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♦ CAPITOLO 1 ♦
Introduzione generale alla tutela
cautelare
Capitolo I – Introduzione generale alla tutela cautelare
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I. Introduzione alla funzione della tutela cautelare
La disciplina giuridica, che si esprime non solamente nel precetto primario
(che impone autoritativamente la regola della vita, permettendo l‟esistenza di una
società pacifica e libera), ma anche in quello secondario (che, consistendo nella
minaccia di una sanzione, si risolve, in caso di violazione del precetto primario,
nell‟effetto sanzionatorio), non è sufficiente di per sé sola a garantire la
coesistenza delle libertà, per cui accanto ad essa, o meglio al suo servizio, si pone
la tutela giurisdizionale dei diritti, mezzo per ottenere non solo il riconoscimento
della posizione di prevalenza e quindi l‟interpretazione autoritativa del precetto
primario, ma anche l‟irrogazione delle sanzioni, previste dal precetto secondario, e
la reintegrazione, ove possibile, del diritto leso.
Se la normativa fosse sufficiente ad ottenere una società ideale, in cui tutti i
soggetti rispettassero i precetti primari, in modo da poterne escludere ogni
violazione; se tali precetti fossero espressi con regole molto chiare; se potesse
esistere un sistema di regole non astratto, bensì concreto, da non consentire alcun
dubbio sul collegamento tra regola stessa e fatto umano, allora non solo la
sanzione, ma anche la tutela cautelare non sarebbero un‟esigenza sentita né
apprezzata dagli individui. Ma la natura umana imperfetta non permette nemmeno
di immaginare una simile società e tantomeno un simile ordinamento giuridico.
Quindi, in qualsiasi ordinamento sociale, il concetto di norma giuridica richiama
subito quello di sanzione, e a fianco di una pur embrionale tutela normativa si
pone necessariamente una tutela giurisdizionale che, per quanto perfetta, postulerà
sempre e necessariamente la tutela cautelare.
Quando si afferma che la tutela giurisdizionale permette di reintegrare il
diritto violato, le si attribuisce una perfezione che è solo aspirazione umana a ciò
che non può e non potrà mai essere. Anche se tale tutela potesse operare
automaticamente ed immediatamente, interverrebbe comunque in un momento
successivo alla violazione del diritto, e troppo spesso, per il principio quod factum
est infectum fieri nequit, che esprime l‟irreversibilità del tempo, quando la
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reintegrazione sarebbe ormai solo una finzione. Solamente una tutela perfetta, che
fosse in grado di consentire sempre l‟effettiva reintegrazione del diritto violato in
via immediata, potrebbe rendere inutile la tutela cautelare, ma questa, si sa, non è
la realtà.
Così, una rapida scorsa a quanto verificatosi nei secoli addietro potrà
convincere che le varie forme di tutela, compresa quella cautelare, si pongono
come termini complementari, avendo un‟unica ragion d‟essere.
Già nella Legge delle XII Tavole del diritto romano possiamo trovare
norme che paiono embrioni della tutela cautelare nelle figure del nexus1 e
dell‟addictus2 così come in numerose altre figure giuridiche che altro non sono
che le antenate delle misure cautelari attuali; così altre ne ritroviamo nel diritto
longobardo e più in generale in quello medievale3, fino ad arrivare ad oggi,
periodo in cui le grandi e rapide, rispetto al passato, trasformazioni economiche e
sociali impongono la necessità di elaborare misure sempre nuove che si adattino
alle nuove situazioni emergenti.
