2
un’etichetta che rappresenta una sorta di carta d’identità dell’alimento sul
quale è apposto e che ne garantisce la genuinità…. È stata proprio la
Comunità europea ad imporre a tutti gli Stati membri di apporre su molti
prodotti alimentari una siffatta etichetta.
Nei padri fondatori della Comunità, tuttavia, nonostante i solenni
principi proclamati nel Preambolo CEE di “realizzare un’unione sempre più
stretta tra i popoli europei” e di contribuire al mantenimento della pace
mondiale, era del tutto prevalente l’obiettivo dell’integrazione economica
tra i Paesi europei a scapito dell’unione politica e sociale.
La svolta si è avuta negli anni ’70, quando il grave malessere sociale
che serpeggiava in tutta Europa (si pensi al c.d. autunno caldo dell’impresa
italiana del ’69) e la grave crisi dell’impresa, che aveva riguardato
pressoché tutto il vecchio continente, dimostrarono come fosse
eccessivamente fiducioso ritenere che l’armonizzazione dei diversi sistemi
sociali potesse derivare, sic et simpliciter, dagli “automatismi di mercato”
(secondo il postulato classico della teoria liberista), cioè dal lasciare
liberamente agire le forze del mercato, e come fosse impossibile e del tutto
mistificante un’integrazione europea che trascurasse le problematiche
propriamente sociali: non a caso nel 1974 fu varato il primo programma
d’azione sociale, sulla base del quale venne assunta tutta una serie di
iniziative concrete, volte a regolare alcuni tra gli aspetti più significativi
attinenti alle politiche del lavoro.
3
Prendendo le mosse da queste considerazioni, nel presente scritto viene
in primo luogo ricordata, per sommarie tappe, quella che è stata
l’evoluzione dell’ordinamento comunitario in materia sociale, dall’iniziale
periodo di sostanziale disinteresse nei confronti delle tematiche proprie del
mondo del lavoro, alla realizzazione di un sempre più corposo apparato di
tutela dei lavoratori, fino all’elaborazione di una vera e propria politica
comune europea in campo sociale. Dopodiché si passa ad analizzare il
quadro europeo di protezione dei lavoratori di fronte alla decisione
unilaterale del loro datore di lavoro di risolvere il rapporto lavorativo.
Al riguardo viene considerata, prima di ogni altra, la tutela di carattere
individuale che ciascun Paese membro dell’Unione assicura ad ogni
lavoratore contro il provvedimento datoriale di licenziamento, e, nel
contempo, sono ricordate alcune importanti iniziative assunte dalle
Istituzioni europee al fine di garantire, stante il silenzio del legislatore
europeo in materia, un quadro europeo comune di protezione dei prestatori
di lavoro a fronte di un così drastico provvedimento adottato dal loro
datore.
Si passa poi a considerare il licenziamento non più come un atto singolo
inteso a colpire un dato e specifico lavoratore, ma nell’ambito di una
prospettiva collettiva, vale a dire come provvedimento con il quale il datore
di lavoro intende definitivamente ridurre il suo personale. Si analizza
dunque il quadro minimo di tutele assicurate ai lavoratori dal diritto
4
comunitario, a partire dalla prima Direttiva in materia di licenziamenti
collettivi del 1975 fino alla recente Direttiva del 1998.
Dopo l’esame della disciplina comunitaria sui licenziamenti collettivi,
l’attenzione si concentra sulla normativa concernente i trasferimenti
d’impresa, data la stretta attinenza esistente tra le due problematiche del
trasferimento aziendale e dei licenziamenti, e dato, in particolare, il divieto
di licenziamento dei lavoratori dipendenti dalle imprese coinvolti dalla
cessione, divieto che è sancito dalla disciplina comunitaria che regola
questa particolare vicenda.
Come ogni cultore del diritto sa, non è però sufficiente lo studio della
mera legislazione comunitaria in materia di licenziamenti, per riuscire a
ricostruire il sistema complessivo di tutele di cui gode il lavoratore europeo
a fronte della decisione del datore di espellerlo, vuoi per ragioni attinenti
alla persona del lavoratore vuoi per ragioni aziendali, dall’impresa. Risulta,
infatti, necessario uno studio anche della giurisprudenza comunitaria, per
osservare il modo in cui la normativa europea in materia è interpretata ed
applicata.
