Introduzione
La federazione europea non si proponeva
di colorare in questo o quel modo un potere esistente.
Era la sobria proposta di creare
un potere democratico europeo.
Altiero Spinelli
La Repubblica di Turchia fu fondata il 24 luglio 1923 con il Trattato di
Losanna. Il primo Presidente della Repubblica fu Mustafa kemal
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,
conosciuto anche come Ataturk
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, e con la dottrina kemalista si diede inizio
alla trasformazione della Turchia in uno Stato moderno che guardava con
favore all’occidentalizzazione. Sin dalla fine della II Guerra Mondiale la
Turchia si è presentata come un ponte tra occidente e oriente. Nel 1949
aderì al Consiglio d’Europa
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, nel 1952, nonostante l’opposizione iniziale
della Gran Bretagna, entrò a far parte della NATO
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e la sua alleanza con
Washington gli ha permesso di essere l’avamposto più avanzato della guerra
fredda. La richiesta formale di adesione all’UE va fatta risalire al 1987, ma
vi fu un allontanamento con l’arrivo al governo dell’islamico Erbakan che
vedeva nell’ingresso della Turchia in Europa un pericolo perché sosteneva
che “avrebbe fatto disperdere e annullare i valori musulmani nell’Europa
cristiana
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”. L’attuale Primo Ministro Erdogan
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, invece, nonostante possa
essere definito come un discepolo di Erbakan, si è sempre mostrato
favorevole all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea.
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Mustafa Kemal faceva parte dei Giovani Turchi e si distinse, in seguito alla divisione dell’ex Impero ottomano alla fine
della I Guerra Mondiale, per essere riuscito a liberare la Penisola Anatolica dalle potenze occupanti.
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Ataturk significa Padre dei turchi ed è il cognome che gli fu assegnato nel 1934 con un decreto del Parlamento dopo che
lui stesso aveva imposto l’adozione di regolari cognomi di famiglia.
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Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale fondata il 5 maggio 1949. Lo scopo principale è quello di
promuovere i diritti dell’uomo e garantire la democrazia. La Turchia ne è entrata a far parte il 9 agosto 1949.
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L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del nord è un’organizzazione internazionale per la collaborazione nella
difesa istituita con il Patto Atlantico il 4 aprile 1949. La Turchia ne fa parte dal 18 febbraio 1952.
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Cit. in Antonello Biagini, Storia della Turchia contemporanea, Bompiani – Padova, 2005
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La figura di Recep Tayyip Erdogan è emersa come sindaco di Istanbul, sua città natale. Nel 1998 fu condannato a dieci
mesi di reclusione e privazione dei diritti civili per incitamento all’odio religioso in base all’art. 312 del codice penale per
aver pronunciato la seguente frase: “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre
baionette e i fedeli i nostri soldati”. Dopo l’uscita dal carcere ha fondato il partito islamico moderato AKP. Erdogan è
Primo Ministro dal 2003. Nelle ultime elezioni, quelle del 12 giugno 2011, è stato riconfermato, ma nonostante l’ottimo
risultato, che gli ha permesso di guadagnare 325 seggi, il premier turco non ha potuto dirsi pienamente soddisfatto. Il suo
obiettivo primario era quello di raggiungere quota 367 seggi così da poter modificare liberamente la Costituzione e
avviare il Paese verso una Repubblica presidenziale alla francese.
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L’eventuale ingresso della Turchia nell’Unione Europea è uno dei temi
geopolitici, religiosi e identitari più discussi. C’è chi afferma che l’Unione
Europea ha già numerose difficoltà nel trovare una propria identità e queste
potrebbero essere messe ancora più in crisi con l’entrata di un Paese che
sicuramente è tra i più occidentali dell’Oriente, ma che finirebbe
inevitabilmente per essere considerato come il più orientale dell’Occidente.