Infatti, l‟evoluzione della moderna società post-industriale verso forme di
scambi e contatti sempre più frenetici e riguardanti soggetti appartenenti a diversi
Stati ha fatto emergere situazioni giuridiche soggettive nuove e nuove figure
contrattuali, e al contempo ha posto in risalto l‟acquisita piena consapevolezza dei
diritti fondamentali degli individui e dei gruppi, ottenuta in particolare grazie alla
velocità e diffusività dell‟informazione. Tutto ciò ha comportato un incremento
capillare della domanda di giustizia, che si pone ormai quasi nei termini di una
sfida culturale e politica agli ordinamenti processuali. In tale scenario è evidente,
quindi, che l‟introduzione, nel sistema, di tutele differenziate – alternative al
processo ordinario di cognizione, con i lunghi tempi che inevitabilmente richiede
1
Si trattava di un‟autooppignorazione delle persone in potestà, che il debitore poneva in essere volontariamente e con il
consenso del creditore; estinto il debito, cessava il rapporto di garanzia ed il nexum veniva quindi meno. Lo stesso si
risolveva in un vero e proprio pegno e pare che il nexus, coi propri servigi, potesse assolvere il debito e riscattarsi.
2
Si trattava di un soggetto costituito in garanzia d‟un credito, che, per ordine del magistrato, restava costretto nelle
carceri private del creditore per sessanta giorni, conservando comunque, finché non fosse stato venduto o ridotto in
schiavitù, la titolarità di tutti i suoi diritti. Tornava alla libertà con l‟estinzione del debito nei sessanta giorni, altrimenti
sarebbe stato ridotto in schiavitù.
3
Per un‟accurata trattazione storica, CALVOSA, La tutela cautelare ( profilo sistematico ), Torino, Unione tipografico
– editrice torinese, 1963, p. 8 e s..
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– rappresenti lo strumento essenziale per assicurare una garanzia effettiva a
situazioni di particolare urgenza, nell‟ottica di una tutela sostanziale, conforme ai
fondamentali precetti costituzionali in materia (articoli 24, 111 e 113
Cost.).
Tra queste forme di garanzia giurisdizionale dei diritti riveste
indubbiamente un‟ importanza fondamentale la tutela cautelare, finalizzata
appunto ad assicurare – sulla base di una valutazione meramente probabilistica
dell‟esistenza della posizione soggettiva azionata – un rimedio processuale
efficace a situazioni di particolare urgenza, che non consentono di aspettare i
tempi trascinati del processo ordinario.
Il problema cautelare attraversa tutta la giurisdizione: interventi cautelari –
anche strutturalmente diversi – vengono richiesti e disposti nell‟ambito di tutte le
diverse tipologie di giudizio con una finalità comune, ovvero quella cautelare; si
può pertanto parlare di “trasversalità” di tale tutela. E‟ infatti dato di comune
esperienza nel processo amministrativo – non meno che in quello civile – che il
giudizio cautelare rappresenti una delle forme di tutela più vitali e feconde, con
particolare rilievo di questa affermazione soprattutto negli ultimi decenni,
caratterizzati da una sensibile espansione della domanda di giustizia. E‟
soprattutto a partire dall‟inizio degli Anni Settanta che si registra una
notevolissima crescita dell‟attenzione e della letteratura dedicate all‟argomento
dalla dottrina ( con nomi quali Gasparini, Proto Pisani, Paleologo, Travi e
Follieri ). Un dato risulta quindi pacifico: il notevole incremento del ricorso a tale
provvedimento nell‟esperienza del processo, soprattutto a causa della dilatazione
dei tempi necessari ad arrivare ad una decisione sul merito.
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II. Il giudizio cautelare quale tertium genus rispetto ai
giudizi di cognizione e di esecuzione
Per tutela cautelare giurisdizionale si intende la particolare forma di
intervento dell‟ordinamento processuale finalizzata ad approntare una tutela
provvisoria per quelle situazioni giuridiche sostanziali che, nella durata del
processo in cui vengono dedotte, siano minacciate dal pericolo di un evento
pregiudizievole grave ed irreparabile.
