Malgrado ciò, a tutt’oggi, manca una normativa internazionale riguardante 
specificatamente i minori disabili, e più in generale i disabili, incorporata in uno 
strumento di “hard law”; in altri termini è mancata sino ad ora la volontà degli Stati a 
vincolarsi in materia. Nonostante il quadro numerico testimoni la formazione di una 
categoria di attori particolarmente vulnerabile, date le condizioni psico-fisiche presenti, 
per le prime tre decadi delle Nazioni Unite (da qui NU) le persone disabili sono state 
ignorate non solo negli strumenti vincolanti ma anche in quelli di “soft law”, nella loro 
veste di titolari di diritti umani. Unica eccezione è costituita da alcune datate 
dichiarazioni di principio, concentratesi principalmente sul trattamento medico-
riabilitativo da accordare agli stessi soggetti. 
  I redattori della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e dei Patti sui 
diritti umani non hanno incluso all’interno di questi strumenti disposizioni riguardanti il 
caso delle persone portatrici di handicap, quale distinto gruppo sensibile alle violazioni 
dei diritti umani. 
In principio, gli individui affetti da disabilità ricadevano nell’ambito dei 
principali strumenti sui diritti umani, apparendo quali titolari di diritti e doveri degni di 
eguale rispetto e trattamento. In realtà gli stessi risultavano tradizionalmente e 
sistematicamente esclusi dal “rights talk”.
3
 La paura exnofoba “dell’altro”, inteso come 
persona diversamente abile, è stata spesso usata come giustificazione di politiche 
segregazioniste fondate su pratiche discriminatorie, o del tentativo di estromettere i 
disabili dalla vita pubblica ripudiando il loro essere.  
Lo status di disabile ha investito in pieno la sfera giuridica dei ragazzi portatori 
di handicap costituendo la principale causa di abusi da questi subiti. In definitiva il 
contesto venutosi a creare sanciva esso stesso, prima ancora della materiale violazione 
dei diritti accordati ai minori, la fonte di diseguaglianza, rafforzando la nozione di 
disabilità come “the ultimate deviance”.
4
 Come Renteln rimarca nel proprio 
provocatorio saggio intitolato “Cross-Cultural Perceptions of Disability: Policy 
Implication of Divergent Views”,
5
 anche nella società dove la disabilità qui considerata 
assume una connotazione positiva, le persone portatrici di handicap (inclusi i bambini) 
restano situate in una posizione subordinata.  
                                                                                                                                               
Research Centre “... i bambini disabili..., rimangano semplicemente ‘cancellati’ dalla società”. Citazioni 
tratta da UNICEF, Molti bambini disabili ancora “esclusi”, documento consultabile sul sito 
http://www.unicef-icdc.org/presscentre/presskit/disrep/disrep05_pr_it.pdf     
3
 SABATELLO, M., The Track to an International Revolution in Disability Rights, in Human Rights 
Quarterly, vol. 27 n. 2, maggio 2005, p. 740 
4
 SABATELLO, M., The Track to an International..., cit., p. 740 
5
 Ibidem 
 9
Nessuna delle regole presenti nei tre strumenti costituenti l’International Bill of 
Human Rights (in altri termini la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 
1948, il Patto sui diritti civili e politici ed il Patto sui diritti economici, sociali e culturali 
del 1966) menziona i soggetti disabili come categoria giuridicamente protetta in modo 
specifico. Tali strumenti contemplano una protezione che investe la sfera giuridica di 
tutte le persone, ma negli stessi non è possibile rilevare alcuna esplicita menzione al 
tema della discriminazione (intimamente legato a quello dell’eguaglianza per sua 
natura) attinente le persone disabili e fra questi i minori portatori di handicap.  
Come enfatizza la prof. Degener, la disabilità è presa in considerazione 
nell’International Bill of Rights “…only in connection with social security and 
preventive health policy”,
6
 e non come una questione  afferente tutti i diritti umani. In 
altri termini, le maggiori Convenzioni delle NU sono correlate solo “indirectly to the 
rights of persons with disabilities”.
7
 Nella sostanza la normativa internazionale, sia che 
si riferisca a strumenti convenzionali che non, è stata lenta a considerare la problematica 
quale materia degna di esplicito regolamento. Si dovrà arrivare fino agli inizi degli anni 
’70 per rilevare le prime dichiarazioni non vincolanti direttamente riconducibili alla 
materia, ed ai primi anni ’80 per cogliere i primi passi verso il cambiamento da una 
prospettiva concentrata sulla dimensione medica ad una prospettiva basata sui diritti 
umani. Tale basilare punto di approdo si manifesterà nei suoi contenuti  iniziali 
nell’ambito del Programma mondiale d’azione concernente le persone disabili datato 
1982, per poi assumere sostanza concreta nell’alveo dei successivi strumenti elaborati 
dalle NU.      
In tutte le parti del Mondo la disabilità è una dimensione della diversità umana al 
pari del sesso, della razza, della cultura, della religione. Nonostante tale assunto, e 
malgrado le persone disabili costituiscano una “minoranza globale” (data l’estensione 
numerica e la dislocazione geografica della fattispecie) al pari delle donne, dei bambini, 
                                                 
