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CAPITOLO I
Maturare le idee verso i disabili
È un compito che vale di più
Dell’abbattimento
Delle barriere architettoniche
I – 1. Introduzione ai diritti
L’espressione “diritti del disabile” dimostra una riduttività non indifferente, essendo
l’argomento ampio e complesso, soprattutto dal punto di vista giuridico.
Parte della comunità si sta adoperando per realizzare la riduzione delle distanze
attraverso una sempre più accurata e allargata progettazione di interventi, normativi e
non, basandosi in primis sulla coscienza e, in maniera parallela, sul significato
primordiale del diritto tali da rendere possibile una maggiore integrazione del
disabile. “Il diritto è un ordinamento del comportamento umano. Un “ordinamento”
è un sistema di regole. Il diritto non è una regola, come talvolta si dice. Esso è un
complesso di regole avente quel genere di unità che concepiamo come un sistema.
(..) Che cosa significa veramente che un ordinamento sociale è giusto? Significa che
questo ordinamento regola il comportamento degli uomini in modo soddisfacente per
tutti, cioè in guisa che tutti vi ritrovino la loro felicità. La sete di giustizia è l’eterna
sete umana di felicità. È la felicità che l’uomo non può trovare come individuo
isolato e ricerca quindi nella società. La giustizia è la felicità sociale.”
1
Sarebbe
semplice se questi dettati venissero seguiti. La giustizia non fa perno sulla costrizione
e l’uomo, troppo spesso è lupo a se stesso. “La giustizia è un ideale irrazionale. Per
quanto indispensabile possa essere la volizione e l’azione degli uomini, essa non è
suscettibile di conoscenza. Dal punto di vista della conoscenza razionale, esistono
soltanto gli interessi, e quindi dei conflitti di interesse.”
2
Il compito di un buon
ordinamento è quello della mediazione e del soddisfacimento delle necessità e degli
interessi dei suoi cittadini, ed “È doveroso che tutti gli uomini siano trattati com’è
ritenuto doveroso che sia trattato un uomo in quanto tale.”
3
1
H. KELSEN, Teoria Generale del Diritto e dello Stato, Etas-Kompass S.P.A., Milano, 1966, Pagg. 3-6.
2
ID., op. cit., Pag. 13.
3
E. RIPEPE, La dignità umana: il punto di vista della filosofia del diritto, in La tutela della dignità dell’uomo, a
cura di E. Ceccherini, Editoriale Scientifica, Napoli, 2008, Pag. 27 – con l’appunto di guardare “non agli
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È opinione comune, infatti, considerare il disabile come personalità indistinta per la
quale si prova un certo tipo di ragionevole premura. Dal punto di vista sociologico,
per non dire umano, il disabile è sempre stato oggetto di opinioni contrastanti, che
oscillano tra la discriminazione e la protezione. Dal punto di vista giuridico, invece,
il suo valore ha acquisito un peso di maggiore rilievo in maniera direttamente
proporzionale ai cambiamenti storici. Egualmente si potrebbe dire che la sua tutela è
ancora in fase di sviluppo. L’ordinamento italiano può vantare una fra le legislazioni
più ricche in materia di assistenza e controllo, parimenti a Gran Bretagna e Stati
Uniti d’America, ma analizzando la realtà quotidiana e le sue molteplici
sfaccettature, per essere giudicato completo, risulta ancora troppo giovane. Si evince,
quindi, l’estrema difficoltà di una regolamentazione a tutto tondo.
Un’altra considerazione a tal proposito, nasce anche dal significato stesso
dell’argomento, dalla questione stessa di disabilità. La disabilità è una condizione
nella quale una persona versa a causa di una o più minorazioni di tipo fisico, psichico
e/o sensoriale di vario grado che provoca una minore o più difficile interazione con
l’ambiente e con la società di appartenenza. Per arrivare a questo risultato, la strada è
stata lunga e si è giunti ad una definizione giuridica e sociologica di disabile soltanto
di recente.
I – 2. Evoluzione culturale e giuridica
Il suddetto cambiamento è strettamente collegato ad un’evoluzione culturale, nella
quale si riscontra una presa di coscienza di situazioni meritevoli di particolare tutela
giuridica, nata da un lungo e difficile processo di maturazione intellettuale. I primi
segni possono riscontrarsi già all’inizio del secolo scorso, quando la parola
“handicappato” è comparsa nel linguaggio comune. Per quanto dispregiativa possa
oggi essere, questo sta a significare che una primitiva presa di coscienza aveva
cominciato a manifestarsi. Le persone affette da qualunque tipo di disfunzione non
avevano nessun riferimento normativo specifico e, all’epoca, tutti coloro che
imperativi di una morale fuori dalla storia, ma a ciò che di volta in volta appare doveroso in quanto conforme a
quelle che sono ritenute, qui e ora, le caratteristiche e le esigenze di ogni essere umano.”.