È proprio per ciò che in questo scritto è dedicata una particolare
considerazione alla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità
europee, e, in particolare, vengono analizzati i più rilevanti contributi che le
sue pronunce hanno fornito in materia, e che hanno meglio specificato e,
per molti versi, rafforzato la protezione dei lavoratori a fronte di una
decisione unilaterale del datore di risolvere il contratto di lavoro.
5
A questo punto è condotta un’analisi comparata circa i diversi regimi
dei licenziamenti collettivi esistenti nei singoli Paesi europei, al fine di
valutare il modo in cui è stata recepita nei singoli sistemi nazionali la
normativa comunitaria che disciplina la materia e, dunque, di segnalare le
maggiori differenze che tuttora persistono tra di essi.
In fine, la presente indagine focalizza specificamente l’ordinamento
italiano e la relativa disciplina in materia di licenziamento per riduzione di
personale, allo scopo di valutare se ed in che misura il nostro legislatore ha
recepito la normativa comunitaria.
6
CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE DELL’ORDINAMENTO
COMUNITARIO DEL LAVORO DAI TRATTATI
ISTITUTIVI DELLE COMUNITÀ EUROPEE AL
TRATTATO DI AMSTERDAM
1. Ordinamento internazionale del lavoro
Numerose sono le ragioni che inducono gli Stati ad abbandonare la loro
supremazia nell’ordine internazionale. Il passaggio non è certo indolore e
comporta la ricerca di una nuova identità collettiva: la nazionalità è, infatti,
un bene prezioso e disfarsene certo non è semplice, specie se la nuova entità
non è in grado di esprimere un altro elemento unificante. La libera
circolazione degli individui e, in generale, le politiche sociali rientrano
sicuramente tra le cause che possono portare gli Stati a ricercare fonti di
collaborazione sopranazionale, e il fatto che la Comunità europea includa
solo questa libertà, e non la politica sociale in senso lato, fra i suoi principi
fondamentali è una conferma della difficoltà di produrre un diritto sociale
europeo ad ampio spettro
1
.
In ogni caso appare ovvio che il diritto comunitario deve le sue origini
al diritto internazionale, e che, in particolare, la disciplina comunitaria in
1
Cfr. S. SCIARRA, Il dialogo tra ordinamento comunitario ed ordinamento nazionale del lavoro: la
contrattazione collettiva, in AIDLASS, 1992, p. 67.
7
materia sociale non può non aver tratto ispirazione dal patrimonio dei
principi acquisito dal diritto internazionale del lavoro. Tra i testi
fondamentali di diritto internazionale, sebbene non giuridicamente
vincolante
2
, si colloca indubbiamente la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite
3
il 10
dicembre 1948. Tra le attuazioni di questa dichiarazione assumono
rilevanza i due Patti relativi, il primo, ai diritti economici, sociali e culturali,
e, il secondo, ai diritti civili e politici, firmati entrambi a New York nel
1966. In materia sociale, il Patto sui diritti economici, sociali e culturali
contiene due importanti disposizioni: quella dell’art. 6, che riconosce il
diritto al lavoro, quale diritto di ogni individuo ad ottenere la possibilità di
guadagnarsi la vita con un lavoro liberamente scelto e accettato; quella
dell’art. 7, che contempla il diritto di godere di giuste e favorevoli
condizioni di lavoro non soltanto dal punto di vista economico, ma anche
sotto il profilo dell’integrità fisica e morale, della personalità e
professionalità del lavoratore. Importanti riscontri dei principi della
Dichiarazione universale si rinvengono nella Convenzione europea sulla
tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma, in
seno al Consiglio d’Europa
4
, il 3 novembre del 1950
5
. Due sono gli articoli
2
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite non è infatti dotata di poteri legislativi mondiali.
3
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è stata fondata dopo la seconda guerra mondiale dagli Stati
che avevano combattuto contro le Potenze dell’Asse, e prese il posto della disciolta Società delle Nazioni.
4
Lo statuto del Consiglio d’Europa (che comprende attualmente più di 40 Stati membri) fu firmato a Londra
il 5 maggio 1949.