Una delle mancanze dell’Europa è, poi, che ancora non si riesce ad avere,
accanto all’unione economica, un’unione politica e un sentimento identitario
europeo vero e proprio. Alcuni ritengono che l’ingresso della Turchia
costituirebbe un rallentamento della formazione di questa identità che
ancora non è ben chiaro su cosa debba fondarsi. L’Europa deve avere radici
occidentali e cristiane, o sarebbe meglio se cercasse un collegamento con
l’Oriente? Se si scegliesse la seconda strada, la Turchia potrebbe costituire il
vero e proprio ponte di comunicazione. E qui per comunicazione non voglio
intendere semplicemente il dialogo, ma il senso più stretto del termine latino
communicare, cioè mettere insieme. Per quanto riguarda, invece, l’identità
cristiana, non si può non notare che già oggi in molti Paesi dell’Unione
coesistono diverse confessioni religiose. Sicuramente non si può
dimenticare l’importanza a livello storico che il cristianesimo ha rivestito
per l’Europa, ma in quello che è il mondo della globalizzazione e, ancora di
più, in quella che è l’Europa della libera circolazione delle merci, dei
capitali, delle informazioni e delle persone, non si può certo immaginare una
chiusura di tipo “religioso”.
Non bisogna dimenticare che la Turchia è un Paese emergente, con
un’economia in veloce crescita, che possiede il secondo esercito più potente
della NATO e che gode di una posizione geografica strategica. La Turchia
asiatica confina con la Siria, l’Iraq, l’Iran, la Georgia, l’Armenia e
l’Azerbaigian; mentre quella europea con la Bulgaria e la Grecia. Istanbul
può davvero essere considerata come il confine tra Asia e Europa. Ma è
vero anche che il suo territorio comprende quasi esclusivamente l’Anatolia
con l’eccezione della “europea” Tracia orientale. Il 95% della popolazione e
del territorio, dunque, sono situate in un altro continente. È evidente che dal
punto di vista geopolitico la Turchia appartiene al sottosistema regionale del
Medio Oriente.
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Non è da sottovalutare che all’interno del Paese stesso ci sono diverse
posizioni riguardo l’ingresso nell’Unione Europea. Se il governo islamico
moderato è filoeuropeo, l’esercito laico è molto meno entusiasta.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare il percorso storico ha
portato il Paese ad aprire i negoziati per l’ingresso nella Comunità prima e
Unione Europea poi. L’ingresso del Paese della mezzaluna è subordinato al
conseguimento di alcuni obiettivi che, oltre ai criteri di Copenaghen che
valgono per tutti i paesi candidati, sono stati creati ad hoc per la Turchia. Ho
deciso di porre una particolare attenzione al tema dei diritti umani
analizzando anche quelli che sono i documenti e gli organi che all’interno
del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea disciplinano la materia.
Nell’ultima parte di questo lavoro mi sono occupata di ricostruire l’identità
turca, basata su elementi molti forti, e la più debole identità europea per
capire se l’ingresso del Paese guidato da Erdogan può in qualche modo
mettere in crisi il sistema dei valori dell’Unione.
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Capitolo I
Il processo d’integrazione: la Turchia verso l’Europa
Sono cinquant’anni che siamo in attesa di entrare
nell’Unione Europea. E ora vorremmo una risposta chiara.
Vi sono leader che dicono una cosa e poi si correggono,
e magari in altre sedi sostengono di non averla detta.
È diventato comico, e noi siamo stanchi di comiche.
Recep Tayyip Erdoğan
I negoziati veri e propri sono iniziati nel 2005, ma bisogna tornare al 1959
per il primo avvicinamento della Turchia alla Comunità Europea. È nel
1959, infatti, che il paese della Mezzaluna si candidò per un accordo di
associazione con la CEE. Nel 1963 fu firmato l’Accordo di Ankara che
prevedeva una graduale unione doganale, ma l’invasione dell’isola di Cipro
nel 1974 e il colpo di Stato del 1980 furono la causa di un allontanamento.
Nel 1987, con il ritorno al parlamentarismo, Özal (allora Primo Ministro)
avanzò la richiesta formale di adesione. È in questo momento che vennero
stabilite quattro condizioni che, solo se rispettate avrebbero permesso alla
Turchia di entrare nell’Unione. Le condizioni del 1987 sono:
riconoscimento e rispetto delle minoranze religiose non musulmane sunnite;
riconoscimento senza condizioni del genocidio armeno; pieno rispetto dei
diritti umani; riconoscimento della Repubblica di Cipro e ritiro delle truppe
turche dall’isola. Il 10 dicembre 1999 il Consiglio europeo di Helsinki
definì la Turchia uno “Stato candidato ad aderire all’Unione in base agli
stessi criteri applicati per gli altri Stati candidati”. È da sottolineare che nel
vertice di Copenaghen del 1993 sono stati stabiliti alcuni criteri che
rappresentano i parametri che gli Stati candidati devono rispettare. Si è
stabilito che il paese candidato deve avere istituzioni stabili che
garantiscano democrazia, stato di diritto, rispetto dei diritti dell’uomo,
rispetto delle minoranze etnico – linguistiche e religiose; deve avere
un’economia di mercato in grado di competere all’interno dello spazio
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europeo. Già il Trattato sull’Unione Europea, all’art.49, stabilisce che “Ogni
Stato europeo che rispetti i principi sanciti nell'articolo 2 e si impegni a
promuoverli può domandare di diventare membro dell'Unione”. Nel 1995 è
entrata in vigore l’unione doganale per i prodotti trasformati e la Turchia
deve conformarsi alla normativa dell’Unione.