6
 National Council and Disability Member and Staff, Understanding the Role of an International 
Convention…, cit., p. 26. Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo  il solo riferimento alla 
disabilità è contenuto nell’art. 25 a termini del quale “[E]veryone has the right to a standard of living 
adequate for the health and well-being of himself and his family,…and the right to security in the event of 
…, disability (corsivo mio),…or other lack of livelihood in circumstances beyond his control”. Citazione 
consultabile sul sito http://www.unhchr.ch/udhr/lang/eng.htm    
7
 Asia Pacific Forum’s Working Group, Proposed UN Convention on the Rights of People with 
Disabilities, Nuova Deli, India, 11-13 novembre 2002, p. 3, documento consultabile sul sito 
http://www.asiapacificforum.net/annual_meetings/seventh/disability.pdf. Più specificatamente tale 
riferimento viene riportato da Charlotte McClain, esponente della South African Human Rights 
Commission, alla 4° Conferenza dell’African Human Rights Institutions 14-16 Agosto 2002  di Kampala 
Uganda; la Dichiarazione pone l’accento sull’esistente lacuna di trattamento giuridico-tematico della 
materia sottoposta ad esame negli strumenti di “hard law” emanati nel periodo antecedente la 
Dichiarazione stessa.  
 10
dei lavoratori migranti ecc., esse sono tuttora vittima di trattamenti differenziati 
nell’applicazione dei diritti di cui possono vantare la titolarità o dell’assoluta 
disapplicazione di questi. 
Nella maggior parte dei casi tali persone sono etichettate come “differenti” in 
virtù della presenza di uno status di handicap temporaneo o permanente fornendo la 
giustificazione per la mancata esecuzione (o differenze attuazione) dei diritti e obblighi 
riscontrabili in capo ad essi. 
  Tali violazioni incidono in maniera drammatica sulla vita dei disabili, prendendo 
o assumendo la forma di varie pratiche. Gli standard internazionali sui diritti umani 
richiedono il pieno godimento dei diritti da parte dei beneficiari, fra i quali figurano le 
persone portatrici di handicap (ivi inclusi fra queste i minori quale sub-categoria). 
Tuttavia tali soggetti sono frequentemente oggetto di estesi abusi afferenti la sfera 
intima e personale dei medesimi. Queste includono la malnutrizione, forzata 
sterilizzazione, sfruttamento sessuale, la negazione di opportunità educative (con 
speciale riguardo alla sfera dei minori disabili) e vocazionali in ambito lavorativo, 
istituzionalizzazione, la negazione del diritto di voto. Come evidenziato e osservato nel 
1991 dal primo Special Rapporteur della Sotto-Commissione sulla prevenzione delle 
discriminazioni e la protezione delle minoranze, Leandro Despouy: 
 