5
Sulla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)
cfr. M. DE SALVIA, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2001.
8
della convenzione che riguardano direttamente il lavoro: l’art. 4, che vieta il
lavoro forzato e l’art. 11, che proclama la libertà di associazione sindacale.
Peraltro questa Convenzione ha sempre costituito per il legislatore
comunitario il parametro di riferimento primario. Ad essa
significativamente si richiama l’art. 6 (ex art. F) delle Disposizioni comuni
del Trattato di Maastricht, secondo cui l’Unione rispetta i diritti
fondamentali quali sono appunto garantiti dalla Convenzione europea sulla
tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e quali risultano
dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, in quanto principi generali
del diritto comunitario.
Una trasposizione particolare dei diritti dell’uomo al campo sociale si
rinviene nella Carta sociale europea, sottoscritta a Torino il 18 ottobre del
1961 dagli Stati membri del Consiglio d’Europa. La Carta, priva di valore
vincolante ma che svolge un importante ruolo sul piano della
programmazione e promozione dei diritti ivi riconosciuti, contiene un vero
decalogo dei diritti fondamentali del lavoratore, quali, in primo luogo il
diritto al lavoro e a condizioni eque di lavoro, alla giusta retribuzione, il
diritto all’igiene e alla sicurezza nel lavoro, il diritto di associazione
sindacale e di negoziazione collettiva, ed altri ancora.
In campo europeo assumono anche rilievo la Convenzione europea
sullo statuto giuridico dei lavoratori migranti del 1977, l’Accordo europeo
sul collocamento alla pari del 1969 ed il Codice europeo di sicurezza
sociale, aperto alla firma il 16 aprile del 1964, che contempla le branche
9
fondamentali della sicurezza sociale, che si ritroveranno successivamente
elencate nel Regolamento CEE n°1408/1971 relativo all’applicazione dei
regimi di sicurezza sociale per i lavoratori migranti.
Ma il complesso di norme di diritto internazionale del lavoro che per la
sua ricchezza assurge a vero e proprio Codice internazionale del lavoro è
quello costituito dalle Convenzioni adottate in seno all’Organizzazione
internazionale del lavoro (OIL)
6
, alle quali l’ordinamento comunitario
rivolge particolare attenzione. Non è un caso infatti che moltissimi principi
promananti dalle norme OIL sono ripresi nel diritto comunitario, sicché è
naturale che ad essi spesso la Corte di Giustizia faccia rinvio, come ad
esempio in tema di divieto di discriminazione e di applicazione del
principio di eguaglianza in materia di lavoro.
Anche con riferimento a singoli aspetti problematici della disciplina del
rapporto di lavoro è possibile rinvenire linee di continuità tra la normativa
OIL e quella comunitaria: si pensi, ad esempio, alla Convenzione OIL
nº158 cui si raccordano le Direttive 75/129 e 92/56 in materia di
licenziamenti collettivi
7
e si pensi ancora alla Convenzione OIL nº155 cui si
ricollega la Direttiva “quadro” 89/391 riguardante l’attuazione dei
provvedimenti diretti a promuovere il miglioramento della sicurezza e
salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
6
L’OIL, Istituto specializzato delle Nazioni Unite, avente sede a Ginevra, è stata fondata nel 1919 con lo
scopo di migliorare le condizioni di lavoro e di promuovere la giustizia sociale. Suoi organi sono: la
Conferenza generale dei rappresentanti degli Stati membri, il Consiglio di amministrazione e l’Ufficio
internazionale del lavoro (UIL).
7
V. infra, Cap. III.
10
Da tale Direttiva quadro hanno, peraltro, tratto origine una serie
numerosissima di Direttive particolari riguardanti settori specifici, tra le
quali possiamo ricordare, la Direttiva 92/85 riguardante la tutela della
lavoratrice madre, che risente decisamente del “sistema” introdotto dalla
Convenzione OIL nº103, in cui per la prima volta viene fissato un periodo
minimo entro il quale opera a favore della donna un divieto assoluto di
licenziamento.
In ogni caso il collegamento funzionale tra ordinamento OIL e
ordinamento comunitario del lavoro è assicurato dallo strumento peculiare
costituito dall’obbligo di tutti gli Stati membri dell’OIL di portare a
conoscenza delle autorità competenti gli strumenti OIL entro 12/18 mesi
dalla loro adozione da parte della Conferenza internazionale del lavoro.