Per quanto concerne i contenuti, non si differenzia dalle attività
giurisdizionali di cognizione o di esecuzione, in quanto ciò che la caratterizza non
è la qualità degli effetti ma la funzione di garanzia di effettività della tutela
giurisdizionale e, quindi, dello stesso ordinamento normativo. A tal proposito, per
il Calamandrei, « Il criterio in base al quale i provvedimenti cautelari si
distinguono da quelli non cautelari (da noi denominati principali) non è un
criterio attinente al contenuto, cioè alla qualità degli effetti come quello che serve
a contraddistinguere i provvedimenti giurisdizionali nei due grandi gruppi di
provvedimenti di cognizione e dei provvedimenti di esecuzione. Se si guarda alla
qualità degli effetti, le misure cautelari possono rientrare, in sé considerate, tra i
provvedimenti di cognizione o tra quelli di esecuzione; la loro peculiarità
caratteristica va invece ricercata in quel rapporto di strumentalità che lega
immancabilmente ogni provvedimento cautelare ad un provvedimento principale,
il rendimento pratico del quale si trova, in virtù del primo, agevolato e assicurato
in anticipo »4. Secondo il Carnelutti, « Se così il processo cautelare si
contrappone, quanto allo scopo, al processo giurisdizionale e al processo
esecutivo, è da notare invece fin d’ora come, quanto ai mezzi, si identifichi ora
con l’uno ora con l’altro nel senso che gli atti del processo cautelare sono,
secondo i casi, o i medesimi atti dei quali si giova la giurisprudenza o quelli stessi
che servono all’esecuzione: così per ottenere un provvedimento di sequestro
giudiziario o conservativo si svolge un processo di cognizione e, d’altra parte, per
4CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, CEDAM, 1936, p. 137.
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metterlo in atto, un processo esecutivo. Ciò vuol dire che la figura del processo
cautelare ha un suo proprio rilievo dal lato della funzione del processo ma non
dal lato della struttura… »5. Ed infine per il Liebman « Il processo cautelare si
inserisce come tertium genus rispetto a quello di cognizione e a quello di
esecuzione ed è caratterizzato dalla sua funzione strumentale, ausiliaria nei
confronti del processo principale, del quale mira a garantire la proficuità dei
risultati, nei casi ammessi dalla legge »6. Consegue da tutte le osservazioni di cui
sopra che nozione e funzioni cautelari siano tra loro strettamente legate e che sia
improponibile parlare di processo e provvedimento cautelari senza richiamarsi alla
loro ratio, ai loro rapporti col processo ordinario e – più in genere – con la
funzione giurisdizionale.
III. I limiti posti alla tutela giurisdizionale dalla durata del
processo ordinario …
Il nostro discorso si ricollega quindi al tema generale del rapporto tra
diritto sostanziale e processo, ed in particolare al discorso sulle potenzialità ed i
limiti di quest‟ultimo nell‟esercizio della funzione cui esso adempie.
E‟ compito del giudice il procedere in via autoritaria all‟attuazione del
diritto, quando ciò non avvenga in via spontanea da parte dei cittadini (in virtù
della doverosa cooperazione tra i consociati per l‟attuazione del diritto), con
l‟utilizzo del processo7 , che possiamo così definire strumentale al diritto di cui
5
CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale civile, Padova, 1936, p. 206.
6
LIEBMAN, Unità del procedimento cautelare, in Riv. Dir. Proc., 1954, parte I, p. 254.
7
« Lo Stato, se da un lato punisce, nel codice penale, “l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni” (artt. 392 e 393
c.p.), dall’altro istituisce la funzione giurisdizionale che si pone come strumento principale e tendenzialmente esclusivo
per l’attuazione del diritto sostanziale in caso di mancata o difettosa cooperazione doverosa da parte dei consociati.
Sotto tale aspetto il rapporto tra diritto sostanziale e processo è chiaro: la mancata o difettosa cooperazione doverosa
da parte dei consociati ed il divieto – posto dallo Stato – di farsi ragione da sé, rappresentano gli elementi che
giustificano, sul piano “statico”, i concetti di azione e giurisdizione, e sul piano “dinamico”, il sorgere del processo. Il
processo, pertanto, attraverso l’attività delle parti (esercizio dell’azione) e del giudice (esercizio della giurisdizione),
mira a far ottenere ai titolari delle situazioni di vantaggio gli stessi risultati (o, se questo è impossibile, risultati
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assicura l‟attuazione. Tutto questo però postula la piena effettività della tutela
giurisdizionale: « Il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi
ha un diritto tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di avere »8. Tale
effettività è però messa talvolta a rischio dal protrarsi del processo nel tempo, che
comporta che i fatti di cui il processo si occupa possano disporsi in modo da
comprometterne gli esiti finali9.