“[People with disabilities] frequently live in deplorable conditions, owing to the 
presence of physical and social barriers which prevent their integration and full 
participation in the community. As a result, millions of children and adults 
throughout the world are segregated and deprived of virtually all their rights and 
lead a wretched, marginal life”.
8
 
Tale situazione ha condotto de facto all’insorgere di una crisi dei diritti umani 
riconducibili in capo alle persone disabili, sottolineando un atteggiamento generale alla 
considerazione del disabile come avente meno valore in virtù del suo status psico-fisico; 
il suddetto atteggiamento acquista, nel quadro sottoposto ad esame, le sembianze di una 
duplice negatività, non solo perché incide ed influenza le strutture sociali e giuridiche di 
riferimento ma perché produce anche un impatto diretto sulla persone portatrici di 
                                                 
8
 National Council and Disability Member and Staff, Understanding the Role of an International 
Convention..., cit., p. 13  
 11
handicap (ergo minori disabili) restringendo le opzioni che in termini giuridici tali attori 
possono vantare a difesa del loro essere.
9
Molti individui investiti da tale condizione non sono visti come capitale umano 
meritevole di eguale trattamento, legittimamente capaci di rivendicare situazioni 
giuridiche a loro imputabili in qualità di soggetto di diritto, ovvero azioni positive poste 
a tutela dei propri diritti e obblighi, ma come “objects  of pity” quali soggetti passivi 
delle norme predisposte a loro tutela. Quinn fotografa in maniera evidente tale 
disuguaglianza di trattamento laddove afferma: “the truth is, we are all developing 
countries when it comes to disability”
10
 ponendo l’accento sull’assenza di un eguale 
trattamento de iure oltre che de facto.
11
Compiutamente è soltanto con l’avvento delle Regole Standard, adottate 
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1993, e l’avvio dei lavori preparatori 
della nuova Convenzione afferente il tema della disabilità, che si imprime una decisa 
svolta alla conditio sopra esposta, ponendo l’accento sulla sfera giuridica degli individui 
di causa. In linea con quanto affermato e richiesto dagli studiosi operanti nel campo, si 
                                                 