Inoltre la partecipazione attiva delle organizzazioni di lavoratori e
imprenditori al sistema di controllo dell’Organizzazione internazionale del
lavoro costituisce un’esperienza che ha dato un forte impulso allo sviluppo
del dialogo sociale e alla valorizzazione dell’autonomia collettiva anche in
ambito europeo. Appare dunque evidente la necessità di un coordinamento
8
fra ordinamento internazionale del lavoro e quello comunitario, soprattutto
al fine di evitare che il forte divario esistente tra gli Stati comunitari sul
piano del recepimento delle convenzioni OIL si traduca in una maggiore
difficoltà nell’attuazione di livelli più elevati di armonizzazione della
8
Cfr. L. PELAGGI, Organizzazione internazionale del lavoro e Unione europea: necessità di coordinamento,
in DL, 1994, I, 40.
11
politica sociale comunitaria e, dunque, nell’ulteriore sviluppo del diritto
comunitario del lavoro. Peraltro proprio al fine di agevolare un siffatto
raccordo è riconosciuta, dagli articoli 230 (ex 228) e ss. del Trattato CEE,
alla Comunità in quanto tale di partecipare ai negoziati in sede OIL quale
titolare di un autonomo potere negoziale, potere che la Comunità talvolta
può esercitare in via esclusiva e talvolta concorrendo con i singoli Stati
membri
9
.
Da quanto si è finora detto appare in maniera evidente l’incidenza che
ha avuto, e che sicuramente continuerà ad avere, l’attività normativa
dell’OIL sullo sviluppo dell’ordinamento comunitario del lavoro.
9
Cfr. FOGLIA – SANTORO PASSARELLI, Profili di diritto comunitario del lavoro, Giappichelli, Torino, 1996, p.
10 ss..
12
2. Dai Trattati istitutivi delle Comunità europee…
Le preoccupazioni sociali dei padri fondatori dell’Europa, tuttavia,
erano secondarie rispetto a quella centrale di promuovere un grande
mercato unificato, fondato sulla concorrenza, e ciò era dovuto soprattutto al
fatto che si aveva grande fiducia nelle capacità spontanee del mercato di
promuovere finanche il miglioramento e l’armonizzazione dei sistemi
sociali.
Una simile impostazione la si ritrova già nel Trattato che istituisce il
primo mercato unificato, quello CECA, nei settori del carbone e
dell’acciaio, firmato a Parigi il 18 aprile del 1951.
Anche se il Trattato pone come obiettivi comunitari “l’incremento
dell’occupazione” e “il miglioramento del tenore di vita negli Stati membri”
attribuendo alle autorità della CECA, tra gli altri, il compito di “promuovere
il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera”
“permettendone l’uguagliamento nel progresso”
10
, esso esclude ogni
competenza sopranazionale in materia sociale. L’articolo 68 del Trattato è
infatti esplicito nel riservare alle autorità statali la politica sociale in senso
lato, prevedendosi solo la possibilità dell’Alta autorità di intervenire in via
di Raccomandazione qualora la concorrenza sia falsata dalla presenza in
certi Paesi di salari “anormalmente” bassi.
10
V. artt.2 e 3 del Trattato CECA.
13
Gli interventi di carattere sociale più significativi previsti dal Trattato di
Parigi riguardano la riconversione professionale ed il riadattamento dei
lavoratori investiti dalle crisi aziendali e dalle ristrutturazioni conseguenti
alla creazione del mercato unico e alle trasformazioni tecnologiche: si
comincia quindi ad affermare l’idea che i lavoratori devono essere protetti
non solo nelle loro occupazioni attuali, ma anche a fronte delle inevitabili
modifiche che tali impieghi sono destinati a subire in seguito
all’internazionalizzazione dell’economia e alle innovazioni tecnologiche.
Altro importante principio che si ritrova nel Trattato CECA è quello del
libero accesso alle occupazioni nei due settori del carbone e dell’acciaio per
i lavoratori in possesso di una “qualificazione professionale confermata”.
