America e in Messico
intorno al 1400 e in Sud Africa a partire dal 1655.
Durante il 19° secolo i gesuiti ispano–messicani, cominciarono ad
esportare le tecniche di coltivazione dell’uva e le varietà di viti da
Baja California in Messico, verso nord, e iniziarono a coltivare una
terra da cui si ottenevano ottimi raccolti, l’attuale Stato della
California.
Le prime uve coltivate in Australia, vennero importate dai
colonizzatori inglesi del 1788, mentre in Nuova Zelanda ciò avvenne
30 anni più avanti. Intorno al 19° secolo in Australia quasi tutta la
6produzione di uva e vino, era esclusivamente per uso interno e
nazionale.
Dopo questa breve storia della diffusione del vino nel tempo, si può
osservare come il vino sia stato, fin dalle proprie origini, un prodotto
particolarmente incline alla globalizzazione.
Uno degli effetti della globalizzazione nel settore del vino è
indubbiamente la crescita del livello di concentrazione del settore
2
.
La concentrazione nell’industria del vino è stata elevata fin dai tempi
più remoti.
Fusioni e acquisizioni all’interno del settore sono ormai quasi
all’ordine del giorno, dal momento che solo così le aziende credono di
potersi rafforzare in un business sempre più competitivo.
Un altro effetto importante della globalizzazione nel settore del vino,
è che le aziende vitivinicole, per resistere alla crescente concorrenza
stanno assumendo sempre più gli aspetti di multinazionali, sia in
2
Wine business monthly. Globalization of the wine industry. Volume 9° Numero 4 maggio 2000
7termini di produzione, sia in termini di distribuzione, formando
alleanze con società straniere per raggiungere le economie di scala,
soprattutto nei confronti dei distributori e delle catene della
distribuzione.
I cambiamenti del settore vitivinicolo verso una maggiore
concentrazione, stanno interessando maggiormente i paesi del “nuovo
mondo” piuttosto che quelli del “vecchio mondo”.
Probabilmente la spiegazione di questa differenza tra i Paesi del
“vecchio” e “nuovo mondo” potrebbe essere spiegata dal fatto, che nei
Paesi europei è molto forte la presenza delle organizzazioni
cooperative, di media e piccola dimensione. Un altro aspetto della
globalizzazione dell’industria del vino riguarda il trasferimento della
tecnologia a livello internazionale
3
.
3
Wine business monthly. Globalization of the wine industry.Volume 9° numero 4 maggio 2000
8Tale flusso di tecnologia enologica è accelerato non solo dallo
sviluppo delle multinazionali, ma anche dall’opera dei tecnici
dell’industria e dai produttori di vino che esportano le proprie
tecniche vinicole in tutto il mondo attraverso viaggi e permanenze tra
un paese e l’altro operando come consulenti del settore.
Ciò permette che le idee e le tecniche di un Paese si sviluppino in un
altro Paese, determinando un continuo feedback di tecnologie e
conoscenze tra un’area del mondo e un’altra, distinguendo
principalmente tra area del “vecchio mondo” e area del “nuovo
mondo”.
E’ doveroso specificare che con l’espressione “vecchio mondo”
intendiamo riferirci alle produzioni vitivinicole che possiedono una
lunga storia e cultura in materia, come l’Italia, la Francia, la Spagna e
il Portogallo.
9
Mentre con il concetto di “nuovo mondo” intendiamo quelle nazioni,
che da pochi anni stanno incominciando ad affacciarsi nello scenario
internazionale, ma che grazie ad innovative strategie promozionali,
acquistano posizioni sempre più velocemente.
Stiamo parlando di Australia, Nuova Zelanda, California, Cile,
Argentina, Sud Africa ed Ungheria.
Questi paesi produttori hanno sviluppato una viticoltura nuova, basata
su tecniche produttive innovative e tecnologie all’avanguardia.
Essendo storicamente lontani dalla viticoltura mediterranea all’interno
di essi sono stati importati vitigni importanti, che si sono acclimatati
con successo.
10
Tale condizione rischia di mettere in crisi la viticoltura dei vecchi
territori del vino,
4
che si sono trovati ad affrontare il problema
del rinnovo dei vigneti di età mediamente più elevate, oltre a una
produzione inadeguata, sia in termini di competitività qualitative
(produzioni in molte regioni poco sensibili ai gusti del mercato) sia in
termini di competitività commerciale.
4
Il Corriere vinicolo, marzo 2003.
Globalizzazione e concorrenza internazionale, la risposta migliore sono i vitigni autoctoni
www.ilcorrierevinicolo.it
11
CAPITOLO I
L’IMMAGINE DEL VINO NEGLI USA
1. La filiera del vino
Da oltre un decennio il mercato del vino ha subito una mutazione
caratterizzata da dei profondi cambiamenti nei comportamenti relativi
al consumo ed alle modalità di commercializzazione. La filiera
vitivinicola europea è di gran lunga la più importante nel mondo.
Coinvolge circa 3.54 milioni di ettari che producono annualmente 180
milioni di ettolitri di vino.