9
 Significativa al riguardo appare la citazione di Ann Elwan nel suo studio per conto della World Bank 
sulla povertà e disabilità a termini del quale: 
“Disabled people are lower education and income levels than the rest of the population. They are 
more likely to have incomes below poverty level than the non-disabled population,…”. 
In tal modo si crea un assioma un collegamento  particolarmente significativo fra povertà e disabilità che 
si esplica su due vie: la condizione disabile aggiunge e aggrava il rischio della povertà, viceversa la 
povertà aumenta il rischio di incorrere in tale condizione. Il punto appare di estrema importanza laddove 
si consideri la presenza di circa i 2/3 delle persone affette da handicap nei PVS e si tenga in 
considerazione quanto espresso dallo stesso Segretario Generale delle UN Kofi Annan  in merito al 
contributo alla realizzazione dei tre pilastri indicati dallo stesso, attinenti il ruolo delle UN nel prossimo 
centenario. In particolare si pone l’accento sulla necessità di sradicare la povertà, prevenire i conflitti e 
promuovere la democrazia, ricomprendendo la tematica oggetto di esame in un quadro globale, laddove le 
persone disabili sono destinate a giocare un ruolo critico nel raggiungimento della pace e sicurezza 
internazionale e nella promozione della democrazia; tale assunzione deriva dal fatto che lo sradicamento 
della povertà non può essere raggiunto con l’assenza di uno sforzo concertato di  “all vulnerable groups” 
ivi compresi i portatori handicap; la prevenzione dei conflitti non può accadere senza la piena 
partecipazione dei feriti di guerra fra i quali le persone disabili; la promozione della democrazia sarà 
incompleta senza la piena inclusione di tutti gli esseri umani  titolari e beneficiari di diritti e obblighi 
giuridici. Il suddetto progetto comporta quale esito, un riposizionamento della “popolazione” portatrice di 
handicap con il passaggio ad una posizione attiva in termini legali all’interno della società. La nuova 
Convenzione dovrà fare i conti con tale mutamento di modus vivendi con il ripristino e la riattivazione dei 
diritti negati a tale sub-categoria di soggetti. ELWAN, A., Poverty and Disability: A Survey of Literature, 
in World Bank Social Protection Discussion Paper, n. 9932, 18 dicembre 1999, consultabile sul sito 
http://siteresources.worldbank.org/DISABILITY/Resources/Poverty/Poverty_and_Disability_A_Survey_
of_the_Literature.pdf
10
 QUINN, G., Disability Rights An American Invention-a Global Challange, 2004, p. 6; documento 
consultabile sul sito
www.nuigalway.ie/law/Common%20Files/Working%20Papers/2%20CPS%202004.pdf    
11
 Addirittura alcuni Stati avevano suggerito che, poichè le persone investite da disabililtà non erano 
esplicitamente menzionate nei trattati sui diritti umani esistenti, essi “were not covered”. QUINN, G., 
DisabilityRights An American..., 2004, cit., p. 14  
 12
inizia ad abbandonare progressivamente i vecchi modelli oramai superati spostando 
l’attenzione dall’individuo a ciò che lo circonda.    
In virtù di quanto detto il presente lavoro esplora il processo di cambiamento, 
attualmente in atto, con riguardo alla disabilità, concretatosi nel passaggio ad un sistema 
fondato sulla eliminazione degli ostacoli fisici e giuridici che impediscono il normale 
esercizio dei diritti spettanti ai maggiori e minori portatori di handicap. Esso mira a 
chiarire il progressivo ed inseparabile intreccio fra la tematica dell’handicap ed i diritti 
dell’uomo. 
  Contemporaneamente la nostra dissertazione ha per obbiettivo la verifica di 
come il minore disabile si inserisca in siffatto contesto rivoluzionario, specificando i 
contorni della tutela giuridica eventualmente esistente o creata in suo favore. In altre 
parole essa mira a rispondere alla seguente domanda: in che modo siffatto fondamentale 
passaggio si riflette anche sulla tutela del minore? A tale scopo la presente tesi si 
suddivide in tre capitoli. 
  Il primo capitolo ha ad oggetto i principali strumenti di carattere generale, 
vincolanti e non, che si applicano anche ai bambini disabili. Esso si propone di 
ricostruire la disciplina, riscontrabile a favore dei minori, fornendo una visione generale 
della questione trattata all’interno dei primi strumenti a carattere obbligatorio e non.  
Un secondo capitolo sarà dedicato all’esame del “soft law” specificatamente 
riconducibile al tema oggetto di studio. Esso focalizzerà la propria attenzione sul 
trattamento riservato ai ragazzi disabili nell’ambito delle dichiarazioni di principio 
adottate dalle Nazioni Unite, con una particolare attenzione alle Regole Standard 
sull’eguaglianza delle opportunità. 
Infine il capitolo terzo orienterà l’attenzione sulla Convenzione sui diritti delle 
persone con disabilità che ha direttamente ad oggetto la tematica dei diritti dei disabili. 
Esso concentrerà l’attenzione sui cambiamenti capaci di prodursi a seguito 
dell’eventuale entrata in vigore della Convenzione, confrontando l’impianto giuridico 
da questa delineato con quello dei precedenti strumenti.  
Nello specifico verranno esaminati i lavori preparatori svoltisi in seno al 
Comitato ad hoc avente il compito di redigere l’accordo, assieme alla portata della 
Convenzione in relazione allo status dei minori disabili. A tale riguardo costituiranno 
oggetto di analisi, sia gli aspetti positivi eventualmente posti in essere dalla tutela 
predisposta dal progetto di Convenzione a favore dei bambini portatori di handicap, sia 
 13
le eventuali deficienze o lacune rimaste inalterate con riguardo alla disciplina 
attualmente in vigore.                  
 14
 CAPITOLO I 
 