Il nucleo della questione risiede nel fatto che il processo ordinario, che
consente lo svolgimento più completo e garantistico della funzione
giurisdizionale, non riesce a compiersi immediatamente e ad assicurare così,
istantaneamente – cioè al momento della proposizione dell‟azione da parte
dell‟avente diritto – ed in modo pieno ed adeguato, la sua funzione giudiziale.
Esso ha infatti necessariamente una sua durata, essendo un procedimento
sofisticato, complesso e garantistico; in altri termini, ha bisogno di un suo “tempo
fisiologico” per giungere ad un risultato. Può così accadere che l‟attore, nell‟arco
temporale necessario ad ottenere una pronuncia definitiva, possa essere
assoggettato al pericolo di un danno irreparabile o comunque molto grave al
diritto di cui chiede tutela: si tratta del cosiddetto periculum in mora, che « non
verrebbe preso in considerazione se fosse possibile accelerare adeguatamente,
attraverso una abbreviazione del giudizio ordinario, il provvedimento
definitivo »10. In altri termini, qui il pericolo nel ritardo non è ravvisabile nel
equivalenti) che avrebbero dovuto ottenere attraverso la cooperazione spontanea da parte dei consociati »: PROTO
PISANI, Appunti preliminari sui rapporti tra diritto sostanziale e processo, in Diritto e Giurisprudenza, 1978, pp. 5 e
6. Nel pensiero di quest‟autore, la strumentalità necessaria del processo rispetto al diritto sostanziale sarebbe la
premessa da cui muovere per affermare l‟esigenza di forme “differenziate” di tutela giurisdizionale, vista la « diversità
strutturale delle situazioni sostanziali bisognose di tutela».
8
CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, ristampa II edizione, Napoli, 1960, p. 40.
9
« Il processo contenzioso, nei suoi due tipi, cognitivo ed esecutivo, opera sul fatto e col fatto per adeguarlo al diritto
[…]. Il valore del fatto è dunque, grosso modo, quello che ha per l’artefice la materia prima e lo strumento, con i quali
forma la res nova[…]. Il fatto, in ultima analisi, è tempo, ossia un passare; qualcosa che compare e scompare; in una
parola il fatto non sta fermo; perciò è una materia ribelle all’opera, che il giudice deve compiere su di essa, e insieme
uno strumento, il quale, mentre lo adopera, rischia di sfuggirgli dalle mani. Il giudice, come Faust, dovrebbe arrestare
l’istante. Ha, se non erro, una grande importanza l’osservazione che il fatto, in ultima analisi, non è altro che tempo,
proprio perché il tempo, a sua volta, in ultima analisi, non è se non mutamento. Che, pertanto, il giudice operi sul fatto,
vuol dire che opera sul tempo […]. Il valore che il tempo ha nel processo è immenso, e in gran parte sconosciuto. Non
sarebbe azzardato paragonare il tempo ad un nemico, contro il quale il giudice lotta senza posa », CARNELUTTI,
Diritto e processo, Napoli, 1958, p. 353 e s.
10
CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, op. cit., p. 18 e 19.
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mero danno giuridico, cui può porre rimedio la giustizia ordinaria, bensì nel
cosiddetto danno marginale11, che si verifica proprio per il ritardo del
provvedimento definitivo; pregiudizio questo che può comprimere, o addirittura
vanificare del tutto, il risultato conclusivo del processo a cognizione piena.