La Francia rappresenta il 34% della produzione davanti all’Italia e alla
Spagna. La quota dell’Europa nella produzione mondiale, nonostante
rappresenti i tre quarti del volume del vino, è in costante
ridimensionamento da almeno un decennio. E’ infatti passata dal 79%
del totale nel 1990 al 74% nel 1999. Nello stesso periodo, la quota dei
12
cinque principali nuovi paesi produttori (Stati Uniti, Argentina, Cile,
Australia e Sudafrica) è salita notevolmente.
L’Italia è il secondo paese produttore su scala mondiale. Qualche cifra
chiave permette di tratteggiare lo stato della filiera in Italia. Un
vigneto con una superficie di circa 800.000 ettari che producono
mediamente 50 milioni di ettolitri all’anno. Una produzione ripartita
in quattro grandi comparti (Nord Ovest, Nord Est, Centro Sud e
Isole).
Un vigneto invecchiato e in riconversione verso produzioni più
qualitative. Una superficie ed un volume di produzione in
diminuzione da almeno 10 anni, principalmente nel Centro e nella
Sardegna.
5
La produzione è parcellizzata con circa 800.000 aziende viticole che
dispongono in media da 1 a 2 ettari di vigneto.
5
Emanuelle Rouzet – Gerard Seguin, Il marketing del vino, Edagricole,2004
13
Il sistema cooperativo resta preponderante (cantine sociali, consorzi di
produzione e strutture associate di commercializzazione).
La filiera in senso lato, comprende comprendente cioè gli addetti all’
indotto e della commercializzazione, coinvolge fino 700.000 unità.
6
6
Fonte : Ambassade de France en Italie, Le secteur vitivinicole italien, mission èconomique,
07 maggio 2003.
14
2. Vinitaly: internazionalizzazione e promozione
Si è chiusa di recente la 40° edizione del Vinitaly, il salone più grande
del mondo dedicato all’enologia, che con un incremento del 10% dei
buyers stranieri e un forte aumento dei contratti da parte degli
operatori esteri ha portato a segno l’ambizioso obiettivo di favorire
l’internazionalizzazione del comparto vitivinicolo italiano
7
. Ampia è
stata anche la partecipazione degli operatori locali. E’ stata dunque
una scommessa vincente quella portata avanti quest’anno da
Veronafiere, una scommessa formulata tenendo proprio in
considerazione le mutate esigenze del settore vitivinicolo nazionale il
cui futuro appare sempre più legato alla capacità di acquisizione di
nuovi spazi di mercato estero, soprattutto di quei Paesi che solo ora si
affacciano alla cultura del vino, ma che racchiudono enormi
potenzialità di crescita commerciale.
7
www.vinitaly.it maggio 2006
15
Grande dunque il plauso delle aziende vinicole nazionali nei confronti
dell’edizione 2006 che si è confermato il più importante
appuntamento fieristico di settore a livello mondiale. L’entusiasmo
degli operatori nazionali è stato soprattutto per la forte partecipazione
di operatori di qualità, dai vari paesi esteri, non solo dalle aree
tradizionali come il Nord Europa, il Canada la Gran Bretagna e gli
Stati Uniti, ma anche da paesi emergenti quali la Malesia, il Giappone
e la Russia.
Un segnale che dimostra chiaramente l’interesse di questi mercati
esteri verso la nostra produzione vitivinicola ma anche la capacità del
nostro sistema produttivo nella promozione ed esportazione all’estero
dei propri prodotti.
Ma i segnali non provengono solo da oltre confine, la manifestazione,
ha infatti registrato una buona risposta anche da parte del mercato
nazionale, con un’ampia partecipazione da parte degli operatori
italiani, in particolar modo di enoteche e ristoranti.
16
Una tendenza che ben si spiega con il sempre maggiore ruolo svolto
da questa realtà commerciale nella promozione del prodotto
vitivinicolo nazionale, essendo la ristorazione uno dei canali
privilegiati non solo per la distribuzione ma anche per la scoperta
delle produzioni vinicole italiane da parte dei consumatori.
Proprio il rapporto tra promozione, mercato del vino, e ristorazione, è
stato oggetto di una ricerca condotta da Veronafiere e Confcommercio
in occasione del Vinitaly.
Lo studio, che potrebbe costituire il primo passo come dichiarato dalle
due parti, per un eventuale futuro osservatorio permanente sulla
ristorazione, ha evidenziato come oggi quasi il 90% dei ristoranti punti
sulla valorizzazione dei vini della propria regione, dando ad essi uno
spazio specifico nella carta dei vini o proponendoli nel consiglio al
tavolo.
Ma la ricerca di Veronafiere, segnala anche nuovi servizi e varie forme di
promozione del vino che i ristoranti propongono alla clientela.
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Tra questi il “diritto di tappo” cioè la possibilità di portare da casa una
bottiglia di pregio, pagando una modesta somma, il “vino al bicchiere”
pratica diffusa nel 78,4% dei ristoranti e il “doggy bag”, ovvero la
possibilità di poter portare via dal ristorante la bottiglia non terminata,
concessa dall’89,9% dei ristoranti di fascia medio-alta intervistati.