STRUMENTI DI CARATTERE GENERALE 
SUI DIRITTI UMANI 
E TUTELA DEI MINORI DISABILI 
 
SEZIONE I 
STRUMENTI APPLICABILI IN TEMPO DI PACE 
 
 
1.1 Strumenti a carattere universale 
 
1.1.1 La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo 
 
Il primo strumento di carattere internazionale a venire in rilievo è la 
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’Assemblea Generale delle 
Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.  
La Dichiarazione trattando espressamente di diritti dell’uomo (qualsiasi uomo o 
donna) enuncia diritti che spettano anche ai disabili e tra essi ai bambini affetti da 
handicap. Tuttavia al di la di tale statuizione più che generale, il punto principale 
consiste nel verificare quali diritti in concreto possono vantare i suddetti soggetti. In 
altri termini come si rapporta la Dichiarazione Universale nei riguardi della disabilità ed 
in particolare nei confronti dei minori disabili? Dei trenta articoli di cui essa si compone 
quali effettivamente si accordano con il tema ed in che modo? 
Nel preambolo della Dichiarazione si asserisce che i valori di libertà, giustizia e 
pace sono intrinsecamente legati all’universale riconoscimento della dignità umana e dei 
diritti, introducendo quindi la principale novità (statuita nello stesso titolo) della 
 15
Dichiarazione: i diritti umani sono universali ed in quanto tali appartengono a “all 
members of the human family”.
12
  
É chiaro che l’uso della locuzione impersonale “all members” implica 
l’applicazione implicita di tutti i principi racchiusi in essa ai disabili ivi inclusi i ragazzi 
affetti da disagio psico-fisico. Tuttavia occorre qualcosa di più specifico onde poter 
rispondere e valutare correttamente la portata dell’atto nell’ambito oggetto di studio. 
Cassin, uno dei maggiori protagonisti nell’elaborazione dello strumento, 
compara la Dichiarazione ad un “portico of a temple”,
13
 i cui pilastri fondamentali sono 
costituiti dai principi generali di dignità, libertà, eguaglianza e fraternità proclamati 
negli artt. 1 e 2 della medesima.  
La Dichiarazione inizia con i due articoli citati di carattere generale, inseriti sotto 
l’insistenza dello stesso Cassin. Egli riteneva che un simile atto per potersi definire 
universale, avrebbe dovuto iniziare con una dichiarazione di cosa tutti gli esseri umani 
hanno in comune. 
É proprio in siffatta impostazione che nasce una prima distorsione in materia. 
Dei due articoli elaborati al fine di enunciare i supremi valori alla base della 
Dichiarazione, l’art. 1 contiene un passaggio delicato per il tema di cui ci occupiamo. 
Esso recita: “All human beings are born free and equal in dignity and rights. They are 
endowed with reason and conscience and should act towards one another in a spirit of 
brotherhood”.
14
In effetti un’attenta analisi della seconda parte della norma evidenzia una dizione 
densa di possibili conseguenze giuridiche negative a danno dei minori mentalmente 
disabili. L’impiego della formula letterale “with reason and conscience” implica, per 
esclusione, che gli eventuali soggetti incapaci di intendere e di volere non possano 
godere della titolarità dei diritti umani sanciti nello strumento. Ne consegue che i 
bambini afflitti da disagio mentale non potrebbero invocare a loro beneficio i principi 
ascritti presenti nell’atto. 
Per fortuna la deleteria proiezione richiamata qui di sopra, si scontra con il 
successivo art. 2, il quale tempera la rigidità della formula usata. Esso contempla uno 
dei principi più importanti in ambito internazionale, ovvero il principio di non-
discriminazione. 
                                                 