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versavano in “condizione di minorità, non possono naturalmente esercitare i diritti
riconosciuti agli altri individui.”
4
Una seconda fase si apre nel corso degli anni ’70. Questi sono stati anni decisivi per
l’inizio della pronunziazione delle prime forme di tutela, specialmente da parte
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Tali normative non erano ancora all’altezza
di portare questa dicitura in quanto erano semplicemente “atti di natura non
vincolante”, il che significa che non c’era obbligatorietà nel loro rispetto da parte
degli Stati membri, dei quali non era intaccata la capacità decisionale. Queste prime
norme restavano comunque sotto la forma mutualistica di pura assistenza, quindi non
potevano ancora essere giudicate come una vera protezione dei diritti. L’elemento
della maggiore sensibilizzazione fece comunque ben sperare. In Italia si
cominciarono ad avere le primissime leggi in materia di scuola e lavoro, rendendo
effettivamente più universali anche gli articoli 4 e 34 della Costituzione
5
.
Da quel momento in poi, in particolare negli anni ’90, ci fu letteralmente uno
spostamento del punto di vista riguardo la considerazione dei disabili, ovvero una
maggiore “sensibilizzazione della popolazione che la disabilità non è problema
individuale ma sociale”
6
, grazie anche a tutta una serie di normative europee di
riconoscimento e tutela dei diritti e della persona nei confronti dei disabili,
inizialmente senza alcun monitoraggio sugli Stati membri e successivamente
acquisendo il carattere di obbligatorietà. Quindi, proprio in questi anni, ci fu
letteralmente un salto di qualità anche in Italia, ad esempio con la formulazione della
Legge 104
7
. Si rese necessaria una maggiore coscienza dell’effettiva uguaglianza fra
i cittadini ma soprattutto del ruolo del disabile che “non può integrarsi nella società
4
N. FOGGETTI, Diritti umani e tutela delle persone con disabilità: la Convenzione delle Nazioni Unite del 13
Dicembre 2006.
5
Articolo 4 in Titolo I “Principi Fondamentali”: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e
promuove le condizioni che renderanno effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo
le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale
della società.” – Articolo 34 in Titolo II “Rapporti etico - sociali”: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione
inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi,
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di
studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.”.
6
C. COLAPIETRO, Diritti dei disabili e costituzione, appendice di F. GIRELLI, Editoriale Scientifica, Napoli,
2011, Pag. 46.
7
Legge 5 Febbraio 1992, n. 104 “Legge - quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate” (Pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 17 Febbraio 1992, n.37 supplemento ordinario).
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(in forza della sua diversità), ma è la società con le sue strutture ed infrastrutture
che ne impedisce una sua piena partecipazione sociale.”
8
Lo Stato, quindi, si assume la responsabilità di agevolare questa integrazione e tale
impedimento non è più imputabile al disabile in primissima persona ma alla società e
quindi al suo ambiente di appartenenza. Riguardo alla condizione di minorità del
disabile, “Lo Stato non può limitarsi a fronteggiare attraverso il riconoscimento dei
diritti a contenuto meramente sanitario e/o assistenzialistico, ma che invece ha
l’obbligo di rimuovere con azioni positive.”
9
. Per dirla con le parole di Habermas,
una politica di “inclusione” del disabile è “Non accorpamento assimilatorio o
chiusura, ma rispetto della diversità che, nella responsabilità sociale, deve essere
visto come ognuno di noi.”
Lo stesso identico discorso è stato fatto appena successivamente a quegli anni
riguardo molti aspetti della vita, come ad esempio la salute, l’educazione, il lavoro e
la famiglia, proprio come sancito dalla Costituzione, che, finalmente, si allarga, oltre
che formalmente, anche sostanzialmente alla totalità della cittadinanza. Su questo
tema, molti sono stati gli studiosi di dottrina del diritto ad essersi cimentati, cercando
di dare un contributo alla legislazione. A. Vallini considera tutta una serie di strategie
e politiche di inclusione sociale come una strada obbligata, che “per essere
effettivamente inclusive devono far si che la società modifichi le proprie regole di
funzionamento. (..) Bisognerebbe proprio ripartire dagli ultimi, perché
l’emarginazione di un solo cittadino rende povera l’intera società.”