Nel 2005 sono iniziati i negoziati veri e propri per l’adesione con la riserva
dell’Austria (nazione fortemente cattolica che dunque vede l’Islam come
una minaccia) e di Cipro (per la questione a cui si è già fatto riferimento),
tanto che, quando nel 2006 la presidenza spettò all’Austria, i negoziati
furono temporaneamente bloccati.
Secondo l’Independent, una delle condizioni principali per l’ingresso è che
la Turchia cessi di essere una democrazia guidata. Secondo alcuni studiosi
saranno proprio i militari a subire le sorti peggiori con l’ingresso. Tra le
priorità da raggiungere a breve termine inserite nella proposta di decisione
del Consiglio relativa ai principi, priorità e condizioni contenute nel
partenariato per l’adesione con la Turchia nel 2007, si legge che è
necessario “proseguire l’allineamento del controllo civile delle forze armate
in linea con la prassi consolidata degli Stati membri dell’Unione europea;
impedire le ingerenze dei militari nelle questioni politiche e garantire il
pieno esercizio delle funzioni di sorveglianza in materia di sicurezza da
parte delle autorità civili; conferire al Parlamento pieni poteri sulle politiche
militare e di difesa; limitare le competenze dei tribunali militari ai compiti
militari delle forze armate”. Nella Risoluzione del Parlamento europeo sulla
relazione 2010 sui progressi compiuti dalla Turchia, al punto 17, si “plaude
ai progressi compiuti nel quadro delle relazioni tra sfera civile e militare, in
particolare l’aumento del controllo civile limitando la competenza dei
tribunali militari”, ma si nota altresì “che tali progressi andrebbero
ulteriormente perseguiti al fine di assicurare un completo controllo civile e
si invita il parlamento turco ad assumere un ruolo attivo nel garantire il
controllo parlamentare sulle forze di sicurezza”. È da sottolineare che in
Turchia non è ancora prevista la possibilità di scegliere il servizio civile in
alternativa a quello militare e, a tal proposito, al punto 31 della Risoluzione
a cui si è fatto riferimento sopra, si legge che “si ritiene che la Turchia, in
linea con gli obblighi derivanti dal diritto internazionale, dovrebbe adottare
una legislazione intesa ad introdurre il servizio civile o sociale quale
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alternativa al servizio militare” e che è necessario “modificare la
legislazione in modo da porre fine ai processi contro gli obiettori di
coscienza per il rifiuto di svolgere il servizio militare”. Bisognerebbe capire
se la fine del potere dei militari in Turchia significherebbe il passaggio al
potere islamico e se in questo caso ciò porterebbe ad una maggiore libertà e
quindi a meno limitazioni o se, invece, la situazioni non fosse destinata
addirittura a peggiorare. Dopotutto i militari sono i garanti della laicità dello
Stato e si è già detto della religiosità del Primo Ministro e del Presidente
della Repubblica, anche se è vero che l’AKP
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si presenta come un partito
islamico molto più moderato rispetto a quelli che l’hanno preceduto.
Allo stato attuale non si può affermare con certezza quando i negoziati
termineranno e quindi quando, qualora l’esito fosse positivo, la Turchia
potrà entrare a far parte a pieno titolo dell’Unione Europea, ma sembra che
ciò non possa comunque avvenire prima del 2015. Sono ancora troppe,
infatti, le riforme da attuare nel Paese perché l’ingresso possa concludersi
prima di quella data.
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Il Partito per la giustizia e lo sviluppo, fondato nel 2001, è un partito conservatore di centro destra che cerca di
conciliare religione e laicità dello Stato.
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