12
 GLENDON, M. A., Knowing the Universal Declaration of Human Rights, in Notre Dame Law Review, 
vol. 73 n. 5, 1998, p. 1163 
13
 GLENDON, M. A., Knowing the Universal Declaration..., cit., p. 1163 
14
 GLENDON, M. A., Knowing the Universal Declaration…, cit., p. 1165 
 16
La norma rappresenta la prima importante disposizione applicabile alla tutela dei 
disabili. Come vedremo i dettami giuridici presenti in essa, costituiranno il punto 
fondante dei vari strumenti di prima generazione (e non solo) oggetto di questa prima 
parte, fino ad arrivare alla propria consacrazione nell’ambito delle Standard Rules 
sull’eguaglianza delle opportunità. 
Come è facilmente intuibile, accanto a tale diritto agisce il principio di 
eguaglianza quale corrispettivo del divieto di operare discriminazione a cagione di 
determinati individui. Come specifica il prof. Dinstein i termini “discriminazione” ed 
“eguaglianza” sono entrambi fondati su un assunto di relatività. In altri termini “the 
discriminatory or equal treatment of one person must be measured by the relative 
treatment of somebody else”.
15
Nello specifico l’art. 2 sancisce: 
 
“1. Everyone is entitled to all the rights and freedoms set forth in this Declaration, 
without distinction of any kind, such as race, colour, sex, language, religion, 
political or other opinion, national or social origin, property, birth or other status 
(corsivo mio)”.
16
  
 In linea generale possiamo ritenere siffatta disposizione come un’antecedente 
delle successive clausole anti-discriminatorie presenti negli altri strumenti rilevanti in 
tema. In altre parole potremmo dire che il principio enunciato in essa, assurgerà a 
principio base della protezione accordata ai minori disabili, data l’esistenza di ben 
poche norme riconducibili specificatamente al problema all’interno di quest’ultimi. 
Scendendo nello specifico l’articolo richiamato costituisce una norma di 
carattere subordinato, nel senso che essa proibisce gli atti discriminatori solo nel 
contesto dei diritti e della libertà predisposti all’interno della Dichiarazione universale. 
La stessa non estende i propri effetti giuridici al di fuori dell’atto. 
La giurisprudenza della Corte europea sui diritti umani, le cui osservazioni 
possano ben adattarsi anche in questo ambito, suggerisce che una clausola subordinata 
relativa alla non-discriminazione deve essere letta in congiunzione con ciascun altro 
diritto e libertà enunciato nell’atto. In virtù di ciò, nonostante essa non abbia 
                                                 
15
 DINSTEIN, Y., Discrimination and International Human Rights, in Israel Yearbook on Human Rights, 
vol. 15, 1985, p. 11 
16
 SKOGLY, S., Article 2, in The Universal Declaration of Human Rights (a cura di G. Alfredsson e A. 
Eide), The Hague, 1999, p. 75 
 17
un’esistenza indipendente rispetto allo strumento a cui si riferisce, integra il dettato 
normativo degli altri articoli formando parte integrante di questi (sebbene non appaia 
letteralmente nel testo). 
Inoltre, sempre sul piano generale l’espressione letterale usata dalla disposizione 
(“without distinction of any kind such as”), configura la stessa come flessibile. In altri 
termini l’elenco delle fattispecie discriminatorie sancito in essa, acquisisce un carattere 
elastico, indeterminato e non esaustivo. Ciò assume un particolare significato anche dal 
punto di vista interpretativo producendo un risultato giuridico di notevole rilievo. In 
particolare nel determinare se effettuare una data distinzione viola il principio di non-
discriminazione “[one] will never concern whether the given distinction is covered by 
the non-discrimination provision or not. Every distinction, of any kind, will invoke the 
non-discrimination or equality principle”.
17
Nella specie, malgrado l’articolo enumeri 10 possibili terreni di illegittima 
discriminazione, non menziona la disabilità: la parte che a noi interessa è costituita solo 
dalla locuzione omnicomprensiva “other status”. In effetti a fronte delle puntuali 
citazioni di forme di discriminazioni possibili, il riferirsi alla questione che a noi qui 
interessa per il tramite di una semplice formula generica appare riduttivo, o quanto 
meno indice di una scarsa attenzione nei riguardi della problematica della disabilità (e 
quindi dei minori disabili). 
I lavori preparatori confermano quanto detto. Il dibattito sulla lista dei casi da 
considerare vietati, in quanto discriminatori, ha dato luogo a controversie. Alcune 
delegazioni, fra le quali quella degli USA, propendevano per la mera riproduzione delle 
fattispecie contemplate nella Carta delle Nazioni Unite. Durante il processo negoziale 
tale visione restrittiva veniva abbandonata. Non di meno la maggiore area di 
controversia era proprio quella attinente il concetto di “status”.  
La delegazione sovietica era incline ad aggiungere davanti al suddetto termine 
l’aggettivo “social”, trasformando la locuzione in “social status”. L’intenzione sovietica 
derivava dalla volontà di inserire nel contesto la parola russa “soslovie”, connessa con 
alcuni privilegi di classe di origine feudale. Essa non trovava alcun riscontro, ne era 
traducibile, nella lingua inglese, creando quindi una situazione di stallo. L’impasse 
venne superato, in parte grazie ad un compromesso proposto dalla delegazione cinese 
(teso ad includere “or other” fra “property” e “status”), in parte grazie all’opera del 
                                                 