IV. … e i rimedi approntati dall’ordinamento giuridico
Preso atto di questo limite del processo ordinario, l‟ordinamento giuridico
ha cercato di porvi rimedio in diversi modi, con istituti sia di natura sostanziale
che processuale: dalla successiva considerazione della parziarietà ed insufficienza
degli obiettivi conseguiti con tali strumenti (tra cui citiamo a titolo esemplificativo
la trascrizione di talune domande giudiziali, ai fini dell‟opponibilità ai terzi dei
motivi di invalidità o inefficacia del contratto del loro dante causa – artt. 2652
2653 c. c. - , e l‟obbligo di custodia a carico del possessore o detentore del bene
convenuto in rivendica – art. 948 c. c. – tra i rimedi sostanziali; la condanna in
futuro – art. 657 c. p. c. – tra i rimedi processuali) è derivata pertanto la necessità
che più ampie ed incisive forme di tutela venissero introdotte dal legislatore
proprio all‟interno della stessa sede ordinaria, frantumandone l‟originaria
monoliticità ed assicurando, ai soggetti in essa coinvolti, forme di garanzia
alternative o sussidiarie rispetto al garantistico, ma poco celere, giudizio a
cognizione piena12. Tra queste forme di tutela rientrano anche i provvedimenti
d‟urgenza concessi dal giudice ai fini cautelari, il ricorso ai quali è dunque
giustificato dalla volontà di evitare che l‟attore che ha probabilmente ragione non
risulti ingiustamente pregiudicato dalla durata del processo finalizzato al
riconoscimento (eventuale) del proprio diritto.
11
FINZI, Questioni controverse in tema di esecuzione provvisoria, in Riv. dir. proc. civ.,1926, parte II, pag.50.
12
VALITUTTI, I procedimenti cautelari e possessori I. Inquadramento sistematico della tutela cautelare. Il rito
cautelare uniforme, Padova, CEDAM, 2004, pag.15.
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V. Principi dell’elaborazione dottrinale in tema di tutela
cautelare
Tra i principi fondamentali del diritto processuale comune troviamo quello
secondo cui « la durata del processo non deve andare a danno dello attore che ha
ragione »: detto principio è frutto di una lunga elaborazione della più autorevole
dottrina processual - civilistica iniziata sin dai primi decenni del secolo scorso e
che trova i suoi maggiori esponenti in illustri nomi, già citati, quali il
Calamandrei, il Chiovenda ed il Carnelutti.
Tra i primi tentativi di studio sistematico della materia cautelare dobbiamo
senz‟altro annoverare un lavoro del Calamandrei13, che, pur essendo datato ormai
quasi ad un secolo fa, è tuttora di grande interesse soprattutto per i contenuti e la
chiarezza con cui sono esposti, ma anche per la sintassi ed il linguaggio utilizzati,
considerabili ad oggi molto attuali. A lui dobbiamo il primo tentativo sistematico
di ricerca della particolare relazione funzionale esistente tra tutela cautelare e
tutela giurisdizionale ordinaria quando quest‟ ultima debba confrontarsi con il
periculum in mora per il diritto azionato: « La funzione dei provvedimenti
cautelari nasce dalla relazione che passa tra due termini: la necessità che il
provvedimento, per essere pienamente efficace, sia emanato senza ritardo, e la
inettitudine del processo ordinario a creare senza ritardo un provvedimento
definitivo. E’ questo uno di quei casi (la disciplina dei quali costituisce forse il
più antico e più difficile problema pratico di ogni legislazione processuale) in cui
la necessità di far presto si urta contro la necessità di far bene14: affinché il
provvedimento definitivo nasca colle maggiori garanzie di giustizia, esso
dev’esser preceduto dal regolare e meditato svolgimento di tutta una serie di
attività, al compimento delle quali è necessario un periodo, spesso non breve, di
attesa; ma questa mora indispensabile al compimento dell’ordinario iter
processuale, rischia di rendere praticamente inefficace il provvedimento
13
CALAMADREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, op. cit..
14
CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1931, pag. 85-86, come citato da
CALAMANDREI, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, op. cit., p. 19.