10
Parimenti A.
D’Aloia e R. Belli considerano il disabile come una persona che, anche se minorata,
presenta le stesse caratteristiche dal punto di vista sociale o giuridico di qualunque
altro uomo. Il problema per loro è la non capacità di farsi strada da soli o di far valere
i propri diritti. Non a caso il primo esprime una visione pessimistica della società a
confronto con le situazioni più deboli, scrivendo che “Nonostante il loro
considerevole rilievo sul piano sociale, hanno minore possibilità di emergere, dal
8
C. COLAPIETRO, Diritti dei disabili e costituzione, Pag. 49.
9
N. FOGGETTI, Diritti umani e tutela delle persone con disabilità: la Convenzione delle Nazione Unite del 13
Dicembre 2006, Pag. 105, per la quale l’adozione della Convenzione , ed in particolare dell’innovativa
disposizione di cui all’Articolo 4, supera i dubbi, sollevati anche in dottrina, relativamente alla possibilità di
adottare anche per i disabili azioni positive di natura permanente e non solo temporanea (Cit. C. Colapietro).
10
A. VALLINI, Intervento introduttivo, Pag. 3.
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momento in cui quelle forti sono destinate comunque a farsi strada da sole.
11
”,
mentre il secondo prende atto della ristrettezza in materia della normativa italiana: “A
fronte di una legislazione spesso pregevole delle normative straniere [qui c’è un
chiaro riferimento a Spagna e Portogallo], c’è da chiedersi se lo Stato di diritto esiste
davvero per i disabili.”
12
Gli stati d’animo sono, quindi, ancora oggi contrastanti, prendendo atto della verità
che mai la discriminazione sarà completamente eliminata dalla gamma dei sentimenti
umani e anche che la legislazione ancora non è in grado di tutelare completamente
tutte quelle persone che hanno l’effettivo e più sincero bisogno della sua protezione.
L’evoluzione intellettuale continua comunque a farsi strada anche fra tutte queste
difficoltà cercando, giorno per giorno, di porre l’accento su tutte le vere necessità dei
disabili, cercando di migliorarne le condizioni. I risultati non hanno carattere
eclatante ma si riscontrano nei vari ambiti della società assimilabili a piccole vittorie
di ogni disabile. La presa di coscienza della loro condizione e della tutela dei loro
diritti non poteva avvenire altrimenti, non è una constatazione repentina né tanto
meno omologabile. Approfondendo il ragionamento, si può evincere anche una
contraddizione in termini, in particolar modo nella definizione stessa di diritti
dell’uomo. Non v’è dubbio su questo, allora, perché deve esserci dubbio sul fatto che
il disabile sia un uomo? Il disabile è prima di tutto un uomo e poi un disabile. La
constatazione del diverso ha sempre creato grande confusione in qualunque persona,
di qualunque provenienza o ceto sociale, ed in qualunque epoca storica. Per il
disabile comunque la situazione cambia, essendo un gruppo di persone assolutamente
eterogeneo, in relazione ovviamente al tipo di menomazione
13
. Questa molteplicità
del gruppo ha creato qualche problema, nel corso degli anni, alla formulazione della
normativa inerente ed in particolare a quella specifica.
Nella formulazione generale dei diritti e dei doveri del disabile, un grande ruolo
contributivo è stato assunto dalle Organizzazioni a livello sovrannazionale, le quali si
sono sobbarcate l’onere di chiarificare le varie tipologie di intervento e quindi di
11
A. D’ALOIA, Introduzione. I diritti come immagini in movimento: tra norma e cultura costituzionale in Diritti
e Costituzione. Profili e volutivi e dimensioni inedite, Edizioni Giuffrè, Milano, 2003, Pag. XXIV.
12
R. BELLI, Introduzione.
13
Una recente sentenza della Corte Costituzionale (26 Febbraio 2010, n. 80) sottolinea la presenza di diverse
forme di disabilità, per ognuna delle quali è necessario individuare “meccanismi di rimozione degli ostacoli che
tengano conto della tipologia di handicap da cui risulti essere affetta in concreto una persona.”.
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tutela. Successivamente, ed in maniera del tutto autonoma, ma comunque nel rispetto
delle suddette, è spettato ad ogni entità nazionale appurare ogni punto delle
dichiarazioni.