17
 BAYEFSKY, A. F., The Principle of Equality or Non-Discrimination in International Law, in Human 
Rights Law Journal, vol. 11, 1990, p. 5  
 18
Comitato composto da Cassin (Francia), Eleonor Roosevelt (USA) e Pavlov (Unione 
Sovietica), che elaborerà la formula definitiva. 
Appare evidente che qualora la tesi sovietica fosse stata accettata la locuzione di 
specie avrebbe assunto una connotazione giuridica diversa da quella finale, non essendo 
più riferibile al problema della disabilità e dei bambini portatori di handicap. La 
mancata adesione ad un simile richiesta mostra tuttavia un ulteriore punto. Le parti al 
negoziato non hanno minimamente inteso ab initio aggiungere l’espressione “or other 
status” con specifico riguardo ai disabili. Essa appare più il risultato dell’andamento 
negoziale che una reale e concreta volontà di riportare il tema dei bambini affetti da 
handicap sotto l’ombrello protettivo dell’art. 2. Solo attraverso una triplice connessione 
di ordine giuridico-terminologica è possibile ricondurre il problema nell’ambito 
operativo della norma citata. 
Nello specifico occorre porre l’accento sul carattere flessibile della disposizione, 
unito all’uso di una formula generica (“other status”) e di un termine generale 
(“Everyone...” dichiara la norma),
18
 per poter applicare quest’ultima in favore dei 
disabili. Solo grazie all’unione dei tre elementi richiamati è possibile ritenere che i 
ragazzi portatori di handicap siano legittimi beneficiari del diritto di non-
discriminazione. 
Di conseguenza l’art. 2 restituisce in linea di principio, la titolarità dei diritti 
presenti nella Dichiarazione ai disabili, laddove l’art. 1 parlava di diritti riconosciuti 
solo agli individui dotati di coscienza e ragione. 
Certamente il procedimento indiretto, estremamente complesso e laborioso, 
necessario per poter addivenire ad una simile statuizione, testimonia la scarsa 
considerazione di cui è investito il tema. Tale trend si conferma pienamente allorché si 
procede all’esame specifico della disciplina posta a salvaguardia dei diritti nell’ambito 
della Dichiarazione universale. 
Dei trenta articoli di cui consta l’atto solo l’art. 25 contiene un riferimento 
esplicito alla questione della disabilità. Esso recita: 
 
“1. Everyone has the right to a standard of living adequate for the health and well-
being of himself and his family, including food, clothing, housing and medical 
care and necessary social services, and the right to security in the event of..., 
disability… 
                                                 
18
 Da notare che il termine richiama direttamente la principale caratteristica innovatrice dell’atto, ovvero 
l’universalizzazione dei diritti umani.  
 19