Nel Trattato istitutivo della CEEA (o Euratom), firmato a Roma,
insieme al Trattato istitutivo della CEE, il 25 marzo del 1957, si ritrovano
analoghi principi in materia di libera circolazione di personale qualificato
nel campo nucleare, salvo i limiti derivanti da ordine pubblico, pubblica
sicurezza e sanità pubblica. Inoltre in questo Trattato una particolare
attenzione è riservata alla protezione della salute dei dipendenti dai pericoli
risultanti dalle radiazioni ionizzanti.
La medesima impostazione, più attenta alla dimensione economica e
mercantilistica rispetto a quella sociale, si rinviene anche nel Trattato
istitutivo della CEE, in cui è facile notare come assai angusto sia lo spazio
14
riservato ai problemi attinenti al mercato del lavoro e alle tematiche latu
sensu sociali
11
.
Che il carattere meramente marginale delle questioni sociali sia il
prodotto di una scelta consapevole
12
, compiuta in sede di elaborazione del
Trattato, è confermato dallo stesso rapporto preparatorio Spaak
13
, nel quale
si legge che la “tendenza spontanea all’armonizzazione dei sistemi sociali e
dei livelli salariali, così come la stessa azione dei sindacati, saranno favorite
dalla creazione progressiva del mercato comune”.
Inoltre lo stesso articolo 117 (ora 136) del Trattato statuisce che “gli
Stati membri convengono sulla necessità di promuovere il miglioramento
delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera” in modo da realizzare
la loro “parificazione nel progresso”, aggiungendo, però, che tale
miglioramento discenderà, in primo luogo, dal “funzionamento del mercato
comune, che favorirà l’armonizzazione dei sistemi sociali”, e solo se tale
automatismo non dovesse operare potranno servire le “procedure previste
dal Trattato e il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari
ed amministrative”. Ad ulteriore conferma della centralità che nel Trattato è
stata riconosciuta al problema di istituire un grande mercato unificato, uno
spazio, dunque, senza frontiere, si tenga conto che l’articolo 3 (lettera h)
dispone che l’azione della Comunità comporta il “ravvicinamento delle
11
Cfr.V. GUIZZI, Manuale di diritto e politica dell’Unione europea, Editoriale Scientifica, Napoli, 2000,
p.729 ss..
12
Cfr. G. GIUGNI, La dimensione sociale del mercato interno, in AA.VV.
13
Il rapporto fu elaborato da un Comitato di rappresentanti dei Governi dei Paesi membri, presieduto da una
personalità politica di spicco: il Ministro degli esteri belga Paul Henri Spaak.
15
legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato
comune”, e che l’articolo 100 (ora 94) prevede che “il Consiglio,
deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, stabilisce
Direttive
14
volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative,
regolamentari ed amministrative (tra le quali, ovviamente, rientrano anche
quelle di carattere sociale) degli Stati membri, che abbiano una diretta
incidenza sull’istaurazione o sul funzionamento del mercato comune”.
Le non molte disposizioni del Trattato che si occupano direttamente o
indirettamente degli aspetti sociali, sono inserite negli artt.48–51 (ora 39–
42), concernenti la libera circolazione dei lavoratori, 117–122 (ora 136–
145), che costituiscono le disposizioni sociali in senso proprio, 123–125
(ora 146–148), che prevedono e disciplinano il Fondo sociale europeo, 128
(ora 149–150), in materia di formazione professionale, e, anche, negli
artt.193–198 (ora 257–262), sul Comitato economico e sociale. In ogni caso
sostanzialmente due sono gli scopi che in materia sociale la Comunità vuole
perseguire
15
: da un lato, essa intende realizzare politiche di sostegno
dell’impiego e di regolazione del mercato del lavoro, e, dall’altro, si vuol
conseguire l’armonizzazione delle normative sociali dei Paesi membri.
Così, dal primo punto di vista, la libera circolazione della manodopera,
riconosciuta come fondamento della Comunità al pari della libera
14
Ai sensi dell’art.189 (ora 249) del Trattato istitutivo della Comunità europea, la Direttiva, differentemente
dal Regolamento ,“vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva
restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”.
15
Cfr. F. POCAR, Diritto comunitario del lavoro, Cedam, Padova, 1983, p. 6.